I miracoli indù e la scienza yogica ashta ma siddhis

Miracoli indù? Certo! E sono tanti… L’Induismo classifica i miracoli e dà esempi di miracoli nella sua mitologia e nella vita di centinaia di santi. Il siddhar è chi ha il siddhi, potere soprannaturale, che è definito da otto tipi della scienza yogica (ashta ma siddhis). Questi sono: 1) Anima: potere di ridursi alla dimensione di un atomo e di entrare nella vita microscopica. 2) Mahima: potere di divenire potente e grande come Krishna. 3) Laghima: capacità di essere leggero, ma grande nelle dimensioni. 4) Garima: capacità di essere pesante come Shiva. 5) Praapti: capacità di entrare in tutti i mondi da Brahmaloka a Pathalam.6) Prakaamyam: potere di uscire dal corpo, entrare in altri corpi e andare in cielo e godere di ciò che si vuole. 7) Ishitvam: il potere di divenire un dio come Shiva. 8) Vasithvam: potere di influenzare chiunque. Questi poteri possono essere ottenuti da chiunque si impegni e si sforzi di praticare la disciplina spirituale (sadhana).

1) Si può divenire piccolo con l’umiltà, che dà il potere chiamato anima. 2) Si può divenire mahaan, grandi, aiutando gli altri. Chi serve gli altri è un mahatma. Aiutare gli altri dà il potere mahima. Mahatma (grande) è il titolo di Gandhi. 3) Si può divenire pesanti dal peso dei propri contributi alla società Dare continui contributi alla società dà il potere garima. 4) Si può divenire leggeri eliminando il proprio ego. Questo dà il potere laghima. 5) Si può aspirare a qualsiasi cosa cercando. La ricerca dà il potere praapti. 6) Si possono realizzare i propri desideri con la volontà. Questo dà il potere praakamyam. 7) Si può divenire signore assumendosi delle responsabilità. Questo dà il potere ishitvam. 8) Si può influenzare gli altri mediante l’amore e l’interessamento. Prendersi cura di qualcuno dà il potere vashitvam.

Giorgio Nadali


Miracolo della mistica. Il sufismo guarisce Karen

Un grave incidente di surf nel 2015. Karen Cavenaugh è in coma e al suo risveglio riceve una terrbile notizia: “Non  camminerai più”. Ma Karen non si dà per vinta. Ricorda una poesia letta 20 anni prima. E’ di  Jalāl al-Dīn Rūmī (1207-1273), il mistico persiano fondatore dell’ordine Mevlevi dei Dervisci rotanti, del misticismo Sufi. La poesia che ricorda Karen dice:

“Ho vissuto sull’orlo della follia volendo conoscere l’intelletto, bussando alla sua porta. Si apre, infatti. Ho bussato dall’interno”.

Così, Karen inizia a frequentare le lezioni di un maestro Sufi il cui insegnamento è centrato sulla mistica del ruotare vorticosamente su se stessi. Anche se Karen non è più in grado di ruotare il suo corpo, inizia a meditare  e a visualizzare il suo corpo che ruota. Poi, accade qualcosa di incredibile.

“Immediatamente, c’è stato un momento in cui ho sentito alcun dolore “, dice Karen . “Ho detto a mio marito:  so quello che devo fare. Voglio entrare nell’ordine dei Dervisci rotanti. Non sento più dolore”

Dopo diverse settimane , Karen dimostra a tutti i medici che si sono sbagliati: inizia a camminare di nuovo. E infine è anche in grado di ruotare. Si reca dalla sua casa negli Stati Uniti a Konya (Turchia) e riceve l’ordinazione dei Dervisci.

I Dervisci dell’Ordine dei Mevlevi appartengono a confraternite Islamiche (turuq) che raggiungono l’estasi mistica (jadhb) con una danza turbinante. Vivono in povertà similmente ai monaci cristiani.

La loro danza mistica è una forma di meditazione attiva che tra i Sufi (mistici) islamici. La danza è all’interno di una cerimonia religiosa di adorazione, la sema. L’obiettivo è il raggiungimento della sorgente di ogni perfezione, la kemal. Ascoltando la musica, i Dervisci rotanti abbandonano i propri desideri e il proprio ego focalizzandosi in Dio roteando il proprio corpo in cerchi continui, imitazione dell’orbita dei pianeti del sistema solare attorno al sole. Nel 2005 l’UNESCO ha proclamato la cerimonia sema dei Dervisci Mevlevi della Turchia, uno dei Patrimoni orali e immateriali dell’umanità. L’Ordine è stato fondato nel 1273 a Konya, da dove si è diffuso in tutto l’impero ottomano. Oggi i Mevlevi si trovano in comunità della Turchia in tutto il mondo e soprattutto a Konya e Istanbul.

Durante la danza mistica viene eseguito il repertorio musicale detto ayin. Lo ayin si basa su quattro sezioni strumentali e vocali con ritmi ciclici contrastanti. Ci sono un flautista (neyzen), un suonatore di tamburo e uno di cembalo. I danzatori si preparano con 1.001 giorni di esercitazione in clausura (mevlevihane) dover apprendono l’etica, i codici di comportamento, la vita di preghiera, la poesia e la danza. Dopo la preparazione sono membri dell’ordine, ma possono combinare vita la civile con quella spirituale.
Dopo un digiuno di diverse ore, i Dervisci rotanti iniziano la loro danza circolare su se stessi, partendo dal loro piede sinistro, usando il destro per guidare il proprio corpo attorno al piede sinistro. Gli occhi devono rimanere aperti.

