I segreti della Santa Pasqua

Pasqua ebraica 2016 – 23 aprile (14 nisan 5776)

Il termine Pesach appare nella Torah”. Dio annuncia al popolo di Israele, schiavo in Egitto, che lui lo libererà, egli dice: “In questa notte io passerò attraverso l’Egitto e colpirò a morte ogni primogenito egiziano, sia fra le genti che tra il bestiame”

Prima dell’inizio della festività gli ebrei eliminano da casa ogni minima traccia di lievito e qualsiasi cibo che ne contenga (questo viene indicato con il termine chametz). Questa tradizione viene chiamata “bedikat chametz”. Durante tutto il periodo della festività non viene consumato cibo lievitato sostituendo il pane, la pasta e i dolci con le “matzot” ed altri cibi appositamente preparati.

I 15 comandamenti (miztvòt)  ebraici della Pasqua

406-56P – Si mangi l’agnello pasquale durante la notte stessa. – Es. 12:8

407-57P – Si macelli il secondo sacrificio di Pesach nel 14 di Iyar. – Num. 9:2-11

408-58P – Si mangi l’agnello di Pesach con pane azimo e erbe amare nella notte del 15 di Nisan. – Es. 12:8

409-116N – Non lasciare nulla del sacrificio di Pesach sino alla mattina successiva. – Num. 9:11

410-125N – Non mangiare il pasto di Pesach crudo o bollito. – Es. 12:9

411-123N – Non consumare il cibo pasquale al di fuori dei confini della tua casa. – Es. 12:46

412-128N – L’apostata non mangi il pasto di Pesach. – Es. 12:43

413-126N – Il lavoratore non ebreo assunto permanentemente o stagionale non ne mangi. – Es. 12:45

414-127N – Il maschio non circonciso non ne mangi. – Es. 12:48

415-121N – Non rompere alcun osso del sacrificio di Pesach. – Es. 12:46

416-122N – Non rompere alcun osso neppure dal secondo sacrificio di Pesach. – Num. 9:12

417-117N – Non lasciare avanzi del pasto di Pesach sino alla mattina successiva. – Es. 12:10

418-119N – Non lasciare avanzi del pasto di Pesach shenì (seconda occasione pasquale, a un mese lunare dalla prima) sino alla mattina successiva. – Num. 9:12

419-118N – Non lasciare nulla delle offerte festive del giorno 14 sino al giorno 16 (Nisan) – Deut. 16:4

420-53P – Visita il Tempio a Pesach, Shavuot e Sukot. – Deut. 16:16

la Pesach è una festività felice che viene solitamente trascorsa in famiglia. La prima notte, in particolare è la più importante. Durante le prime due sere si usa consumare la cena seguendo un ordine particolare di cibi e preghiere che prende il nome di seder, parola che in ebraico significa per l’appunto ordine. Durante il quale si narra l’intera storia del conflitto con il faraone , delle 10 piaghe e della fuga finale seguendo il racconto della Haggadah di Pesach. Tradizionalmente è il bimbo più piccolo della casa che chiede all’uomo più vecchio di raccontare cosa successe allora, con una semplice domanda.

L’Afikomen nascosto

Durante il seder vengono utilizzate 3 matzot che vengono tenute coperte da un panno. All’inizio della cena viene spezzata in due pezzi quella di mezzo; il pezzo più piccolo viene rimesso tra le due rimanenti, mentre il pezzo più grande viene utilizzato come Afikomen, ( l’ultimo pezzo di matzah che verrà consumata durante il pasto). Vi sono due usanze riguardo l’afikomen, entrambe con lo scopo di tenere i bambini attenti allo svolgersi della cerimonia. In entrambi i casi l’afikomen viene nascosta: nel primo caso da uno dei bambini per poi essere cercata dagli adulti: nel caso questi non la trovassero, devono pagare il bimbo per la sua restituzione. L’altra usanza prevede, invece, che a nascondere l’afikomen siano gli adulti e venga premiato il bambino che la ritrova.

Durante la cerimonia, un piatto, detto piatto del Seder è parte centrale della cena. Il piatto del seder è di solito decorato, ed ha dipinti tutti i principali simboli di Pesach. Al centro sono poste tre Matzot per ricordare la concitata e precipitosa fuga dall’Egitto. Attorno, nell’ordine, vi sono il karpas, solitamente un gambo di sedano che ricorda la corrispondenza della festività di Pesach con la primavera e la mietitura che, in epoca antica, era essa stessa occasione di festeggiamento; un piatto di maror o erbe amare che rappresenta la durezza della schiavitù; una zampa arrostita di capretto chiamata zeru’a: rappresenta l’offerta dell’agnello presso il Tempio di Gerusalemme in occasione di Pesach, Shavuot e Sukkot; un uovo sodo beitza in ricordo del lutto per la distruzione del Tempio, e infine una sorta di marmellata preparata con frutta secca, noccioline, e vino chiamato “haroset” che rappresenta la malta usata dagli ebrei durante la schiavitù per la costruzione delle città di Pit’om e Ramses. Alcuni, specie nell’uso italiano, aggiungono una seconda insalata, più dolce, come la lattuga.

La lettura dell’Haggadah inizia con un ricordo, un brano in lingua caldaica. I bambini chiedono al padre quale sia il significato di Pesach. I quattro fratelli rappresentano quattro tipi di Ebreo. Il figlio saggio rappresenta l’ebreo osservante. Il figlio malvagio rappresenta invece l’ebreo che rifiuta la sua eredità e la sua religione. Il figlio semplice si riconosce nell’ebreo completamente indifferente. Il giovane, invece, colui che non conosce della propria cultura e tradizione a sufficienza per poter prendere parte alla discussione.

Poco dopo, vi è il ricordo delle dieci piaghe inflitte da Dio all’Egitto per indurre il Faraone a lasciare liberi gli Ebrei, e un esempio di pilpul, o discussione talmudica, in cui nell’interpretazione rabbinica, le piaghe da dieci diventano quaranta, poi cinquanta, poi addirittura duecento. Più avanti, si ripete la promessa millenaria.

La Seder pasquale

Nel corso del seder vi è obbligo di bere quattro bicchieri di vino, e quindi è naturale che, oltre ad essere composto da diversi brani cantati, termini di solito con canti tradizionali. Nella tradizione italiana, i canti sono in italiano, e si ricordano Had gadià, la storia del capretto resa famosa da Angelo Branduardi in forma ridotta con il titolo La fiera dell’est, e il conteggio, cantato, da uno a tredici, dove uno è ovviamente Dio, fino a tredici attributi divini, passando per due Tavole della Legge, tre Patriarchi, Quattro Madri di Israele, cinque libri della Torah, sei libri della Mishnah, sette giorni della settimana, otto giorni della circoncisione, nove mesi di gravidanza, dieci Comandamenti, undici costellazioni e dodici tribù.

Pasqua cristiana 2016 – 27 marzo (Escluse Chiese Ortodosse)

Pasqua Ortodossa 2016 – 1 Maggio

I segreti della crocifissione e della croce

Purtroppo la crocifissione esiste ancora. La più dolorosa tortura con pena di morte mi esistita. Amnesty International ha denunciato 88 crocifissioni nel 2002 nella regione del Darfur, in Sudan. «Il 13 agosto i ribelli sono entrati nella chiesa della mia parroc¬chia ed hanno preso tante per¬sone in ostaggio. Mentre fug-givano nella foresta, ne han¬no uccise sette: li hanno croci¬fissi agli alberi» – Così ha dichiarato al Corriere della Sera il 16 ottobre 2009 Monsignor Hiiboro Kussala, vescovo del¬la diocesi di Tombura Yam¬bio, nel Sud del Sudan. Anche i nazisti usavano questa tortura nei campi di concentramento. La crocifissione era conosciuta anche in Giappone. Il 2 febbraio del 1597 il famoso samurai Toyotomi Hideyoshi ordinò la crocifissione di 6 giapponesi convertiti al Cristianesimo e di 20 frati francescani. Portati da Kyoto e Osaka a Nagasaki per subire lo stesso martirio di Cristo. Una chiesa sulle colline Nishizaka di Nagasaki ricorda nei suoi mosaici i primi martiri cristiani in Giappone.

Il braccio orizzontale della croce è il patibulum. Si suppone che Gesù Cristo abbia portato sulle spalle solo il trave orizzontale del peso di 45 chili. Il braccio verticale era già sul posto e si chiamava stipes. Inoltre è probabile che Cristo sia stato crocifisso nei polsi, non nei palmi delle mani. Sono state ritrovate rarissime ossa di persone crocifisse. Di solito i chiodo venivano riciclati e non rimaneva nulla delle tracce del supplizio. Una reliquia del legno della Santa Croce è ospitata nella cripta del Santuario di Maria Ausiliatrice a Torino. Le ossa più note di una persona crocifissa sono di Johanan ben Ha-galgol, con un chiodo conficcato nel tallone. Caso raro, lui fu ritrovato in un sarcofago nel giugno 1968 a Giv’at ha-Mivtar a nordest di Gerusalemme (Israele). Un altro osso di Johanan ben Ha-galgol dimostra che la crocifissione avveniva nel polso.

I chiodi erano lunghi 10 cm e larghi 1 cm alla capocchia. I tre chiodi (due per le mani e uno per i piedi inchiodati insieme), trovati ancora attaccati alla croce, sarebbero stati portati da Elena al figlio Costantino: secondo la leggenda uno di essi venne montato sul suo elmo da battaglia, da un altro invece fu ricavato un morso per il suo cavallo. Il terzo chiodo, secondo la tradizione, è conservato nella chiesa di Santa Croce in Gerusalemme a Roma. Il “Sacro Morso” invece, si trova nel Duomo di Milano (inserito in una grande croce di rame dorato sopra il catino absidale, ad un’altezza di 40 metri), dove il 14 settembre viene prelevato con un ascensore a 4 posti con baldacchino rosso del 1600 a forma di nuvola con angeli (“nivola”) dall’arcivescovo e portato in processione. Del chiodo montato sull’elmo si sono perse le tracce; secondo una tradizione si trova oggi nella Corona Ferrea, conservata nel Duomo di Monza. Vi è anche un quarto chiodo, dalla tradizione più dubbia, che si troverebbe nella cattedrale di Colle Val d’Elsa (SI).  (Cf. Giorgio Nadali – “I monaci sugli alberi. E centinaia di altre cose curiose su Dio, la Bibbia, il Vaticano”, Edizioni San Paolo, Cinisello Balsamo, 2010).

La Pasqua cristiana

Uova sacre

Un’antica leggenda legata a Simone il Cireneo, l’uomo forzato a portare la croce di Cristo sulla strada verso il Calvario (Mc 15,21), vuole che fosse un mercante di uova. Alla risurrezione di Cristo, Simone trovò tutte le sue uova miracolosamente colorate, in varie tinte.

