È il mistero più grande dell’umanità, dopo quello di Dio. Dato che il numero di persone non credenti nel mondo si attesta tra il 2% e il 13% e che gli agnostici raggiungono il 23% possiamo dire che oggi circa due terzi dell’umanità crede che la fine della vita terrena non sia la fine della propria esistenza (e di chi ci è caro). In sostanza, continueremo a vivere e saremo trasformati nell’eternità. Il modo di come questo avverrà dipende dalle credenze delle singole fedi religiose e culture. Tutte le religioni credono in un aldilà. Si va dall’annullamento di sé, come una goccia che cade nell’oceano del Nirvana induista e buddhista, sino alla risurrezione del proprio corpo immortale secondo il Cristianesimo, cioè il 30% della popolazione mondiale. Nessuno – tranne forse i duecentottanta milioni di depressi nel mondo e gli ottocentomila suicidi all’anno – ha fretta di verificare di persona cosa c’è dopo la morte. Fatto sta che tutti lo scopriremo, e ci auguriamo il più tardi possibile perché amiamo la vita, altro grande mistero in cui siamo avvolti. In questo libro unico nel suo genere: aldilà e curiosità, scienza, fisica quantistica e aldilà; paradiso e inferno nelle religioni, anima, risurrezione e reincarnazione, nuovi movimenti religiosi e aldilà, angeli e demoni nelle culture mondiali, esorcismi, panorama delle credenze religiose sull’aldilà, riti funerari nelle principali religioni mondiali e molto altro ancora. Un libro da leggere da vivi, con i piedi per terra e due occhi verso uno dei misteri più grandi dell’Umanità, perché, come diceva Goethe: “Quelli che non sperano in un’altra vita sono morti perfino in questa”.
«Lascia che i morti seppelliscano i loro morti; tu va’ e annunzia il regno di Dio». Sono le parole di Gesù (Luca 9,60). L’urgenza dell’annuncio supera anche la pietà verso i defunti. Oggi nei grandi centri urbani la pratica della sepoltura è stata superata da quella della cremazione. La Chiesa Cattolica consente la pratica della cremazione ai suoi fedeli dal 1963, anno in cui Papa Paolo VI consentì la libertà di tale scelta approvando l’istruzione “De cadaverum crematione: Piam et constantem” emanata il 5 luglio 1963 in cui si afferma che “di fatto l’abbruciamento del cadavere, come non tocca l’anima, e non impedisce all’onnipotenza divina di ricostruire il corpo, così non contiene, in sé e per sé, l’oggettiva negazione di quei dogmi. Non si tratta, quindi, di cosa intrinsecamente cattiva o di per sé contraria alla religione cristiana “. Nel 1968 la Sacra Congregazione per il Culto Divino, con il decreto “Ordo Exsequiarum”, stabilì la concessione del rito e delle esequie cristiane a chi volesse scegliere la cremazione. A Torino e Milano si è arrivati al 50%. In Italia nel 2006 sono state effettuate 53.000 cremazioni, che corrispondono al 9,5% dei decessi (558.000 nello stesso anno), poco più di un quarto rispetto alla percentuale media dell’Unione Europea (36%). Oggi sono in funzione 45 crematori (31 al nord, 9 al centro e 5 al sud).
I vantaggi sono molteplici: Il corpo non deve essere esumato dopo 10 anni come d’obbligo per le sepolture (a meno di una costosissima tomba di famiglia), dato l’affollamento dei cimiteri; assenza dell’alto costo di una lapide; grazie all’urna cineraria si possono avere sempre con sé in casa – nell’ambiente dove ha sempre vissuto il defunto – le spoglie mortali dei propri cari. La Chiesa raccomanda vivamente che si conservi la pia consuetudine di seppellire i corpi dei defunti; tuttavia non proibisce la cremazione a meno che questa non sia stata scelta per ragioni contrarie alla dottrina cristiana» (can. 1176). Alla presentazione del “Nuovo Rito delle Esequie” è stato ricordato che “La celebrazione cristiana dei funerali è celebrazione del mistero pasquale di Cristo Signore”. Questa affermazione posta nell’incipit delle Premesse generali al Rito delle esequie è la ragione di un aggiornamento che recepisce i profondi cambiamenti intercorsi nella società e nell’atmosfera culturale, dopo la prima edizione del 1974, sulla base della tipica del 1968.Che cosa è cambiato?
La società non è più mortale, anzi “la società post- mortale” ha messo a tacere la morte, grazie alla scomparsa dalla coscienza degli individui di questa esperienza. La spia più intrigante di tale cambiamento è proprio la rimozione della parola morte dal linguaggio corrente al punto che l’eufemismo è diventato il killer della morte. La morte, in realtà, è rimossa dall’orizzonte della vita quotidiana anche dal punto di vista percettivo mentre proliferano le sue spettacolarizzazioni mediatizzate, che trasformano in fiction anche la violenza reale che genera morte. I malati terminali stanno negli hospice, si muore per lo più in ospedale, ai bambini non si fa vedere la salma dei nonni perché potrebbe turbarli, e così si resta analfabeti e muti di fronte a un evento che è parte della vita, sia perché inevitabile, sia perché contribuisce a definirne il senso, a riordinare le priorità, a non confondere mezzi e fini, a vivere con pienezza, come un dono, ogni giorno che ci è regalato.
In un orizzonte immanente la morte è un fatto privato per le persone “comuni” o pubblico per le celebrità: un evento che si affronta in solitudine, senza strumenti di rielaborazione, perché il linguaggio della contemporaneità li ha cancellati dal suo vocabolario; oppure un evento che si consuma sotto i riflettori, un “media event” che fa notizia per un paio di giorni e regala un po’ di visibilità a qualche personaggio, o produce un po’ di “retorica della pietà a distanza”, come la chiamava Boltanski, ma che non aiuta chi resta a elaborare il “passaggio”. Rispetto a questo scenario contemporaneo, nelle società pre-secolarizzate la morte non era affatto una questione privata e la ricchezza e complessità dei riti funebri fin dall’antichità testimonia almeno due aspetti: il carattere di mistero della morte, che va quindi trattata con solennità e rispetto (un mistero che ci accoglie, non che ci schiaccia); e il carattere collettivo di questo evento, che riguarda il defunto, la sua famiglia, ma anche tutto il genere umano. Il rito funebre ha la funzione di accompagnare chi è direttamente colpito dal lutto, e di preparare chi lo sarà in seguito, in un cammino che non è né privato né pubblico ma, appunto, collettivo e comune: dove pubblico è legato alla visibilità, mentre comune ha una valenza antropologica: ciò che riguarda l’essere umano in quanto tale. Benveniste fa risalire il termine ‘rito’ a una radice che indica “ordine”: oggi diremmo che il rito è un “dispositivo”, un’interfaccia che traduce il disordine e il caos (della morte come pura fine, nonsenso, disperazione o rassegnazione) in un ordine di significati elaborati collettivamente.
Il rito delle esequie si iscrive in quelli che Van Gennep, e più tardi Victor Turner, hanno definito “riti di passaggio”. Nei momenti di “transito” (da uno status a un altro, come nel matrimonio, o dalla vita alla morte) è importante che la fase compresa tra il distacco e il ritorno a una nuova normalità sia accompagnata, perché è la fase più delicata: quella dove ci si può perdere, dove nelle società più tradizionali si rischia di mettere a repentaglio l’ordine sociale, mentre nelle società “liquide” come la nostra si accresce il senso di caos, mancanza di significati, nichilismo. Le esequie cristiane non sono uno spettacolo, anche se utilizzano la ricchezza e pluralità di codici della liturgia. La dimensione rituale non ha solo una funzione consolatoria, ma è un medium-messaggio che iscrive l’evento inevitabile della morte in una cornice di senso che, se non cancella la tristezza e il senso di perdita di chi resta, li libera però dall’angusto orizzonte del non senso che genera angoscia e disperazione, o un vuoto che corrode la vita. E la dimensione collettiva, sostenuta da questo orizzonte di speranza, ha una funzione fondamentale perché il portare insieme il peso della sofferenza, il com-patire, il ricordare insieme la persona defunta come testimoni del suo passaggio sulla terra, l’aiutarsi a vicenda a raccogliere l’eredità di chi ci ha lasciato, sono tutte modalità non spettacolari, ma profondamente umane e umanizzanti di vivere la profonda congiunzione di vita e morte nelle nostre esistenze, e di prepararci con fiducia al passaggio verso una nuova vita.
