Angeli e scienza. La “sindrome del terzo uomo”

Nel calcio c’è il “quarto uomo”. La “sindrome del terzo uomo” è il termine che allude invece ad un misterioso essere che si presenta accanto ai moribondi o alle persone in situazioni molto critiche. Qualcuno parla di fenomeno psicologico. Altri di un vero e proprio essere soprannaturale, come l’Angelo custode. Vi sono testimoni famosi di questo fenomeno. Gli esploratori Reinhold Messner, Frank Smythe, Peter Hillary e Ann Bancroft, e Ron Di Francesco, l’ultimo sopravvissuto agli attacchi dell’11 settembre 2001 al World Trade Center – che sentì la presenza del “terzo uomo” all’ottantaquattresimo piano della torre Sud –  e la microbiologa Stephanie Schwabe. Tutti hanno sentito chiaramente la presenza misteriosa accanto a loro nei momenti critici.

John Geiger descrive il fenomeno del compagno misterioso nel suo nuovo libro The Third Man Factor: Surviving the Impossible. Geiger spiega che il “terzo uomo” è un essere invisibile che interviene nei momenti difficili – quando le persone sostengono un grande stress in una situazione di vita o di morte — per dare conforto, aiuto e sostegno.

Questo essere incorporeo offre una sensazione di speranza, protezione e guida, e lascia la persona convinta che lui o lei non è sola. Se solo poche persone avessero incontrato il terzo uomo, potrebbe essere liquidato come un delirio insolito condiviso da alcune menti stressate. Ma nel corso degli anni, l’ esperienza si è verificata più volte, ai sopravvissuti dell’11 settembre 2001, agli alpinisti, ai subacquei, agli esploratori polari, ai prigionieri di guerra, ai marinai, ai naufraghi, agli aviatori e agli astronauti. Tutti sono scampati ad eventi traumatici e hanno raccontato storie sorprendentemente simili: di aver intuito la stretta presenza di un assistente o di un tutore. La forza è stato spiegata come frutto di allucinazioni o di intervento divino. Recenti ricerche neurologiche suggeriscono qualcos’altro…

Giorgio Nadali

 


Fede & salute

Le credenze religiose possono essere molto potenti e possono avere effetti fisici. Uno studio guidato da Katja Wiech dell’Università di Oxford ha coinvolto ventiquattro individui divisi in due gruppi. Dodici erano studenti cattolici praticanti. Gli altri dodici erano studenti atei. Sono state mostrate loro alcune immagini. Una era un’immagine della Vergine Maria del pittore Giovanni Battista Salvi detto «Il Sassoferrato» (XVII secolo). L’altra era «La dama con l’ermellino», di Leonardo da Vinci. Immagini molto simili. Dopo aver guardato le foto per trenta secondi, i volontari sono stati sottoposti a piccole scosse elettriche per dodici secondi. Ogni volta, è stato chiesto di classificare come il livello di dolore su una scala da zero a cento. I soggetti sono stati poi sottoposti a risonanza magnetica cerebrale.
Quando la squadra della Wiech controllò le scansioni cerebrali dei due gruppi, ha trovato marcate differenze tra di loro. Dopo aver visto il quadro della Vergine Maria, una zona del cervello chiamata corteccia prefrontale risultava illuminata solo nei volontari religiosi. I membri del gruppo religioso riferivano di provare meno dolore quando guardano l’immagine della Vergine Maria, di quando guardavano il quadro di Leonardo.

Per i cattolici dodici per cento in meno di dolore. Sul gruppo di non religiosi le immagini non hanno avuto alcun effetto.
Katja Weich ha concluso che: «I cattolici erano coinvolti in un meccanismo cerebrale che è ben noto dalla ricerca come effetto placebo, analgesia e disimpegno emotivo che aiuta le persone a reinterpretare il dolore e renderlo meno minaccioso. Queste persone si sentivano sicure guardando la Vergine Maria, si sentivano protetti, quindi l’intero contesto del test è cambiato per loro. È altamente probabile che anche le persone non religiose potrebbero raggiungere una simile capacità di controllare il dolore, forse attraverso la meditazione o altre strategie mentali».