Nel Cristianesimo ortodosso le uova sono sacre – simbolo di risurrezione. La buccia rappresenta il sepolcro di Gesù, mentre il bianco che è dentro l’uovo rappresenta la luce della risurrezione, infatti il colore della Pasqua è quello della luce, e il bianco dell’uovo è molto luminoso. La buccia rotta dell’uovo significa il sepolcro aperto con l’uscita la luce della vita nella risurrezione, rappresentata dall’albume, il bianco dell’uovo. Uova di legno sono dipinte come icone con soggetti sacri e alcune sono molto preziose. Alcune hanno la scritta X B, che in cirillico corrispondono alle lettere K e V – Christòs Vaskrìes, cioè “Cristo è risorto”. Le più preziose sono le cinquantasette uova di Pasqua che sono state realizzate per la corte dello zar di tutte le Russie ad opera del gioelliere Peter Carl Fabergé fra il1885 ed il 1917, in oro, preziosi e materiali pregiati, una per ciascun anno, all’approssimarsi della festività. Fabergé ed i suoi orafi hanno progettato e costruito il primo uovo nel 1885. L’uovo fu commissionato dallo zar Alessandro III di Russia, come sorpresa di Pasqua per la moglie Maria Fyodorovna. L’uovo Fabergè del 1915 è chiamato uovo con croce rossa e trittico, è stato regalato da Nicola II alla zarina Alexandra Fyodorovna. E’ custodito al museo d’arte di Cleveland (USA). E’ sttao realizzato in oro, argento, smalto e vetro.  La figura principale dipinta sull’uovo – alto 8,6 cm – È Gesù Cristo. Dentro l’uovo, la scena centrale è la Discesa agli Inferi, la rappresentazione Ortodossa della Risurrezione cioè Cristo che sveglia i morti dopo la Risurrezione. Santa Olga, la fondatrice del Cristianesimo in Russia è rappresentata sulla sinistra del trittico. La Santa martire Tatiana è sulla destra. Le miniature interne sono state eseguite da Adrian Prachow specializzato in icone. Il rimanenti due pannelli delle porte dele trittico sono incisi col monogramma della corona dello zarina, e l’altro con l’anno “1915.” Zar Nicholas, occupato in guerra no fu in grado di regalare personalmente l’uovo allo zarina. Quello di maggior valore è l’uovo Birch del valore di 3 milioni di dollari. E’ del 1917, custodito al museo nazionale russo a Mosca.

Nelle chiese russo ortodosse viene appeso un enorme uovo di legno laccato rosso al soffitto, durante la Pasqua e i fedeli ricevono durante la messa delle uova sode dal prete. Altre uova sono fatte benedire in chiesa nei giorni precedenti alla Pasqua, vengono colorate e poi mangiate durante la festa. La pysanka ucraina è l’uovo decorato in casa.

Sulle uova un motivo spesso presente è la chiesa. Le chiese stilizzate si possono trovare di frequente sulle pysanky dell’Ucraina occidentale, specialmete nelle regioni di  Hutsul e Bukovyna; il disegno di un setaccio disegnato all’interno simboleggia l’abilità della Chiesa di separare il bene dal male.

Vi erano superstizioni per quanto riguarda i colori e disegni sul pysanky. Un vecchio mito ucraino basato sulla saggezza di regalare a persone anziane delel pysanky dipinte con colori scuri e/o con ricchi elaborati, perché le lroro vite sono state già piene e appaganti. Similmente è appropriato regalare a persone giovani delel pysanky con predominanza di colore bianco perché la loro vita è ancora una pagina bianca. Le ragazze donano spesso pysanky con disegni di cuori al loro fidanzato. E’ stato detto tuttavia che un aragazza non dovrebbe mai donare al suo ragazzo una pysanka senza un disegno in cima o in fondo all’uovo perché questo significa che il fidanzato perderà i capelli.

Lo scopo di creare delle pysanky era quello di trasmettere bontà dalal casa ai disegni e di scacciare il male. Spiral e altri disegni vengono dpinti per intrappolare il male, e per proteggere la famiglia e la casa da pericoli e mali.

Le croci sulle uova pysanky sono molto comuni e la maggioranza di quelle dipinte non sono croci ortodosse. Le croci più comunemente presenti sulle uova sono di tipo greco (con bracci di uguale dimensione). Altri simboli religiosi adattatati sono il triangolo con un cerchio in mezzo, l’occhio di Dio e uno noto come la “mano di Dio”.

Vi è anche un museo delle uova pasquali pysanka. Costruito nel 2000 e aperto il 23 settembre dello stesso anno a Kolomyia, cittadina dell’Ucraina occidentale. Precedentemente le uova del museo erano ospitate in una chiesa della zona. Il museo espone oltre 10.000 uova pysanky. La parte centrale del museo è a forma di uovo pasquale ucraino “pysanka”. E’ unico nel suo genere. Nel 2007 è stato eletto luogo simbolo dell’Ucraina moderna.

Celebrazione

La celebrazione della Pasqua, almeno sin dal Concilio di Nicea, non coincide esattamente con l’inizio della celebrazione ebraica di Pesach. Secondo quanto si legge nel Vangelo di Giovanni e da altri particolari della Passione, sembra che il giorno della morte di Gesù sia corrisposto, per la maggioranza del popolo ebraico del tempo, a quello in cui si immolava l’agnello e si celebrava (alla sera) il primo seder di Pesach, e perciò al giorno ritenuto essere il 14 di Nissan. L’Ultima Cena consumata da Gesù e dai suoi apostoli la sera del giorno precedente, secondo le modalità proprie del seder di Pesach, la si comprende come una possibile anticipazione del rito, propria di una parte del popolo ebraico del tempo (come ad esempio gli esseni, per il cui calendario liturgico “solare” il 14 di Nissan doveva cadere sempre di martedì) o come un’anticipazione voluta da Gesù stesso, “non potendo celebrarla l’indomani se non nella sua persona sulla croce” (Giuseppe Ricciotti). Inoltre in ambito cristiano, nella celebrazione della Pasqua, si voleva dare maggiore risalto alla Risurrezione, avvenuta il “primo giorno della settimana”, cioè la domenica immediatamente successiva.

In lettere scambiate tra la Chiesa di Roma e quelle d’Asia già nel II secolo, si rintraccia una disputa indicata come pasqua quartodecimana. Le Chiese dell’Asia minore ritenevano che i cristiani dovessero celebrare la Pasqua il 14 di Nissan in tono “penitenziale”, ritenendola una tradizione risalente all’apostolo Giovanni, e dando così maggiore risalto alla Passione e morte di Gesù. La Chiesa di Roma, invece, aveva la tradizione di celebrare solennemente la Pasqua la domenica successiva al 14 di Nissan, volendo in questo modo mettere maggiormente in risalto la Risurrezione di Gesù.

Dalla “composizione” di questa disputa prese origine l’attuale struttura del Triduo Pasquale.

La tradizione quartodecimana fu seguita da alcune chiese fino a poco oltre il Concilio di Nicea, che stabilì il criterio per la determinazione della data della Pasqua cristiana: essa doveva cadere la domenica seguente il primo plenilunio successivo all’equinozio di primavera, considerato corrispondente al giorno 21 di marzo. Il plenilunio non doveva essere effettivamente osservato, ma individuato approssimativamente mediante il calcolo dell’epatta, elaborato dal monaco Dionigi il Piccolo. In questo modo si slegava la determinazione della data della Pasqua cristiana dalle osservazioni dei fenomeni astronomici (effemeridi) e dalle regole del calendario lunisolare ebraico, non ancora completamente fissate. Soltanto con Maimonide, infatti, si stabilirono regole precise (ed indipendenti dall’osservazione dei fenomeni astronomici) per quanto riguardava il ricorrere del capodanno, la durata dei mesi e l’eventuale aggiunta del tredicesimo mese (we-adar) “intercalare” all’anno ebraico (accorgimento necessario per correggerne la differenza di durata rispetto all’anno tropico).

Anche la maggior parte dei protestanti, con qualche differenza, celebra la Pasqua il giorno stabilito seguendo le regole del Concilio di Nicea, invece di farla corrispondere al 14 di Nissan. Le Chiese ortodosse ed orientali celebrano tutte la Pasqua secondo le regole stabilite a Nicea, anche se, non avendo aderito alla riforma gregoriana del calendario e del metodo di calcolo dell’ epatta (epatta “liliana”) (ad eccezione della Chiesa ortodossa finlandese), questa finisce per cadere in giorni diversi da quello calcolato dai cattolici (di rito latino) e protestanti.

In conseguenza delle regole stabilite a Nicea (e della riforma “gregoriana” del calendario giuliano e dell’epatta) insieme all’attuale forma del calendario ebraico (per opera di Maimonide), la Pasqua cristiana cade circa nello stesso periodo di Pesach, sebbene venga fatta coincidere sempre con la domenica. Nel caso in cui il primo plenilunio di primavera (calcolato sempre approssimativamente con il metodo dell’epatta) cada proprio di domenica, e che quindi, verosimilmente, coincida con il giorno 14 di Nissan, la celebrazione della Pasqua cristiana (e “gregoriana”), allo scopo di sottolineare il diverso significato, viene rimandata alla domenica successiva.

Per la Chiesa Cattolica la Pasqua supera Pesach per importanza poiché, se Pesach corrisponde al periodo della Passione e morte di Cristo, la Pasqua ne ricorda la Risurrezione. Questa ricorrenza viene infatti ricordata all’inizio del Triduo Pasquale cristiano, nella messa “in coena Domini”, il giorno del giovedì santo, così come nella lettura liturgica di brani del libro dell’esodo, in particolare quello della cena con l’agnello immolato e del passaggio degli ebrei del mar Rosso, obbligatoria nella celebrazione della Veglia Pasquale, la sera del sabato santo.

Giorgio Nadali

 

 


La simbologia sessuale buddhista tibetana e gli altri simbolismi sessuali delle religioni. V.M. 18

 Lao Tzu, fondatore del Taoismo diceva: «La gentilezza delle parole crea fiducia. La gentilezza dei pensieri crea profondità. La gentilezza nel donare crea amore». Fatto sta che le religioni mondiali usano spesso il simbolismo sessuale in miti e metafore, riti e rituali, storie e sculture, come mezzo per esprimere la relazione con il trascendente.

Un simbolo chiave nel Buddhismo tibetano Vajrayanico è la figura yab-yum, una coppia di divinità maschile e femminile intenti in un’unione sessuale, la quale rappresenta la nozione basilare buddhista che la saggezza e la compassione devono congiungersi per ottenere il nirvana. I seguaci più avanzati del Buddhismo tibetano possono anche usare la “mente beata” dell’orgasmo sotto condizioni disciplinate per comprendere la verità attraverso la “mente della luce chiara”. Nell’orgasmo la mente diviene completamente assorbita e la solita mente concettuale, le apparenze che la accompagnano si sciolgono lasciando la realtà fondamentale. Qui un vento fisico, piuttosto che una scultura, un dipinto o un’immagine, fornisce un simbolismo sessuale che punta verso il trascendente. In molte tradizioni – con eccezione del Buddhismo – il simbolismo sessuale religioso è unito con il linguaggio dell’amore, collocando questi simboli nel contesto di un amore che trasforma.