Nel codice di Manu (induista) si parla non di uno, ma di ben ventuno inferni diversi, ciascuno col suo nome. Ciascun inferno ha una sua pena. È escluso che Dante Alighieri si sia ispirato al Codice di Manu nella sua descrizione delle pene infernali, ma è strano notare la somiglianza dei vari inferni buddhisti e induisti con le pene del contrappasso dantesco. È fuori discussione che l’inferno sia caldo. Questo però solo nella visione cristiana. Infatti, Gesù parla di «fuoco eterno» dell’inferno (Matteo 25,41). Il Codice di Manu parla anche di otto inferni freddi, oltre a otto inferni caldi. Nel Naraka Huhuva si battono i denti. È proprio chiamato “Il Naraka dei denti che battono”. Stranamente si parla di “stridore di denti” infernali anche nel Vagello di Luca 13,28 e in altri sei passi evangelici.
Il Taoismo conosce un rito dei denti che battono, il K’ou-ch’ih. Il Naraka Nirarbuda è l’inferno freddo delle vesciche scoppiate. Nel Naraka Aṭaṭa i dannati hanno così freddo che non fanno altro che balbettare «at, at, at», da cui il nome: il Naraka del tremito. Il Codice di Manu descrive anche la durata della vita infernale. Non è eterna, come nella visione cristiana e islamica, ma è notevolmente lunga. L’inferno caldo Naraka Pratāpana, quello «dell’immenso calore» per intenderci, dura un numero astronomico di anni: 42.467.328 per dieci alla decima. In sostanza più anni d’inferno che del numero delle stelle nell’universo; tutti ospiti di Yama, il padrone di casa del naraka. No, non è Satana.
L’Avichi è l’inferno peggiore. I naraka freddi e caldi sono circondati da sedici inferi secondari. I dannati sono triturati, spezzettati, mangiati vivi da uccelli col becco di ferro, tagliati a pezzi dalle affilatissime foglie degli alberi infernali. Una speranza però c’è.
Il rito dell’ullambana. Letteralmente significa “salvare i defunti appesi sottosopra”. Questo rituale a favore dei defunti è praticato sia dall’Induismo, sia dal Taoismo, sia dallo Shintoismo. Il termine ullambana deriva dal sanscrito avalambana: e significa “appeso a testa in giù”. È questo il tormento dal quale si vogliono salvare i defunti. In Cina è praticato il quindicesimo giorno del settimo mese buddhista (agosto) per aiutare gli spiriti affamati (preta) mediante offerte di cibo, spesso in forma simbolica e di carta (vedi Jīnzhǐ). In Giappone lo urabon si tiene il 15 luglio e il 15 agosto.
Inizia oggi la nostra serie di carrellate su aspetti particolari della credenza sulla vita ultraterrena nel mondo. Aspettiamo i vostri commenti! Buon viaggio!
ZOMBIE (Vodou)
I film dell’orrore li hanno resi celebri. Sono i morti viventi. Per il culto animista del Vodou di Haiti esistono veramente. Per capire in quale contesto si inserisce il vero zombi, dobbiamo ricordare che Vodou vuol dire “spirito”. Il Vodou anima la società di Haiti. Sebbene quando si pensa al Vodou ci viene istintivamente in mente qualcosa che ha a che fare con la magia nera e la stregoneria, il Vodou è qualcosa di più complesso e profondo. E’ la religione popolare di Haiti, che si è formata attraverso la commistione di antiche credenze di origine africana (Benin). Per Mons. Guy Poulard, vescovo di Haiti, una buona parte della popolazione partecipa ai riti Vodou di notte e a quelli cattolici di giorno. La forza del Vodou può essere usata per il male, ma anche per il bene. Ad Haiti vi è un rapporto molto particolare con i propri defunti. I bambini giocano sulle tombe di famiglia situate nel giardino di casa, buone anche per stendervi la biancheria lavata. La zombificazione di una persona è una forma di stregoneria del Voodoo di Haiti. Consiste in una morte apparente per togliere la libertà ad una persona, non più meritata a causa di qualche gesto grave compiuto, come l’omicidio o lo stupro. Chi ha subito un torto può rivolgersi ad uno stregone Voodoo, chiamato bokor. Lo zombie diverrà come uno schiavo. Potrà essere venduto e comprato. Se la persona che ha acquistato lo zombie muore, allora potrà riscattarsi (mediante una pozione antidoto), ma non potrà tornare al suo villaggio di origine, poiché è stato condannato. Come avviene la condanna per zombificazione? Tecnicamente attraverso una neurotossina che induce una forma catalettica che prelude ad un avvelenamento successivo più grave e talvolta alla morte. Mediante dei rospi di tipo amazzonico (Bufo alvarius, Bufo marinus) oppure il veleno del pesce palla, si estrae la bufotenina (5-MEO-DIMETILTRIPTAMMINA), o tetradotoxina (TTX), da cinquanta a cento volte più potente della digitale. Il condannato sembra clinicamente morto e viene seppellito ancora cosciente. Di notte il corpo dello zombie viene risvegliato dal bokor in un cimitero, con un’altra sostanza che cancellerà la personalità del condannato e lo renderà un automa, suo schiavo. Sarà senza memoria e volontà, con occhi vitrei e voce nasale. Potrà essere venduto. L’antidoto usato è la datura, una pianta che contiene nei semi e nei fiori degli alcaloidi come la scopolamina e l’atropina. Alcaloidi che producono effetti di controllo mentale. La parola zombie deriva da quella creola Nzambi, una divinità dell’Africa occidentale. La pratica di zombificazione non è molto frequente ed esiste ancora oggi, ma il governo haitiano non ha alcun controllo su queste pratiche clandestine e illegali. La zombificazione spaventa molto la gente di Haiti, anche perché ricorda l’antica schiavitù. Il cinema si è ispirato a questa pratica reale per i film sugli zombie.
CIMITERI (Cristianesimo)
I luoghi di sepoltura si chiamavano anticamente “Necropoli”, cioè “Città dei morti”. Con la nascita del Cristianesimo il termine è mutato in “cimiteri”. Questa parola proviene dal greco koimetérion, “luogo di riposo”: il verbo κοιμᾶν (“koimân”) significa “fare addormentare”. Questo è dovuto alla fede cristiana nella risurrezione di coloro che vi sono sepolti, che si risveglieranno per la risurrezione, secondo la promessa di Gesù nel Vangelo di Giovanni 6,40.
INDULGENZE (Cristianesimo cattolico)
La dottrina dell’indulgenza è nata in ambito cattolico si riferisce alla credenza nella possibilità di cancellare una parte ben precisa delle conseguenze di un peccato (detta pena temporale), dal peccatore che abbia confessato sinceramente il suo errore e sia stato perdonato tramite il sacramento della confessione. A seguito della riforma protestante, che contestò questa dottrina sostenendo che essa non abbia un fondamento nella Bibbia, rimase un uso prettamente cattolico. La vendita delle indulgenze spaccò la Chiesa con la Riforma protestante di Martin Lutero, nel 1517, il quale rifiutava il valore delle indulgenze e soprattutto il fatto di offrirle a seguito di un’offerta di denaro. Con la vendita delle indulgenze è stata edificata la Basilica di San Pietro in Vaticano. Ancora oggi si dice “lucrare un’indulgenza”, da “lucro”, cioè denaro. Ovviamente le condizioni non riguardano più il denaro per acquistare la bolla di indulgenza. Lucra validamente un’indulgenza chi riceve il Sacramento della Riconciliazione (Confessione), l’Eucaristia, recita il Credo, prega secondo le intenzioni del Papa. Chi muore martire o dovesse morire subito dopo aver lucrato validamente un’indulgenza plenaria va direttamente in Paradiso senza passare dal Purgatorio. Quest’ultimo è presente solo nella dottrina cattolica. Il martire “lava” la sua anima dalle pene del Purgatorio col proprio sangue versato a causa diretta ed evidente della sua fede in Cristo. L’ultima martire canonizzata in Italia (nel 1950 da Papa Pio XII) è stata la dodicenne Maria Goretti.
