Aldilà & Curiosità. Tutto ciò che avreste sempre voluto sapere sull’oltretomba

di Giorgio Nadali 

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ZOMBIE  (Vodou)

I film dell’orrore li hanno resi celebri. Sono i morti viventi. Per il culto animista del Vodou di Haiti esistono veramente. Per capire in quale contesto si inserisce il vero zombi, dobbiamo ricordare che Vodou vuol dire “spirito”.  Il Vodou anima la società di Haiti. Sebbene quando si pensa al Vodou ci viene istintivamente in mente qualcosa che ha a che fare con la magia nera e la stregoneria, il Vodou è qualcosa di più complesso e profondo.  E’ la religione popolare di Haiti, che si è formata attraverso la commistione di antiche credenze di origine africana (Benin). Per Mons. Guy Poulard, vescovo di Haiti, una buona parte della popolazione partecipa ai riti Vodou di notte e a quelli cattolici di giorno. La forza del Vodou può essere usata per il male, ma anche per il bene. Ad Haiti vi è un rapporto molto particolare con i propri defunti. I bambini giocano sulle tombe di famiglia situate nel giardino di casa, buone anche per stendervi la biancheria lavata. La zombificazione di una persona è una forma di stregoneria del Voodoo di Haiti. Consiste in una morte apparente per togliere la libertà ad una persona, non più meritata a causa di qualche gesto grave compiuto, come l’omicidio o lo stupro. Chi ha subito un torto può rivolgersi ad uno stregone Voodoo, chiamato bokor. Lo zombie diverrà come uno schiavo. Potrà essere venduto e comprato.  Se la persona che ha acquistato lo zombie muore, allora potrà riscattarsi (mediante una pozione antidoto), ma non potrà tornare al suo villaggio di origine, poiché è stato condannato. Come avviene la condanna per zombificazione? Tecnicamente attraverso una neurotossina che induce una forma catalettica che prelude ad un avvelenamento successivo più grave e talvolta alla morte. Mediante dei rospi di tipo amazzonico (Bufo alvarius, Bufo marinus) oppure il veleno del pesce palla, si estrae la bufotenina (5-MEO-DIMETILTRIPTAMMINA), o tetradotoxina (TTX), da cinquanta a cento volte più potente della digitale. Il condannato sembra clinicamente morto e viene seppellito ancora cosciente. Di notte il corpo dello zombie viene risvegliato dal bokor in un cimitero, con un’altra sostanza che cancellerà la personalità del condannato e lo renderà un automa, suo schiavo. Sarà senza memoria e volontà, con occhi vitrei e voce nasale. Potrà essere venduto. L’antidoto usato è la datura, una pianta che contiene nei semi e nei fiori degli alcaloidi come la scopolamina e l’atropina. Alcaloidi che producono effetti di controllo mentale. La parola zombie deriva da quella creola Nzambi, una divinità dell’Africa occidentale. La pratica di zombificazione non è molto frequente ed esiste ancora oggi, ma il governo haitiano non ha alcun controllo su queste pratiche clandestine e illegali. La zombificazione spaventa molto la gente di Haiti, anche perché ricorda l’antica schiavitù. Il cinema si è ispirato a questa pratica reale per i film sugli zombie.

CIMITERI (Cristianesimo)

I luoghi di sepoltura si chiamavano anticamente “Necropoli”, cioè “Città dei morti”. Con la nascita del Cristianesimo il termine è mutato in “cimiteri”. Questa parola proviene dal greco koimetérion, “luogo di riposo”: il verbo κοιμᾶν (“koimân”) significa “fare addormentare”. Questo è dovuto alla fede cristiana nella risurrezione di coloro che vi sono sepolti, che si risveglieranno per la risurrezione, secondo la promessa di Gesù nel Vangelo di Giovanni 6,40.