Gli individui che praticano la religione e la spiritualità godono di una migliore salute fisica e mentale rispetto a quelli che non lo fanno. Per comprendere meglio questo rapporto e come la spiritualità e la religione possano essere utilizzate per far fronte a problemi di salute significativi, i ricercatori dell’Università del Missouri hanno esaminato quali aspetti della religione sono più vantaggiosi e per quali popolazioni.
«I nostri risultati rafforzano l’idea che la religione e la spiritualità possano aiutare a tamponare le conseguenze negative di condizioni di salute difficili», ha riferito Stephanie Reid-Arndt, professoressa associata di psicologia della salute nella scuola di professioni sanitarie. «Sappiamo che ci sono molti modi di far fronte a situazioni di vita stressanti, come una malattia cronica e il coinvolgimento in attività spirituali e religiose può essere una strategia efficace per far fronte a queste situazioni». La recente pubblicazione del Centro di Ricerca per la Religione e le Professioni dell’Università del Missouri, creato dalla Reid-Arndt, ha scoperto che il sostegno religioso è associato con i migliori risultati di salute mentale per le donne e con una migliore salute fisica e mentale per gli uomini.
L’assistenza religiosa e spirituale comprende la cura da parte di congregazioni, interventi spirituali, come la direzione spirituale, la confessione e l’assistenza di pastori e cappellani ospedalieri. Brick Johnstone, docente di psicologia della salute sostiene che “entrambe i sessi beneficiano del sostegno sociale – la capacità di cercare aiuto e di contare sugli altri – fornita dagli altri fedeli e dal coinvolgimento in organizzazioni religiose. L’incoraggiamento a cercare sostegno religioso spirituale può aiutare gli individui a far fronte allo stress e ai sintomi fisici legati alla malattia. Il personale medico deve incoraggiare i pazienti a trarre beneficio da queste risorse [religiose] che forniscono sostegno emotivo e finanziario, nonché occasioni di migliorare la socializzazione”.
Lo studio ha esaminato il ruolo dei sessi nell’avvalersi del sostegno spirituale e religioso in condizioni di malattia cronica e di disabilità, comprese le lesioni alla spina dorsale, danni cerebrali e cancro. Utilizzando scale di misura di religiosità e spiritualità, di salute mentale e di salute generale, i ricercatori non hanno scoperto differenze tra uomini e donne in termini di livelli di esperienze spirituali e pratiche religiose.
Queste rilevazioni contrastano con altri studi che hanno ipotizzato una maggiore spiritualità delle donne e di un coinvolgimento femminile più accentuato nelle pratiche religiose rispetto agli uomini. Johnstone ha osservato che “mentre le donne generalmente sono più religiose o spirituali degli uomini, abbiamo scoperto che entrambe i sessi possono aumentare il loro affidamento alla religione, quando devono affrontare la malattia o la disabilità”. La ricerca ha evidenziato che per le donne, la salute mentale è associata con esperienze spirituali quotidiane, con l’esperienza del perdono e con questioni religiose e spirituali.
Questo significa che il credere in un potere superiore legato al perdono al sostegno e all’amore è connesso con una situazione mentale positiva nell’affrontare una malattia cronica, da parte delle donne. Per gli uomini, il sostegno religioso – la percezione di un aiuto e di un supporto da parte di congregazioni religiose è associato con una migliore salute». Johnstone è il direttore del programma di ricerca di spiritualità e salute dell’Università del Missouri. Ha condotto diversi studi con l’intento di esaminare la relazione che esiste tra la religione, la spiritualità e la salute, in particolare per gli individui con condizioni croniche disabilitanti, appartenenti a diverse tradizioni religiose.

Chiediamo cosa ne pensa la psicanalista Giovanna Capolongo, che esercita la professione a Milano.

Dottoressa, cosa ne pensa delle affermazioni della ricercatrice Stephanie Reid-Arndt?
Le affermazioni della ricercatrice Stephanie Reid-Arndt trovano conferma nella mia esperienza clinica in qualità di psiconcologa.
La religiosità vissuta e praticata non solo offre conforto e sostegno nei momenti difficili, ma diventa un’alleata del paziente insieme al piano terapeutico la cui efficacia dipende dalla compliance, insieme all’aiuto offerto dai psiconcologi.
Non solo la religiosità vissuta e praticata, ma anche la religiosità che inizia semplicemente come curiosità o come domanda da parte di quelle persone che sono “alla ricerca” di una risposta alle proprie domande cosiddette “esistenziali”, ma che non sono pervenuti ancora ad una risposta, non sono ancora approdati ad una fede e ad una fede certa in Qualcuno: la domanda e l’attesa di queste persone di poter trovare un senso all’esistenza, che vuol dire poi trovare il senso della propria malattia, li rende attivi, partecipativi di tutta la propria vicenda umana e collaborativi nel lavoro della cura del proprio male.

Nella sua professione ha riscontrato una differenza tra coloro che credono e coloro che non credono?

Si.

I non credenti nel momento della malattia mettono in campo risorse esclusivamente frutto della propria storia personale. E queste il più delle volte sono limitate. Alcuni presentano una grande capacità organizzativa, della gestione della propria malattia, ma c’è spesso l’altra faccia della medaglia che si presenta come solitudine, mancanza di rapporti significativi capaci di prendersi cura.
I “credenti” mettono in campo risorse non solo personali ma risorse che sono il frutto di una condivisione comunitaria: l’ascolto, la fiducia, l‘abbandono, la speranza, la domanda di aiuto e tutto ciò li rende più attrezzati a compiere quella battaglia contro il proprio male.

Secondo Lei come e perché la fede religiosa influisce sui processi psichici?

Influisce perché l’apertura della psiche al Mistero come ciò la cui conoscenza è inesauribile, dilata le possibilità della psiche di trovare soluzioni e risposte.

Esiste un rapporto tra spiritualità e armonia interiore secondo Lei?

Lo spirito come componente del soggetto, se adeguatamente vissuto, cioè se allo spirito viene data la possibilità di avere una “vita”, esso genera armonia, cioè benessere ed equilibrio.