Nel simbolismo del rito sema il copricapo del semazen rappresenta la tomba dell’ego, la sua gonna larga, chiamata tennure, rappresenta il sudario mortuario dell’ego. Quando si toglie il suo mantello nero (hurka) significa che è rinato spiritualmente alla verità. All’inizio del rituale sema, lo semazen tiene le sue braccia incrociate perché vuole significare il numero uno, l’unicità di Dio. Mentre gira vorticosamente, il danzatore tiene le braccia aperte con il braccio destro che punta verso il cielo, pronto a ricevere il favore divino. La sua mano sinistra punta verso terra. Lo semazen convoglia i doni spirituali di Dio verso i presenti che assistono alla sema. Roteando il suo corpo da destra a sinistra il semazen abbraccia tutta l’umanità con amore. Tra gli altri rituali dervisci vi è la dhikr, la recita di preghiere per raggiungere il trance estatico. L’impeto della danza circolare dei Dervisci è dato dal piede destro. Questo rito rappresenta il massimo del misticismo islamico dei Sufi.

Il sufismo è un processo per raggiungere la vicinanza con Dio attraverso l’amore, mediante la purificazione del proprio ego.
Ogni ordine di Mevlevi ha una sua danza particolare che può variare nei singoli Paesi Islamici. Invece della sama, la pratica devozionale della dhikr della confraternita islamica (tariqa) Qadiri Rifai, esegue la rotazione Sufi aggiungendovi l’uso di strumenti musicali, l’ingerimento di scorpioni vivi, vetro e carboni ardenti , la chiaroveggenza, la punzonatura di parti del corpo con spilloni e la levitazione del corpo.

I Sufi credono nella ghaiba, (“assenza”). È lo stato in cui la persona nonostante sia stata tolta da Dio dall’apparenza visibile sulla Terra, sia ancora viva e rimanga in maniera invisibile nel mondo. L’esempio è l’Imām invisibile (al- Mahdī). La ghaiba è anche uno stadio spirituale sūfī sul percorso verso la fanā, l’assenza da sé e presenza (ḥaḍra) solo a Dio. Il sufismo è un via verso Dio attraverso l’amore. In Iran il termine dei Sufi per amore è ‘Ishq, una parola che deriva da ‘ashaqah, un tipo di vite. Quando questa vite si attorciglia a un albero, questo muore. Anche l’amore per le realtà terrene asciuga e ingiallisce l’albero del corpo. Ma l’amore spirituale fa seccare la radice del proprio egoismo. Il risultato finale della muhabbah (gentilezza) è ‘Ishq (amore). Questo è più puro della muhabbah e non tutta la gentilezza porta a ‘Ishq.

Giorgio Nadali

(foto dell’autore, Il Cairo)


Un corso di Miracoli

“A Course in Miracles” appartiene all’area dei Nuovi Culti di matrice spiritistica/New Age. Nell’ottobre del 1965 Helen Schucman, docente associato di psicologia clinica alla Columbia University di New York, iniziò a ricevere messaggi attraverso il channelling, da un interlocutore che si sarebbe poi identificato come Gesù Cristo.

Nei dieci anni seguenti la voce ha dettato con voce inaudibile i tre volumi, 1188 pagine, del libro conosciuto come “A Course in Miracles” cioè “Un Corso di Miracoli”. Un testo dichiaratamente neo-gnostico popolare nel New Age, considerata quest’ultima dalla Chiesa Cattolica come neo-gnosticismo e quindi in contrasto con la sua dottrina. 2200 sono i gruppi gruppi nel mondo

Per capire la loro visione ricordo brevemente che con il termine “gnosticismo” si intende un movimento di pensiero, centrato sul concetto di conoscenza, che si sviluppò entro i confini dell’Impero Romano durante il secondo e il terzo secolo dopo Cristo. Con il termine “gnosi” si intende un insieme di tendenze universali di pensiero che trovano il loro denominatore comune nel concetto di conoscenza. Il manicheismo, il mandeismo, la cabbala possono essere considerate forme di gnosi. Se il termine “gnosticismo” riveste una connotazione storica precisa, il termine “gnosi” ne è invece privo. Nello gnosticismo cristiano il salvatore è Gesù Cristo, che porta agli uomini il messaggio divino. Egli è sceso in forma umana per non essere notato dai detentori del potere prima del tempo, ma non era veramente uomo, e quindi non ha preso su di sé la sofferenza e la morte. La questione se già la gnosi precristiana conoscesse la figura di un redentore non può essere risolta con certezza. Poiché il richiamo alla liberazione può essere trasmesso in vari modi, il mito gnostico è fondamentalmente aperto ad ammettere anche la figura di un salvatore: non necessariamente una figura celeste, poiché l’annuncio liberatore può verificarsi anche senza mediazione.

“Un corso nei miracoli è un sistema spirituale di autodidattica che insegna che la via per l’amore e la pace universale è quello di annullare il senso di colpa attraverso il perdono. Questo perdono è per gli altri come per se stessi. Il Corso crede che solo l’amore sia reale e che qualsiasi cosa di negativo sia un’illusione della propria mente, mondo compreso. Il mondo che vediamo è solo un frammento della propria immaginazione e rendersi conto di ciò conduce all’ultima verità: il Paradiso. Il Corso, in opposizione alla dottrina biblica, insegna che l’ego (non Dio) abbia creato il mondo. Il mondo che vediamo è illusorio e Dio non sa che esista. Il Corso mette l’accento sul fatto che non sia l’unica via da seguire, perché “alla fine, tutte conducono a Dio”

“A Course in Miracles” ha pubblicato in inglese un manuale per insegnanti, per aiutarli a migliorare l’apprendimento degli alunni. Inizia descrivendo le caratteristiche dell’insegnante di Dio: onestà, fiducia, tolleranza, gentilezza, gioia, arrendevolezza, generosità, pazienza, fede e mente aperta. Il manuale è scritto sotto forma di domande che uno studente potrebbe porre.

