di Giorgio Nadali
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Un celebre matematico piemontese ateo e anticlericale si diverte a tempo perso a scrivere diversi libri contro la fede religiosa convinto com’è che un credente, in quanto tale, non possa avere nulla a che fare con la razionalità e che nessun contributo possa venire dalla religione a materie sceintifiche e scienze esatte quali la matematica. Nel suo ultimo libro sulla religione, “Caro Papa, ti scrivo. Un matematico ateo a confronto con il papa teologo”[1] Piergiorgio Odifreddi si rivolge al papa emerito Benedetto XVI e intitola il suo ultimo capitolo “Dio e la matematica”. Due credi a confronto. L’ateismo razionalista e la fede religiosa (cristiana). Tralasciando ora la netta distinzione tra la razionalità e il razionalismo, facciamo un po’ di storia religiosa della matematica. Professore, parliamo? Lasciamo giudicare ai nostri lettori. Come la prenderebbe se sapesse che molti progressi della sua disciplina sono dovuti proprio al Cristianesimo e all’Islàm? Secondo Lei «la vera religione è la matematica». Tralasciando il fatto che la matematica non può rispondere alla questione del bene e del male e del senso della vita, senza la religione mancherebbero molti importanti contributi anche alla matematica. Sono uomini di fede che li hanno prodotti. C’entra perché è la loro fede che li ha spinti a cercare, a scoprire e a inventare. E la “fede”, in un certo senso c’è anche in matematica. Infatti la congettura di Golbach, che Lei conosce bene, è un puro atto di “fede”, se per fede intendiamo la convinzione di una realtà possibile che non è stata dimostrata. E’ data per vera, ma nessuno è mai riuscito a dimostrare che ogni numero pari maggiore di 2 può essere scritto come somma di due numeri primi. Una cosa creduta e non dimostrata! Uno dei maggiori problemi irrisolti della teoria dei numeri. Teoria – detto per inciso – formulata da Pierre de Fermat, grande estimatore della consulenza dei matematici gesuiti. Gli stessi che hanno scoperto le funzioni iperboliche e le equazioni differenziali, l’iperbole rettangolare, le geometrie non euclidee, e così via. Tutti preti. E che dire delle congetture matematiche di Beal, di Collatz, di Hodge, di Hardy-Littlewood, di Borsuk, dei numeri primi gemelli o dell’ipotesi di Riemann? Solo per citarne alcune, perché, come sa, sono almeno 45. Tutte credute, ma per ora non dimostrate. Senza dimostrazione, niente teorema. Infatti di congetture si tratta. Certo non è matematica da liceo e lo diciamo quindi solo per coloro che sono convinti che in matematica tutto sia dimostrabile e che il campo delle cose credute e non dimostrate riguardi solo la religione. La congetura matematica si basa solo sull’intuito, quindi non sulla razionalità. Dunque, se la matematica apprezza il valore dell’intuito non si capisce come, a Suo avviso, l’uomo non possa anche intuire l’esistenza di Dio. Sembra proprio il classico “due pesi e due misure”.