 

Giorgio Nadali


Le immagini sacre aiutano a sopportare il dolore

Le credenze religiose possono essere molto potenti e possono avere effetti fisici. Uno studio[1] guidato da Katja Wiech[2] dell’Università di Oxford ha coinvolto ventiquattro individui divisi in due gruppi. Dodici erano studenti cattolici praticanti. Gli altri dodici erano studenti atei. Sono state mostrate loro alcune immagini. Una era un’immagine della Vergine Maria del pittore Giovanni Battista Salvi detto «Il Sassoferrato» (XVII secolo). L’altra era «La dama con l’ermellino», di Leonardo da Vinci. Immagini molto simili. Dopo aver guardato le foto per trenta secondi, i volontari sono stati sottoposti a piccole scosse elettriche per dodici secondi. Ogni volta, è stato chiesto di classificare come il livello di dolore su una scala da zero a cento. I soggetti sono stati poi sottoposti a risonanza magnetica cerebrale.

Quando la squadra della Wiech controllò le scansioni cerebrali dei due gruppi, ha trovato marcate differenze tra di loro. Dopo aver visto il quadro della Vergine Maria, una zona del cervello chiamata corteccia prefrontale risultava illuminata solo nei volontari religiosi. I membri del gruppo religioso riferivano di provare meno dolore quando guardano l’immagine della Vergine Maria, di quando guardavano il quadro di Leonardo. Per i cattolici dodici per cento in meno di dolore. Sul gruppo di non religiosi le immagini non hanno avuto alcun effetto.

Katja Weich ha concluso che: «I cattolici erano coinvolti in un meccanismo cerebrale che è ben noto dalla ricerca come effetto placebo, analgesia e disimpegno emotivo che aiuta le persone a reinterpretare il dolore e renderlo meno minaccioso. Queste persone si sentivano sicure guardando la Vergine Maria, si sentivano protetti, quindi l’intero contesto del test è cambiato per loro. È altamente probabile che anche le persone non religiose potrebbero raggiungere una simile capacità di controllare il dolore, forse attraverso la meditazione o altre strategie mentali».

 Giorgio Nadali

 

 

[1] Religious belief can help relieve pain, say researchers, «The Guardian», 01/10/2008

[2] Katja Wiech è ricercatrice presso la Functional Magnetic Resonance Imaging del Centro per il Cervello, Università di Oxford, fondata dal Centro di Oxford per la Neuroetica


Miracoli & scienza. 1

 

 

Il sangue di San Gennaro – Scienza Il sangue di San Gennaro – Fede
L’ipotesi scientifica più accreditata è quella tissotropica. È la capacità di alcuni gel di diventare più fluidi se agitati, fatti vibrare, turbati meccanicamente, per poi risolidificarsi se lasciati a riposo. La liquefazione del sangue è avvenuta anche durante lavori di riparazione del reliquario nel 1965 mentre la struttura veniva agitata. Questo non implica la malafede, ma è un fenomeno fisico. La Chiesa ha sempre vietato di aprire il contenitore sigillato. Una spettroscopia è stata eseguita nel 1902 e nel 1989. Sono state rilevati ematina e emocrogeno, prodotti di degradazione dell’emoglobina del sangue umano. Il fenomeno è stato simulato nel 1991 creando un gel tissotropico composto da gesso, acqua salata e cloruro ferrico.[1] È uno dei miracoli più studiati. Anche il fisico Enrico Fermi mostrò interesse per questo fenomeno. Il sangue di San Gennaro, decapitato nel 305 d.C. è contenuto in un’ampolla di vetro trasparente sigillata dal contenuto di sessanta millilitri custodita nella cattedrale di Napoli e ogni anno durante la festa liturgica del santo, torna allo stato liquido. Il fatto fu documentato per la prima volta il 17 agosto 1389 a Napoli. Il miracolo non è mai stato riconosciuto ufficialmente dalla Chiesa cattolica, anche se ogni anno il primo sabato di maggio, il 19 settembre e il 16 dicembre, l’arcivescovo di Napoli celebra personalmente la cerimonia in cui maneggia l’ampolla con il sangue liquefatto davanti all’assemblea dei fedeli. Un rappresentante della Chiesa ha dichiarato che “può non essere un miracolo, ma qualsiasi cosa sia, agisce fuori dalle leggi naturali”.[2]

 

Miracolo eucaristico di Lanciano – Scienza Miracolo eucaristico di Lanciano – Fede
Il Prof. Edoardo Linoli, docente di anatomia e istologia, direttore del laboratorio di analisi cliniche e di anatomia patologica dell’ospedale S. Maria Sopra i Ponti (AR) ha dichiarato nel 1971 che 1) la carne è veramente carne umana del muscolo striato miocardico 2) il sangue è autentico di gruppo AB (lo stesso rinvenuto sulla Sindone di Torino) e appartiene alla stessa persona della carne 3) non vi sono sostanze conservanti. Il docente esclude l’ipotesi di un falso perché “solamente una mano esperta in dissezione anatomica avrebbe potuto ottenere un “taglio” uniforme di un viscere incavato” e “il sangue fosse stato prelevato da un cadavere, si sarebbe rapidamente alterato, per deliquescenza o putrefazione”. È l’unico miracolo che ha suscitato l’interesse del Consiglio superiore dell’Organizzazione mondiale della Sanità, O.M.S./O.N.U che ha fatto eseguire 500 esami in 15 mesi, confermando quelli di Linoli. In un anno imprecisato tra il 730 e il 750 d.C. a Lanciano (Chieti), durante la consacrazione dell’Eucaristia un modo dubbioso, mentre sta celebrando, vede trasformarsi l’ostia in carne umana e il vino in sangue. Ora il tutto è custodito in una teca di cristallo nel Santuario del Miracolo Eucaristico, a Lanciano.