Ad esempio: Chi è un insegnante di Dio? La risposta è la seguente. Un insegnante di Dio è chiunque decida di esserlo. La sua qualifica consiste solo in questo. In qualche modo ha scelto di non seguire i propri interessi in contrasto con quelli di altri. Quando un alunno e un insegnante entrano in contatto inizia una relazione educativa. L’insegnante non è quello che realmente conduce l’educazione. La relazione è divina perché Dio ha promesso di mandare il suo Spirito in tutte le relazioni sante. Nella situazione di insegnamento-apprendimento, ognuno impara che dare e ricevere sono la stessa cosa… L’insegnante di Dio non usa livelli di apprendimento. Ogni lezione di apprendimento-insegnamento implica una diversa relazione al principio, nonostante il fine ultimo sia lo stesso. Fare della relazione una relazione santa in cui entrambi possano guardare al Figlio di Dio senza peccato. .. Chiunque è un insegnante? La tendenza del manuale è di sostenere che ognuno è un insegnante, ma la grande maggioranza consiste in “insegnanti” del curriculum di questo mondo, insegnanti dell’ego. Molto pochi sono gli insegnanti di Dio. Come insegnare? Con le nostre parole, azioni o pensieri? Secondo “A Course in Miracles” noi insegnamo con tutti e tre. Ma ciò che realmente costituisce l’insegnamento è il sistema di pensiero che sta dietro le nostre parole, azioni, e pensieri. Il manuale sostiene che il vero contenuto che si insegna è “ciò che pensi, ciò che sei e ciò che ritieni costituisca la relazione degli altri con te. Per questa ragione, le nostre parole divengono strumenti effettivi di insegnamento per Dio, quando sono sostenute dalla nostra vita, quando “diamo un esempio delle parole in noi”. Quando ci qualifichiamo come insegnanti di Dio? Il manuale riferisce la seguente idea: Diveniamo insegnanti di Dio quando siamo pronti ad insegnare realmente, con i nostri pensieri, parole, e azioni, il sistema di pensiero di Dio. In altre parole, diventiamo un insegnante di Dio quando abbiamo raggiunto un certo posto sulla scala spirituale. Gli insegnanti “generici” di Dio – tutti gli insegnanti di Dio – compresi coloro che insegnano percorsi diversi da “ A Course in Miracles” – raggiungono questo stadio quando sono in grado di fare una singola scelta deliberata in cui non vedono il loro interesse come separato dall’interesse di un’altra persona. Questa non è una scelta che la gente fa abitualmente.

Giorgio Nadali


Digiuni miracolosi

 

Anorexia mirabilis, letteralmente “miracolosa mancanza di appetito”. Si riferisce esclusivamente a donne e ragazze cattoliche che nel Medio Evo si lasciavano morire di fame nel nome di Dio. L’obiettivo della Anorexia mirabilis era quello di avvicinarsi a Dio ed era spesso associata ad altre pratiche, come il voto di castità, l’autoflagellazione, l’uso del cilicio, il dormire su letti fatti di chiodi, ed altri tipi di auto mutilazioni. Il fenomeno è anche noto come inedia prodigiosa. Nel tardo Medioevo erano molte le donne o ragazze che si privavano volontariamente del cibo.

Alcune di queste donne erano:

Caterina da Siena (1347 – 1380) : si diceva che vivesse solo di erbe nonostante il confessore le ordinasse di mangiare qualcosa. Quando era obbligata usava un ramoscello per provocare il vomito.

  • Beata Maria di Oignies (fondatrice delle beghine). Disprezzava l’odore del cibo.
  • Beatrice di Nazareth – insieme a Maria di Oignes vomitava mediante l’odore della carne.
  • Giovanna Senza Carne”, si privò del cibo per quindici anni, nutrendosi solo dell’Eucaristia.
  • Beata Colomba da Rieti (XV secolo): morì volontariamente di fame.
  • Santa Veronica : non mangiò nulla per tre giorni, ma masticava cinque semi di arancia il venerdì in ricordo delle cinque piaghe di Cristo.
  • Maria Maddalena de’ Pazzi
  • Santa Margherita di Cortona (patrona delle prostitute pentite)
  • Santa Vilgefortis, una santa barbuta, perché chiese a Dio di renderla ripugnante nell’aspetto. Fu esaudita il giorno prima delle nozze, ma il re – suo padre – la fece crocifiggere. Per la sua barba alcuni formulano l’ipotesi di squilibri ormonali dovuti all’anorexia mirabilis.

 

Anorexia Mirabilis letteralmente significa “miracolosa mancanza di appetito”. Si riferisce quasi esclusivamente a donne e ragazze del Medioevo che si lasciavano morire di fame in nome di Dio. Il fenomeno è conosciuto anche con il nome di inedia prodigiosa.

Nell’anoressia nervosa, la persona digiuna per raggiungere un livello di magrezza, perché vi è una distorsione dell’immagine del proprio corpo. Al contrario, l’anoressia mirabilis frequentemente è stato associata con altre pratiche di ascetismo, come il voto di castità, l’autoflagellazione, l’indossare il cilicio, dormire su letti di spine e altre auto-mutilazioni. Era in gran parte una pratica di donne cattoliche, che spesso erano conosciute come “fanciulle miracolose”.

 

Fino a poco tempo fa la rotondità era un chiaro segno di benessere e il dimagrimento un segno di povertà o di problemi di salute o entrambi. Le donne in genere non cominciarono a privarsi del cibo per ottenere la bellezza esteriore fino all’epoca vittoriana, tuttavia morivano di fame per l’appagamento spirituale. Sia Angela da Foligno (1248–1309) che Caterina da Siena (1347–1380) hanno vissuto l’anoressia mirabilis rifiutando il cibo e bevendo il pus delle piaghe dei malati. Angela da Foligno le definiva “dolci come l’Eucaristia” e mangiava le croste e i pidocchi dei malati. Molte donne notoriamente hanno rifiutato tutti gli alimenti tranne la Santa Eucaristia, a significare non solo la loro devozione a Gesù, ma anche la loro separazione tra corpo e spirito. Il caso più famoso di anoressia mirabilis è di Santa Caterina di Siena, che non mangiava nulla se non una cucchiaiata di erbe al giorno, a parte l’Eucaristia. Qualsiasi cibo supplementare che la costringevano a mangiare lo espelleva infilandosi un ramoscello in gola. Santa Veronica digiunava per periodi di tre giorni e masticava cinque semi che rappresentano le cinque piaghe di Gesù crocifisso. Maria di Oignies (1167–1213) visse come una eremita, indossava solo un abito bianco e si mutilava per soffocare il suo desiderio. Con Beatrice di Nazareth sostenne che non solo l’odore di carne le faceva vomitare, ma anche che il minimo odore di cibo causava l’ostruzione della gola.