INDULGENZE (Cristianesimo cattolico)      

La dottrina dell’indulgenza è nata in ambito cattolico si riferisce alla credenza nella possibilità di cancellare una parte ben precisa delle conseguenze di un peccato (detta pena temporale), dal peccatore che abbia confessato sinceramente il suo errore e sia stato perdonato tramite il sacramento della confessione. A seguito della riforma protestante, che contestò questa dottrina sostenendo che essa non abbia un fondamento nella Bibbia, rimase un uso prettamente cattolico. La vendita delle indulgenze spaccò la Chiesa con la Riforma protestante di Martin Lutero, nel 1517, il quale rifiutava il valore delle indulgenze e soprattutto il fatto di offrirle a seguito di un’offerta di denaro. Con la vendita delle indulgenze è stata edificata la Basilica di San Pietro in Vaticano. Ancora oggi si dice “lucrare un’indulgenza”, da “lucro”, cioè denaro. Ovviamente le condizioni non riguardano più il denaro per acquistare la bolla di indulgenza. Lucra validamente un’indulgenza chi riceve il Sacramento della Riconciliazione (Confessione), l’Eucaristia, recita il Credo, prega secondo le intenzioni del Papa. Chi muore martire o dovesse morire subito dopo aver lucrato validamente un’indulgenza plenaria va direttamente in Paradiso senza passare dal Purgatorio. Quest’ultimo è presente solo nella dottrina cattolica. Il martire “lava” la sua anima dalle pene del Purgatorio col proprio sangue versato a causa diretta ed evidente della sua fede in Cristo. L’ultima martire canonizzata in Italia (nel 1950 da Papa Pio XII) è stata la dodicenne Maria Goretti.

CREMAZIONE (Induismo)         

Il funerale può incominciare anche da vivi, col rito dello adya-shrada. Chi non ha figli che possano occuparsi del rito funerario al momento della propria morte o chi ritiene che il proprio funerale non verrà fatto per qualche ragione, può chiedere il rito funerario anticipato (…senza cremazione, ovviamente), chiamato appunto adya-shrada. Normalmente però il rito funerario avviene da morti. E’ il sedicesimo sacramento dell’Induismo, chiamato antyeshti, cioè “cremazione”. Le norme per il rito sono contenute nel testo Aswalayana Grhya Sutra. Gli uomini sono avvolti in un sudario bianco o color zafferano e le donne in uno rosso. Il volto è cosparso da polvere rossa (sindur) simbolo del sacro. Se il defunto è un uomo, il rito verrà officiato da uomini (parenti e amici), se è il defunto è donna, verrà officiato da donne. Per la cremazione vengono utilizzati alcuni ingredienti: muschio, zafferano, legno di sandalo, canfora, legna da ardere, burro chiarificato (detto ghi). La cremazione avviene sempre sulla riva di un fiume. Al termine del processo di combustione, che può durare dalle due alle tre ore e mezza, le ceneri saranno affidate alle acque fluviali. Il corpo è deposto su una kunda (una struttura rettangolare di pietra con un buco nel centro) sulla quale vengono deposte tre cataste di legna e della paglia. Il volto del defunto deve sempre essere rivolto a Nord. Se è uomo, dev’essere prima sbarbato. Il fuoco viene appiccato sempre a partire da Nord. Dev’essere accesa una lampada alimentata dal burro ghi e da questa fiamma va accesa della canfora, la quale a sua volta accenderà la pira. Alla salma vengono rivolte le parole: “Caro defunto!