Gendün Chöpel è l’intellettuale più controverso del Buddhismo tibetano, autore del «Trattato sulla passione». Questa guida sessuale rivolta ai laici combina i classici erotici indiani come il Kamasutra con la cultura buddhista Vajarayana. Chöpel sostiene l’uguaglianza sociale per le donne, la valorizzazione del piacere sessuale femminile e l’esplorazione sessuale in un’etica di sostegno dell’amore. La sua prospettiva tantrica vede l’attività sessuale comune come base per un possibile sviluppo di una straordinaria intuizione, ponendo l’accento sulla compatibilità del piacere sessuale con l’intuito spirituale. Chöpel spiega che le sessantaquattro arti dell’amore intensificano il desiderio e l’orgasmo e possono aprire una porta sull’esplorazione della natura della coscienza. Nell’orgasmo la natura chiara della mente è più percepibile e questo sottile livello di coscienza dissolve l’apparente solidità delle percezioni ordinarie, sino a che anche il desiderio stesso viene trasceso. Le evocative descrizioni delle tecniche e posizioni sessuali fatte da Chöpel sono accessibili, giocose, femministe e un adattamento istruttivo degli alti ideali buddhisti alla vita di tutti i giorni.
L’Induismo ha quattro principi fondamentali : dharma (legge morale), kama (piacere), artha (potere, beni materiali), mokṣa (liberazione dalle rinascite). I testi che si occupano del kama compresi il Kamasutra di Vatsyayana (monaco che viveva in castità assoluta, ma dotato di viva immaginazione – 300 d.C.) descrivono il piacere sessuale invocando parole come rasa (gusto estetico), bhava (atteggiamento emotivo), rati (passione), priti (amore), raga (attaccamento) e samapti (orgasmo). Un’altra parola sanscrita molto usata per descrivere il principio del piacere sessuale è bhoga (godimento) e si riferisce anche ad altri situazioni come il consumo di cibo. Il piacere va vissuto in gioventù, preferibilmente nella grhastha-asrama (vita matrimoniale) per donare la vita. Il matrimonio può essere celebrato (e non consumato) anche da bambini. Dopo aver assolto gli obblighi genitoriali è possibile abbracciare la vita ascetica celibataria (samnyasa-asrama).

Lo Zohar, un testo ebraico cabalistico caratterizza l’idea ebraica della sacralità del sesso suggerendo che l’Essenza Divina “riposa sul letto nuziale” quando la coppia è “unita nell’amore e santità”. Nell’Induismo un linga (pene) come il Shiva linga di marmo del famoso tempio Kandariya Mahadeva di Khajuraho (India) è collocato nel garbhagriha (luogo più interno del tempio indù) per ricordare al devoto che la completezza assoluta dell’unione dei principi maschile e femminile. Lo stesso simbolismo è usato nell’Ebraismo (Zohar) perché la Shekhinah (presenza divina) si rivela al lettore della Torah (l’amante) come fanciulla nascosta in una camera segreta del palazzo, come la garbhagriha indù. Nell’Induismo il linga (pene) che posto al centro della yoni (vagina) nello linga-yoni dei templi rappresenta l’unione del dharma (legge) con la shakti (potere) e tutta la shakti (con soddisfazione delle lettrici) è sempre femminile. Il grembo punta al Brahman (la realtà ultima) e il linga-yoni punta alla generazione della vita da Brahman e l’unione ultima in Brahman dei diversi elementi apparenti del mondo, maschile e femminile.

Nell’Islàm le houris, fanciulle che allietano i devoti maschi in paradiso hanno il nome di Dio scritto su un seno e il nome del marito sull’altro [o eventualmente sino a quattro nomi dei quattro mariti su un seno?

Anche nel Cristianesimo la simbologia sessuale non manca, soprattutto presente nel Cristianesimo medievale delle “spose mistiche” come Santa Teresa d’Avila. Bernini rappresenta nella sua Estasi di Santa Teresa l’incontro con Dio che le appare come angelo con una lancia. Tradizionali simboli fallici sono la lancia, la freccia e il serpente e nel caso di Angela da Foligno di una falce che la riempie con inestimabile sazietà.

Unito al linguaggio dell’amore il simbolismo religioso sessuale evoca anche la reciprocità della relazione, il desiderio di divenire complementari al divino, com’è evidente nella nozione ebraica di sesso sacro, nell’iconografia indù della coppia divina come Shiva e Parvati o Krishna e Radha, ma anche nella simbologia dello yin-yang taoista.
La Sahajiya, una setta tantrica del Bengala usa il coito rituale (maithuna). Lo scopo del sesso rituale di Sahajiya è di trasformare il desiderio (kama) in amore (prema) e va fatto con una parakiya, una donna non sposata o impegnata con un altro. Non vi è però eiaculazione perché il seme va diretto in altro verso la susumna nadi (canale del corpo che collega i chackra, punti vitali) al sahasrara padma dove viene goduta la beatitudine di Radha e di Krishna.

L’enorme varietà nell’uso del simbolismo sessuale è evidente, ma non è usato allo stesso modo in tutte le religioni. Nell’Induismo e nel Cristianesimo le immagini sessuali servono come puntatori verso una realtà trascendente, mentre nel Buddhismo sono strumenti per svuotare la mente e raggiungere il nirvana la “pienezza dello svuotamento”. Un aspetto importante delle tradizioni asiatiche è il posto preminente che viene dato al femminino sacro, forse in parte perché la religione induista proviene da culture agresti più orientate verso le donne. Vi è un contrasto con le culture maschili del Medio Oriente, all’interno delle quali sorse il monoteismo occidentale orientato verso i maschi, dove predomina il modello di maschio come pastore. In ogni caso, nonostante questa evidente diversità vi è un “estetico erotico” nell’utilizzo umano del mito e del simbolo, della danza e della musica, della storia e della teologia, della pittura e della scultura che puntano verso il divino.

Le immagini erotiche si sono trasferite nella vita monastica cristiana, ma anche nel Giudaismo hassidico, in una rappresentazione erotica dell’incontro tra l’umano e il divino. All’interno della tradizione cabalistica giudaica, nonostante le immagini erotiche non siano usate per rappresentare l’incontro tra umano e divino, come sostiene lo studioso Gershom Scholem, Dio viene visto come il centro della sessualità: «in Dio vi è un’unione dell’attivo e del passivo, procreazione e concepimento, da cui proviene tutta la vita e la beatitudine». Nella tradizione islamica troviamo una simile estetica erotica in Rumi, il più grande dei poeti e mistici persiani. […] Infine un’altra forma occidentale per comprendere la relazione tra umano e divino in chiave erotica si trova nel famoso testo cabalistico mistico giudaico, lo Zohar o “Libro dello Splendore”. Anche se non eroicizza direttamente la relazione tra umano e divino, lo fa indirettamente delineando la stessa Torah come l’amante del lettore devoto alla sua lettura.

Duti puja

Nel tantrismo il duti puja è l’adorazione di una bella donna, che comprende il pancamakara. Il rito noto come pancamakara o dei “cinque essenziali” è officiato con cinque ingredienti che in sanscrito iniziano con la “m” e di cui solo i primi quattro si comprano al supermercato: grano (mudra), pesce (matsya), liquore (madya), carne (mamsa), e rapporto sessuale (maithuna). Viene anche definita come “Eucaristia Tantrica”. Lo scopo del rito è di svegliare i poteri spirituali e di soddisfarli. Sono invocate le divinità: Shiva e Shakti, Mahadeva e Mahadevi, Bhairava e Bhairavi. Le coppie cosmiche.

La coppia siede di fronte ad un fuoco. La donna alla sinistra del suo compagno. Il lato sinistro è infatti femminile, quello destro, maschile. La coppia inginocchiata unisce le mani nel tradizionale gesto di saluto namaste. Gli elementi vengono in parte versati nel fuoco e in parte imboccati alla partner, che rappresenta la divinità. Fatto questo la coppia gira intorno al fuoco tre volte e mezza, tante quante le spire della kundalini, l’energia sessuale. La donna è ritualmente elevata e purificata allo stato delle dee (Devi) mediante la meditazione e il nyasa. Il nyasa è il rituale che pone delle preghiere (mantra) o lettere sul corpo mediante il tocco o la visualizzazione, rendendolo divino e riempiendolo col potere della Shakti (il potere creativo di Shiva rappresentato dalla sua consorte). Poi ogni parte del corpo della donna viene adorata, in particolare il volto, i seni e l’organo genitale (yoni). Le sono offerti alcol, carne cotta e pesce. Il rituale culmina con il rapporto sessuale (maithuna) dell’adepto con lei. Nel coito (maithuna) la donna deve avere il controllo. L’unione è simbolica dell’unione del dio Shiva con la sua Shakti. Il maithuna rappresenta lo stato assoluto di beatitudine.

In contrasto con la concezione occidentale, nella tradizione asiatica le femmine e quindi le devi sono viste come attive, immanenti e accessibili, mentre le divinità maschili tendono ad essere passive e (come in Occidente) trascendenti e non facilmente accessibili. Da ciò deriva la forma iconografica più importante dell’Induismo, il linga/yoni shivaita, è sia una forma iconografica parziale con un volto sul linga [pene], sia una forma aniconica che simboleggia l’infinito. In maniera significativa in questa immagine estetica erotica il linga si erge dalla yoni mettendo in evidenza un simbolismo generativo più profondo all’interno del simbolismo sessuale e illustra la fondamentale dottrina induista per la quale tutto il potere è femminile (ad esempio la shakti) e di conseguenza l’energia maschile non è incipiente, ma costantemente reindirizzata dall’energia femminile.

Le tradizioni cinesi condividono una visione simile dell’estetico erotico nella complementarietà dei principi maschili e femminili dello yin e yang. In questa visione è importante che tutto lo yin ha un po’ di yang e viceversa. Perciò lo yin [femminile]e lo yang [maschile] sono interdipendenti e l’ideale è di evitare la contrapposizione e ottenere un bilanciamento tra loro. Nelle tradizioni cinesi, il Taoismo aggiunge anche l’idea della Grande Madre e che la femmina ha un’inesauribile forza vitale che può dare nell’unione.
L’uso del simbolismo sessuale non significa che Dio abbia un corpo, ma deve esserci qualcosa di letterale nel simbolismo e questo implica che Dio può essere letteralmente concepito sia come personale sia come sessuato.

Giorgio Nadali

direttore@oltre.online

Giorgio Nadali, “Sessualità, Religoni e Sette. Amore e Sesso nei Culti mondiali”, Armando Editore, Roma, 1999

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Islàm, fondamentalismo e integrazione in Italia

“Il Mentre che tutto in lui veder m’attacco,
guardommi, e con le man s’aperse il petto,
dicendo: «Or vedi com’io mi dilacco!
vedi come storpiato è Maometto!
Dinanzi a me sen va piangendo Alì,
fesso nel volto dal mento al ciuffetto”.