Una banda di stupratori spogliarono Colomba di Rieti (1467–1501), ma si ritirarono quando si accorsero che lei aveva mutilato i suoi seni e i fianchi con catene chiodate e frustate. Colomba si lasciò morire di fame. Molte di queste donne hanno sostenuto di possedere almeno in parte l’illuminazione spirituale legata al loro ascetismo. Sostennero di provare “ebbrezza” con il vino Santo e “fame” di Dio sedendosi al “delizioso banchetto di Dio”.

Margherita di Cortona (1247–1297) riferì di avere una estesa comunicazione con Dio stesso. Colomba di Rieti riteneva che il suo spirito visitò la Terra Santa in visioni e tutte queste donne avevano un certo livello di abilità psichiche. Gli esercizi di abnegazione e sofferenza di queste donne hanno dato loro fama e notorietà. Si diceva che fossero in grado di trasudare olio dai loro polpastrelli, di guarire con la loro saliva e compiere altri miracoli.

La pratica dell’anoressia mirabilis sparì durante il Rinascimento, quando cominciò ad essere giudicata dalla Chiesa come pratica eretica, socialmente pericolosa e forse addirittura satanica. Riuscì a sopravvivere in pratica fino quasi al XX secolo, quando fu superata dalla sua controparte più popolarmente conosciuta: l’anoressia nervosa.

Giorgio Nadali


Miracoli & scienza. 1

 

 

Il sangue di San Gennaro – Scienza Il sangue di San Gennaro – Fede
L’ipotesi scientifica più accreditata è quella tissotropica. È la capacità di alcuni gel di diventare più fluidi se agitati, fatti vibrare, turbati meccanicamente, per poi risolidificarsi se lasciati a riposo. La liquefazione del sangue è avvenuta anche durante lavori di riparazione del reliquario nel 1965 mentre la struttura veniva agitata. Questo non implica la malafede, ma è un fenomeno fisico. La Chiesa ha sempre vietato di aprire il contenitore sigillato. Una spettroscopia è stata eseguita nel 1902 e nel 1989. Sono state rilevati ematina e emocrogeno, prodotti di degradazione dell’emoglobina del sangue umano. Il fenomeno è stato simulato nel 1991 creando un gel tissotropico composto da gesso, acqua salata e cloruro ferrico.[1] È uno dei miracoli più studiati. Anche il fisico Enrico Fermi mostrò interesse per questo fenomeno. Il sangue di San Gennaro, decapitato nel 305 d.C. è contenuto in un’ampolla di vetro trasparente sigillata dal contenuto di sessanta millilitri custodita nella cattedrale di Napoli e ogni anno durante la festa liturgica del santo, torna allo stato liquido. Il fatto fu documentato per la prima volta il 17 agosto 1389 a Napoli. Il miracolo non è mai stato riconosciuto ufficialmente dalla Chiesa cattolica, anche se ogni anno il primo sabato di maggio, il 19 settembre e il 16 dicembre, l’arcivescovo di Napoli celebra personalmente la cerimonia in cui maneggia l’ampolla con il sangue liquefatto davanti all’assemblea dei fedeli. Un rappresentante della Chiesa ha dichiarato che “può non essere un miracolo, ma qualsiasi cosa sia, agisce fuori dalle leggi naturali”.[2]

 

Miracolo eucaristico di Lanciano – Scienza Miracolo eucaristico di Lanciano – Fede
Il Prof. Edoardo Linoli, docente di anatomia e istologia, direttore del laboratorio di analisi cliniche e di anatomia patologica dell’ospedale S. Maria Sopra i Ponti (AR) ha dichiarato nel 1971 che 1) la carne è veramente carne umana del muscolo striato miocardico 2) il sangue è autentico di gruppo AB (lo stesso rinvenuto sulla Sindone di Torino) e appartiene alla stessa persona della carne 3) non vi sono sostanze conservanti. Il docente esclude l’ipotesi di un falso perché “solamente una mano esperta in dissezione anatomica avrebbe potuto ottenere un “taglio” uniforme di un viscere incavato” e “il sangue fosse stato prelevato da un cadavere, si sarebbe rapidamente alterato, per deliquescenza o putrefazione”. È l’unico miracolo che ha suscitato l’interesse del Consiglio superiore dell’Organizzazione mondiale della Sanità, O.M.S./O.N.U che ha fatto eseguire 500 esami in 15 mesi, confermando quelli di Linoli. In un anno imprecisato tra il 730 e il 750 d.C. a Lanciano (Chieti), durante la consacrazione dell’Eucaristia un modo dubbioso, mentre sta celebrando, vede trasformarsi l’ostia in carne umana e il vino in sangue. Ora il tutto è custodito in una teca di cristallo nel Santuario del Miracolo Eucaristico, a Lanciano.

 