CREMAZIONE (Induismo)
Il funerale può incominciare anche da vivi, col rito dello adya-shrada. Chi non ha figli che possano occuparsi del rito funerario al momento della propria morte o chi ritiene che il proprio funerale non verrà fatto per qualche ragione, può chiedere il rito funerario anticipato (…senza cremazione, ovviamente), chiamato appunto adya-shrada. Normalmente però il rito funerario avviene da morti. E’ il sedicesimo sacramento dell’Induismo, chiamato antyeshti, cioè “cremazione”. Le norme per il rito sono contenute nel testo Aswalayana Grhya Sutra. Gli uomini sono avvolti in un sudario bianco o color zafferano e le donne in uno rosso. Il volto è cosparso da polvere rossa (sindur) simbolo del sacro. Se il defunto è un uomo, il rito verrà officiato da uomini (parenti e amici), se è il defunto è donna, verrà officiato da donne. Per la cremazione vengono utilizzati alcuni ingredienti: muschio, zafferano, legno di sandalo, canfora, legna da ardere, burro chiarificato (detto ghi). La cremazione avviene sempre sulla riva di un fiume. Al termine del processo di combustione, che può durare dalle due alle tre ore e mezza, le ceneri saranno affidate alle acque fluviali. Il corpo è deposto su una kunda (una struttura rettangolare di pietra con un buco nel centro) sulla quale vengono deposte tre cataste di legna e della paglia. Il volto del defunto deve sempre essere rivolto a Nord. Se è uomo, dev’essere prima sbarbato. Il fuoco viene appiccato sempre a partire da Nord. Dev’essere accesa una lampada alimentata dal burro ghi e da questa fiamma va accesa della canfora, la quale a sua volta accenderà la pira. Alla salma vengono rivolte le parole: “Caro defunto!
Dopo la morte, possa il potere della tua vista essere assorbito nel sole, la tua anima nell’atmosfera, possa tu andare nella regione luminosa della terra, secondo i tuoi meriti spirituali, o và alle acque, se quello è il tuo luogo, o alle piante, assumendo corpi diversi”. Nel 1829 venne abolita la pratica della “sati”. Una vedova si immolava da viva sulla pira funeraria del marito a simbolo del suo essere priva del suo valore in sé, senza il marito. Questa pratica è ancora in uso in forma clandestina nell’India rurale. E’ segno di amore immortale e purifica la coppia dai peccati accumulati.
PURGATORIO (Cristianesimo cattolico)
La fede nell’esistenza del Purgatorio è esclusiva del cattolicesimo. A Lione (Francia) il 7 maggio 1274 si apre il 14° Concilio ecumenico. Viene fissato il dogma del Purgatorio, che sarà confermato dai Concili di Basilea, Firenze, Ferrara e Roma (1431-1449) e dal Concilio di Trento (1545-1563) come “luogo e condizione in cui le anime dei morti, giustificati, ma ancora in condizione di peccato, si trovano per completare la purificazione prima di ascendere in paradiso.”
TOMBE EBRAICHE (Ebraismo)
Gli ebrei non mettono fiori sulle tombe, ma sassolini perché ricordano le sepolture affrettate nel deserto al tempo dell’Esodo dall’Egitto (1200 a.C.). Inoltre nella simbologia ebraica, la roccia simboleggia Dio. Il popolo di Israele nell’antichità trascorreva molto tempo nelle zone aride del deserto. Abramo, Isacco, Giacobbe e Lot erano pastori nomadi. Per ritrovare i luoghi dove erano sepolti i loro defunti erigevano delle piccole montagnole di pietre.
ISLAM E DEFUNTI DONNA (Islam)
Muhammad (Maometto) disse: “Mi è stato mostrato il fuoco dell’Inferno e che la maggioranza dei suoi abitanti sono donne”.
TOMBA E CULLA (Cristianesimo)
San Girolamo disse: “La tomba vuota è la culla del Cristianesimo” intendendo con questo che il Cristianesimo nasce con la tomba vuota per la risurrezione di Cristo. Ma disse anche che una donna cessa di essere tale e può essere chiamata uomo quando vuol servire più Cristo che il mondo (Comm. ad Ephesios III,5).
MING BI (Taoismo)
I jīnzhǐ (o míng bì, “denaro dell’ombra”) sono oggetti di carta di bambù o carta di riso, noti anche come “carta degli spiriti”. Modellini di auto, case, ma soprattutto soldi finti con la scritta in cinese e in inglese “Hell banknotes”, cioè “Banconote dell’Inferno”, lo “Hell Passport”, il “Passaporto per l’Inferno” e addirittura un biglietto aereo finto con la scritta “Hell Airlines”, Linee Aeree dell’Inferno. I fedeli li comprano nel “negozio di carta per il mondo degli spiriti”, che si trova spesso vicino ad un tempio taoista e li bruciano – dopo averle ben piegate – in un apposito piccolo forno dentro il tempio. In questo modo i propri defunti avranno molte cose nell’aldilà e saranno liberi dall’inferno. L’immagine sulle banconote è dell’imperatore di giada, Yù Huáng, guardiano dell’aldilà. L’esatta parola cinese sulle banconote è diyu, che significa “prigione ultaterrena”. I jīnzhǐ vengono in genere bruciati insieme ai yunbao, piccoli lingotti d’oro finti. Attenzione. E’ molto offensivo darne una a una persona vivente. Esistono anche le Paradise Banknotes, banconote (finte) per il paradiso, bruciate in onore degli déi taoisti. Dal 2006 in Cina è però proibito dal ministero per gli affari civili bruciare i modellini di carta di auto e case perché è ritenuta una pratica feudale.
CHIESA E INFERNO (Cristianesimo cattolico)
La Chiesa non cita alcun nome di persona che sia con certezza all’Inferno. Non si può sapere se un pentimento possa essere giunto anche negli ultimi istanti di vita come è narrato nel Vangelo per uno dei condannati alla crocifissione accanto a Gesù. Solo Dante Alighieri nella Divina Commedia fa dei nomi di persone che lui riteneva fossero dannate. La Chiesa fa nomi certi di persone solo per il Paradiso. Questo vale per tutte le Chiese cristiane – ortodossi, cattolici, anglicani, protestanti.
Papi all’Inferno
Secondo Dante Alighieri vi sono 6 papi all’Inferno. Nella “La Divina Commedia” sono: Niccolò III (Giovanni Gaetano Orsini, 1277-1280) nella terza bolgia dell’ottavo girone dell’Inferno, per i simoniaci (venditori di cose spirituali) insieme a Bonifacio VIII (Benedetto Caetani, 1294-1303) e papa Clemente V (Betrand de Gouth, 1305-1314). Bonifacio VIII è citato anche nella bolgia VIII per i consiglieri fraudolenti insieme a papa Silvestro I (314-335). Nel sesto cerchio vi è papa Anastasio II (496-498) con gli eretici. Infine papa Celestino V (Pietro Angeleri, 1294) nell’antinferno con gli ignavi. Di questi papi Celestino V è santo.
MARTIRI (Cristianesimo, Islam)
E’ una delle massime aspirazioni per ogni uomo musulmano. Non solo fondamentalista. Si chiama talab alsahada, l’aspirazione a diventare un sahada (un martire). E questo, a differenza del martirio cristiano (che significa perdere la propria vita a causa della fedeltà a Cristo), vuol dire quasi sempre far morire anche altre persone in nome dell’Islam. Il conflitto israelo-palestinese ne ha conosciuti molti negli ultimi anni. Campi specializzati addestrano giovani celibi, pronti a morire in mezzo ai discendenti di Davide, imbottiti di esplosivo, per la causa dell’Islam. Un martire è già puro. Morendo per l’Islam uccidendo altre persone, ha il Paradiso garantito. E non un Paradiso qualsiasi. Uno molto sensuale: “Invece i timorati di Dio staranno in luogo sicuro – fra giardini e fontane – rivestiti di seta e di broccato, faccia a faccia. Così sarà. E daremo loro in ispose fanciulle dai grandi occhi neri, – e là chiederanno ogni sorta di frutti e ne godranno sicuri”. (Sura del fumo “ad-Dukhan” XLIV,51-54)
Nel Cristianesimo invece il martire è un testimone (dal greco martyrion) della fede, a costo della propria vita. Il detto “vita, morte e miracoli” deriva proprio dal processo per dichiarare santo (canonizzare) un fedele. Vengono infatti esaminate la vita, il momento della morte e almeno un miracolo avvenuto per sua intercessione sua. Solo per i martiri il miracolo non viene più richiesto, per volontà di papa Paolo VI. L’ultima martire canonizzata in Italia (nel 1950 da Papa Pio XII) è stata la dodicenne Maria Goretti.
DEFUNTI DA BERE (Religione tribale Yanomami)
Gli indigeni Yanomami del Sud America non seppelliscono i defunti. Li cremano e mescolano le ceneri con una bevanda alla banana. Il parente più prossimo poi beve la miscela. In questo modo lo spirito del defunto è soddisfatto e non torna a tormentarli.