Non è certo il modo ideale per aprire un dialogo con un musulmano. E’ il XXVIII canto (v. 28-33) dell’Inferno della Divina Commedia. Dante descrive Maometto nell’inferno. Il dialogo con la religione del Profeta della Mecca (circa 1 miliardo di fedeli nel mondo, di cui 580000 in Italia, 10000 cittadini italiani) è quello che i presenta più difficoltà. La religione del profeta Muhammed (Maometto) nasce 622 anni dopo Cristo. Delle tre fedi in un unico Dio, è la più giovane e la seconda per numero di fedeli. Un numero oggi uguale a quello di tutti i cristiani cattolici. Nel Corano (diviso in capitoli, dette “sure”) Gesù Cristo non solo viene citato, ma è anche onorato come un profeta, nato da Maria (Maryam) vergine, che lo partorì  sotto un albero di palme (Sura 19,22). La verginità di Maria (Sura 19,21) è talvolta messa in discussione anche in ambito cristiano, non solo protestante, ma è riconosciuta nell’Islam. Il Corano riconosce anche alcuni miracoli di Gesù. Secondo il sacro libro islamico il primo miracolo di Gesù non fu quello della trasformazione dell’acqua in vino (Gv 2, 1-11), ma quello di parlare da adulto appena nato (Sura 19,29). Vediamo ora schematicamente alcune differenze sostanziali e come sia possibile istaurare un sincero dialogo. Ma… perché dialogare? Primo. Perché siamo cristian. Secondo. Perché non si può più sottovalutare il fenomeno in forte crescita dell’espansione islamica. L’Islam cresce, più di ogni altra religione, con un tasso dell’ 1,7% all’anno. Terzo. Per non cedere a facili e ingiustificate discriminazioni e intolleranze, che minano una pacifica convivenza. Quarto. Per capire che dalla stragrande maggioranza dei musulmani non proviene una minaccia per la nostra cultura, che va preservata, né per la nostra sicurezza, che va difesa. Circa il 10% dei fedeli si riconoscono nelle posizioni integraliste, e di questi solo una parte si lascia convincere ad azioni violente. Non esiste una visione unitaria nell’Islam. Le visioni di fede e  morale possono essere indifferentemente interpretate in chiave fondamentalista sia violenta sia nonviolenta.

Non tutti fondamentalisti sono terroristi. Ad esempio, per quanto riguarda l’Islam, vi sono i fondamentalisti nazionalisti, che rivendicano l’autonomia di una terra (Palestina, Cecenia, Curdi, ecc.) e quelli semplicemente religiosi, ma innocui, come i wahabiti, la salaffya o usullya, anche se, a dire il vero, Osama Bin Laden si è formato alla scuola wahabbita…

Quelli cattivi vogliono la khilafah, cioè l’islamizzazione dell’Occidente, e questo è lo scopo del sesto pilastro (arkàn) dell’islam, che in realtà non dovrebbe esistere nella teologia islamica. I pilastri (arkan al Islam) sono cinque, ma loro aggiungono anche la, o meglio il jihad, guerra santa contro i kafirun, i non islamici. Per qualsiasi musulmano un fratello è solo un altro musulmano. Il concetto di fratellanza universale è solo cristiano. I fondamentalisti cattivi vedono i kafirun (non islamici) come nemici, quelli buoni e gli islamici moderati vedono i kafirun semplicemente come persone non musulmane, non fratelli, comunque da rispettare.

L’integralismo islamico è per lo più associato a movimenti germinati successivamente al fallimento dell’esperienza del “riformismo” fiorito nel XIX secolo specie con la nascita in Egitto – alla fine degli anni ’20 – del movimento dei Fratelli Musulmani. La maggior risonanza internazionale la si è però avuta negli anni ’70 in Iran, con la cosiddetta “Rivoluzione islamica” dell’ ayatollah Ruhollah Khomeyni.
Il terrorismo islamico può essere considerato una forma di reazione all’egemonia dell’Occidente. Ma proprio esso, il terrorismo islamico e il fondamentalismo

che lo sostiene, hanno spinto il mondo degli Stati arabi e musulmani ad avvicinarsi all’Occidente

L’integralismo islamico sostiene il dovere dell’applicazione rigida e totale della legge islamica, basata sul Corano e la Sunna, estesa anche alla vita politica e sociale. Dato però che l’auto definizione dell’Islam è quella di dīn wa dunya, ossia “religione e mondo”, o “ultramondanità e mondanità”, la definizione di “integralismo” è inutile perché per l’Islam o si coniugano costantemente gli aspetti sacri e profani dell’esperienza umana oppure non si è semplicemente all’interno del sistema islamico, anche se occorre specificare che l’affermazione di “incapacità” dell’Islam di distinguere il laico dal religioso non trova e non ha quasi mai trovato un’attuazione storica nei circa 1.400 anni di storia della civiltà islamica.

Il wahhabismo sui movimenti militanti contemporanei arabi e islamici che si propongono di disegnare nuovo equilibri geo-strategici planetari in funzione dell’eccellenza del modello islamico e problematico rimane un giudizio non di parte sulla sua positività o negatività, dal momento che il pensiero hanbalita sembra possedere in teoria gli strumenti metodologici meglio orientati ad affrontare positivamente, con l’arma dialettica dell’ijthad, il difficile problema del rapporto fra la modernità e Islam. E molto sangue dovrà ancora scorrere per i simboli della modernità occidentale.

Esiste un Islam moderato? Certamente, ma non nel senso che esista un Islam compatibile con la concezione occidentale dei diritti umani e della libertà religiosa.

L’Islam è profondamente asimmetrico rispetto all’Occidente, molto più di quello che non lo sia rispetto al Cristianesimo. Il Cristianesimo e l’Islam hanno molti elementi comuni, nel Medioevo l’Islam era considerato uno scisma della Cristianità. A questo titolo Dante pone Maometto nel suo Inferno.  Con il mondo occidentale, che comporta il frutto del razionalismo e dell’illuminismo, cioè di un pensiero non religioso, il dialogo è invece impossibile: e basta leggere la dichiarazione dei diritti umani elaborata dai teologi islamici e tutta fondata sul Corano per capire l’impossibilità dell’intervento, la radicale asimmetria. L’Islam non ammette una conoscenza della natura indipendente dal Corano nel senso della legge naturale, di origine stoica che il Cristianesimo ha fatto propria assumendo nel suo ordinamento il diritto romano.

Ogni ragionamento in materia etica e politica non può avere altra fonte che il Corano e la tradizione che lo commenta, la Sunna e i detti di Maometto riferiti per tradizione. Mentre natura e ragione sono termini della tradizione cristiana dalle quali l’Illuminismo li ha ricevuti, essi sono interamente assenti nella cultura islamica: di qui appunto la radicale asimmetria.

Non è dunque possibile trovare un Islam moderato in quanto Islam e anche in Turchia stessa il livello di libertà religiosa non corrisponde ai criteri occidentali.

L’Islam è interamente altro dall’Occidente eppure l’Occidente sta iniziando la sua penetrazione nelle aree aperte dalla tecnologia, dalla comunicazione, dall’economia. Il dialogo è possibile nella misura in cui l’altro dall’Islam, cioè l’Occidente, interviene con la sua dimensione reale a modificare la realtà dei popoli islamici. Questo è il processo in cui viviamo, in cui l’influenza genera il conflitto, ma il conflitto non diminuisce l’influenza. La storia dell’Islam è ormai la storia della

penetrazione occidentale dei popoli musulmani e delle reazioni che essa suscita

I Musulmani rappresentano, attualmente, la seconda comunità religiosa in Italia per numero di fedeli. Essi provengono da diverse parti del mondo, parlano lingue diverse e hanno diverse estrazioni sociali. In molti casi, l’unico vincolo tra essi è la comune fede religiosa. Anche se da un punto di vista giuridico o sociologico, l’esistenza di una “comunità musulmana unitaria” può essere oggetto di discussione, non mancano indicazioni sul fatto che i Musulmani siano accomunati da un sentimento di identità condivisa, seppure non sempre manifestata apertamente.
Attualmente, la popolazione musulmana in Italia è costituita da circa 700.000 individui. Tra di essi, 40-50.000 (di cui circa 10.000 Cristiani convertiti all’Islam) hanno la cittadinanza italiana ed i loro diritti e doveri sono definiti dalle medesime disposizioni che si applicano a tutti i cittadini italiani.
La maggioranza dei Musulmani presenti in Italia è costituita da immigrati giunti negli ultimi vent’anni e privi della cittadinanza italiana. Tra questi, circa 610-615.000 sono “regolari” e godono legalmente del diritto di vivere e lavorare in Italia. Gli altri 80-85.000 sono “irregolari”, sprovvisti di permesso di soggiorno o di lavoro.

Molti dei problemi che i Musulmani devono affrontare nella vita sociale, economica e politica sono condivisi da tutti gli immigrati. Vi sono, tuttavia, alcune questioni specifiche, che riguardano la comunità musulmana nel suo insieme, a prescindere dall’elevato grado di diversità interna che presenta.
In particolare, l’atteggiamento di larga parte della popolazione italiana e dei mezzi di comunicazione e, più in generale, il dibattito pubblico indicano che i membri di tale minoranza si collocano tra quelli meno integrati nella società italiana. Inoltre, il fatto che le organizzazioni islamiche non siano ancora riuscite a concludere un’intesa con lo Stato segnala l’esistenza di problemi che riguardano specificamente i diritti religiosi dei Musulmani.

Punti di incontro:

E’ possibile un punto d’incontro con i numerosi musulmani  che lavorano onestamente. Diversi hanno anche aperto una propria attività. Ma questi hanno uno stile di vita occidentale. Non sono fondamentalisti. Hanno tutto l’interesse ad una convivenza pacifica per prosperare nella loro attività. Come il pizzaiolo da cui mi servo. Sono anche religiosi, ma distinguono la dimensione religiosa da quella civile. Altrimenti per l’Islam non sarebbe possibile un’integrazione. Il fondamentalismo vuole l’applicazione della sharia (che vuol dire “via”). Possibile solo nella teocrazia, non in un paese laico.  Occorre vigilanza, ma questo non significa negare il fondamentale diritto della libertà religiosa, della possibilità di esprimerla non soltanto nell’ intimo della propria coscienza ma nella convivenza civile. C’ è la necessità di momenti di silenzio, riflessione e preghiera, e questo vale per tutti, anche per chi non ha una religione come quella cristiana. Bisogna fare attenzione a non confondere il religioso con il politico. Ma il problema è proprio questo. E’ molto difficile per l’Islam separare il religioso dal politico. Per il cattolicesimo non c’è separazione tra dimensione sociale, politica e religiosa nel senso che la fede anima tutte le realtà umane. Ma c’è il rispetto della laicità dello stato, ben diverso dal laicismo che è contro la religione. Laicità come opposto di teocrazia, cioè leggi politiche tutte basate sulla religione.  Per noi cristiani la politica è per l’uomo, non l’uomo per la politica. Al centro della politica deve esserci l’uomo e la sua dignità, il cui rispetto viene dalla fede in Gesù Cristo morto e risorto per tutti e in Dio Padre di ogni uomo,  mentre per l’Islam al centro di ogni cosa c’è la legge religiosa.

Esiste anche un fondamentalismo islamico “buono”, che incoraggia ad una pratica religiosa rigorosa, ma senza fanatismo e tanto meno violenza. Ad esempio l’organizzazione Jamaat Tabligh.

ISLAM                                                                                  CRISTIANESIMO

Allah e GesùGesù è stato creato da Allah attraverso la sua parola. E tramite la potenza di Allah è stato trasferito in Maria. Tuttavia è solo un uomo.Allah non ha figli, Gesù non è suo figlio. Gesù non può essere venerato come Dio.

Sure 9:30; 5:75; 4:171; 3:59; 3:45; 5:75.

Dio e GesùGesù è stato generato dallo Spirito Santo in Maria.Gesù è l’unigenito Figlio di Dio. Gesù è venuto come uomo sulla terra ed è Dio incarnato. Sia nell’Antico che nel Nuovo Testamento Gesù è venerato come Dio.