La Sacra Sindone – Scienza La Sacra Sindone – Fede
È il più importante enigma scientifico-religioso esistente al mondo. Ben venticinque scienze hanno studiato la Sindone e nessuna sino ad ora è riuscita a stabilire esattamente che cosa abbia prodotto l’immagine sul telo di lino. Gli esperti ritengono che si sia prodotto attraverso un’energia sconosciuta che ha impresso il telo, una radiazione fotoradiante che si è sprigionata dal corpo di Gesù Cristo nel buio del sepolcro al momento delle risurrezione. Il volto non è illuminato né da destra né da sinistra. Il volto stesso è fonte di luce. L’immagine, visibile meglio al negativo fotografico, presenta tutti i segni della Passione di Cristo e scompare se ci si avvicina a meno di tre metri di distanza. Non vi è pigmento. Non è un dipinto e non è una strinatura, né un’immagine prodotta dal contatto con un bassorilievo riscaldato. La scienza della palinologia ha scoperto la presenza di pollini della terra santa e di tutti i luoghi dove è stata portata. La numismatica ha verificato che vicino all’occhio destro è stato trovato un lituus, una moneta romana del tempo dell’imperatore Tiberio Cesare, che regnava al tempo in cui fu crocefisso Gesù… Dal 2000 è conservata al buio, sotto gas inerti, nel duomo di Torino. L’informatica ha prodotto un modello tridimensionale del corpo, basandosi sull’immagine. La storia antica ha scoperto che il corpo presenta tutti i segni di una tipica flagellazione romana e la singolarità della coronazione di un casco (non una corona) di spine, che i romani non usavano solitamente. I biblisti concordano sui fatti della Passione di Cristo, testimoniati dall’immagine della Sindone, come il colpo all’emitorace destro prodotto da una lancia e dal quale uscì sangue e acqua. L’anatomia ha confermato questa ipotesi basandosi sul siero accumulatosi in fase di agonia. E questo confermerebbe anche la profezia «non gli sarà spezzato alcun osso» (Esodo 12,46), cosa che i romani erano soliti fare per l’accertamento di morte. Troppi indizi coincidono. Sulla Sindone c’è sangue umano maschile di gruppo AB e aragonite, minerale presente nelle grotte di Gerusalemme. Addirittura la matematica si è interessata al lenzuolo sacro. Col suo freddo calcolo delle probabilità, mettendo insieme gli indizi raccolti dalle venticinque scienze che hanno studiato la reliquia più venerata al mondo, ha stabilito che c’è una possibilità su duecento miliardi che l’uomo della sindone non sia Gesù Cristo. Nel 2000 Joseph Marino e Marie Sue Benford hanno formulato l’ipotesi che il test della datazione medievale risultata dall’esame del 1978 al radiocarbonio C14 fosse errato perché erano presenti rammendi di epoca più recente nella zona del prelievo per il test svolto in quattro laboratori (due in Arizona, uno a Zurigo, uno a Oxford). La loro tesi è stata validata da Raymond Rogers, lo scienziato che per primo analizzò la Sindone nel 1978 e pubblicò i risultati della datazione dal 1260 al 1370 d.C. al radiocarbonio, sulla rivista scientifica «Thermochimica Acta». Pochi mesi prima della sua morte Rogers scrisse un articolo dove descriveva le ultime scoperte. La conclusione fu che la datazione al radiocarbonio del 1978 era esatta, ma i campioni usati per il test non erano parte originale della Sindone e irrilevanti per stabilirne la reale datazione. La Chiesa cattolica non ha più permesso altre indagini al radiocarbonio C14, dopo il 1978 perché questo test prevede la bruciatura dei campioni usati. Al primo posto tra le reliquie più importanti del cattolicesimo è la Sacra Sindone di Torino.   L’ostensione al pubblico della reliquia attira mediamente due milioni di visitatori a Torino. L’ultima è avvenuta nel 2010. La Sindone parla al cuore della fede cristiana perché presenta tutte le tracce della Passione di Cristo. Vi sono 120 segni del flagrum romano usato per la flagellazione. La calotta cranica presenta i segni della corona di spine. Gli artisti dipingevano una coroncina. Qui ci sono invece i segni di un casco che copre tutta la testa. Un’usanza del tutto assente nelle pratica della crocifissione. Lo stesso vale per le mani. I chiodi appaioni infissi nei polsi, non nei palmi come l’arte presenta. I pollici non si vedono a causa della perforazione del nervo mediano che li ha fatti ritrarre. Questo è più in linea con l’usanza romana di rendere stabile un corpo sulla croce. Ma l’aspetto più sorpendente è la maestosità dell’immagine, quella che ha dato origine a tutte le rappresentazioni artistiche del volto di Cristo. Anche i tratti somatici sono in linea con la stirpe ebraica. Un volto che sembra dormire. Un corpo martoriato che esprime però una serenità paradisiaca. Al negativo fotografico l’immagine esplode nella sua misticità. Per i credenti è il segno che la morte non ha più l’ultima parola. Un corpo che ha emanato luce al momento della risurrezione, che Gesù ha promesso a tutti (Giovanni 6,54). Già San Girolamo (IV sec.) diceva: «Il sepolcro vuoto è la culla del Cristianesimo». In un passo dello Pseudo Cipriano – uno dei Padri della Chiesa e vescovo di Cartagine (III sec.) Gesù dice: «Voi mi vedrete così come si può vedere uno nell’acqua o in uno specchio». Infatti il corpo è visibile meglio al negativo fotografico. All’esame del VP8-Analyzer della NASA il corpo presenta una risoluzione in tre dimensioni. Cosa che non accade con le normali immagini fotografiche. La Sindone è custodita a Torino dal 1578. Nel 1983 Umberto II di Savoia la donò al Vaticano indicandone la custodia all’arcivescovo di Torino.

 

 

 

Gesù cammina sull’acqua – Scienza

 

Gesù cammina sull’acqua – Fede

Il Vangelo di Marco racconta di Gesù che attraversa camminando sull’acqua la sponda occidentale del lago di Tiberiade o Mare di Galilea (Kinneret). Il più grande (166 Km quadrati) di Israele con una circonferenza di cinquantatré chilometri e il più grande del mondo d’acqua dolce sotto il livello del mare (meno 213 metri). Marco 6,48: «Vedendoli però tutti affaticati nel remare, poiché avevano il vento contrario, già verso l’ultima parte della notte andò verso di loro camminando sul mare, e voleva oltrepassarli». Il lago di Galilea (HaGalil) è profondo quarantatré metri e non ha punti di secca. Andrè Kole – illusionista – ha camminato sulle acque del lago Saguaro in Arizona (USA); ma per fare questo sono state necessarie ore di preparazione e una strumentazione tecnologica avanzata. In realtà Kole, che è un credente convertito, usa l’illusionismo per smascherare gli imbroglioni e dimostrare che alcune cose si possono compiere o per dono di Dio oppure grazie alle illusioni create dalla tecnologia moderna. Lo storico Morton Smith scrisse nel 1978 Jesus the Magician: Charlatan or Son of God? (Gesù il Mago: Ciarlatano o Figlio di Dio?) riprendendo un’antica idea del filosofo anticristiano Celso (200 d.C.) «Sulla vera dottrina». Il trucco illusionistico di camminare sull’acqua è stato presentato recentemente anche sul Tamigi a Londra dall’illusionista Dynamo (Steven Frayne), in pieno giorno. Difficilmente però Gesù può aver usato la seguente tecnica. Il polimetilmetacrilato, meglio noto come plexiglas. Non esisteva a quel tempo. È stato inventato nel 1928 (d.C.). Una lastra di plexiglas è stata posta la notte prima in un’area delimitata del fiume, dopo aver chiesto il permesso alle autorità locali. Dynamo passa in zone delimitate dal plexiglas e le canoe gli passano accanto, dando l’illusione che non vi sia nulla sott’acqua. Infine un telecomando fa abbassare un’area della passerella di plexiglas per far transitare il traghetto. La preparazione ha richiesto sette ore notturne di lavoro sul Tamigi e un costo di circa ottomila sterline. Sembrerebbe però che tutto ciò abbia ben poco a che fare con la camminata di Cristo alle prime luci dell’alba nel centro del lago di Galilea (chiamato “mare”).