Dopo la morte, possa il potere della tua vista essere assorbito nel sole, la tua anima nell’atmosfera, possa tu andare nella regione luminosa della terra, secondo i tuoi meriti spirituali, o và alle acque, se quello è il tuo luogo, o alle piante, assumendo corpi diversi”.  Nel 1829 venne abolita la pratica della “sati”. Una vedova si immolava da viva sulla pira funeraria del marito a simbolo del suo essere priva del suo valore in sé, senza il marito. Questa pratica è ancora in uso in forma clandestina nell’India rurale. E’ segno di amore immortale e purifica la coppia dai peccati accumulati

 

PURGATORIO (Cristianesimo cattolico)

La fede nell’esistenza del Purgatorio è esclusiva del cattolicesimo. A Lione (Francia) il 7 maggio 1274 si apre il 14° Concilio ecumenico. Viene fissato il dogma del Purgatorio, che sarà confermato dai Concili di Basilea, Firenze, Ferrara e Roma (1431-1449) e dal Concilio di Trento (1545-1563) come “luogo e condizione in cui le anime dei morti, giustificati, ma ancora in condizione di peccato, si trovano per completare la purificazione prima di ascendere in paradiso.”

TOMBE EBRAICHE            (Ebraismo)

Gli ebrei non mettono fiori sulle tombe, ma sassolini perché ricordano le sepolture  affrettate nel deserto al tempo dell’Esodo dall’Egitto (1200 a.C.). Inoltre nella simbologia ebraica, la roccia simboleggia Dio. Il popolo di Israele nell’antichità trascorreva molto tempo nelle zone aride del deserto. Abramo, Isacco, Giacobbe e Lot erano pastori nomadi. Per ritrovare i luoghi dove erano sepolti i loro defunti erigevano delle piccole montagnole di pietre.

ISLAM E DEFUNTI DONNA (Islam)

Muhammad (Maometto) disse: “Mi è stato mostrato il fuoco dell’Inferno e che la maggioranza dei suoi abitanti sono donne”.

TOMBA E CULLA (Cristianesimo)

San Girolamo disse: “La tomba vuota è la culla del Cristianesimo” intendendo con questo che il Cristianesimo nasce con la tomba vuota per la risurrezione di Cristo. Ma disse anche che una donna cessa di essere tale e può essere chiamata uomo quando vuol servire più Cristo che il mondo (Comm. ad Ephesios III,5).

MING BI (Taoismo)

I jīnzhǐ (o míng bì, “denaro dell’ombra”) sono oggetti di carta di bambù o carta di riso, noti anche come “carta degli spiriti”. Modellini di auto, case, ma soprattutto soldi finti con la scritta in cinese e in inglese “Hell banknotes”, cioè “Banconote dell’Inferno”, lo “Hell Passport”, il “Passaporto per l’Inferno” e addirittura un biglietto aereo finto con la scritta “Hell Airlines”, Linee Aeree dell’Inferno. I fedeli li comprano nel “negozio di carta per il mondo degli spiriti”, che si trova spesso vicino ad un tempio taoista e li bruciano – dopo averle ben piegate – in un apposito piccolo forno dentro il tempio. In questo modo i propri defunti avranno molte cose nell’aldilà e saranno liberi dall’inferno. L’immagine sulle banconote è dell’imperatore di giada, Yù Huáng, guardiano dell’aldilà. L’esatta parola cinese sulle banconote è diyu, che significa “prigione ultaterrena”. I jīnzhǐ vengono in genere bruciati insieme ai yunbao, piccoli lingotti d’oro finti. Attenzione. E’ molto offensivo darne una a una persona vivente. Esistono anche le Paradise Banknotes, banconote (finte) per il paradiso, bruciate in onore degli déi taoisti. Dal 2006 in Cina è però proibito dal ministero per gli affari civili bruciare i modellini di carta di auto e case perché è ritenuta una pratica feudale.   

 

CHIESA E INFERNO  (Cristianesimo cattolico)

La Chiesa non cita alcun nome di persona che sia con certezza all’Inferno. Non si può sapere se un pentimento possa essere giunto anche negli ultimi istanti di vita come è narrato nel Vangelo per uno dei condannati alla crocifissione accanto a Gesù. Solo Dante Alighieri nella Divina Commedia fa dei nomi di persone che lui riteneva fossero dannate. La Chiesa fa nomi certi di persone solo per il Paradiso. Questo vale per tutte le Chiese cristiane – ortodossi, cattolici, anglicani, protestanti.