 

La Sacra Sindone – Scienza La Sacra Sindone – Fede
È il più importante enigma scientifico-religioso esistente al mondo. Ben venticinque scienze hanno studiato la Sindone e nessuna sino ad ora è riuscita a stabilire esattamente che cosa abbia prodotto l’immagine sul telo di lino. Gli esperti ritengono che si sia prodotto attraverso un’energia sconosciuta che ha impresso il telo, una radiazione fotoradiante che si è sprigionata dal corpo di Gesù Cristo nel buio del sepolcro al momento delle risurrezione. Il volto non è illuminato né da destra né da sinistra. Il volto stesso è fonte di luce. L’immagine, visibile meglio al negativo fotografico, presenta tutti i segni della Passione di Cristo e scompare se ci si avvicina a meno di tre metri di distanza. Non vi è pigmento. Non è un dipinto e non è una strinatura, né un’immagine prodotta dal contatto con un bassorilievo riscaldato. La scienza della palinologia ha scoperto la presenza di pollini della terra santa e di tutti i luoghi dove è stata portata. La numismatica ha verificato che vicino all’occhio destro è stato trovato un lituus, una moneta romana del tempo dell’imperatore Tiberio Cesare, che regnava al tempo in cui fu crocefisso Gesù… Dal 2000 è conservata al buio, sotto gas inerti, nel duomo di Torino. L’informatica ha prodotto un modello tridimensionale del corpo, basandosi sull’immagine. La storia antica ha scoperto che il corpo presenta tutti i segni di una tipica flagellazione romana e la singolarità della coronazione di un casco (non una corona) di spine, che i romani non usavano solitamente. I biblisti concordano sui fatti della Passione di Cristo, testimoniati dall’immagine della Sindone, come il colpo all’emitorace destro prodotto da una lancia e dal quale uscì sangue e acqua. L’anatomia ha confermato questa ipotesi basandosi sul siero accumulatosi in fase di agonia. E questo confermerebbe anche la profezia «non gli sarà spezzato alcun osso» (Esodo 12,46), cosa che i romani erano soliti fare per l’accertamento di morte. Troppi indizi coincidono. Sulla Sindone c’è sangue umano maschile di gruppo AB e aragonite, minerale presente nelle grotte di Gerusalemme. Addirittura la matematica si è interessata al lenzuolo sacro. Col suo freddo calcolo delle probabilità, mettendo insieme gli indizi raccolti dalle venticinque scienze che hanno studiato la reliquia più venerata al mondo, ha stabilito che c’è una possibilità su duecento miliardi che l’uomo della sindone non sia Gesù Cristo. Nel 2000 Joseph Marino e Marie Sue Benford hanno formulato l’ipotesi che il test della datazione medievale risultata dall’esame del 1978 al radiocarbonio C14 fosse errato perché erano presenti rammendi di epoca più recente nella zona del prelievo per il test svolto in quattro laboratori (due in Arizona, uno a Zurigo, uno a Oxford). La loro tesi è stata validata da Raymond Rogers, lo scienziato che per primo analizzò la Sindone nel 1978 e pubblicò i risultati della datazione dal 1260 al 1370 d.C. al radiocarbonio, sulla rivista scientifica «Thermochimica Acta». Pochi mesi prima della sua morte Rogers scrisse un articolo dove descriveva le ultime scoperte. La conclusione fu che la datazione al radiocarbonio del 1978 era esatta, ma i campioni usati per il test non erano parte originale della Sindone e irrilevanti per stabilirne la reale datazione. La Chiesa cattolica non ha più permesso altre indagini al radiocarbonio C14, dopo il 1978 perché questo test prevede la bruciatura dei campioni usati. Al primo posto tra le reliquie più importanti del cattolicesimo è la Sacra Sindone di Torino.   L’ostensione al pubblico della reliquia attira mediamente due milioni di visitatori a Torino. L’ultima è avvenuta nel 2010. La Sindone parla al cuore della fede cristiana perché presenta tutte le tracce della Passione di Cristo. Vi sono 120 segni del flagrum romano usato per la flagellazione. La calotta cranica presenta i segni della corona di spine. Gli artisti dipingevano una coroncina. Qui ci sono invece i segni di un casco che copre tutta la testa. Un’usanza del tutto assente nelle pratica della crocifissione. Lo stesso vale per le mani. I chiodi appaioni infissi nei polsi, non nei palmi come l’arte presenta. I pollici non si vedono a causa della perforazione del nervo mediano che li ha fatti ritrarre. Questo è più in linea con l’usanza romana di rendere stabile un corpo sulla croce. Ma l’aspetto più sorpendente è la maestosità dell’immagine, quella che ha dato origine a tutte le rappresentazioni artistiche del volto di Cristo. Anche i tratti somatici sono in linea con la stirpe ebraica. Un volto che sembra dormire. Un corpo martoriato che esprime però una serenità paradisiaca. Al negativo fotografico l’immagine esplode nella sua misticità. Per i credenti è il segno che la morte non ha più l’ultima parola. Un corpo che ha emanato luce al momento della risurrezione, che Gesù ha promesso a tutti (Giovanni 6,54). Già San Girolamo (IV sec.) diceva: «Il sepolcro vuoto è la culla del Cristianesimo». In un passo dello Pseudo Cipriano – uno dei Padri della Chiesa e vescovo di Cartagine (III sec.) Gesù dice: «Voi mi vedrete così come si può vedere uno nell’acqua o in uno specchio». Infatti il corpo è visibile meglio al negativo fotografico. All’esame del VP8-Analyzer della NASA il corpo presenta una risoluzione in tre dimensioni. Cosa che non accade con le normali immagini fotografiche. La Sindone è custodita a Torino dal 1578. Nel 1983 Umberto II di Savoia la donò al Vaticano indicandone la custodia all’arcivescovo di Torino.