 

È uno dei trentaré miracoli di Cristo narrati nei Vangeli. L’episodio è chiaro. Gesù chiede una fede che vada oltre l’evidenza. (Logicamente l’evidenza non ha bisogno della fede). Pietro chiede a Cristo di avvicinarsi a lui camminando anch’esso sull’acqua. In realtà non si fida di fronte ad un fatto inconcepibile per la mente umana. Inizia a caminare e appena dubita si spaventa e sprofonda, chiedendo di essere salvato da Gesù, il quale stende la mano e lo tira fuori dall’acqua. Nota è la frase di Cristo: «Uomo di poca fede, perché hai dubitato?» (Matteo 14,31) Notare che Pietro era probabilmente un bravo nuotatore essendo un pescatore professionista del Lago (“Mare”) di Galilea, ma si spaventa (Matteo 14,30). Questo brano è proprio tra i più significativi di cosa sia la fede. Fidarsi di Dio al di là di ogni comprensibile evidenza. Molti non osano nemmeno pregare in grande perché non osano credere che Dio possa operare personalmente in grande nella loro vita. Non chiedono, quindi non ottengono. Oppure al momento di fidarsi iniziano a dubitare. «È impossibile!» E immancabilmente sprofondano nei loro dubbi, molto più profondi dei quarantatré metri del lago di Tiberiade.

 

La risurrezione di Gesù Cristo – Scienza La risurrezione di Gesù Cristo – Fede
Un medico, Thomas A. Miller, ha analizzato la risurrezione di Cristo da un punto di vista scientifico nel suo saggio intitolato Did really Jesus rise from the dead? A surgeon-scientist examines the evidence. (Gesù è veramente risorto dai morti? Un chirurgo-scienziato esamina l’evidenza). Miller osserva prima di entrare nel merito della questione che Isaac Newton, Giovanni Keplero, Robert Boyle e Michael Faraday erano grandi scienziati, ma credevano tutti nella risurrezione di Cristo. Questo atteggiamento dei tempi antichi è in contrasto con la visione moderna. Molti scienziati moderni sono convinti nell’abilità della scienza di rispondere a domande che, se non possono essere validate usando un metodo scientifico, sono viste come inconoscibili o inesistenti. È la tesi di Richard Dawkins. Qualsiasi ipotesi che non può essere verificata con metodo scientifico è da scartare. Sembra quindi che la scienza non possa dire niente su una risurrezione. L’unico reperto scientificamente analizzabile e attinente a una presunta risurrezione è la Sindone di Torino. Uno studio molto importante è stato condotto sulla Sindone nel 1996 da un chirurgo uroginecologo statunitense cattolico, August Accetta – fondatore dello Shroud Center of Southern California – il quale ha realizzato un esperimento su se stesso iniettandosi una soluzione di fosfato di metilene contenente tecnezio-99m – un isotopo radioattivo usato in medicina nucleare – che decade rapidamente. Ogni atomo di tecnezio emette un unico raggio gamma che può essere registrato da un’apposita apparecchiatura di rilevamento. L’obiettivo era di realizzare un’immagine provocata da una radiazione emessa da un corpo umano eventualmente risorto. Secondo il dott. Accetta, infatti, l’immagine sulla Sindone potrebbe essere stata causata dall’energia sprigionatasi all’interno del corpo di Cristo al momento della resurrezione. Le immagini ottenute sono molto simili a quelle che si osservano sulla Sindone e davvero questo esperimento arriva fin sulla soglia del mistero di quell’impronta che richiama il mistero centrale della fede. Accetta riferisce che solo un evento miracoloso può spiegare pienamente la complessità dell’immagine. Il medico pensa che quando il corpo di Gesù sia diventato di luce, il lenzuolo della Sindone che lo copriva ha iniziato a passare attraverso il corpo perdendo la sua gravità. Accetta teorizza che mentre il lenzuolo funerario cadeva, esso assunse la corrispondente energia e le informazioni tridimensionali presenti sull’immagine, impossibili da riprodurre. A Roma nel 2008 dei ricercatori italiani hanno ‘ricreato’ la Sacra Sindone: irradiando tessuti di lino con un brevissimo e potentissimo lampo di luce prodotto da laser a eccimeri del Centro Enea di Frascati, sono riusciti a imprimere immagini con le stesse caratteristiche della figura della Sacra Sindone, in cui la colorazione riguarda solo le fibrille più superficiali, senza passaggio di colore sul rovescio della tela. I risultati dei loro esperimenti sono pubblicati sulla rivista «Applied Optics» e secondo Giuseppe Baldacchini, coordinatore della ricerca, avvalorano l’ipotesi che da sempre la Chiesa sostiene, e cioè che l’immagine di Cristo sia stata originata da un potente lampo di luce attribuito alla resurrezione. L’ipotesi è quindi che una fortissima luce si sprigionò da quel corpo all’interno di una grotta-sepolcro buia. Osservando l’immagine si nota che il volto non è illuminato né da destra né da sinistra. È esso stesso fonte di luce. Non corrisponde ad alcun stile pittorico, anzi, è stato modello di immagini sacre sin dai primi secoli. Sull’immagine non c’è pigmento. Non è un dipinto, non è prodotto dal contatto con un bassorilievo riscaldato. Se si osserva da meno di tre metri di distanza, l’immagine scompare. La stessa si vede meglio al negativo fotografico. Vi sono presenti pollini della Terra Santa e tracce di aragonite, visibili solo al microscopio. È polvere presente in Terra Santa. Trasferita sui ginocchi di Gesù in seguito alle tre cadute. Si trovano sul telo tracce di aloe e di mirra oltre che di aragonite (una composizione di carbonato di calcio, ferro e stronzio), una terra presente a Gerusalemme e, in particolare, in una tomba studiata dal Levy-Setti, ricercatore di Chicago che, confrontando con l’aragonite della Sindone, ha concluso che le due terre sono esattamente uguali.