Papi all’Inferno

Secondo Dante Alighieri vi sono 6 papi all’Inferno. Nella “La Divina Commedia” sono: Niccolò III (Giovanni Gaetano Orsini, 1277-1280) nella terza bolgia dell’ottavo girone dell’Inferno, per i simoniaci (venditori di cose spirituali) insieme a Bonifacio VIII (Benedetto Caetani, 1294-1303) e papa Clemente V (Betrand de Gouth, 1305-1314). Bonifacio VIII è citato anche nella bolgia VIII per i consiglieri fraudolenti insieme a papa Silvestro I (314-335). Nel sesto cerchio vi è papa Anastasio II (496-498) con gli eretici. Infine papa Celestino V (Pietro Angeleri, 1294) nell’antinferno con gli ignavi. Di questi papi Celestino V è santo.

MARTIRI (Cristianesimo, Islam)        

E’ una delle massime aspirazioni per ogni uomo musulmano. Non solo fondamentalista. Si chiama talab alsahada, l’aspirazione a diventare un sahada (un martire). E questo, a differenza del martirio cristiano (che significa perdere la propria vita a causa della fedeltà a Cristo), vuol dire quasi sempre far morire anche altre persone in nome dell’Islam. Il conflitto israelo-palestinese ne ha conosciuti molti negli ultimi anni. Campi specializzati addestrano giovani celibi, pronti a morire in mezzo ai discendenti di Davide, imbottiti di esplosivo, per la causa dell’Islam. Un martire è già puro. Morendo per l’Islam uccidendo altre persone, ha il Paradiso garantito. E non un Paradiso qualsiasi. Uno molto sensuale: “Invece i timorati di Dio staranno in luogo sicuro – fra giardini e fontane – rivestiti di seta e di broccato, faccia a faccia. Così sarà. E daremo loro in ispose fanciulle dai grandi occhi neri, – e là chiederanno ogni sorta di frutti e ne godranno sicuri”. (Sura del fumo “ad-Dukhan” XLIV,51-54) 

Nel Cristianesimo invece il martire è un testimone (dal greco martyrion) della fede, a costo della propria vita. Il detto “vita, morte e miracoli” deriva proprio dal processo per dichiarare santo (canonizzare) un fedele. Vengono infatti esaminate la vita, il momento della morte e almeno un miracolo avvenuto per sua intercessione sua. Solo per i martiri il miracolo non viene più richiesto, per volontà di papa Paolo VI. L’ultima martire canonizzata in Italia (nel 1950 da Papa Pio XII) è stata la dodicenne Maria Goretti.

DEFUNTI DA BERE            (Religione tribale Yanomami)

Gli indigeni Yanomami del Sud America non seppelliscono i defunti. Li cremano e mescolano le ceneri con una bevanda alla banana. Il parente più prossimo poi beve la miscela. In questo modo lo spirito del defunto è soddisfatto e non torna a tormentarli.

PARADISO ISLAMICO (Islam)  