 

 

 

Gesù cammina sull’acqua – Scienza

 

Gesù cammina sull’acqua – Fede

Il Vangelo di Marco racconta di Gesù che attraversa camminando sull’acqua la sponda occidentale del lago di Tiberiade o Mare di Galilea (Kinneret). Il più grande (166 Km quadrati) di Israele con una circonferenza di cinquantatré chilometri e il più grande del mondo d’acqua dolce sotto il livello del mare (meno 213 metri). Marco 6,48: «Vedendoli però tutti affaticati nel remare, poiché avevano il vento contrario, già verso l’ultima parte della notte andò verso di loro camminando sul mare, e voleva oltrepassarli». Il lago di Galilea (HaGalil) è profondo quarantatré metri e non ha punti di secca. Andrè Kole – illusionista – ha camminato sulle acque del lago Saguaro in Arizona (USA); ma per fare questo sono state necessarie ore di preparazione e una strumentazione tecnologica avanzata. In realtà Kole, che è un credente convertito, usa l’illusionismo per smascherare gli imbroglioni e dimostrare che alcune cose si possono compiere o per dono di Dio oppure grazie alle illusioni create dalla tecnologia moderna. Lo storico Morton Smith scrisse nel 1978 Jesus the Magician: Charlatan or Son of God? (Gesù il Mago: Ciarlatano o Figlio di Dio?) riprendendo un’antica idea del filosofo anticristiano Celso (200 d.C.) «Sulla vera dottrina». Il trucco illusionistico di camminare sull’acqua è stato presentato recentemente anche sul Tamigi a Londra dall’illusionista Dynamo (Steven Frayne), in pieno giorno. Difficilmente però Gesù può aver usato la seguente tecnica. Il polimetilmetacrilato, meglio noto come plexiglas. Non esisteva a quel tempo. È stato inventato nel 1928 (d.C.). Una lastra di plexiglas è stata posta la notte prima in un’area delimitata del fiume, dopo aver chiesto il permesso alle autorità locali. Dynamo passa in zone delimitate dal plexiglas e le canoe gli passano accanto, dando l’illusione che non vi sia nulla sott’acqua. Infine un telecomando fa abbassare un’area della passerella di plexiglas per far transitare il traghetto. La preparazione ha richiesto sette ore notturne di lavoro sul Tamigi e un costo di circa ottomila sterline. Sembrerebbe però che tutto ciò abbia ben poco a che fare con la camminata di Cristo alle prime luci dell’alba nel centro del lago di Galilea (chiamato “mare”).

 

È uno dei trentaré miracoli di Cristo narrati nei Vangeli. L’episodio è chiaro. Gesù chiede una fede che vada oltre l’evidenza. (Logicamente l’evidenza non ha bisogno della fede). Pietro chiede a Cristo di avvicinarsi a lui camminando anch’esso sull’acqua. In realtà non si fida di fronte ad un fatto inconcepibile per la mente umana. Inizia a caminare e appena dubita si spaventa e sprofonda, chiedendo di essere salvato da Gesù, il quale stende la mano e lo tira fuori dall’acqua. Nota è la frase di Cristo: «Uomo di poca fede, perché hai dubitato?» (Matteo 14,31) Notare che Pietro era probabilmente un bravo nuotatore essendo un pescatore professionista del Lago (“Mare”) di Galilea, ma si spaventa (Matteo 14,30). Questo brano è proprio tra i più significativi di cosa sia la fede. Fidarsi di Dio al di là di ogni comprensibile evidenza. Molti non osano nemmeno pregare in grande perché non osano credere che Dio possa operare personalmente in grande nella loro vita. Non chiedono, quindi non ottengono. Oppure al momento di fidarsi iniziano a dubitare. «È impossibile!» E immancabilmente sprofondano nei loro dubbi, molto più profondi dei quarantatré metri del lago di Tiberiade.