Salmo 2:7; Matteo 1:20; Luca 1:35; Giovanni 1:1-2; Isaia 9:6; Giovanni 20:28.

Gesù non è morto sulla croceGesù non è stato crocifisso e non è risorto. Una crocifissione sarebbe stata per lui una sconfitta vergognosa. Con la sua morte non avrebbe ottenuto nessuna redenzione.(Sulla fine di Gesù il Corano non ha indicazioni chiare. Probabilmente Allah l’ha rapito davanti ai suoi nemici, e un altro è stato crocifisso al suo posto.)

Sura 4:157-158.

Gesù, morto sulla croce e risortoGesù è morto sulla croce secondo la volontà del Padre. È stato messo in una tomba ed è risorto dai morti il terzo giorno.Con ciò ha conquistato la vittoria sul peccato e sulla morte e ha ottenuto la redenzione per coloro che ripongono la loro fiducia in lui.

Matteo 16:21; Atti 10:40; 1 Corinzi 15:4; Filippesi 2:8; Colossesi 1:22; 1 Pietro 2:24.

Gesù non è DioChi dice che il figlio di Maria è Allah è un miscredente.Sura 5:75-78; 9:30. Gesù è Dio. Gesù è vero uomo e vero Dio.Matteo 1:23; Giovanni 1:1,14; 10:30,38; 14:9; Colossesi 1:19; 2:9; Tito 2:13; 1 Giovanni 5:20.
Il peccatoNel paradiso terrestre Adamo ha peccato quando ha mangiato il frutto proibito.Ma con questo evento l’uomo non è stato separato da Allah.

(Nell’islam non c’è caduta e il peccato originale non esiste.)

Sura 2:35-39.

Il peccatoAdamo ha trasgredito il comandamento di Dio nel paradiso.Le conseguenze di questa violazione sono peccato, morte e separazione da Dio per tutti gli uomini nel mondo.

La riconciliazione con Dio è possibile solo attraverso la morte di Gesù.

2 Corinzi 5:18-19; Romani 3:20.

La fedeFede significa riconoscere l’esistenza di Allah, sottomettersi a lui, esprimergli gratitudine e seguire i suoi precetti (preghiera, elemosina, eccetera).Sura 2:177. La fedeFede significa riconoscere il proprio stato di peccato e perdizione, accettare la redenzione di Gesù, e vivere nei comandamenti di Dio per mezzo della forza dello Spirito Santo.Atti 9:1-18.
Jihad per il Regno di AllahLa Jihad è la “guerra santa” contro gli infedeli. L’Islam ha come scopo la conquista territoriale per instaurare un governo islamico con la sharia (legge coranica). L’islamizzazione si chiama “khilafah”. Evangelizzazione per il Regno di Dio.

I discepoli hanno ricevuto il comandamento di andare per tutto il mondo a predicare il vangelo a ogni creatura, facendo miracoli e scacciando demoni, affinché chi lo riceve sia salvato.

Marco 16:15-18; Giovanni 3:16.

Gli infedeli. Il Corano esorta a diffidare degli infedeli (compresi ebrei e cristiani) e a ucciderli.Il seguente passo del Corano si presta facilmente al fanatismo dei gruppi terroristici islamici, come pretesto per la piccola jihad, la guerra santa contro i kafirun, gli infedeli: “Combattete coloro che non credono in Dio e nel Giorno Estremo, e che non ritengono illecito quel che Dio e il Suo Messaggero [Maometto] hanno dichiarato illecito, e coloro, fra quelli cui fu data la Scrittura, che non s’attengono alla Religione della Verità. Combatteteli finché non paghino il tributo uno per uno, umiliati.” (Sura della Coversione  “at-Taubah” IX, 29)

Sure 5:54; 47:4; 9:29,123,216.

Gli infedeli e i nemici.

Amate i vostri nemici, benedite coloro che vi maledicono, fate del bene a quelli che vi odiano, e pregate per quelli che vi maltrattano e che vi perseguitano.

Esodo 23:3-4; Matteo 5:44. Luca 6:27,35; Romani 12:14; 1 Pietro 3:9.

Il Corano.

Il Corano è la Parola non falsificata e pura di Allah, una trascrizione fedele della rivelazione originale divina a Maometto.

(L’Antico e il Nuovo Testamento, invece, sono stati falsificati col tempo. Il Corano corregge l’Antico e il Nuovo Testamento là dove differiscono dalla Bibbia.)

Sure 2:2; 43:2-4.

La BibbiaLa Bibbia è la Parola affidabile di Dio.Lo Spirito Santo ha vegliato sulla sua stesura. La Bibbia non ha bisogno di correzioni e rimane per sempre la Parola eternamente valida di Dio.

Apocalisse 22:18.

Dio e l’uomoDio ha creato l’uomo da un grumo di sangue.Sura 96:1-2 Dio e l’uomoDio ha creato l’uomo per avere comunione con lui.Egli desidera che sia salvato.

Apocalisse 19:7; Luca 14:23; Ezechiele 33:11; 1 Timoteo 2:4.

Allah creatoreAllah è il creatore del mondo e dell’uomo. Ma l’uomo non è stato creato a immagine di Dio.Sure 55:1-7. Dio creatoreDio ha creato l’universo e l’uomo a sua immagine e somiglianza. Egli rivela la sua essenza nella creazione.Giovanni 1:14-15.
Allah non è Padre. Allah non è il padre di Gesù, ma il Dio onnipotente e misericordioso.Sura 9:30-31; 6:101-102. Dio è PadreDio è Padre di Gesù Cristo e Padre dei suoi figli.Marco 1:1; Giovanni 1:12; Romani 8:15-17; 1 Giovanni 3:1.
La Trinità è idolatria. La venerazione di parecchi dei è il più grave peccato dell’Islam, perché c’è solo un unico Dio. (Il Corano accusa i cristiani di adorare tre dei: Dio, Gesù e Maria.)Sura 4:171; 5:76. La SantissimaTrinitàLa Trinità consiste nell’unità del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo. E’ il cuore della fede cristiana.Maria è un essere umano e non fa parte della Trinità. Va venerata, ma non adorata (si adora solo Dio).

Matteo 28:19; Galati 4:6.

Il nome di AllahIl nome Allah è formato dall’articolo “al” e dal sostantivo “Ilah”, e significa “il Dio”.L’espressiône “Nome di Allah” si trova almeno 120 volte nel Corano. Allah ha molti altri nomi. Il nome di DioDio si rivela a Mosè come “Io sono Colui che sono”.Il Dio della Bibbia ha molti altri nomi.

Esodo 3:13-14.

Il dialogo con l’Islam può (ri)partire solo evitando la tentazione del pregiudizio. Il dialogo islamico cristiano ha subito un grave colpo l’11 settembre 2001. Ogni religione è portatrice di pace, ma purtroppo può anche essere ideologizzata e quindi politicizzata. Non cerchiamo il dialogo con i fanatici, ma con coloro che nell’Islam, e sono moltissimi, condividono con noi pacificamente la fede in unico Dio Padre di tutti.

Giorgio Nadali


Quando una sola moglie non basta

C’è chi è stufo anche dell’unica che ha, ma avere più mogli oggi è legale in quarantasette Paesi al mondo (su 197). Quello più vicino all’Italia è l’Algeria. Solo i membri della Chiesa Fondamentalista di Gesù Cristo e dei Santi degli Ultimi Giorni praticano ancora oggi la poligamia. La loro Chiesa ufficiale l’ha abbandonata nel 1890, tuttavia solo il ramo fondamentalista negli Stati Uniti d’America prosegue illegalmente nella poligamia voluta dal fondatore Joseph Smith. Il motivo è semplice. Basta aprire la Bibbia. Davide aveva un intero harem. Betsabea fu l’ultima conquista. (2 Samuele 11). Elkana «aveva due mogli, una chiamata Anna, l’altra Peninna». (1 Samuele 2). Roboamo aveva «diciotto mogli e sessanta concubine e generò ventotto figli e sessanta figlie». (2 Cronache 11,21). «Abia prese quattordici mogli» (2 Cronache 13,21) e Gedeone ebbe molte mogli che gli diedero ben settanta figli. (Giudici 8,30). Ma il record spetta al re Salomone con settecento mogli e trecento concubine.

Un ricambio al ritmo di tre donne al giorno per un anno intero. Non faceva altro: «Aveva settecento principesse per mogli e trecento concubine; le sue donne gli pervertirono il cuore» (1 Re11,3) che però resistette sino a ottant’anni. Per questo motivo i Mormoni pensarono bene di approvare la poligamia. Il fondatore Joseph Smith, nella rivelazione del luglio 1843 fece riferimento alle mogli e concubine di Mosè, Davide e Salomone. (Doctrines and Covenant 132:37-40) Tuttavia l’avere più mogli è una pratica che dalla fine del XIX secolo entrò in disuso tra i fedeli di Smith, perché in contrasto con le leggi civili degli Stati Uniti e fu sempre motivo di divisione interna per i Mormoni. San Paolo esalta la monogamia (Romani 7, 2-3).

Ma i membri della Fundamentalist Church of Jesus Christ of Latter-Day Saints (FLDS) vogliono ancora tante mogli. Loro e le loro numerose consorti vivono a Hildale (Utah), Colorado City (Arizona), Cedar City (Utah), Modena (Utah), Pringle (Sud Dakota), Eldorado (Texas), Lund (Nevada), Lowell (Wyoming), Pinesdale (Montana), Mancos (Colorado). Il fondatore della Fundamentalist Church of Jesus Christ of Latter-Day Saints è Warren Steed Jeffs. Dopo essere stato sulla lista dei dieci più ricercati dell’FBI, il 29 agosto 2006 è stato arrestato e il 9 agosto 2011 è stato condannato all’ergastolo per abusi sessuali e stupro di minori, due delle quali erano le sue mogli dodicenni. Durante il processo si difese leggendo il Libro di Mormon, il testo sacro mormone. Jeffs controlla tuttora la Fundamentalist Church of Jesus Christ of Latter-Day Saints da dietro le sbarre. Nello stato dello Utah oggi vivono quarantamila persone poligame. Cercano la licenza legale per il primo matrimonio e poi si sposano clandestinamente per le altre nozze. Le mogli si mostrano in pubblico come madri non sposate.

Se invece vuoi avere più mariti non ti resta che recarti in Tibet, in Nepal o Sri Lanka (per la legge Kandyan). La poliandria è presente anche nell’Induismo, citata nel poema Mahabharata. Nel Buddhismo tibetano è lecita la poliandria adelfica. Una donna è sposata anche con tutti i membri maschili della famiglia del marito. La molteplicità di mariti è presente anche tra i Maasai  e i Gyliak e gli Inuit eschimesi.

Giorgio Nadali


Fede & Scienza: Le forze della preghiera e della fede fanno bene al cervello

Le persone religiose trovano forza in Dio; questo lo sappiamo. Ma un nuovo studio condotto dal Prof. Malt Friese e da Michaela Wanke suggerisce che anche i non credenti possono entrare in azione. In un recente numero del Journal of Experimental Social Psychology, presentano prove che dimostrano come e perché la preghiera potrebbe aumentare la capacità di chiunque di resistere alla tentazione. Tuttavia possiamo essere tutti d’accordo che per questo occorra autocontrollo, gli autori propongono che la fonte di tale controllo potrebbe non essere soprannaturale. Invece, potrebbe venire da qualcosa di più terreno. Qualcosa di accessibile anche ai più atei: la connessione sociale.