Le Huri, ḥūr o ḥūrīyah secondo la tradizione islamica sono delle fanciulle che attendono nel paradiso coloro che nel giorno del giudizio arriveranno lì. Secondo la tradizione le Huri sarebbero giovani ragazze perennemente vergini il cui compito sarebbe quello di ricompensare l’uomo arrivato nel paradiso. Sempre secondo la tradizione, le giovani avrebbero la capacità di concepire e generare. Per il sesso femminile esistono ugualmente gli ghulām. Nel Corano la parola hûr  indica le giovani fanciulle vergine promesse ai credenti. La radice di questa parola è collegata all’idea di “bianchezza” in particolare ai grandi occhi della gazzella e al contrasto tra il bianco dell’occhio e il nero della pupilla, hawrâ’ è una donna dai grandi occhi neri e dalla pelle molto chiara. Quasi tutti i versetti che parlano di hûrî sono del periodo meccano, quando è particolarmente sentito da Muhammad il tema del Giudizio Universale. I versetti coranici ci dicono che non sono mai state toccate né dagli uomini né dai jinn, la sostanza da cui sono state create per alcuni è lo zafferano, per altri sono di zafferano, muschio, canfora e ambra. I loro muscoli sono delicati e i loro tendini paiono fatti di fili di seta. Sui loro seni sono iscritti due nomi: da una parte quello Dio, sull’altro quello del proprio marito. Vivono in castelli con 70 letti, hanno 33 anni come i loro mariti, la loro verginità viene rinnovata eternamente, il loro corpo è sempre puro, non hanno mestruazioni, bisogni umani. Le donne che in vita sono state virtuose in Paradiso si ricongiungeranno al proprio marito e lì continueranno la loro vita insieme. Se una donna in vita ha avuto più mariti ne sceglierà uno, mentre gli uomini poligami avranno diritto a tutte le mogli legittime. I commentatori però non dicono nulla sulla sorte di quelle donne che andranno in Paradiso, ma che in vita non sono state sposate. Su questa base coranica la tradizione ha aggiunto dettagli dando alle hûrî un carattere molto sensuale. Non tutti gli esegeti hanno accettato questa idea prettamente materialista, al-Baydâwî dice che non si possono fare raffronti tra il godimento del cibo, delle hûrî, la condizione umana terrena è altra rispet-to a quella del Paradiso, certo è che la mentalità popolare musulmana è permeata da questi concetti. E’ solo in un hadîth che si parla delle 70 vergini che attendono tutti gli eletti, non solo i martiri.

DONNA E REINCARNAZIONE   (Buddhismo)

 

Secondo il canone Pali delle scritture sacre buddhiste, un essere si reincarna donna se ha fatto qualcosa di grave nella vita precedente. Esiste il detto: “Ho ottenuto un corpo di donna perché ho commesso il male in una passata esistenza”

 

RISURREZIONE (Cristianesimo)

 

Risurrezione del nostro corpo. Come sarà? La dottrina della risurrezione è presente anche nell’Ebraismo e nell’Islam.

Il Signore Gesù Cristo ce lo ha promesso:  «Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue ha la vita eterna e io lo risusciterò nell’ultimo giorno». (Gv 6,54). Appartiene al dogma della risurrezione che essa avvenga coi corpi che abbiamo ora (“cum suis propiis resurgent corporibus quae nunc gestant” – IV Concilio del Laterano – e “in hac carne, qua nunc vivimus” – Fidei Damasi). Il corpo sarà non solo specificamente lo stesso (il corpo che ho ora). Con questa affermazione, si evita ogni modo di pensare che suggerisca una metempsicosi o una tramigrazione delle anime da un corpo all’altro… Vi sono tre ipotesi teologiche sul come riavremo il nostro corpo il giorno della risurrezione. Gesù Cristo promette che questo avverrà alla fine dei tempi. In Giovanni 6:54 dice: “Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue ha la vita eterna e io lo risusciterò nell’ultimo giorno”. Le ipotesi sulla nostra risurrezione sono:

Identità materiale – perché il corpo sia numericamente lo stesso, si richiederebbe che fosse composto nella stessa materia. Intesa in tutto il suo di rigore, la teoria difficilmente accettabile. D’altra parte, il principio secondo il quale un’identità materiale necessaria perché il corpo possa essere considerato lo stesso, è scientificamente assai discutibile. Dato il metabolismo costante del corpo umano, il mio corpo attuale ha rinnovato totalmente la sua materia da com’era sette anni or sono; e tuttavia, penso con ragione che sia rimasto realmente lo stesso corpo.