Storia della matematica, voto zero? Un primo studio dello zero, dovuto all’Indù Brahmagupta, risale al 628 d.C. Con molta umiltà e una buona dose di stupore forse è meglio conoscere ed essere grati a tanti uomini di scienza e di puro genio, che da Dio hanno ricevuto questo talento ed umilmente Gli sono stati grati. E noi a Lui per il loro ingegno. D’altra parte l’uomo è più grande quando si inginocchia – come diceva Alessandro Manzoni – e di conseguenza è ancora più piccolo quando dal basso della sua arroganza sfida Dio e per questo rimane cieco alla vera saggezza. Guglielmo Marconi disse: «La scienza è incapace di dare la spiegazione della vita; solo la fede ci può fornire il senso dell’esistenza: sono contento di essere cristiano». Louis Pasteur gli fa eco: «Più studio e più acquisto la fede del contadino». E che dire proprio di Isaac Newton di cui il professore è grande estimatore: «Questa notte io fui assorbito dalla meditazione della natura. Ammiravo il numero, la disposizione, la corsa di quei globi innumerevoli. Ma ammiravo ancor più l’Intelligenza infinita che presiede a questo vasto meccanismo. Dicevo a me stesso: Bisogna essere ben ciechi per non restare estasiati a questo spettacolo, sciocchi per non riconoscerne l’Autore, pazzi per non adorarlo… L’uomo che non ammette Dio è un pazzo». Dunque vediamo…
Algebra. Il matematico persiano Abū Jaʿfar Muhammad ibn Mūsā al-Khwārizmī, (780 – 850) è l’autore dell’al-Kitāb al-mukhtaṣar fī ḥisāb al-ǧabr wa al-muqābala, il primo libro che tratta soluzioni sistematiche di equazioni lineari e di secondo grado. Viene considerato pertanto il padre dell’algebra, titolo che divide con Diofanto.
I segni più e meno. L’introduzione dei segni “più” e “meno” nella matematica italiana, furono tutti successi tipici della Compagnia di Gesù (i Gesuiti), e scienziati influenti come Fermat, Huygens, Leibniz e Newton il non furono i soli a tenerli da conto come preziosi consulenti.
Il “Rapporto aureo” in matematica. Luca Bartolomeo de Pacioli o anche Paciolo (1445 circa – 1517). Sacerdote. Nel 1509 pubblicò una traduzione latina degli Elementi di Euclide e un testo che aveva già concepito alla corte di Ludovico il Moro, il De Divina Proportione (1497), con le celebri incisioni dovute a Leonardo da Vinci raffiguranti suggestive figure poliedriche. Sono le questioni attinenti al rapporto aureo che danno il titolo al libro, che si estende poi a questioni cosmologiche e matematiche connesse ai solidi platonici e ad altre tipologie di poliedri.
Teoremi per determinare la superficie ed il volume dei solidi di rotazione. Habakkuk Guldin (Paolo Guldino) (1577-1643). Si converte dall’Ebraismo nel 1597 e diventa prete gesuita. nell’opera Centrobaryca (baricentri), edita in tre volumi (1635, 1640, 1641), si trovano i due teoremi che portano il suo nome. Primo teorema: L’area di una superficie di rotazione ottenuta ruotando di un angolo attorno all’asse z una curva regolare semplice γ di supporto Γ è dove x è l’ascissa del baricentro della curva e è la lunghezza di γ. Secondo teorema: Il volume di un solido di rotazione Ω ottenuto ruotando di un angolo attorno all’asse z una figura piana K è dove x è l’ascissa del baricentro della figura piana e A è l’area di K.
Numeri di Cullen nella teoria dei numeri. I numeri di Cullen sono stati scoperti dal prete gesuita James Cullen (1867-1933). Fanno parte della teoria dei numeri – quel ramo della matematica pura che si occupa delle proprietà dei numeri interi. Sono quei numeri naturali indicati con: Cn = n . 2 alla n + 1.
Monomi. Nel 953 Abu Bekr ibn Muhammad ibn al-Husayn Al-Karaji o semplicemente al-Karkhi fu il primo a slegare l’algebra dalle operazioni geometriche per sostituirle con quelle aritmetiche che sono tutt’oggi il cuore dell’algebra. E’ stato il primo a definire i monomi x, x2, x3, … e 1 / x, 1 / x2, 1 / x3, … e a dare regole per i prodotti di qualsiasi coppia di questi. Ha fondato una scuola algebrica che ha prosperato per secoli. Ha scoperto il teorema dei binomi per gli esponenti interi.
Funzioni iperboliche ed equazioni differenziali. Vincenzo Riccati (1707-1775). Prete gesuita. Figlio del matematico Jacopo Riccati. Tra le equazioni differenziali anche quella che porta il suo nome. Infinitesimali. André Tacquet (1612-1660). Prete gesuita.