Gli autori hanno elaborato il loro studio del potere di preghiera in ciò che hanno chiamato il “modello forza” dell’autocontrollo. Il modello di resistenza suggerisce che le nostre risorse cognitive, come le nostre risorse fisiche, siano limitate. Correre per un chilometro sarebbe incredibilmente difficile dopo averne corsi già 30, e resistere anche alla più piccola tentazione può essere incredibilmente difficile se hai appena passato un’ora a resistere quelle più grandi. Quindi, come possiamo ricostituire queste risorse cognitive, o anche aumentare la nostra “resistenza” cognitiva? I ricercatori hanno, in tutta serietà, scoperto che l’ingestione di glucosio può infatti aumentare l’autocontrollo, ma gli scienziati gli scienziati hanno supposto che la preghiera potrebbe essere un altro mezzo attraverso il quale gli individui si proteggono dal crollo della forza di volontà. In effetti, studi del passato avevano già suggerito un tale rapporto, mostrando che suggerendo ai partecipanti parole relative alla religione (ad es Dio, divino) li mettevano al riparo contro gli effetti dell’impoverimento cognitivo.

Gli autori hanno trovato che le persone interpretano la preghiera come l’interazione sociale con Dio, e le interazioni sociali sono ciò che ci danno le risorse cognitive necessarie per evitare la tentazione. Precedenti ricerche hanno trovato che anche brevi interazioni sociali possono promuovere le funzioni cognitive, e lo stesso sembra valere per le brevi interazioni sociali con le divinità.

Uno dei più importanti ricercatori nel campo della neurologia e della spiritualità è Andrew Newberg, direttore della ricerca presso il Jefferson Myrna Brind Center of Integrative Medicine a Thomas Jefferson University Hospital e , a Philadelphia . Ha fatto studi empirici sul funzionamento del cervello tra una varietà di praticanti spirituali che vanno da suore cattoliche impegnati in ” centrare preghiera” di pentecostali in preghiera in lingue .

I risultati del suo lavoro e altri hanno confermato che il cervello umano è “progettato per la fede . “Diverse volte le neuroscienze hanno dimostrato che la preghiera fa una differenza notevole nel funzionamento fisiologico del cervello.

Newberg afferma che mentre cresci spiritualmente, cambi le convinzioni, migliori il senso di compassione – per esempio – e questo incide sul cervello. Se si pratica la molto preghiera, per esempio, i dati mostrano che queste pratiche possono effettivamente cambiare il cervello nel corso del tempo .

Abbiamo fatto uno studio sulla pratica di meditazione e abbiamo trovato diverse cose tra le persone che non avevano mai meditato prima. Quando queste persone hanno aggiunto la meditazione per le loro pratiche, come ad esempio concentrandosi su un passo della Scrittura, abbiamo visto cambiamenti significativi nel funzionamento del cervello. In particolare, abbiamo visto una maggiore attività nei lobi frontali (una delle aree del cervello coinvolte nella compassione e nelle emozioni positive ) e non ci sono stati cambiamenti nel talamo, la parte del nostro cervello che ci aiuta all’interconnessione.

I cristiani spesso parlano di ” frutto dello Spirito ” delineati da San Paolo nella Lettera ai Galati- “amore, gioia, pace, pazienza, gentilezza, bontà, mitezza, dominio di sé “. Queste sono funzioni del cervello ?

Newberg risponde che in sostanza c’è un equilibrio da stabilire tra il lobo frontale e il sistema limbico. L’amigdala è la parte del cervello che reagisce alla paura, all’odio , alla rabbia e altre emozioni allarmanti, ma partecipa anche agli aspetti positivi. Il lobo frontale equilibra tutto. Per esempio, quando qualcuno ti taglia la strada nel traffico , la vostra amigdala reagisce con , “fagli  del male subito”, ma il vostro lobo frontale dice: “Aspetta un minuto! ” Questa è una visione neurologica della pazienza .

Sia che si chiami ” vita nello Spirito ” o diventare più compassionevole, meno reazionario, si parla del tentativo di sopprimere l’amigdala e cercare di migliorare il lobo frontale e le attività nelle aree sociali del cervello.

Newberg aggiunge che “le visioni positive su Dio sono buone per il cervello. Tuttavia , le visioni negative su Dio possono essere dannose, causano stress, ansia e possono causare depressione e emozioni negative”.

Abbiamo scoperto che la fede nel suo senso più ampio è la cosa migliore che si può avere per il cervello. Non solo la fede religiosa fa bene al cervello, ma anche l’ottimismo e il guardare il mondo in modo positivo che la gente associa spesso con la fede.  Avere ” fede” che la tua vita andrà per il verso giusto e che tu sia in grado di aiutare altre persone, questo è un altro beneficio.

In realtà, l’ottimismo – la speranza – è un ottimo indicatore della propria salute e della vita . Se questo ottimismo è avvolto in un contesto religioso, vi sono elementi che dimostrano che le persone che sono religiose hanno più bassi livelli di depressione e ansia .

Inoltre, quando hai fede, fornisci un quadro di riferimento per la vita e per la comprensione del mondo che allevia un sacco di ansia ontologica di cui molti soffrono, e ciò fornisce risposte in un contesto di vita. È un reticolo interconnesso per la vita. Se ottenete sostegno sociale dalla vostra chiesa, anche questo è incredibilmente utile per il cervello .

Giorgio Nadali


A spasso per l’Aldilà. 1

Inizia oggi la nostra serie di carrellate su aspetti particolari della credenza sulla vita ultraterrena nel mondo. Aspettiamo i vostri commenti! Buon viaggio!

ZOMBIE (Vodou)

I film dell’orrore li hanno resi celebri. Sono i morti viventi. Per il culto animista del Vodou di Haiti esistono veramente. Per capire in quale contesto si inserisce il vero zombi, dobbiamo ricordare che Vodou vuol dire “spirito”. Il Vodou anima la società di Haiti. Sebbene quando si pensa al Vodou ci viene istintivamente in mente qualcosa che ha a che fare con la magia nera e la stregoneria, il Vodou è qualcosa di più complesso e profondo. E’ la religione popolare di Haiti, che si è formata attraverso la commistione di antiche credenze di origine africana (Benin). Per Mons. Guy Poulard, vescovo di Haiti, una buona parte della popolazione partecipa ai riti Vodou di notte e a quelli cattolici di giorno. La forza del Vodou può essere usata per il male, ma anche per il bene. Ad Haiti vi è un rapporto molto particolare con i propri defunti. I bambini giocano sulle tombe di famiglia situate nel giardino di casa, buone anche per stendervi la biancheria lavata. La zombificazione di una persona è una forma di stregoneria del Voodoo di Haiti. Consiste in una morte apparente per togliere la libertà ad una persona, non più meritata a causa di qualche gesto grave compiuto, come l’omicidio o lo stupro. Chi ha subito un torto può rivolgersi ad uno stregone Voodoo, chiamato bokor. Lo zombie diverrà come uno schiavo. Potrà essere venduto e comprato. Se la persona che ha acquistato lo zombie muore, allora potrà riscattarsi (mediante una pozione antidoto), ma non potrà tornare al suo villaggio di origine, poiché è stato condannato. Come avviene la condanna per zombificazione? Tecnicamente attraverso una neurotossina che induce una forma catalettica che prelude ad un avvelenamento successivo più grave e talvolta alla morte. Mediante dei rospi di tipo amazzonico (Bufo alvarius, Bufo marinus) oppure il veleno del pesce palla, si estrae la bufotenina (5-MEO-DIMETILTRIPTAMMINA), o tetradotoxina (TTX), da cinquanta a cento volte più potente della digitale. Il condannato sembra clinicamente morto e viene seppellito ancora cosciente. Di notte il corpo dello zombie viene risvegliato dal bokor in un cimitero, con un’altra sostanza che cancellerà la personalità del condannato e lo renderà un automa, suo schiavo. Sarà senza memoria e volontà, con occhi vitrei e voce nasale. Potrà essere venduto. L’antidoto usato è la datura, una pianta che contiene nei semi e nei fiori degli alcaloidi come la scopolamina e l’atropina. Alcaloidi che producono effetti di controllo mentale. La parola zombie deriva da quella creola Nzambi, una divinità dell’Africa occidentale. La pratica di zombificazione non è molto frequente ed esiste ancora oggi, ma il governo haitiano non ha alcun controllo su queste pratiche clandestine e illegali. La zombificazione spaventa molto la gente di Haiti, anche perché ricorda l’antica schiavitù. Il cinema si è ispirato a questa pratica reale per i film sugli zombie.

CIMITERI (Cristianesimo)

I luoghi di sepoltura si chiamavano anticamente “Necropoli”, cioè “Città dei morti”. Con la nascita del Cristianesimo il termine è mutato in “cimiteri”. Questa parola proviene dal greco koimetérion, “luogo di riposo”: il verbo κοιμᾶν (“koimân”) significa “fare addormentare”. Questo è dovuto alla fede cristiana nella risurrezione di coloro che vi sono sepolti, che si risveglieranno per la risurrezione, secondo la promessa di Gesù nel Vangelo di Giovanni 6,40.

INDULGENZE (Cristianesimo cattolico)

La dottrina dell’indulgenza è nata in ambito cattolico si riferisce alla credenza nella possibilità di cancellare una parte ben precisa delle conseguenze di un peccato (detta pena temporale), dal peccatore che abbia confessato sinceramente il suo errore e sia stato perdonato tramite il sacramento della confessione. A seguito della riforma protestante, che contestò questa dottrina sostenendo che essa non abbia un fondamento nella Bibbia, rimase un uso prettamente cattolico. La vendita delle indulgenze spaccò la Chiesa con la Riforma protestante di Martin Lutero, nel 1517, il quale rifiutava il valore delle indulgenze e soprattutto il fatto di offrirle a seguito di un’offerta di denaro. Con la vendita delle indulgenze è stata edificata la Basilica di San Pietro in Vaticano. Ancora oggi si dice “lucrare un’indulgenza”, da “lucro”, cioè denaro. Ovviamente le condizioni non riguardano più il denaro per acquistare la bolla di indulgenza. Lucra validamente un’indulgenza chi riceve il Sacramento della Riconciliazione (Confessione), l’Eucaristia, recita il Credo, prega secondo le intenzioni del Papa. Chi muore martire o dovesse morire subito dopo aver lucrato validamente un’indulgenza plenaria va direttamente in Paradiso senza passare dal Purgatorio. Quest’ultimo è presente solo nella dottrina cattolica. Il martire “lava” la sua anima dalle pene del Purgatorio col proprio sangue versato a causa diretta ed evidente della sua fede in Cristo. L’ultima martire canonizzata in Italia (nel 1950 da Papa Pio XII) è stata la dodicenne Maria Goretti.