Identità formale – una teoria che si colloca all’estremo opposto sarebbe quella proposta, già nel Medio Evo da Durando di San Porciano (+ 1334). Durando suppone che, quale sia la materia di cui è composto un corpo, è il mio corpo per il fatto medesimo che esso s’unisce la mia anima… Bisogna riconoscere che, esposta in questo modo e senza altri particolari, questa teoria lascia l’impressione di una certa somiglianza con la teoria della trasmigrazione delle anime… Joseph Ratzinger [attuale papa Benedetto XVI, n.d.A.] pensa che non sia necessaria la stessa materia perché il corpo possa essere considerato lo stesso, e ha fatto notare che tutta la tradizione ecclesiastica (dottrinale e liturgica) impone come limite che il corpo risuscitato deve includere le reliquie dell’antico corpo terreno, se si esistono ancora come tali quando avviene la risurrezione. Tali “reliquie” saranno nuovamente animate dall’anima santa al corpo della quale appartennero. D’altra parte, insistendo sul fatto che la nostra risurrezione gloriosa non può essere spiegata senza un parallelismo con la risurrezione di Gesù, pare necessario affermare, come secondo limite, una certa continuità di somiglianza morfologica col corpo mortale.

Identità sostanziale – Alois Winklhofer ha proposto, recentemente una nuova ipotesi… di fronte a un cadavere che comincia a corrompersi, Dio sottrae e conserva separatamente questa sostanza non fenomenologica del corpo. Il cadavere, a dispetto della sua continuità fenomenologica col mio corpo, non sarebbe più, in questo caso, il mio corpo. Al contrario, partendo dalla sostanza non fenomenologica del mio corpo, Dio ricostruirebbe il mio corpo risuscitato; e appunto la permanenza di questa sostanza (l’identità sostanziale) farebbe sì che sia il mio corpo e non un altro.

 Inferno. Facile o difficile?

 «Poi dirà a quelli alla sua sinistra: Via, lontano da me, maledetti, nel fuoco eterno, preparato per il diavolo e per i suoi angeli». (Matteo 25,41). Sono le parole di Cristo riguardo la minaccia della dannazione eterna. Tra le più dure pronunciate  da Gesù nei Vangeli. Cosa hanno fatto le persone nella narrazione evangelica? Hanno fallito o rifiutato tutte le occasioni di amare disinteressatamente il prossimo. Qualcuno parla però della teoria dell’”Inferno vuoto”. Cos’è? E’ la tesi di un grande teologo e cardinale svizzero scomparso nel 1988. Hans Urs von Balthasar. La tesi di von Balthasar afferma che sperare la salvezza eterna di tutti gli uomini non è contrario alla fede. Essa si avvale dell’autorità di alcuni Padri della Chiesa, tra i quali Origene e Gregorio Nisseno, ed è condivisa da diversi teologi contemporanei, tra i quali Jean Daniélou, Henry de Lubac, Joseph Ratzinger – l’attuale Papa –  Walter Kasper, Romano Guardini. Da scrittori cattolici come  Paul Claudel, Gabriel Marcel e Lèon Bloy. La Chiesa afferma che chi muore in peccato mortale non si salva, ma non dice se questo sia mai avvenuto. Difatti non ha mai fatto nomi di dannati, come invece si è permesso di fare Dante Alighieri – secondo il suo parere – nella Divina Commedia. E tra questi ben 6 papi! Niccolò III (Giovanni Gaetano Orsini, 1277-1280), posto nella terza bolgia dell’ottavo girone, con i simoniaci (venditori di cose spirituali) insieme a Bonifacio VIII (Benedetto Caetani, 1294-1303), papa Clemente V (Betrand de Gouth, 1305-1314), Bonifacio VIII è citato anche nella bolgia VIII per i consiglieri fraudolenti insieme a papa Silvestro I (314-335). Nel sesto cerchio vi è papa Anastasio II (496-498) con gli eretici. Infine il papa dimissionario Celestino V (Pietro Angeleri, 1294)  nell’antinferno con gli ignavi. La Chiesa lo ha invece dichiarato santo. Ma torniamo al peccato mortale. Scrive San Tommaso d’Aquino: «Quando la volontà si orienta verso una cosa di per sé contraria alla carità, dalla quale siamo ordinati al fine ultimo, il peccato, per il suo stesso oggetto, ha di che essere mortale… tanto se è contro l’amore di Dio, come la bestemmia, lo spergiuro, ecc., quanto se è contro l’amore del prossimo, come l’omicidio, l’adulterio, ecc… Invece, quando la volontà del peccatore si volge a una cosa che ha in sé un disordine, ma tuttavia non va contro l’amore di Dio e del prossimo — è il caso di parole oziose, di riso inopportuno, ecc. —, tali peccati sono veniali».