PARADISO ISLAMICO (Islam)
Le Huri, ḥūr o ḥūrīyah secondo la tradizione islamica sono delle fanciulle che attendono nel paradiso coloro che nel giorno del giudizio arriveranno lì. Secondo la tradizione le Huri sarebbero giovani ragazze perennemente vergini il cui compito sarebbe quello di ricompensare l’uomo arrivato nel paradiso. Sempre secondo la tradizione, le giovani avrebbero la capacità di concepire e generare. Per il sesso femminile esistono ugualmente gli ghulām. Nel Corano la parola hûr indica le giovani fanciulle vergine promesse ai credenti. La radice di questa parola è collegata all’idea di “bianchezza” in particolare ai grandi occhi della gazzella e al contrasto tra il bianco dell’occhio e il nero della pupilla, hawrâ’ è una donna dai grandi occhi neri e dalla pelle molto chiara. Quasi tutti i versetti che parlano di hûrî sono del periodo meccano, quando è particolarmente sentito da Muhammad il tema del Giudizio Universale. I versetti coranici ci dicono che non sono mai state toccate né dagli uomini né dai jinn, la sostanza da cui sono state create per alcuni è lo zafferano, per altri sono di zafferano, muschio, canfora e ambra. I loro muscoli sono delicati e i loro tendini paiono fatti di fili di seta. Sui loro seni sono iscritti due nomi: da una parte quello Dio, sull’altro quello del proprio marito. Vivono in castelli con 70 letti, hanno 33 anni come i loro mariti, la loro verginità viene rinnovata eternamente, il loro corpo è sempre puro, non hanno mestruazioni, bisogni umani. Le donne che in vita sono state virtuose in Paradiso si ricongiungeranno al proprio marito e lì continueranno la loro vita insieme. Se una donna in vita ha avuto più mariti ne sceglierà uno, mentre gli uomini poligami avranno diritto a tutte le mogli legittime. I commentatori però non dicono nulla sulla sorte di quelle donne che andranno in Paradiso, ma che in vita non sono state sposate. Su questa base coranica la tradizione ha aggiunto dettagli dando alle hûrî un carattere molto sensuale. Non tutti gli esegeti hanno accettato questa idea prettamente materialista, al-Baydâwî dice che non si possono fare raffronti tra il godimento del cibo, delle hûrî, la condizione umana terrena è altra rispet-to a quella del Paradiso, certo è che la mentalità popolare musulmana è permeata da questi concetti. E’ solo in un hadîth che si parla delle 70 vergini che attendono tutti gli eletti, non solo i martiri.
DONNA E REINCARNAZIONE (Buddhismo)
Secondo il canone Pali delle scritture sacre buddhiste, un essere si reincarna donna se ha fatto qualcosa di grave nella vita precedente. Esiste il detto: “Ho ottenuto un corpo di donna perché ho commesso il male in una passata esistenza”
RISURREZIONE DEI CORPI UMANI (Cristianesimo)
Risurrezione del nostro corpo. Come sarà? La dottrina della risurrezione è presente anche nell’Ebraismo e nell’Islam.
Il Signore Gesù Cristo ce lo ha promesso: «Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue ha la vita eterna e io lo risusciterò nell’ultimo giorno». (Gv 6,54). Appartiene al dogma della risurrezione che essa avvenga coi corpi che abbiamo ora (“cum suis propiis resurgent corporibus quae nunc gestant” – IV Concilio del Laterano – e “in hac carne, qua nunc vivimus” – Fidei Damasi). Il corpo sarà non solo specificamente lo stesso (il corpo che ho ora). Con questa affermazione, si evita ogni modo di pensare che suggerisca una metempsicosi o una tramigrazione delle anime da un corpo all’altro… Vi sono tre ipotesi teologiche sul come riavremo il nostro corpo il giorno della risurrezione. Gesù Cristo promette che questo avverrà alla fine dei tempi. In Giovanni 6:54 dice: “Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue ha la vita eterna e io lo risusciterò nell’ultimo giorno”. Le ipotesi sulla nostra risurrezione sono:
Identità materiale – perché il corpo sia numericamente lo stesso, si richiederebbe che fosse composto nella stessa materia. Intesa in tutto il suo di rigore, la teoria difficilmente accettabile. D’altra parte, il principio secondo il quale un’identità materiale necessaria perché il corpo possa essere considerato lo stesso, è scientificamente assai discutibile. Dato il metabolismo costante del corpo umano, il mio corpo attuale ha rinnovato totalmente la sua materia da com’era sette anni or sono; e tuttavia, penso con ragione che sia rimasto realmente lo stesso corpo.
Identità formale – una teoria che si colloca all’estremo opposto sarebbe quella proposta, già nel Medio Evo da Durando di San Porciano (+ 1334). Durando suppone che, quale sia la materia di cui è composto un corpo, è il mio corpo per il fatto medesimo che esso s’unisce la mia anima… Bisogna riconoscere che, esposta in questo modo e senza altri particolari, questa teoria lascia l’impressione di una certa somiglianza con la teoria della trasmigrazione delle anime… Joseph Ratzinger [attuale papa Benedetto XVI, n.d.A.] pensa che non sia necessaria la stessa materia perché il corpo possa essere considerato lo stesso, e ha fatto notare che tutta la tradizione ecclesiastica (dottrinale e liturgica) impone come limite che il corpo risuscitato deve includere le reliquie dell’antico corpo terreno, se si esistono ancora come tali quando avviene la risurrezione. Tali “reliquie” saranno nuovamente animate dall’anima santa al corpo della quale appartennero. D’altra parte, insistendo sul fatto che la nostra risurrezione gloriosa non può essere spiegata senza un parallelismo con la risurrezione di Gesù, pare necessario affermare, come secondo limite, una certa continuità di somiglianza morfologica col corpo mortale.
Identità sostanziale – Alois Winklhofer ha proposto, recentemente una nuova ipotesi… di fronte a un cadavere che comincia a corrompersi, Dio sottrae e conserva separatamente questa sostanza non fenomenologica del corpo. Il cadavere, a dispetto della sua continuità fenomenologica col mio corpo, non sarebbe più, in questo caso, il mio corpo. Al contrario, partendo dalla sostanza non fenomenologica del mio corpo, Dio ricostruirebbe il mio corpo risuscitato; e appunto la permanenza di questa sostanza (l’identità sostanziale) farebbe sì che sia il mio corpo e non un altro.
Alcuni fisici internazionali sono convinti che il nostro spirito ha uno stato quantico e che il dualismo tra corpo e anima è altrettanto reale quanto il “dualismo onda-particella” (detto anche “dualismo onda-corpuscolo”) delle particelle più piccole.
Il Dottor James G. di San Francisco, un ex collaboratore della società tedesca Max-Planck di Francoforte, ha riportato la seguente incredibile storia: “Ho studiato non solo negli U.S.A., ma per alcuni semestri ho studiato chimica anche a Londra. Quando arrivai in Inghilterra, il pensionato universitario era pieno, così aggiunsi il mio nome alla lista d’attesa. Poco tempo dopo, ricevetti la bella notizia che una camera si era liberata. Poco tempo dopo essermici trasferito, mi svegliai una notte e nel crepuscolo fui in grado di vedere un giovane uomo con ricci capelli neri. Ero terrorizzato e dissi al presunto vicino che aveva sbagliato stanza. Lui semplicemente pianse e mi guardò con una enorme tristezza nei suoi occhi.
Quando accesi la luce, l’apparizione era scomparsa. Dato che ero certo al cento percento che non era stato un sogno, il mattino dopo raccontai lo strano incontro alla direttrice del collegio. Le feci un’accurata descrizione del giovane uomo. Lei improvvisamente impallidì. Guardò negli archivi e mi mostrò una foto. Riconobbi immediatamente il giovane uomo che era venuto a trovarmi nella mia stanza la notte precedente. Quando le chiesi chi fosse, mi rispose con voce tremolante che si trattava dell’affittuario precedente. Poi aggiunse che la mia stanza si era liberata perché si era tolto la vita poco prima. “L’autore non avrebbe mai documentato la storia se “James” non fosse stata una persona totalmente degna di fiducia e affidabile”.
Il Professor Hans-Peter Duerr, ex direttore dell’Istituto Max Planck di Fisica di Monaco, rappresenta il parere che il dualismo delle particelle più piccole non si limita al mondo subatomico, ma è invece onnipresente. In altre parole: il dualismo tra corpo e anima è altrettanto reale per lui quanto il “dualismo onda-particella” delle particelle elementari. Secondo il suo punto di vista, esiste un codice quantico universale applicabile a tutta la materia vivente e non. Questo codice quantico abbraccia presumibilmente l’intero cosmo. Di conseguenza, Duerr crede – di nuovo basandosi su considerazioni puramente fisiche – nell’ esistenza dopo la morte. Ecco come lo ha spiegato nel corso di un’intervista:
“Ciò che consideriamo il qui ed ora, questo mondo, è in realtà solo il livello materiale comprensibile. L’aldilà è una realtà infinita che è molto molto più grande. Nella quale questo nostro mondo è radicato. In questo modo, le nostre vite su questo piano di esistenza sono contenute e circondate già dal mondo dell’aldilà. Quando pianifico immagino di aver scritto la mia esistenza in questo mondo su una specie di hard disk sul tangibile (il cervello), e di aver anche trasferito questi dati su un campo quantico spirituale, così da dire che quando morirò, non perderò queste informazioni, questa coscienza. Il corpo muore ma il campo quantico spirituale continua. In questo modo, io sono immortale.”