 

La risurrezione di Gesù Cristo – Scienza La risurrezione di Gesù Cristo – Fede
Un medico, Thomas A. Miller, ha analizzato la risurrezione di Cristo da un punto di vista scientifico nel suo saggio intitolato Did really Jesus rise from the dead? A surgeon-scientist examines the evidence. (Gesù è veramente risorto dai morti? Un chirurgo-scienziato esamina l’evidenza). Miller osserva prima di entrare nel merito della questione che Isaac Newton, Giovanni Keplero, Robert Boyle e Michael Faraday erano grandi scienziati, ma credevano tutti nella risurrezione di Cristo. Questo atteggiamento dei tempi antichi è in contrasto con la visione moderna. Molti scienziati moderni sono convinti nell’abilità della scienza di rispondere a domande che, se non possono essere validate usando un metodo scientifico, sono viste come inconoscibili o inesistenti. È la tesi di Richard Dawkins. Qualsiasi ipotesi che non può essere verificata con metodo scientifico è da scartare. Sembra quindi che la scienza non possa dire niente su una risurrezione. L’unico reperto scientificamente analizzabile e attinente a una presunta risurrezione è la Sindone di Torino. Uno studio molto importante è stato condotto sulla Sindone nel 1996 da un chirurgo uroginecologo statunitense cattolico, August Accetta – fondatore dello Shroud Center of Southern California – il quale ha realizzato un esperimento su se stesso iniettandosi una soluzione di fosfato di metilene contenente tecnezio-99m – un isotopo radioattivo usato in medicina nucleare – che decade rapidamente. Ogni atomo di tecnezio emette un unico raggio gamma che può essere registrato da un’apposita apparecchiatura di rilevamento. L’obiettivo era di realizzare un’immagine provocata da una radiazione emessa da un corpo umano eventualmente risorto. Secondo il dott. Accetta, infatti, l’immagine sulla Sindone potrebbe essere stata causata dall’energia sprigionatasi all’interno del corpo di Cristo al momento della resurrezione. Le immagini ottenute sono molto simili a quelle che si osservano sulla Sindone e davvero questo esperimento arriva fin sulla soglia del mistero di quell’impronta che richiama il mistero centrale della fede. Accetta riferisce che solo un evento miracoloso può spiegare pienamente la complessità dell’immagine. Il medico pensa che quando il corpo di Gesù sia diventato di luce, il lenzuolo della Sindone che lo copriva ha iniziato a passare attraverso il corpo perdendo la sua gravità. Accetta teorizza che mentre il lenzuolo funerario cadeva, esso assunse la corrispondente energia e le informazioni tridimensionali presenti sull’immagine, impossibili da riprodurre. A Roma nel 2008 dei ricercatori italiani hanno ‘ricreato’ la Sacra Sindone: irradiando tessuti di lino con un brevissimo e potentissimo lampo di luce prodotto da laser a eccimeri del Centro Enea di Frascati, sono riusciti a imprimere immagini con le stesse caratteristiche della figura della Sacra Sindone, in cui la colorazione riguarda solo le fibrille più superficiali, senza passaggio di colore sul rovescio della tela. I risultati dei loro esperimenti sono pubblicati sulla rivista «Applied Optics» e secondo Giuseppe Baldacchini, coordinatore della ricerca, avvalorano l’ipotesi che da sempre la Chiesa sostiene, e cioè che l’immagine di Cristo sia stata originata da un potente lampo di luce attribuito alla resurrezione. L’ipotesi è quindi che una fortissima luce si sprigionò da quel corpo all’interno di una grotta-sepolcro buia. Osservando l’immagine si nota che il volto non è illuminato né da destra né da sinistra. È esso stesso fonte di luce. Non corrisponde ad alcun stile pittorico, anzi, è stato modello di immagini sacre sin dai primi secoli. Sull’immagine non c’è pigmento. Non è un dipinto, non è prodotto dal contatto con un bassorilievo riscaldato. Se si osserva da meno di tre metri di distanza, l’immagine scompare. La stessa si vede meglio al negativo fotografico. Vi sono presenti pollini della Terra Santa e tracce di aragonite, visibili solo al microscopio. È polvere presente in Terra Santa. Trasferita sui ginocchi di Gesù in seguito alle tre cadute. Si trovano sul telo tracce di aloe e di mirra oltre che di aragonite (una composizione di carbonato di calcio, ferro e stronzio), una terra presente a Gerusalemme e, in particolare, in una tomba studiata dal Levy-Setti, ricercatore di Chicago che, confrontando con l’aragonite della Sindone, ha concluso che le due terre sono esattamente uguali.