 

È il centro della religione più diffusa al mondo, tanto da far scrivere a San Paolo: «Se Cristo non è risorto, è vana la vostra fede e voi siete ancora nei vostri peccati» (1 Corinzi 15,17). Non solo, a la promessa della risurrezione personale del proprio corpo è stata fatta personalmente da Cristo ai suoi fedeli: «Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue ha la vita eterna e io lo risusciterò nell’ultimo giorno» (Giovanni 6,54). Il cristiano crede che riavrà esattamente il suo corpo trasfigurato e adatto per una realtà ultraterrena. Un corpo che non dorme, mangia, soffre ed è limitato dalle leggi terrene. Un corpo maschile o femminile nel quale lui o lei riconoscerà come il proprio che ha avuto sulla Terra, prima della morte. Due miliardi e cento milioni di cristiani, almeno sulla carta, credono in questo. Ora (secondo lo scorrere del tempo terreno) in Paradiso solo Cristo e sua Madre hanno anche il proprio corpo ultraterreno.
Miracolo eucaristico di Bolsena – Scienza

Le ostie sanguinanti sono frequenti: Parigi, estate 1290, Bruxelles giugno 1369 e luglio 1379, Wilsnack, Germania, agosto 1383, Sternberg, Germania, luglio 1492, Berlino, estate 1510… Secondo Luigi Garlaschelli c’è una spiegazione scientifica a tutto questo. L’estate, fattore comune, e la cosiddetta “prodigiosina”, il batterio normalmente chiamato Serratia Marcescens. Non è una coincidenza che i miracoli microbiologici si siano verificati d’estate e in scarse condizioni igieniche. «A chi ha accesso a un laboratorio di microbiologia non è difficile riprodurre il miracolo di Bolsena». La Serratia Marcescens, anche se è talvolta causa d’infezioni, (più frequenti, paradossalmente, in ambienti ospedalieri) non è particolarmente pericolosa da maneggiare; si prepara una fettina rotonda di pane e la si pone in una capsula di Petri; vi si aggiungono alcune gocce di una coltura di Serratia, e dopo averla leggermente inumidita con acqua sterile, la si tiene in incubazione a circa 30° per un paio di giorni. Si producono macchie di un intenso colore rosso, spesso di aspetto mucillaginoso, molto simile al sangue. Se si lasciano seccare le fettine di pane, il pigmento resta stabile per lunghissimo tempo. Per evitare contaminazioni da microorganismi estranei, sarebbe opportuno operare secondo le tecniche microbiologiche atte a garantire la sterilità delle operazioni, ma di solito, anche senza utilizzare le apparecchiature prescritte (un’autoclave, una cappa a flusso laminare, ecc.), gli inquinamenti sono assai rari.[3]

Miracolo eucaristico di Bolsena – Fede

È l’estate del 1263 un prete boemo – Pietro da Praga – dubita della transustanziazione, cioè della trasformazione del pane e del vino consacrati sull’altare in corpo e sangue di Cristo. Si reca a Roma per meditare sui suoi dubbi di fede e sulla via del ritorno si ferma a Bolsena (VT). Là celebra messa e nel momento della consacrazione l’ostia inizia a sanguinare. Avvolge l’ostia in un panno e torna in sacrestia. Alcune gocce di sangue cadono a terra. Pietro corre da Papa Urbano IV che in quel momento si trovava a Orvieto. Il papa fa edificare una cappella nel duomo di Orvieto nel 1290. Seguiranno le cappelle costruite nel 1364 e 1504. Papa Urbano IV volle ricordare il miracolo istituendo la festa del Corpus Domini (Corpo del Signore) da celebrare il primo giovedì’ dopo l’ottava di Pentecoste. Nel duomo di Orvieto sono custoditi l’ostia, il corporale e i purificatoi. Le lastre del pavimento macchiate di sangue si trovano in una cappella dal 1704[4].

 

 

 

 

[1] L. GARLASCHELLI et al. “Nature, (10.10.1991) 507, Scientist say miracle no mystery, “Chicago Tribune”, 10.10.1991, Shakeup over sacred blood, “Science News”, 12.10.1991, p. 229

[2] Citato da J. NICKELL, Looking for a Miracle, Prometheus Books, Amherst, New York,1998, p. 77

[3] L. GARLASCHELLI, Miracoli microbiologici in «Scienza e paranormale», N. 11, Anno IV, Estate 1996, p. 18

[4] G. NADALI, Miracoli e Scienza, «Miracoli», Anno II, nn. 7 e 8

Giorgio Nadali


Miracoli biblici & scienza. 1

 