CREMAZIONE (Induismo)

Il funerale può incominciare anche da vivi, col rito dello adya-shrada. Chi non ha figli che possano occuparsi del rito funerario al momento della propria morte o chi ritiene che il proprio funerale non verrà fatto per qualche ragione, può chiedere il rito funerario anticipato (…senza cremazione, ovviamente), chiamato appunto adya-shrada. Normalmente però il rito funerario avviene da morti. E’ il sedicesimo sacramento dell’Induismo, chiamato antyeshti, cioè “cremazione”. Le norme per il rito sono contenute nel testo Aswalayana Grhya Sutra. Gli uomini sono avvolti in un sudario bianco o color zafferano e le donne in uno rosso. Il volto è cosparso da polvere rossa (sindur) simbolo del sacro. Se il defunto è un uomo, il rito verrà officiato da uomini (parenti e amici), se è il defunto è donna, verrà officiato da donne. Per la cremazione vengono utilizzati alcuni ingredienti: muschio, zafferano, legno di sandalo, canfora, legna da ardere, burro chiarificato (detto ghi). La cremazione avviene sempre sulla riva di un fiume. Al termine del processo di combustione, che può durare dalle due alle tre ore e mezza, le ceneri saranno affidate alle acque fluviali. Il corpo è deposto su una kunda (una struttura rettangolare di pietra con un buco nel centro) sulla quale vengono deposte tre cataste di legna e della paglia. Il volto del defunto deve sempre essere rivolto a Nord. Se è uomo, dev’essere prima sbarbato. Il fuoco viene appiccato sempre a partire da Nord. Dev’essere accesa una lampada alimentata dal burro ghi e da questa fiamma va accesa della canfora, la quale a sua volta accenderà la pira. Alla salma vengono rivolte le parole: “Caro defunto!
Dopo la morte, possa il potere della tua vista essere assorbito nel sole, la tua anima nell’atmosfera, possa tu andare nella regione luminosa della terra, secondo i tuoi meriti spirituali, o và alle acque, se quello è il tuo luogo, o alle piante, assumendo corpi diversi”. Nel 1829 venne abolita la pratica della “sati”. Una vedova si immolava da viva sulla pira funeraria del marito a simbolo del suo essere priva del suo valore in sé, senza il marito. Questa pratica è ancora in uso in forma clandestina nell’India rurale. E’ segno di amore immortale e purifica la coppia dai peccati accumulati.

PURGATORIO (Cristianesimo cattolico)

La fede nell’esistenza del Purgatorio è esclusiva del cattolicesimo. A Lione (Francia) il 7 maggio 1274 si apre il 14° Concilio ecumenico. Viene fissato il dogma del Purgatorio, che sarà confermato dai Concili di Basilea, Firenze, Ferrara e Roma (1431-1449) e dal Concilio di Trento (1545-1563) come “luogo e condizione in cui le anime dei morti, giustificati, ma ancora in condizione di peccato, si trovano per completare la purificazione prima di ascendere in paradiso.”

TOMBE EBRAICHE (Ebraismo)

Gli ebrei non mettono fiori sulle tombe, ma sassolini perché ricordano le sepolture affrettate nel deserto al tempo dell’Esodo dall’Egitto (1200 a.C.). Inoltre nella simbologia ebraica, la roccia simboleggia Dio. Il popolo di Israele nell’antichità trascorreva molto tempo nelle zone aride del deserto. Abramo, Isacco, Giacobbe e Lot erano pastori nomadi. Per ritrovare i luoghi dove erano sepolti i loro defunti erigevano delle piccole montagnole di pietre.

ISLAM E DEFUNTI DONNA (Islam)

Muhammad (Maometto) disse: “Mi è stato mostrato il fuoco dell’Inferno e che la maggioranza dei suoi abitanti sono donne”.

TOMBA E CULLA (Cristianesimo)

San Girolamo disse: “La tomba vuota è la culla del Cristianesimo” intendendo con questo che il Cristianesimo nasce con la tomba vuota per la risurrezione di Cristo. Ma disse anche che una donna cessa di essere tale e può essere chiamata uomo quando vuol servire più Cristo che il mondo (Comm. ad Ephesios III,5).

MING BI (Taoismo)

I jīnzhǐ (o míng bì, “denaro dell’ombra”) sono oggetti di carta di bambù o carta di riso, noti anche come “carta degli spiriti”. Modellini di auto, case, ma soprattutto soldi finti con la scritta in cinese e in inglese “Hell banknotes”, cioè “Banconote dell’Inferno”, lo “Hell Passport”, il “Passaporto per l’Inferno” e addirittura un biglietto aereo finto con la scritta “Hell Airlines”, Linee Aeree dell’Inferno. I fedeli li comprano nel “negozio di carta per il mondo degli spiriti”, che si trova spesso vicino ad un tempio taoista e li bruciano – dopo averle ben piegate – in un apposito piccolo forno dentro il tempio. In questo modo i propri defunti avranno molte cose nell’aldilà e saranno liberi dall’inferno. L’immagine sulle banconote è dell’imperatore di giada, Yù Huáng, guardiano dell’aldilà. L’esatta parola cinese sulle banconote è diyu, che significa “prigione ultaterrena”. I jīnzhǐ vengono in genere bruciati insieme ai yunbao, piccoli lingotti d’oro finti. Attenzione. E’ molto offensivo darne una a una persona vivente. Esistono anche le Paradise Banknotes, banconote (finte) per il paradiso, bruciate in onore degli déi taoisti. Dal 2006 in Cina è però proibito dal ministero per gli affari civili bruciare i modellini di carta di auto e case perché è ritenuta una pratica feudale.

CHIESA E INFERNO (Cristianesimo cattolico)

La Chiesa non cita alcun nome di persona che sia con certezza all’Inferno. Non si può sapere se un pentimento possa essere giunto anche negli ultimi istanti di vita come è narrato nel Vangelo per uno dei condannati alla crocifissione accanto a Gesù. Solo Dante Alighieri nella Divina Commedia fa dei nomi di persone che lui riteneva fossero dannate. La Chiesa fa nomi certi di persone solo per il Paradiso. Questo vale per tutte le Chiese cristiane – ortodossi, cattolici, anglicani, protestanti.
Papi all’Inferno
Secondo Dante Alighieri vi sono 6 papi all’Inferno. Nella “La Divina Commedia” sono: Niccolò III (Giovanni Gaetano Orsini, 1277-1280) nella terza bolgia dell’ottavo girone dell’Inferno, per i simoniaci (venditori di cose spirituali) insieme a Bonifacio VIII (Benedetto Caetani, 1294-1303) e papa Clemente V (Betrand de Gouth, 1305-1314). Bonifacio VIII è citato anche nella bolgia VIII per i consiglieri fraudolenti insieme a papa Silvestro I (314-335). Nel sesto cerchio vi è papa Anastasio II (496-498) con gli eretici. Infine papa Celestino V (Pietro Angeleri, 1294) nell’antinferno con gli ignavi. Di questi papi Celestino V è santo.

MARTIRI (Cristianesimo, Islam)

E’ una delle massime aspirazioni per ogni uomo musulmano. Non solo fondamentalista. Si chiama talab alsahada, l’aspirazione a diventare un sahada (un martire). E questo, a differenza del martirio cristiano (che significa perdere la propria vita a causa della fedeltà a Cristo), vuol dire quasi sempre far morire anche altre persone in nome dell’Islam. Il conflitto israelo-palestinese ne ha conosciuti molti negli ultimi anni. Campi specializzati addestrano giovani celibi, pronti a morire in mezzo ai discendenti di Davide, imbottiti di esplosivo, per la causa dell’Islam. Un martire è già puro. Morendo per l’Islam uccidendo altre persone, ha il Paradiso garantito. E non un Paradiso qualsiasi. Uno molto sensuale: “Invece i timorati di Dio staranno in luogo sicuro – fra giardini e fontane – rivestiti di seta e di broccato, faccia a faccia. Così sarà. E daremo loro in ispose fanciulle dai grandi occhi neri, – e là chiederanno ogni sorta di frutti e ne godranno sicuri”. (Sura del fumo “ad-Dukhan” XLIV,51-54)

Nel Cristianesimo invece il martire è un testimone (dal greco martyrion) della fede, a costo della propria vita. Il detto “vita, morte e miracoli” deriva proprio dal processo per dichiarare santo (canonizzare) un fedele. Vengono infatti esaminate la vita, il momento della morte e almeno un miracolo avvenuto per sua intercessione sua. Solo per i martiri il miracolo non viene più richiesto, per volontà di papa Paolo VI. L’ultima martire canonizzata in Italia (nel 1950 da Papa Pio XII) è stata la dodicenne Maria Goretti.

DEFUNTI DA BERE (Religione tribale Yanomami)

Gli indigeni Yanomami del Sud America non seppelliscono i defunti. Li cremano e mescolano le ceneri con una bevanda alla banana. Il parente più prossimo poi beve la miscela. In questo modo lo spirito del defunto è soddisfatto e non torna a tormentarli.

PARADISO ISLAMICO (Islam)

Le Huri, ḥūr o ḥūrīyah secondo la tradizione islamica sono delle fanciulle che attendono nel paradiso coloro che nel giorno del giudizio arriveranno lì. Secondo la tradizione le Huri sarebbero giovani ragazze perennemente vergini il cui compito sarebbe quello di ricompensare l’uomo arrivato nel paradiso. Sempre secondo la tradizione, le giovani avrebbero la capacità di concepire e generare. Per il sesso femminile esistono ugualmente gli ghulām. Nel Corano la parola hûr indica le giovani fanciulle vergine promesse ai credenti. La radice di questa parola è collegata all’idea di “bianchezza” in particolare ai grandi occhi della gazzella e al contrasto tra il bianco dell’occhio e il nero della pupilla, hawrâ’ è una donna dai grandi occhi neri e dalla pelle molto chiara. Quasi tutti i versetti che parlano di hûrî sono del periodo meccano, quando è particolarmente sentito da Muhammad il tema del Giudizio Universale. I versetti coranici ci dicono che non sono mai state toccate né dagli uomini né dai jinn, la sostanza da cui sono state create per alcuni è lo zafferano, per altri sono di zafferano, muschio, canfora e ambra. I loro muscoli sono delicati e i loro tendini paiono fatti di fili di seta. Sui loro seni sono iscritti due nomi: da una parte quello Dio, sull’altro quello del proprio marito. Vivono in castelli con 70 letti, hanno 33 anni come i loro mariti, la loro verginità viene rinnovata eternamente, il loro corpo è sempre puro, non hanno mestruazioni, bisogni umani. Le donne che in vita sono state virtuose in Paradiso si ricongiungeranno al proprio marito e lì continueranno la loro vita insieme. Se una donna in vita ha avuto più mariti ne sceglierà uno, mentre gli uomini poligami avranno diritto a tutte le mogli legittime. I commentatori però non dicono nulla sulla sorte di quelle donne che andranno in Paradiso, ma che in vita non sono state sposate. Su questa base coranica la tradizione ha aggiunto dettagli dando alle hûrî un carattere molto sensuale. Non tutti gli esegeti hanno accettato questa idea prettamente materialista, al-Baydâwî dice che non si possono fare raffronti tra il godimento del cibo, delle hûrî, la condizione umana terrena è altra rispet-to a quella del Paradiso, certo è che la mentalità popolare musulmana è permeata da questi concetti. E’ solo in un hadîth che si parla delle 70 vergini che attendono tutti gli eletti, non solo i martiri.