 

È il centro della religione più diffusa al mondo, tanto da far scrivere a San Paolo: «Se Cristo non è risorto, è vana la vostra fede e voi siete ancora nei vostri peccati» (1 Corinzi 15,17). Non solo, a la promessa della risurrezione personale del proprio corpo è stata fatta personalmente da Cristo ai suoi fedeli: «Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue ha la vita eterna e io lo risusciterò nell’ultimo giorno» (Giovanni 6,54). Il cristiano crede che riavrà esattamente il suo corpo trasfigurato e adatto per una realtà ultraterrena. Un corpo che non dorme, mangia, soffre ed è limitato dalle leggi terrene. Un corpo maschile o femminile nel quale lui o lei riconoscerà come il proprio che ha avuto sulla Terra, prima della morte. Due miliardi e cento milioni di cristiani, almeno sulla carta, credono in questo. Ora (secondo lo scorrere del tempo terreno) in Paradiso solo Cristo e sua Madre hanno anche il proprio corpo ultraterreno.
Miracolo eucaristico di Bolsena – Scienza

Le ostie sanguinanti sono frequenti: Parigi, estate 1290, Bruxelles giugno 1369 e luglio 1379, Wilsnack, Germania, agosto 1383, Sternberg, Germania, luglio 1492, Berlino, estate 1510… Secondo Luigi Garlaschelli c’è una spiegazione scientifica a tutto questo. L’estate, fattore comune, e la cosiddetta “prodigiosina”, il batterio normalmente chiamato Serratia Marcescens. Non è una coincidenza che i miracoli microbiologici si siano verificati d’estate e in scarse condizioni igieniche. «A chi ha accesso a un laboratorio di microbiologia non è difficile riprodurre il miracolo di Bolsena». La Serratia Marcescens, anche se è talvolta causa d’infezioni, (più frequenti, paradossalmente, in ambienti ospedalieri) non è particolarmente pericolosa da maneggiare; si prepara una fettina rotonda di pane e la si pone in una capsula di Petri; vi si aggiungono alcune gocce di una coltura di Serratia, e dopo averla leggermente inumidita con acqua sterile, la si tiene in incubazione a circa 30° per un paio di giorni. Si producono macchie di un intenso colore rosso, spesso di aspetto mucillaginoso, molto simile al sangue. Se si lasciano seccare le fettine di pane, il pigmento resta stabile per lunghissimo tempo. Per evitare contaminazioni da microorganismi estranei, sarebbe opportuno operare secondo le tecniche microbiologiche atte a garantire la sterilità delle operazioni, ma di solito, anche senza utilizzare le apparecchiature prescritte (un’autoclave, una cappa a flusso laminare, ecc.), gli inquinamenti sono assai rari.[3]

Miracolo eucaristico di Bolsena – Fede

È l’estate del 1263 un prete boemo – Pietro da Praga – dubita della transustanziazione, cioè della trasformazione del pane e del vino consacrati sull’altare in corpo e sangue di Cristo. Si reca a Roma per meditare sui suoi dubbi di fede e sulla via del ritorno si ferma a Bolsena (VT). Là celebra messa e nel momento della consacrazione l’ostia inizia a sanguinare. Avvolge l’ostia in un panno e torna in sacrestia. Alcune gocce di sangue cadono a terra. Pietro corre da Papa Urbano IV che in quel momento si trovava a Orvieto. Il papa fa edificare una cappella nel duomo di Orvieto nel 1290. Seguiranno le cappelle costruite nel 1364 e 1504. Papa Urbano IV volle ricordare il miracolo istituendo la festa del Corpus Domini (Corpo del Signore) da celebrare il primo giovedì’ dopo l’ottava di Pentecoste. Nel duomo di Orvieto sono custoditi l’ostia, il corporale e i purificatoi. Le lastre del pavimento macchiate di sangue si trovano in una cappella dal 1704[4].

 

 

 

 

[1] L. GARLASCHELLI et al. “Nature, (10.10.1991) 507, Scientist say miracle no mystery, “Chicago Tribune”, 10.10.1991, Shakeup over sacred blood, “Science News”, 12.10.1991, p. 229

[2] Citato da J. NICKELL, Looking for a Miracle, Prometheus Books, Amherst, New York,1998, p. 77

[3] L. GARLASCHELLI, Miracoli microbiologici in «Scienza e paranormale», N. 11, Anno IV, Estate 1996, p. 18

[4] G. NADALI, Miracoli e Scienza, «Miracoli», Anno II, nn. 7 e 8

Giorgio Nadali


Miracoli biblici & scienza. 1

 