L’anima lascia il corpo. Video
Il Dottor Christian Hellweg è convinto anche che lo spirito ha uno stato quantico. Nel corso dei suoi studi in fisica e medicina, ha effettuato ricerche sulle funzioni cerebrali per molti anni presso l’Istituto Max Planck di Biochimica Fisica. Ha dimostrato che le informazioni nel sistema nervoso centrale possono essere codificate in fasi. Negli ultimi anni ha dedicato la sua vita allo studio della questione corpo-anima e ha effettuato ricerche sulle percezioni immateriali e allucinazioni. E’ interessato in modo particolare al fischio/ronzio nelle orecchie, una percezione immateriale del senso dell’udito. Di conseguenza si è specializzato anche nella terapia. Sintetizza la sua tesi nel seguente modo:
“I nostri pensieri, la nostra volontà, la nostra coscienza e le nostre sensazioni mostrano proprietà che potrebbero essere definite come proprietà spirituali … Nessuna interazione diretta con le forze fondamentali conosciute della scienza naturale, come la gravitazione, le forze elettromagnetiche, etc… può essere rilevata nello spirituale. D’altro canto, però, queste proprietà spirituali corrispondono esattamente alle caratteristiche che contraddistinguono i fenomeni estremamente sconcertanti e meravigliosi del mondo quantico. Mondo quantico, in questo caso, si riferisce a quel regno del nostro mondo che non è solo fattuale; in altre parole, il regno delle possibilità, il regno dell’incertezza, dove noi “sappiamo il cosa” ma non sappiamo esattamente né il quando né il come. Sulla base del contesto della fisica tradizionale, si può concludere, per necessità, che questo regno deve effettivamente esistere nella realtà.”
Il fisico americano John Archibald Wheeler colpisce un nervo simile, “molti scienziati speravano … che il mondo, in un certo qual senso, fosse tradizionale – o semplicemente privo di curiosità del tipo larghi oggetti che sono nello stesso posto allo stesso tempo. Ma queste speranze sono andate in fumo dopo una serie di nuovi esperimenti.”
Attualmente ci sono gruppi di ricerca universitari che analizzano l’interazione tra coscienza e materia. Uno dei principali ricercatori in questo campo è il fisico Professor Robert Jahn della Università di Princeton nel New Jersey.
Egli sostiene che se gli effetti e le informazioni possono essere scambiati in entrambe le direzioni tra coscienza umana e ambiente fisico, allora si deve anche assumere una risonanza o “potenziale legame molecolare” anche per la coscienza. In sintesi: secondo questa teoria, si dovrebbe riconoscere anche alla coscienza le proprietà quantiche conosciute. A suo avviso non avrebbe senso assegnare termini come informazione o risonanza né al mondo fisico né alla coscienza spirituale o separare gli effetti fisici dagli effetti spirituali.
Il fisico quantico David Bohm, allievo e amico di Albert Einstein, fece affermazioni simili. La sua sintesi: “I risultati delle scienze naturali moderne hanno senso solo se assumiamo una realtà interiore uniforme trascendente che si basa su tutti i dati e fatti esterni. Il vero profondo della coscienza umana è una di queste.”
Il fisico nucleare e biologo molecolare Jeremy Hayward della Università di Cambridge non fa mistero delle sue convinzioni: ”Molti scienziati che fanno parte della corrente scientifica principale non hanno più paura di dichiarare apertamente che la coscienza potrebbe, in aggiunta a spazio, tempo, materia, essere un elemento fondamentale del mondo – probabilmente molto più fondamentale di spazio e tempo. Potrebbe essere un errore separare lo spirito dalla natura.” Viene addirittura messo in discussione se la materia debba essere considerata un elemento fondamentale dell’universo.
“Tutti possiamo comunicare coi trapassati”, assicura il medico… Il dottor Claudio Pisani è un mio amico dotato di una personalità assai vivace e singolare, nonché di una intelligenza assai lucida e orientata in senso pratico. Altrettanto singolare è la sua esperienza, poiché Claudio ha saputo trasformare lo straziante dolore del padre che si vede partire per l’altro mondo figlioletto minore di sei anni nella passione del ricercatore , il quale vuole vederci chiaro. “Dio ha permesso che il bimbo partisse per l’altro mondo, ma dove è scritto che non ci potremo più n rivedere né sentire sino al giorno del nostro trapasso? Se l’aldilà esiste, deve pur esistere anche un modo per comunicare i qualche modo con quella misteriosa dimensione, tanto più che, da che mondo è mondo, sono sempre circolate, seppur spesso in termini vaghi e confusi,notizie di presunte comunicazioni con l’altra dimensione””, si diceva Claudio, da quell’uomo razionale che è sempre stato.
Detto fatto: nel giro di poco tempo Claudio, assieme alla moglie Giovanna, si mette alla ricerca di vari “medium” ritenuti attendibili, affrontando lunghi viaggi in vari Paesi, compresi gli Stati Uniti. Come sempre succede in questi casi, la pazienza viene premiata: i due coniugi ottengono svariati messaggi da numerosi medium, in grado di convincere chiunque vuoi dell’autenticità della fonte vuoi della attuale sorte, assolutamente invidiabile del figlioletto.
Tuttavia Claudio, il quale era già diventato quel grande ricercatore nel campo della scienza di confine che è tuttora, non si sentiva ancora soddisfatto di tutto ciò. Consapevole di una grande, ancora purtroppo sostanzialmente ignorata legge di natura, la quale vuole in linea di principio possibili a una specie intera (nel nostro caso, quella umana) le prestazioni che riesce a raggiungere un membro solo della razza in questione, si chiedeva perché mai ciò non dovesse valere anche per la comunicazione con l’altra dimensione, una volta accertata l’autenticità del fenomeno (fatto del quale ormai era sicuro). In effetti, da più parti – e da più “medium”- si era sentito dire che tale grande possibilità è accessibile a tutti.. Il problema, a quel punto era solo uno: trovare la strada. Il medico di Lauria (Potenza) prosegue allora la sua ricerca, finché si imbatte in Bruce Moen, interessante e singolare figura di ingegnere informatico americano, sulla quale torneremo. Fu come la scintilla nel motore. “Grazie al metodo ideato e insegnato da Moen sono giunto, alla fine degli Anni Novanta, alla consapevolezza in virtù della quale posso dichiarare con tutta sincerità”, spiega il dottor Pisani, che in fin dei conti, non è nemmeno necessario rivolgerci ai “medium” per contattare i nostri cari. Possiamo pure “andare a trovarli” noi. Io ce l’ho fatta di conseguenza, tutti possono riuscirvi. Seguendo appunto il metodo citato, Claudio, oltre a incontrare il proprio figlioletto (come è logico), “si sintonizza sulla. lunghezza d’onda” di un determinato trapassato, per voi verificare rigorosamente, assieme al congiunto che gli ha chiesto il contatto, l’attendibilità dei dati acquisiti. I risultati sono sorprendenti. Ad esempio, una volta si rivolse a lui la moglie di un giovane appena trapassato in circostanze ancora poco chiare.
Come è suo costume, il “medico-medium” non aveva voluto sapere altro all’infuori del nome del trapassato e del grado di parentela che lo lega a chi si rivolge a lui. “Una volta raggiunta attraverso la meditazione il livello profondo, percepii perfettamente il giovane, del quale riuscii a fornire una descrizione fisica che poi risultò molto azzeccata. Quindi mi furono mostrati, come in un film, gli ultimi giorni della sua tormentata esistenza. Vidi il suo arresto, da parte di una pattuglia di carabinieri, scene della sua detenzione, quindi il rilascio, seguito da una corsa in moto, che doveva diventare la causa del suo trapasso”. Seguì un commovente dialogo tra il giovane da un lato, la moglie e il figlio quindicenne dall’altro.