Geometrie non euclidee. Giovanni Girolamo Saccheri (1667-1733). Prete gesuita. Considerato il padre, seppure inconsapevole, delle geometrie non euclidee. Saccheri voleva provare il V postulato di Euclide sulle rette parallele attraverso una dimostrazione per assurdo. Il suo punto di partenza fu il quadrilato birettangolo isoscele, ovvero un quadrilatero con due lati opposti congruenti ed entrambi perpendicolari ad uno solo degli altri lati. Saccheri introdusse dunque tre ipotesi sugli angoli del quadrilatero opposti a quelli costruiti retti. Nel 1697 pubblicò un notevole trattato di logica e nel 1708 un trattato di statica. Nel 1733, l’anno della sua morte, uscì l’opera di maggiore importanza per la storia dei fondamenti della geometria e per la quale la sua figura è oggi ampiamente ricordata: “Euclides ab omni nævo vindicatus” (Euclide riscattato da ogni difetto). In essa, Saccheri dimostrò per assurdo il postulato delle rette parallele di Euclide. Iperbole rettangolare. Gregory Saint Vincent, Prete gesuita (1584-1667)
La scoperta fu essenziale per i logaritmi. Tommaso Ceva, Prete gesuita (1648 – 1737) In Opuscola mathematica (1699) riunì varie note di matematica e di geometria, tra le quali la descrizione di uno strumento, da lui ideato, per ottenere meccanicamente la divisione di un angolo in parti uguali. La difficile matematica induista. Il bramino indù Baudhāyana nel IX secolo A.C. scrisse la Baudhayana Shrauta Sutra. – un’appendice dei testi sacri induisti chiamati Veda – con regole per la costruzione di altari, ma anche di importanti regole matematiche. C’è infatti più matematica che religione in questo testo sacro indù! Parla di sacrifici vedici, ma anche della quadratura del cerchio, del teorema di Pitagora – tre secoli prima della sua formulazione da parte del matematico greco – e della radice di 2. Lo Zero.
La prima esposizione sistematica dei numeri con lo zero è del matematico indiano Brahmagupta nel VII secolo d.C. Furono poi gli Arabi in questo 810 d.C. – con il matematico Muhammad ibn Al-Khwarizimi (780-850) – durante la loro dominazione a utilizzarli (come concetto ma non come scrittura) e solo molto più tardi con a possibilità di fare risultati di aritmetica pratica, fu Leonardo Fibonacci (1170-1230) a diffonderli nell’Europa medioevale, con il suo trattato “Liber abaci”. Essendo notoriamente usati dagli arabi, impropriamente si chiamarono numeri arabi, invece la scrittura vera e propria era quella indiana.
L’uso dello zero come numero in sé è un’introduzione relativamente recente della matematica, che si deve ai matematici indiani. Un primo studio dello zero, dovuto a Brahmagupta, risale al 628. Brahmagupta diede notevoli contributi all’algebra: nella sua opera si trovano soluzioni generali alle equazioni di secondo grado, comprendenti due radici anche nel caso che una di esse sia negativa. Diede parecchi contributi anche allo sviluppo dell’analisi indeterminata. Fu il primo a dare una soluzione generale all’equazione diofantea lineare ax + by = c, dove a, b, c sono numeri interi. Perché questa equazione abbia soluzioni intere occorre che il massimo comune divisore di a e b divida anche c; Brahmagupta sapeva che se a e b sono primi fra loro, tutte le soluzioni dell’equazione sono date da x = p + mb, y = q – ma, dove m è un numero intero arbitrario. Suggerì anche l’equazione diofantea di secondo grado x2 = 1 + py2, che prende il nome da John Pell (1611-1685), ma che viene usata per la prima volta nel problema archimedeo dei buoi. L’equazione attribuita a Pell venne risolta per alcuni casi speciali da un altro matematico indiano di epoca posteriore, Bhaskara (1114-1185). Va a Brahmagupta il pieno merito di aver fornito tutte le soluzioni intere dell’equazione diofantea lineare, mentre Diofanto si era limitato a dare una soluzione particolare di un’equazione indeterminata[2].