La separazione delle acque del Mar Rosso

La scienza ha recentemente confermato uno dei più grandi miracoli dell’Antico Testamento. La separazione delle acque del Mar Rosso da parte di Mosé. Il fenomeno è noto come wind set down in presenza di venti fortissimi nel punto in cui soricamente gli israeliti hanno attraversato il Mar Rosso. Esodo 14,21: «Allora Mosè stese la mano sul mare. E il Signore, durante tutta la notte, risospinse il mare con un forte vento d’oriente, rendendolo asciutto; le acque si divisero». Dando per scontato che il fatto riferito nella Bibbia come cronaca fedele degli eventi, l’oceanografo Doron Nof ha indagato sulla divisione delle acque del Mar Rosso dal punto di vista della fisica. Quello spirituale è chiaro: Dio si prende cura e salva il suo popolo in fuga dalla schiavitù in Egitto. Usando un fenomeno comune chiamato effetto wind set down, Nof ha scoperto che un vento che spira da nord ovest a venti metri al secondo per dieci / quattordici ore è sufficiente a causare la diminuzione del livello del mare di due metri e mezzo. Questo avrebbe esposto una dorsale sottomarina che gli israeliti hanno attraversato come se fosse terra asciutta. Questo evento è possibile fisicamente in quel luogo una volta ogni 2.400 anni. È quindi la tempistica, non il fenomeno che è miracoloso. Tuttavia, anche se scientificamente l’evento è possibile, la maggioranza dei biblisti sostiene che gli israeliti non abbiano attraversato il Mar Rosso. La parola originale ebraica yam suph dovrebbe essere tradotta come Mare di canne, non Mar Rosso. Il luogo si trova presso i Laghi Amari, un canneto paludoso a nord del Golfo di Suez, scoperta durante la costruzione del canale omonimo. Il lago è il Timsah (in Egitto), a metà strada tra Port Said e Suez. Un altro studioso come Colin Humphreys sostiene invece la tesi dell’attraversamento del Mar Rosso grazie al fenomeno del wind set down presso il Golfo di Aqaba. La larghezza attuale dell’inizio del Golfo di Aqaba è di circa 3,5 miglia (5,6 km). Suppongo che tremila anni fa le acque del golfo si estendessero più a nord e la distanza al suo inizio fosse inferiore, in base alle mie ispezioni nel 1999 e 2001. Comunque, presumiamo che gli israeliti dovessero attraversare 3,5 miglia per andare dalla riva occidentale alla testa del Golfo di Aqaba, a est. Dovevano attraversare con animali, bambini e anziani e spirava un vento fortissimo. Probabilmente ci misero due o tre ore per attraversare il Mar Rosso.

Il diluvio universale

Genesi 6,17: «Ecco io manderò il diluvio, cioè le acque, sulla terra, per distruggere sotto il cielo ogni carne, in cui è alito di vita; quanto è sulla terra perirà». È un racconto che spiega come Dio voglia distruggere il male e rifare tutto nuovo per il bene. Tuttavia è possibile che l’ispirazione del brano provenga da un’esondazione dei fiumi Tigri ed Eufrate probabili in quella zona (attuale Iraq). C’è chi ritiene di aver trovato resti dell’arca di Noè sul monte Ararat (Turchia). Secondo i biblisti i personaggi presenti nei primi undici capitoli di Genesi (come Adamo, Eva, Caino, Abele, Noè) non sono realmente esistiti. Sono capitoli scritti nel genere letterario mitico, allegorico, non in quello storico dei capitoli successivi, da Abramo in poi. A sostegno di questa tesi vi sono diversi fatti, oltre al genere letterario mitico del testo. L’arca di legno di cipresso era lunga centocinquanta metri. Le autorità in materia di costruzione sostengono che una nave di legno non può strutturalmente superare i cento metri. Senza rinforzi di acciaio una nave di quelle dimensioni avrebbe sicuramente dei cedimenti strutturali e sarebbe presto affondata con Noè e un numero di animali a bordo che si aggirerebbe dai diecimila ai ventimila. L’arca si arena sul monte (in realtà uno stratovulcano) Ararat, nell’attuale Turchia, circa seimila anni fa (4000 a.C.). Nessuna catastrofe di simili dimensioni si è abbattuta sulla Terra seimila anni fa. Qualsiasi archeologo ne troverebbe tracce ancora oggi. John McIntosh della Search Foundation ha rilavato diversi punti in calotte glaciali del vulcano spento Ararat, dove vi sarebbero frammenti dell’arca. Anche Marco Polo e l’astronauta James Irwin si sono dilettati nella ricerca dell’arca dio Noè. La struttura principale sarebbe nel cratere. Tuttavia l’analisi al Carbonio 14 (C14) di questi frammenti li ha datati dal VI al XIII secolo d.C. Secondo Gerald Larue della University of Southern California è improbabile che una struttura così vecchia abbia potuto resistere così a lungo a simili altezze (5.165 metri). Nessuna prova geologica può dimostrare che si sia verificato il diluvio universale nel periodo indicato. Per i musulmani il luogo dell’arca di Noè sarebbe invece il Monte Judi nel Nord Ovest dell’attuale Iran. Rimane salvo il vero significato del diluvio universale dell’arca di Noè. Dio ricrea il bene anche dalle situazioni più disastrose. La santità di Dio distrugge il peccato, ma da una nuova possibilità all’umanità. Il significato più vicino a noi è il Battesimo cristiano. L’acqua che rigenera dalla colpa del peccato originale. Il diluvio universale è un’anticipazione del Battesimo e di Dio che «fa nuove tutte le cose» (Apocalisse 21,5). Dopo undici capitoli pieni di punizioni (anche chi ama può punire, come i genitori) Dio decide di cambiare sistema e usa l’amore misericordioso. Chiama il primo patriarca Abramo (1800 a.C.) passando per la storia del popolo eletto (gli Ebrei) sino a inviare suo Figlio Gesù Cristo. Il racconto ha innumerevoli punti di somiglianza con il racconto mitico babilonese dell’epopea Gilgamesh (2600 a.C.). Il racconto del diluvio universale (come tutta la Genesi) è stato scritto nel VI secolo a.C. (3.400 anni dopo gli eventi narrati e 1.900 anni dopo il poema babilonese). Il mito del diluvio universale è presente anche nell’Induismo. Dopo un diluvio universale, il dio Vishnu recupera molte cose perse nell’oceano incarnandosi nella tartaruga Kurma.

Giorgio Nadali