DONNA E REINCARNAZIONE (Buddhismo)

Secondo il canone Pali delle scritture sacre buddhiste, un essere si reincarna donna se ha fatto qualcosa di grave nella vita precedente. Esiste il detto: “Ho ottenuto un corpo di donna perché ho commesso il male in una passata esistenza”

RISURREZIONE DEI CORPI UMANI (Cristianesimo)

Risurrezione del nostro corpo. Come sarà? La dottrina della risurrezione è presente anche nell’Ebraismo e nell’Islam.
Il Signore Gesù Cristo ce lo ha promesso: «Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue ha la vita eterna e io lo risusciterò nell’ultimo giorno». (Gv 6,54). Appartiene al dogma della risurrezione che essa avvenga coi corpi che abbiamo ora (“cum suis propiis resurgent corporibus quae nunc gestant” – IV Concilio del Laterano – e “in hac carne, qua nunc vivimus” – Fidei Damasi). Il corpo sarà non solo specificamente lo stesso (il corpo che ho ora). Con questa affermazione, si evita ogni modo di pensare che suggerisca una metempsicosi o una tramigrazione delle anime da un corpo all’altro… Vi sono tre ipotesi teologiche sul come riavremo il nostro corpo il giorno della risurrezione. Gesù Cristo promette che questo avverrà alla fine dei tempi. In Giovanni 6:54 dice: “Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue ha la vita eterna e io lo risusciterò nell’ultimo giorno”. Le ipotesi sulla nostra risurrezione sono:
Identità materiale – perché il corpo sia numericamente lo stesso, si richiederebbe che fosse composto nella stessa materia. Intesa in tutto il suo di rigore, la teoria difficilmente accettabile. D’altra parte, il principio secondo il quale un’identità materiale necessaria perché il corpo possa essere considerato lo stesso, è scientificamente assai discutibile. Dato il metabolismo costante del corpo umano, il mio corpo attuale ha rinnovato totalmente la sua materia da com’era sette anni or sono; e tuttavia, penso con ragione che sia rimasto realmente lo stesso corpo.
Identità formale – una teoria che si colloca all’estremo opposto sarebbe quella proposta, già nel Medio Evo da Durando di San Porciano (+ 1334). Durando suppone che, quale sia la materia di cui è composto un corpo, è il mio corpo per il fatto medesimo che esso s’unisce la mia anima… Bisogna riconoscere che, esposta in questo modo e senza altri particolari, questa teoria lascia l’impressione di una certa somiglianza con la teoria della trasmigrazione delle anime… Joseph Ratzinger [attuale papa Benedetto XVI, n.d.A.] pensa che non sia necessaria la stessa materia perché il corpo possa essere considerato lo stesso, e ha fatto notare che tutta la tradizione ecclesiastica (dottrinale e liturgica) impone come limite che il corpo risuscitato deve includere le reliquie dell’antico corpo terreno, se si esistono ancora come tali quando avviene la risurrezione. Tali “reliquie” saranno nuovamente animate dall’anima santa al corpo della quale appartennero. D’altra parte, insistendo sul fatto che la nostra risurrezione gloriosa non può essere spiegata senza un parallelismo con la risurrezione di Gesù, pare necessario affermare, come secondo limite, una certa continuità di somiglianza morfologica col corpo mortale.
Identità sostanziale – Alois Winklhofer ha proposto, recentemente una nuova ipotesi… di fronte a un cadavere che comincia a corrompersi, Dio sottrae e conserva separatamente questa sostanza non fenomenologica del corpo. Il cadavere, a dispetto della sua continuità fenomenologica col mio corpo, non sarebbe più, in questo caso, il mio corpo. Al contrario, partendo dalla sostanza non fenomenologica del mio corpo, Dio ricostruirebbe il mio corpo risuscitato; e appunto la permanenza di questa sostanza (l’identità sostanziale) farebbe sì che sia il mio corpo e non un altro.

Giorgio Nadali

 


I segreti del Nirvana

Nel Buddhismo il nirvana è l’estinzione (nir) di ogni desiderio (vana), lo scopo finale dell’esistenza e la liberazione finale dal dolore: «Tutto è dolore Il dolore si combatte eliminando il desiderio». In psicoanalisi il «Principio del Nirvana» è quello che esprime la tendenza a raggiungere uno stato non conflittuale di libertà dal dolore o dalle preoccupazioni. Il desiderio di uno stato di oblio come manifestazione dell’istinto di morte. Per Schopenhauer è la negazione della volontà di vivere la cui esigenza scaturisce dalla conoscenza della natura dolorosa e tragica della vita. Il mokṣa è la liberazione in questa vita (jivanmukti) o escatologica (karmamukti) dal ciclo di reincarnazioni, il samsàra.

Il funerale tradizionale taiwanese con le spogliarelliste funebri

Dentro il padiglione funebre – nella casa del defunto – è fatto il lamento funebre e i famigliari strisciano fino alla bara. Il defunto ha lascito per tempo le sue ultime volontà e disattenderle può portare mala sorte alla famiglia. Il figlio maggiore indossa le vesti cerimoniali. A Taiwan le ballerine erotiche vengono ingaggiate per eventi come matrimoni e funerali. Molti pensano che spettacoli esotici e costosi siano onorevoli e facciano felici déi, spiriti e uomini. In casa viene offerto cibo al defunto per il suo viaggio. Poi viene deposto nella bara, piena dei soldi finti chiamati jīnzhǐ.

A Taiwan il rispetto per il defunto si misura con la folla, i soldi spesi per il funerale (in genere almeno quindicimila euro) e il numero più alto possibile di decibel della musica festosa. Una banda con majorettes, sassofoni, suonatori di tamburo trasportati da carrelli motorizzati e cantanti col microfono accompagnano il feretro. È chiamato il “carro di Buddha” e apre il corteo funebre. Poi segue il grande dragone di carta con i ballerini che fanno la danza del drago. Due bande musicali interamente femminili. Vengono cantati pezzi pop. A seguire, un altro carro allegorico funebre con palcoscenico mobile e ballerine di lap dance che la per giusta somma di denaro si spogliano durante il corteo funebre e anche davanti alla lapide. Tutto per fare felice il defunto. Nella bara viene fatta un’apertura affinché il defunto possa guardare le ragazze mentre ballano al cimitero. Poi è interrata. Nella cultura buddhista la morte non è affatto qualcosa di triste.

Il Naraka, l’inferno Indù e Buddhista

Nel codice di Manu (induista) si parla non di uno, ma di ben ventuno inferni diversi, ciascuno col suo nome. Ciascun inferno ha una sua pena. È escluso che Dante Alighieri si sia ispirato al Codice di Manu nella sua descrizione delle pene infernali, ma è strano notare la somiglianza dei vari inferni buddhisti e induisti con le pene del contrappasso dantesco. È fuori discussione che l’inferno sia caldo. Questo però solo nella visione cristiana. Infatti, Gesù parla di «fuoco eterno» dell’inferno (Matteo 25,41). Il Codice di Manu parla anche di otto inferni freddi, oltre a otto inferni caldi. Nel Naraka Huhuva si battono i denti. È proprio chiamato “Il Naraka dei denti che battono”. Stranamente si parla di “stridore di denti” infernali anche nel Vangelo di Luca 13,28 e in altri sei passi evangelici.

Il Taoismo conosce un rito dei denti che battono, il K’ou-ch’ih. Il Naraka Nirarbuda è l’inferno freddo delle vesciche scoppiate. Nel Naraka Aṭaṭa i dannati hanno così freddo che non fanno altro che balbettare «at, at, at», da cui il nome: il Naraka del tremito. Il Codice di Manu descrive anche la durata della vita infernale. Non è eterna, come nella visione cristiana e islamica, ma è notevolmente lunga. L’inferno caldo Naraka Pratāpana, quello «dell’immenso calore» per intenderci, dura un numero astronomico di anni: 42.467.328 per dieci alla decima. In sostanza più anni d’inferno che del numero delle stelle nell’universo; tutti ospiti di Yama, il padrone di casa del naraka. No, non è Satana.
L’Avichi è l’inferno peggiore. I naraka freddi e caldi sono circondati da sedici inferi secondari. I dannati sono triturati, spezzettati, mangiati vivi da uccelli col becco di ferro, tagliati a pezzi dalle affilatissime foglie degli alberi infernali. Una speranza però c’è.

Il rito dell’ullambana. Letteralmente significa “salvare i defunti appesi sottosopra”. Questo rituale a favore dei defunti è praticato sia dall’Induismo, sia dal Taoismo, sia dallo Shintoismo. Il termine ullambana deriva dal sanscrito avalambana: e significa “appeso a testa in giù”. È questo il tormento dal quale si vogliono salvare i defunti. In Cina è praticato il quindicesimo giorno del settimo mese buddhista (agosto) per aiutare gli spiriti affamati (preta) mediante offerte di cibo, spesso in forma simbolica e di carta (vedi Jīnzhǐ). In Giappone lo urabon si tiene il 15 luglio e il 15 agosto.

Funerale simulato da vivi

In Corea del Sud vi è il più alto tasso di suicidi al mondo. Dai 400.000 ai 779.000 nel mondo. Dei venti Paesi con alti tassi di suicidio, diciassette appartengono all’area dei Paesi più ricchi e benestanti; lo status socioeconomico delle persone non costituisce un fattore rilevante di rischio suicida; più una persona, o uno Stato, è religiosa e minore è il suo tasso di suicidio; i protestanti presentano un tasso di suicidio più alto degli ebrei, e questi, a loro volta, più alto dei cattolici .

La Cheonan la Coffin Academy (“Accademia della bara”) offre un programma che vuole prevenire i suicidi. Il momento più importante del macabro rituale è il finto funerale in cui i partecipanti sono chiusi ognuno nella propria bara posta in una grande sala. Si scatta la foto della persona da porre con un lumino sulla bara. Viene indossato il tradizionale sudario coreano e letto l’elogio funebre di ciascuno dei partecipanti. Il coperchio della bara è chiuso con un martello dopo che il partecipante vi si è sdraiato. Per dieci minuti ognuno riflette sulla propria vita, prima che la bara sia riaperta. Nessuno dei partecipanti al rito si è poi suicidato.

Monaci buddhisti robotizzati al cimitero

Al cimitero centrale di Yokohama (Giappone) la Elevator Systems Co. di Tokyo ha installato un monaco buddhista robot del valore di 380.000 dollari. Il monaco robot inizia automaticamente alle nove di mattina a intonare le preghiere di quattro sette buddhiste, sbattendo le palpebre e aprendo la bocca in base alla registrazione su cd rom. Svolge la funzione di quattro monaci. Un altro monaco robot è installato presso il tempio buddhista Hotoku-ji, a Kakogawa (Giappone). Di solito sta fermo in meditazione, ma quando i suoi sensori sentono l’avvicinarsi di un fedele, il monaco robot creato da Yoshihiro Motooka inizia a intonare un sutra, mentre lo shumoku (pestello) che tiene nella sua mano destra batte ritmicamente il suo bel mokugyo (gong di legno buddhista). Il robot è stato creato con parti usate di altri apparecchi. Il monaco robot è rasato, tiene in mano un rosario juzu ed è inginocchiato.

Giorgio Nadali