In un’altra occasione Claudio ricevette- certo non fu la sola volta- una interessante profezia. “Mio padre, medico anche lui, mi mostrò un novo tipo di strumento diagnostico”, racconta, “una TAC olografica da cui è possibile manipolare le immagini del paziente attraverso lo schermo, come se fossero vere, ossia tridimensionali. Mio padre annunciò che presto l’apparecchio sarebbe arrivato pure da noi e si sarebbe chiamato “3D-TAC”.” Ebbene, circa un anno dopo il prof. Harodl Garner, texano, riuscì a sviluppare i primi filmati “olografici” del mondo. “L’invenzione”, precisa il dott. Pisani, “risulta effettivamente in grado di proiettare immagini olografiche (ossia tridimensionali), le cui principali applicazioni dovrebbero essere radiologiche e militari”.
Claudio mette gratuiatmente la propria consapevolezza e le proprie scoperte a disposizione e ha creato un sito internet allo scopo (www.ampupage.it )
La scienziata che dimostrò l’inesistenza della morte
C’era una volta una ragazzina che si chiamava Elisabeth. Era una bimba estremamente vivace e curiosa.. Aveva una famiglia che le voleva bene, benché, come era costume dell’epoca, i genitori fossero decisamente severi con lei. Era trigemina: aveva due sorelle gemelle, oltre a un fratello. Crebbe in Svizzera, in un ambiente relativamente agiato. Più si avvicinava all’adolescenza, come d’altra parte è tipico dei temperamenti più intelligenti e più si sentiva irrequieta, stimolata da mille domande, in particolare sul senso della vita. Quando scoppia la Seconda Guerra Mondiale, Elisabeth resta molto colpita dalla tragedia e, al termine del conflitto, organizza un gruppo di volontari, coi quali parte alla volta della Polonia per portare aiuto alle popolazioni devastate dalla guerra. Elisabeth diventa allora la dottoressa Kuebler, si specializza in neuropsichiatria, sposa un collega, il dottor Ross e si trasferisce negli Stati Uniti. Lì decide di perseguire l’intuizione che da tempo le era balenata nella mente: aiutare i morenti. A quell’epoca la giovane dottoressa non aveva affatto le idee chiare circa la vita dopo la vita, così come non le aveva chiare neppure su Dio. Tra l’altro, la rigida formazione religiosa protestante ricevuta in famiglia e a scuola l’aveva lasciata molto perplessa, sicché Elisabeth aveva finito con l’accantonare il problema religioso. Ciò che veramente le premeva era riuscire da un lato a prestare il maggior conforto e sollievo possibile ai pazienti ormai in procinto di lasciare questa esistenza, dall’altro a scoprire il maggior numero possibile di informazioni circa ciò che essi provano e sentivano. Teniamo presenti due punti essenziali: Elisabeth era quindi animata tanto da un grande amore nei confronti quanto da un sincero e profondo desiderio di verità.
Ben presto la giovane dottoressa si accorge di un fatto sconcertante: i moribondi, lungi dal dimostrarsi tristi e infelici, almeno da un certo momento in poi, sembrano vivere una esperienza estremamente gratificante, come se fossero ormai approdati a una isola felice, valicando una invisibile barriera che divide la dimensione terrena da quella destinata a chi ha ormai lasciato il corpo. Ma c’è di più e dell’altro: molti di coloro che erano tornati nella nostra dimensione dopo una condizione di coma o addirittura di morte clinica riferiscono esperienze di luce, di amore e di gioia di intensità tali di cui sulla terra non esisterebbe nemmeno l’ombra.. Sono tutti convinti di aver realmente vissuto quei momenti, spesso accompagnati da incontri con congiunti trapassati.. Insomma, non si tratta di visionari: d’altra parte, riflette la dottoressa, i resoconti di tali presunti “viaggi nell’aldilà” coincidono tutti in termini impressionante, indipendentemente dal fatto di essere riferiti da bimbi di quattro anni o da centenari. Età, grado di istruzione, classe sociale, razza e sesso sembrano proprio non contare nulla: una volta si diceva che davanti alla morte si è tutti uguali, ora verrebbe voglia di dire che nell’aldilà si è tutti uguali (nel senso che viene percepito allo stesso modo). Come se tutto ciò non bastasse, a confermare l’autenticità di tali “viaggi nell’aldilà” contribuisce pure un altro fattore, certo di importanza non trascurabile: molti “resuscitati” riferiscono fatti dei quali dichiarano di essere venuti a conoscenza proprio mentre si trovavano “nell’altra dimensione”.
Di tali fatti viene a più riprese dimostrata l’autenticità: basti per tutti il caso della giovane indiana d’america, entrata in coma a seguito di un incidente automobilistico, la quale, non appena tornò in sé, riferì del decesso del padre, avvenuto a migliaia di chilometri di distanza a causa di un arresto cardiaco. La coraggiosa dottoressa, circondata sin dagli inizi da una équipe di giovani colleghi animati dagli stessi ideali, prosegue con entusiasmo e passione le sue ricerche, le quali confermano massicciamente la convinzione, alla quale era giunta già pochi mesi dopo l’inizio dell’avventura, spiegata in termini estremamente convincenti nella celebre intervista rilasciata poi parecchi anni dopo al periodico Playboy, nel 1969. “A mio parere è da considerarsi attendibile e serio sul piano scientifico il ricercatore, il quale trasmette l’esito del proprio lavoro e inoltre motiva le ragioni sulla base delle quali è giunto alle sue conclusioni. Sarebbe assolutamente legittimo manifestare sfiducia nei miei confronti e persino accusarmi di prostituzione, se io trasmettessi all’opinione pubblica soltanto ciò che a questa piace sentire. Lungi dal me l’idea di convincere o addirittura di convertire il prossimo.
Ora, il mio lavoro consiste essenzialmente nel trasmettere i risultati della mia ricerca. Proprio sulla base di tali ricerche sono giunto alla convinzione base, secondo cui ciò che chiamiamo morte non è altro che il passaggio a un’altra forma di vita, a un’altra dimensione, assai più felice di questa.” Al giornalista che si mostrava (o fingeva di mostrarsi sorpreso) del suo credere nell’aldilà, rispose: “Non si tratta di credere nell’aldilà, bensì di sapere che c’è. La differenza è enorme. Io non credo nell’aldilà, so che c’è.” Facendo un passo indietro di alcuni anni, Elisabeth aveva ricevuto un aiuto molto particolare nella sua impresa. Pur essendosi gettata nell’impresa anima e corpo, infatti, la dottoressa si era trovata ad attraversare un momento di crisi. Pur senza che ciò la smuovesse di un solo millimetro dalle sue convinzioni, nel suo ambiente professionale il suo singolare impegno le aveva creato non poche difficoltà e contrasti, i quali avevano a loro volta causato problemi in famiglia (anche a causa dello scetticismo e della gelosia del marito). Per farla breve, pur a malincuore la dottoressa aveva deciso di abbandonare il campo… Proprio la mattina in cui la attendeva l’ingrato compito di spiegare ai suoi collaboratori la sua scelta, per sciogliere il gruppo, le capitò di imbattersi nell’ascensore dell’ospedale in un personaggio assai singolare.
Una signora elegante e dall’aspetto assai sereno le sorrise e la salutò. “Devo essere proprio esaurita”, pensò Elisabeth. “Adesso mi metto persino a vedere i fantasmi. Mi sembra di trovarmi accanto alla signora Schwarz”. Si trattava di una sua anziana paziente, che la dottoressa aveva seguito particolarmente da vicino nel suo percorso di trapasso, contenta di vederla lasciare questo mondo assolutamente felice. La misteriosa signora, la quale assomigliava appunto in maniera incredibile alla paziente in questione, anche se assai ringiovanita, dopo averla salutata le rivolse la parola. “Buongiorno, signora”, rispose Elisabeth imbarazzata, continuando a interrogarsi circa l’identità della misteriosa donna e non potendo far a meno di constatare con certezza sempre maggiore l’incredibile somiglianza tra la trapassata paziente e lei. “Pensi che l’avevo scambiata per una mia paziente…trapassata.. Non è buffo (cos’ almeno mi dirà chi è, pensava). “Si tratta per caso della signora Schwarz, dottoressa?”, fece l’altra. “Proprio lei? Per caso lei la conosceva?” “Altro che! Io sono la signora Schwarz!” “Ma ma ma…la signora Schwarz è deceduta.. Io stessa ero presente al momento del trapasso..” “Certo, dottoressa, ma lei sa meglio di me che la morte non esiste! Quante volte ne parlammo, ricorda?” “Ricordo perfettamente, ma questo significa che voi potete tornare tra noi?”, chiedeva Elisabeth, sbigottita. “A volte è possibile, d’altra parte ricorderà pure le nostre conversazioni a proposito della comunicazione tra i due mondi e lei si è sempre detta convinta della possibilità di tali contatti.. Comunque, sono venuta per trasmetterle un messaggio importante: il mondo spirituale si congratula con lei e coi suoi collaboratori per il vostro lavoro, ma è assolutamente indispensabile che non molliate, che continuiate.