Un bel contributo, no? Nel Suo libro Lei conclude: «Abbassate le vostre difese! Aprite il vostro cuore alla matematica e alla scienza!», ma un Suo illustre collega – Augustin Louis Cauchy – uno dei padri dell’analisi matematica del XIX secolo scrisse: «Se non ammettiamo l’esistenza di Dio come cristiani, dobbiamo ammetterla come matematici». Due credi a confronto, ma anche due atteggiamenti a confronto. Nella sua “Cattedra dei Gentili”, il cardinale Carlo Maria Martini sosteneva che non bisogna distinguere tra credenti ed atei, ma tra pensanti e non-pensanti. Anche Friedrich Nietzsche nel suo “Crepuscolo degli idoli” parla di saggezza unita all’umiltà[3]. Non è fare un bel servizio alla scienza e nemmeno alla cultura dichiarare grossolanamente che «la critica al Cristianesimo potrebbe dunque ridursi a questo: che essendo una religione per letterali cretini, non si adatta a coloro che, forse per loro sfortuna, sono stati condannati a non esserlo. Tale critica, di passaggio, spiegherebbe anche in parte la fortuna del Cristianesimo: perché, come insegna la statistica, metà della popolazione mondiale ha un’intelligenza inferiore alla media». Lei lo scrive perché Cristo parla della beatitudine della di povertà di spirito. In realtà la povertà di spirito, la anawim ruach, non è la cretineria, come pensa Lei, ma proprio l’umiltà! Non giova nemmeno affermare che «il Cristianesimo ha costituito non la molla o le radici del pensiero democratico e scientifico europeo, bensì il freno o le erbacce che ne hanno consistentemente soffocato lo sviluppo»[4] anche perché è relativamente facile dimostrare esattamente il contrario, come vedremo più avanti. E’ lecito essere atei, un po’ meno dire baggianate.
Dunque forse sarebbe utile per il dialogo costruttivo che Lei auspica nel “Cortile dei Gentili” lamentando di esserne stato escluso insieme a Richard Dawkins, Cristopher Hitchens e Michel Onfray[5] come quartetto di «autori che guardano alla verità con ironia e sarcasmo», e tendono a leggere i testi religiosi allo stesso modo dei fondamentalisti, non chiamare «favole pasquali su Gesù adulto» la fede religiosa di due miliardi di persone, anche perché un papa non può certo permettersi di rispondere alla Sua lettera come dovrebbe. E difatti non lo ha fatto.
[1] Piergiorgio Odifreddi, Caro Papa, ti scrivo, Un matematico ateo a confronto con il papa teologo, Milano, Mondadori, 2011
[2] Cf. Giorgio Nadali, ReliGenio. Tutte le invenzioni, le scoperte scientifiche e i progressi in vari campi, dovuti alle religioni mondiali, Milano, Lampi di Stampa, 2012. Giorgio Nadali, Scienza e Fede. La matematica di Dio, “Il Segno del soprannaturale”, gennaio 2012, n. 283
[3] Il verme, se calpestato, si arronciglia. È la sua saggezza. Riduce in tal modo la probabilità di venire calpestato di nuovo. Nel linguaggio della morale: umiltà (Friedrich Nietsche, Il crepuscolo degli idoli)
[4] Piergiorgio Odifreddi, Perché non possiamo essere cristiani (e meno che mai cattolici), Milano, Longanesi, 2007
[5] Filosofo francese contemporaneo della corrente anarchico-edonista. Ritiene che la religione sia strumento di oppressione e di frattura con la realtà. Ha pubbicato il “Trattato di ateologia. Fisica della metafisica” (Traité d’athéologie), Roma, Fazi, 2005.