La separazione delle acque del Mar Rosso

La scienza ha recentemente confermato uno dei più grandi miracoli dell’Antico Testamento. La separazione delle acque del Mar Rosso da parte di Mosé. Il fenomeno è noto come wind set down in presenza di venti fortissimi nel punto in cui soricamente gli israeliti hanno attraversato il Mar Rosso. Esodo 14,21: «Allora Mosè stese la mano sul mare. E il Signore, durante tutta la notte, risospinse il mare con un forte vento d’oriente, rendendolo asciutto; le acque si divisero». Dando per scontato che il fatto riferito nella Bibbia come cronaca fedele degli eventi, l’oceanografo Doron Nof ha indagato sulla divisione delle acque del Mar Rosso dal punto di vista della fisica. Quello spirituale è chiaro: Dio si prende cura e salva il suo popolo in fuga dalla schiavitù in Egitto. Usando un fenomeno comune chiamato effetto wind set down, Nof ha scoperto che un vento che spira da nord ovest a venti metri al secondo per dieci / quattordici ore è sufficiente a causare la diminuzione del livello del mare di due metri e mezzo. Questo avrebbe esposto una dorsale sottomarina che gli israeliti hanno attraversato come se fosse terra asciutta. Questo evento è possibile fisicamente in quel luogo una volta ogni 2.400 anni. È quindi la tempistica, non il fenomeno che è miracoloso. Tuttavia, anche se scientificamente l’evento è possibile, la maggioranza dei biblisti sostiene che gli israeliti non abbiano attraversato il Mar Rosso. La parola originale ebraica yam suph dovrebbe essere tradotta come Mare di canne, non Mar Rosso. Il luogo si trova presso i Laghi Amari, un canneto paludoso a nord del Golfo di Suez, scoperta durante la costruzione del canale omonimo. Il lago è il Timsah (in Egitto), a metà strada tra Port Said e Suez. Un altro studioso come Colin Humphreys sostiene invece la tesi dell’attraversamento del Mar Rosso grazie al fenomeno del wind set down presso il Golfo di Aqaba. La larghezza attuale dell’inizio del Golfo di Aqaba è di circa 3,5 miglia (5,6 km). Suppongo che tremila anni fa le acque del golfo si estendessero più a nord e la distanza al suo inizio fosse inferiore, in base alle mie ispezioni nel 1999 e 2001. Comunque, presumiamo che gli israeliti dovessero attraversare 3,5 miglia per andare dalla riva occidentale alla testa del Golfo di Aqaba, a est. Dovevano attraversare con animali, bambini e anziani e spirava un vento fortissimo. Probabilmente ci misero due o tre ore per attraversare il Mar Rosso.

Il diluvio universale

Genesi 6,17: «Ecco io manderò il diluvio, cioè le acque, sulla terra, per distruggere sotto il cielo ogni carne, in cui è alito di vita; quanto è sulla terra perirà». È un racconto che spiega come Dio voglia distruggere il male e rifare tutto nuovo per il bene. Tuttavia è possibile che l’ispirazione del brano provenga da un’esondazione dei fiumi Tigri ed Eufrate probabili in quella zona (attuale Iraq). C’è chi ritiene di aver trovato resti dell’arca di Noè sul monte Ararat (Turchia). Secondo i biblisti i personaggi presenti nei primi undici capitoli di Genesi (come Adamo, Eva, Caino, Abele, Noè) non sono realmente esistiti. Sono capitoli scritti nel genere letterario mitico, allegorico, non in quello storico dei capitoli successivi, da Abramo in poi. A sostegno di questa tesi vi sono diversi fatti, oltre al genere letterario mitico del testo. L’arca di legno di cipresso era lunga centocinquanta metri. Le autorità in materia di costruzione sostengono che una nave di legno non può strutturalmente superare i cento metri. Senza rinforzi di acciaio una nave di quelle dimensioni avrebbe sicuramente dei cedimenti strutturali e sarebbe presto affondata con Noè e un numero di animali a bordo che si aggirerebbe dai diecimila ai ventimila. L’arca si arena sul monte (in realtà uno stratovulcano) Ararat, nell’attuale Turchia, circa seimila anni fa (4000 a.C.). Nessuna catastrofe di simili dimensioni si è abbattuta sulla Terra seimila anni fa. Qualsiasi archeologo ne troverebbe tracce ancora oggi. John McIntosh della Search Foundation ha rilavato diversi punti in calotte glaciali del vulcano spento Ararat, dove vi sarebbero frammenti dell’arca. Anche Marco Polo e l’astronauta James Irwin si sono dilettati nella ricerca dell’arca dio Noè. La struttura principale sarebbe nel cratere. Tuttavia l’analisi al Carbonio 14 (C14) di questi frammenti li ha datati dal VI al XIII secolo d.C. Secondo Gerald Larue della University of Southern California è improbabile che una struttura così vecchia abbia potuto resistere così a lungo a simili altezze (5.165 metri). Nessuna prova geologica può dimostrare che si sia verificato il diluvio universale nel periodo indicato. Per i musulmani il luogo dell’arca di Noè sarebbe invece il Monte Judi nel Nord Ovest dell’attuale Iran. Rimane salvo il vero significato del diluvio universale dell’arca di Noè. Dio ricrea il bene anche dalle situazioni più disastrose. La santità di Dio distrugge il peccato, ma da una nuova possibilità all’umanità. Il significato più vicino a noi è il Battesimo cristiano. L’acqua che rigenera dalla colpa del peccato originale. Il diluvio universale è un’anticipazione del Battesimo e di Dio che «fa nuove tutte le cose» (Apocalisse 21,5). Dopo undici capitoli pieni di punizioni (anche chi ama può punire, come i genitori) Dio decide di cambiare sistema e usa l’amore misericordioso. Chiama il primo patriarca Abramo (1800 a.C.) passando per la storia del popolo eletto (gli Ebrei) sino a inviare suo Figlio Gesù Cristo. Il racconto ha innumerevoli punti di somiglianza con il racconto mitico babilonese dell’epopea Gilgamesh (2600 a.C.). Il racconto del diluvio universale (come tutta la Genesi) è stato scritto nel VI secolo a.C. (3.400 anni dopo gli eventi narrati e 1.900 anni dopo il poema babilonese). Il mito del diluvio universale è presente anche nell’Induismo. Dopo un diluvio universale, il dio Vishnu recupera molte cose perse nell’oceano incarnandosi nella tartaruga Kurma.

Giorgio Nadali