Da parte nostra, vi forniremo tutto l’appoggio necessario. Occorre che lei trasmetta questo messaggio ai suoi collaboratori e in particolare al Reverendo Johnson (un pastore evangelico attivo presso lo stesso ospedale, il quale si era di recente distaccato dal gruppo di ricerca, dopo aver collaborato con entusiasmo). Comunque, le darò una prova della mia identità: adesso noi andremo insieme al suo studio, dove io mettere per iscritto e firmerò il messaggio che le ho appena trasmesso. Lei potrà effettuare una perizia calligrafica, grazie alla quale, confrontando il messaggio con i documenti conservati nell’archivio dell’ospedale, potrà sconfiggere ogni dubbio. Detto fatto. La visitatrice dall’aldilà, una volta trascritto il messaggio, si congedò da Elisabeth. La perizia calligrafica confermò l’identità della signora Schwarz e naturalmente la dottoressa Kuebler Ross tornò sulla propria decisione, seguita a ruota dal Reverendo Johnson, sicché l’opera di costruzione di un ponte tra i due mondi continuò più alacremente di prima. Né l’intrepida dottoressa si fermò qui: l’”incontro ravvicinato del terzo tipo” con l’altra dimensione la rafforzò nel suo proposito di sconfiggere il tabu della morte, dimostrando al mondo la sua vera natura, quella di passaggio alla dimensione spirituale, studiando a fondo i fenomeni medianici. Come accade non di rado in tali casi, Elisabeth diventò ella stessa protagonista e “tramite” di numerosi fenomeni medianici. Donando speranza e certezze a milioni di genitori, di mogli, di figli segnati da un lutto, non risparmiò nulla di sé nell’intento di trasmettere al mondo le certezze spirituali e scientifiche ad un tempo, alle quali era pervenuta.
Tanto erra convinta di ciò che aveva imparato e insegnava, da volere che il suo trapasso fosse festeggiato alla grande, da parenti e amici. E così fu, nel settembre del 2004.
Risvegliare dalla morte una donna destinata all’Inferno? Non fatelo!
La trama:
Il ricercatore Frank Walton e la sua fidanzata Zoe, assieme agli scienziati Clay e Niko e alla giovane cameraman Eva, si riuniscono in segreto in un’università per effettuare degli esperimenti su delle carcasse di animali morti usando un siero sperimentale, “Lazarus”, che potrebbe resuscitarli. Dopo vari tentativi riescono finalmente a riportare in vita un cane, che viene adottato da Frank e da Zoe col nome di Rocky: questo però comincia a far preoccupare i due poiché non ha mai appetito e la sua cataratta (di cui soffriva prima di morire) è scomparsa. Inoltre sembra possedere strani poteri e il siero, che dopo essere stato iniettato nel suo cervello avrebbe dovuto dissolversi, continua a dilagare nel suo corpo.
Quando la rettrice dell’università scopre l’esistenza di questi macabri esperimenti costringe Frank a mollare tutto; ad aggravare la situazione è che una società farmaceutica, saputo anche lei del siero, con il permesso della rettrice confisca tutto il materiale di ricerca lasciando deluso il gruppo. Frank, testardo e deciso, convince tutti a ritornare in segreto nell’università e riprovare l’esperimento mentre Eva filmerà tutto, in modo da avere una prova di essere stati loro i creatori del siero Lazarus e di ricevere così gloria e fama da parte del mondo intero. Usando del siero che Zoe teneva come riserva di emergenza, il gruppo rifà il procedimento ma qualcosa va storto e Zoe muore folgorata sotto gli occhi di tutti che provano invano a rianimarla. Frank, disperato, decide di riportarla in vita con il Lazarus nonostante i tentativi degli altri di dissuaderlo: l’esperimento ha successo e la donna resuscita con sollievo e meraviglia di Frank e di sgomento di Clay, Niko ed Eva. Subito capiscono che qualcosa non va in Zoe, che racconta di essere stata nella sua versione personale dell’Inferno: in questo caso aveva le sembianze del suo incubo ricorrente nato a causa di un trauma infantile (l’appartamento in cui viveva da ragazzina aveva preso fuoco e i suoi vicini di casa, bloccati dentro, erano morti arsi vivi sotto i suoi occhi). Frank però non le dà ascolto, pensando che semplicemente sia sotto shock, mentre Zoe, profondamente religiosa, continua a sostenere la sua versione. Intanto come Rocky il siero prende possesso della sua mente, e la donna sviluppa poteri incredibili come la telecinesi o la telepatia, ma in compenso diventa sempre più aggressiva e pericolosa.
Questa aggressività la porta a uccidere orrendamente Niko, che aveva rifiutato di baciarla, chiudendolo in un armadio e con la telecinesi stringerlo fino a farlo morire. Frank, Eva e Clay capiscono cos’ha fatto Zoe e mentre i primi due, terrorizzati, fanno finta di niente e cercano un modo per uscire dall’università (Zoe a loro insaputa aveva chiuso tutte le porte dell’edificio) l’impulsivo Clay accusa la donna di aver assassinato il povero Niko: questa per tutta risposta fa fuori anche lui soffocandolo con una sigaretta elettronica. Zoe, ormai completamente indemoniata, con la telecinesi lancia addosso a Frank e Eva tutti i mobili del laboratorio facendo loro perdere i sensi. Tempo dopo i due si risvegliano e non vedendo la donna nei paraggi si nascondono nell’obitorio dove tenevano le cavie morte per i loro esperimenti e Frank mostra a Eva un’arma che secondo lui può uccidere Zoe: del veleno in una siringa. Frank, uscito dall’obitorio e trovata la fidanzata, prova quindi a iniettare il veleno nella donna ma questa lo uccide e diventa più potente di prima grazie a un’ulteriore iniezione di Lazarus.
Eva, l’unica ancora viva, cerca anche lei di sconfiggere Zoe ma questa la porta nell’Inferno che lei aveva visto da morta: il suo appartamento in fiamme. La ragazza trova Zoe dabambina e scopre che ad aver appiccato l’incendio quell’anno era stata proprio lei. Eva riesce a uscire dall’inferno di Zoe e a trafiggerla con la siringa di Frank, ma sopravvive ed uccide la povera Eva come gli altri. Nel finale vediamo Zoe intenta a resuscitare Frank con il Lazarus. (Fonte: Wikipedia)
Il nostro giudizio:
Da vedere!
Pro:
Interessante il tema – mai trattato da un film – di una possibile risurrezione in laboratorio. Per di più la donna che si risveglia dall’oltretomba è una dannata all’inferno. Le conseguenze sono quelle simili a quelle di un demone scatenato. Questi effetti nel film appaiono gradualmente in un crescendo di situazioni.
Contro:
Non sembra reggere l’ipotesi che una bambina, per aver causato la morte di diverse persone in un incendio causato da lei per aver giocato con i fiammiferi, sia poi dannata all’inferno da donna adulta.
Il Nostro Signore ha scritto la promessa della Risurrezione, non solo nei libri, ma in ogni foglia di primavera (Martin Lutero).
«Questa infatti è la volontà di colui che mi ha mandato: che chiunque viene alla conoscenza del Figlio e crede in lui, abbia vita eterna, e io lo risusciterò nell’ultimo giorno» (Giovanni 6:40)
La sacra Sindone è il più importante enigma scientifico-religioso esistente al mondo. Ben venticinque scienze hanno studiato la Sindone e nessuna sino ad ora è riuscita a stabilire esattamente che cosa abbia prodotto l’immagine sul telo di lino. Gli esperti ritengono che si sia prodotto attraverso un’energia sconosciuta che ha impresso il telo, una radiazione foto radiante (cioè che emette luce) che si è sprigionata dal corpo di Gesù Cristo nel buio del sepolcro al momento delle risurrezione. Il volto non è illuminato né da destra né da sinistra. Il volto stesso è fonte di luce. L’immagine, visibile meglio al negativo fotografico, presenta tutti i segni della Passione di Cristo e scompare se ci si avvicina a meno di tre metri di distanza. Non vi è pigmento. Non è un dipinto e non è una strinatura, né un’immagine prodotta dal contatto con un bassorilievo riscaldato. La scienza della palinologia ha scoperto la presenza di pollini della terra santa e di tutti i luoghi dove è stata portata. La numismatica ha verificato che vicino all’occhio destro è stato trovato un lituus, una moneta romana del tempo dell’imperatore Tiberio Cesare, che regnava al tempo in cui fu crocefisso Gesù… Dal 2000 è conservata al buio, sotto gas inerti, nel duomo di Torino. L’informatica ha prodotto un modello tridimensionale del corpo, basandosi sull’immagine. La storia antica ha scoperto che il corpo presenta tutti i segni di una tipica flagellazione romana e la singolarità della coronazione di un casco (non una corona) di spine, che i romani non usavano solitamente. I biblisti concordano sui fatti della Passione di Cristo, testimoniati dall’immagine della Sindone, come il colpo all’emitorace destro prodotto da una lancia e dal quale uscì sangue e acqua. L’anatomia ha confermato questa ipotesi basandosi sul siero accumulatosi in fase di agonia. E questo confermerebbe anche la profezia «non gli sarà spezzato alcun osso» (Esodo 12,46), cosa che i romani erano soliti fare per l’accertamento di morte.