Per il peccato mortale occorrono 3 (difficili) condizioni: Piena avvertenza (mi rendo pienamente conto di ciò che faccio), Materia grave (contro uno dei Comandamenti), Deliberato consenso (il mio atto è assolutamente libero da qualsiasi condizionamento). Condizioni difficili da soddisfare umanamente tutte insieme. Quanti sanno quello che fanno? Difatti dalla croce Gesù pregò: «Padre, perdonali, perché non sanno quello che fanno» (Lc 23,34) lasciando intendere che in molti manca la piena avvertenza. Si parla di dannati in una parabola (il ricco stando nell’inferno tra i tormenti, levò gli occhi e vide di lontano Abramo e Lazzaro accanto a lui) in Luca 16,23, ma non di dannati reali. Mentre il primo beato reale è un malfattore che si converte (Luca 23,43). Siamo noi in realtà che vorremmo un “vendetta” divina, ma Dio è amore. «Signore, vuoi che diciamo che scenda un fuoco dal cielo e li consumi?» (Luca 9,54). Difatti – come dice il Vangelo –  Gesù si voltò e li rimproverò. Von Balthasar ricorda di non confondere speranza e conoscenza. Sperare nella apokatastasis – la salvezza di tutti – non vuole dire sapere se l’inferno sia vuoto o no. La possibilità dell’Inferno è però una conseguenza della libertà umana. O l’uomo è libero – e quindi può anche dannarsi – o non è libero. Scrive il cardinale Biffi: «La concreta possibilità della dannazione è necessaria, se si vuol continuare ad ammettere la libertà creata nella sua vera essenza. La libertà dell’uomo non può ridursi alla possibilità di scegliere tra un luogo e l’altro di villeggiatura o tra una cravatta a righe e una cravatta a pois; e neppure di scegliere la moglie o il partito politico: la nostra libertà, nel suo significato più profondo, è la spaventosa e stupenda prerogativa di poter costruire il nostro destino eterno. Per non essere puramente nominale, questa prerogativa deve necessariamente includere la reale e concreta possibilità di decidere per la perdizione. Come si vede, il mistero della dannazione è essenzialmente connesso col mistero della libertà, che è forse l’unico vero mistero dell’universo creato». Nell’Islam Allah descrive in modo raccapricciante gli orrori dell’inferno – acqua bollente, scudisci di ferro (vv. 19-22). Secondo un hadith, Maometto dice che ogni mille persone, 999 saranno mandate all’inferno. In quel Giorno, Adamo chiederà ad Allah: “O Allah! Quanti sono i dannati al Fuoco?” Allah risponderà: “Da ogni migliaio, togline nove-cento-novanta-nove”. Maometto spiegò che quell’unica persona salvata sarebbe stata un Musulmano, dicendo ai suoi compagni: “Gioite per le buone notizie; una persona sarà delle vostre e mille di Gog e Magog”. Noi crediamo in un Dio più misericordioso: Essi, ancora più sbigottiti, dicevano tra loro: «E chi mai si può salvare?». Ma Gesù, guardandoli, disse: «Impossibile presso gli uomini, ma non presso Dio! Perché tutto è possibile presso Dio». (Marco 10,26-27) Dio non può che amare.

Giorgio Nadali 

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