Troppi indizi coincidono. Sulla Sindone c’è sangue umano maschile di gruppo AB e aragonite, minerale presente nelle grotte di Gerusalemme. Addirittura la matematica si è interessata al lenzuolo sacro. Col suo freddo calcolo delle probabilità, mettendo insieme gli indizi raccolti dalle venticinque scienze che hanno studiato la reliquia più venerata al mondo, ha stabilito che c’è una possibilità su duecento miliardi che l’uomo della sindone non sia Gesù Cristo. Nel 2000 Joseph Marino e Marie Sue Benford hanno formulato l’ipotesi che il test della datazione medievale risultata dall’esame del 1978 al radiocarbonio C14 fosse errato perché erano presenti rammendi di epoca più recente nella zona del prelievo per il test svolto in quattro laboratori (due in Arizona, uno a Zurigo, uno a Oxford). La loro tesi è stata validata da Raymond Rogers, lo scienziato che per primo analizzò la Sindone nel 1978 e pubblicò i risultati della datazione dal 1260 al 1370 d.C. al radiocarbonio, sulla rivista scientifica «Thermochimica Acta». Pochi mesi prima della sua morte Rogers scrisse un articolo dove descriveva le ultime scoperte. La conclusione fu che la datazione al radiocarbonio del 1978 era esatta, ma i campioni usati per il test non erano parte originale della Sindone e irrilevanti per stabilirne la reale datazione. La Chiesa cattolica non ha più permesso altre indagini al radiocarbonio C14, dopo il 1978 perché questo test prevede la bruciatura dei campioni usati. Un medico, Thomas A. Miller, ha analizzato la risurrezione di Cristo da un punto di vista scientifico nel suo saggio intitolato «Did really Jesus rise from the dead? A surgeon-scientist examines the evidence». (Gesù è veramente risorto dai morti? Un chirurgo-scienziato esamina l’evidenza). Miller osserva prima di entrare nel merito della questione che Isaac Newton, Giovanni Keplero, Robert Boyle e Michael Faraday erano grandi scienziati, ma credevano tutti nella risurrezione di Cristo. Questo atteggiamento dei tempi antichi è in contrasto con la visione moderna. Molti scienziati moderni sono convinti nell’abilità della scienza di rispondere a domande che, se non possono essere validate usando un metodo scientifico, sono viste come inconoscibili o inesistenti. È la tesi di Richard Dawkins. Qualsiasi ipotesi che non può essere verificata con metodo scientifico è da scartare. Sembra quindi che la scienza non possa dire niente su una risurrezione. L’unico reperto scientificamente analizzabile e attinente a una presunta risurrezione è la Sindone di Torino. Uno studio molto importante è stato condotto sulla Sindone nel 1996 da un chirurgo uroginecologo statunitense cattolico, August Accetta – fondatore dello Shroud Center of Southern California – il quale ha realizzato un esperimento su se stesso iniettandosi una soluzione di fosfato di metilene contenente tecnezio-99m – un isotopo radioattivo usato in medicina nucleare – che decade rapidamente. Ogni atomo di tecnezio emette un unico raggio gamma che può essere registrato da un’apposita apparecchiatura di rilevamento. L’obiettivo era di realizzare un’immagine provocata da una radiazione emessa da un corpo umano eventualmente risorto. Secondo il dott. Accetta, infatti, l’immagine sulla Sindone potrebbe essere stata causata dall’energia sprigionatasi all’interno del corpo di Cristo al momento della resurrezione. Le immagini ottenute sono molto simili a quelle che si osservano sulla Sindone e davvero questo esperimento arriva fin sulla soglia del mistero di quell’impronta che richiama il mistero centrale della fede. Accetta riferisce che solo un evento miracoloso può spiegare pienamente la complessità dell’immagine.
Il medico pensa che quando il corpo di Gesù sia diventato di luce, il lenzuolo della Sindone che lo copriva ha iniziato a passare attraverso il corpo perdendo la sua gravità. Accetta teorizza che mentre il lenzuolo funerario cadeva, esso assunse la corrispondente energia e le informazioni tridimensionali presenti sull’immagine, impossibili da riprodurre. A Roma nel 2008 dei ricercatori italiani hanno ‘ricreato’ la Sacra Sindone: irradiando tessuti di lino con un brevissimo e potentissimo lampo di luce prodotto da laser a eccimeri del Centro Enea di Frascati, sono riusciti a imprimere immagini con le stesse caratteristiche della figura della Sacra Sindone, in cui la colorazione riguarda solo le fibrille più superficiali, senza passaggio di colore sul rovescio della tela. I risultati dei loro esperimenti sono pubblicati sulla rivista «Applied Optics» e secondo Giuseppe Baldacchini, coordinatore della ricerca, avvalorano l’ipotesi che da sempre la Chiesa sostiene, e cioè che l’immagine di Cristo sia stata originata da un potente lampo di luce attribuito alla resurrezione. L’ipotesi è quindi che una fortissima luce si sprigionò da quel corpo all’interno di una grotta-sepolcro buia. Osservando l’immagine si nota che il volto non è illuminato né da destra né da sinistra. È esso stesso fonte di luce. Non corrisponde ad alcun stile pittorico, anzi, è stato modello di immagini sacre sin dai primi secoli. Sull’immagine non c’è pigmento. Non è un dipinto, non è prodotto dal contatto con un bassorilievo riscaldato. Se si osserva da meno di tre metri di distanza, l’immagine scompare. La stessa si vede meglio al negativo fotografico. Vi sono presenti pollini della Terra Santa e tracce di aragonite, visibili solo al microscopio. È polvere presente in Terra Santa. Trasferita sui ginocchi di Gesù in seguito alle tre cadute. Si trovano sul telo tracce di aloe e di mirra oltre che di aragonite (una composizione di carbonato di calcio, ferro e stronzio), una terra presente a Gerusalemme e, in particolare, in una tomba studiata dal Levy-Setti, ricercatore di Chicago che, confrontando con l’aragonite della Sindone, ha concluso che le due terre sono esattamente uguali. Impossibile il falso Nel Medio Evo non erano note le conoscenze storiche e archeologiche sulla flagellazione e la crocifissione del I secolo, di cui si era persa la memoria. L’eventuale falsario medievale non avrebbe potuto disegnare Cristo con particolari in contrasto con l’iconografia medievale: corona di spine a casco, trasporto sulle spalle del solo patibulum (la trave orizzontale della croce), chiodi nei polsi e non nelle mani, corpo nudo, assenza del poggiapiedi. Inoltre avrebbe dovuto tener conto dei riti di sepoltura in uso presso gli ebrei all’epoca di Cristo.
Lo stesso falsario avrebbe dovuto immaginare l’invenzione del microscopio (fine del XVI secolo) per aggiungere elementi invisibili a occhio nudo: pollini, terriccio, siero, aromi per la sepoltura, aragonite. Il falsario avrebbe dovuto conoscere la fotografia, inventata nel XIX secolo, e l’olografia realizzata negli anni Quaranta. Per “disegnare” il rivolo di sangue a forma di tre rovesciato sulla fronte avrebbe dovuto saper distinguere tra circolazione venosa e arteriosa, studiata per la prima volta nel 1593 da Andrea Cesalpino, nonché essere in grado di macchiare il lenzuolo in alcuni punti con sangue uscito durante la vita ed in altri con sangue post-mortale; rispettando inoltre, nella realizzazione delle colature ematiche, la legge della gravità, scoperta nel 1666.
Secondo un calcolo di probabilità 100 affermazioni che sono state fatte a favore e contro l’autenticità della Sindone, l’ingegnere Giulio Fanti, docente all’Università di Padova, e Emanuela Marinelli sono giunti a questo risultato: è più probabile che esca lo stesso numero al gioco della roulette per 52 volte consecutive, piuttosto che la Sindone non sia il lenzuolo funerario di Gesù di Nazareth!