Fede & salute

Le credenze religiose possono essere molto potenti e possono avere effetti fisici. Uno studio guidato da Katja Wiech dell’Università di Oxford ha coinvolto ventiquattro individui divisi in due gruppi. Dodici erano studenti cattolici praticanti. Gli altri dodici erano studenti atei. Sono state mostrate loro alcune immagini. Una era un’immagine della Vergine Maria del pittore Giovanni Battista Salvi detto «Il Sassoferrato» (XVII secolo). L’altra era «La dama con l’ermellino», di Leonardo da Vinci. Immagini molto simili. Dopo aver guardato le foto per trenta secondi, i volontari sono stati sottoposti a piccole scosse elettriche per dodici secondi. Ogni volta, è stato chiesto di classificare come il livello di dolore su una scala da zero a cento. I soggetti sono stati poi sottoposti a risonanza magnetica cerebrale.
Quando la squadra della Wiech controllò le scansioni cerebrali dei due gruppi, ha trovato marcate differenze tra di loro. Dopo aver visto il quadro della Vergine Maria, una zona del cervello chiamata corteccia prefrontale risultava illuminata solo nei volontari religiosi. I membri del gruppo religioso riferivano di provare meno dolore quando guardano l’immagine della Vergine Maria, di quando guardavano il quadro di Leonardo.

Per i cattolici dodici per cento in meno di dolore. Sul gruppo di non religiosi le immagini non hanno avuto alcun effetto.
Katja Weich ha concluso che: «I cattolici erano coinvolti in un meccanismo cerebrale che è ben noto dalla ricerca come effetto placebo, analgesia e disimpegno emotivo che aiuta le persone a reinterpretare il dolore e renderlo meno minaccioso. Queste persone si sentivano sicure guardando la Vergine Maria, si sentivano protetti, quindi l’intero contesto del test è cambiato per loro. È altamente probabile che anche le persone non religiose potrebbero raggiungere una simile capacità di controllare il dolore, forse attraverso la meditazione o altre strategie mentali».

Gli individui che praticano la religione e la spiritualità godono di una migliore salute fisica e mentale rispetto a quelli che non lo fanno. Per comprendere meglio questo rapporto e come la spiritualità e la religione possano essere utilizzate per far fronte a problemi di salute significativi, i ricercatori dell’Università del Missouri hanno esaminato quali aspetti della religione sono più vantaggiosi e per quali popolazioni.
«I nostri risultati rafforzano l’idea che la religione e la spiritualità possano aiutare a tamponare le conseguenze negative di condizioni di salute difficili», ha riferito Stephanie Reid-Arndt, professoressa associata di psicologia della salute nella scuola di professioni sanitarie. «Sappiamo che ci sono molti modi di far fronte a situazioni di vita stressanti, come una malattia cronica e il coinvolgimento in attività spirituali e religiose può essere una strategia efficace per far fronte a queste situazioni». La recente pubblicazione del Centro di Ricerca per la Religione e le Professioni dell’Università del Missouri, creato dalla Reid-Arndt, ha scoperto che il sostegno religioso è associato con i migliori risultati di salute mentale per le donne e con una migliore salute fisica e mentale per gli uomini.
L’assistenza religiosa e spirituale comprende la cura da parte di congregazioni, interventi spirituali, come la direzione spirituale, la confessione e l’assistenza di pastori e cappellani ospedalieri. Brick Johnstone, docente di psicologia della salute sostiene che “entrambe i sessi beneficiano del sostegno sociale – la capacità di cercare aiuto e di contare sugli altri – fornita dagli altri fedeli e dal coinvolgimento in organizzazioni religiose. L’incoraggiamento a cercare sostegno religioso spirituale può aiutare gli individui a far fronte allo stress e ai sintomi fisici legati alla malattia. Il personale medico deve incoraggiare i pazienti a trarre beneficio da queste risorse [religiose] che forniscono sostegno emotivo e finanziario, nonché occasioni di migliorare la socializzazione”.
Lo studio ha esaminato il ruolo dei sessi nell’avvalersi del sostegno spirituale e religioso in condizioni di malattia cronica e di disabilità, comprese le lesioni alla spina dorsale, danni cerebrali e cancro. Utilizzando scale di misura di religiosità e spiritualità, di salute mentale e di salute generale, i ricercatori non hanno scoperto differenze tra uomini e donne in termini di livelli di esperienze spirituali e pratiche religiose.
Queste rilevazioni contrastano con altri studi che hanno ipotizzato una maggiore spiritualità delle donne e di un coinvolgimento femminile più accentuato nelle pratiche religiose rispetto agli uomini. Johnstone ha osservato che “mentre le donne generalmente sono più religiose o spirituali degli uomini, abbiamo scoperto che entrambe i sessi possono aumentare il loro affidamento alla religione, quando devono affrontare la malattia o la disabilità”. La ricerca ha evidenziato che per le donne, la salute mentale è associata con esperienze spirituali quotidiane, con l’esperienza del perdono e con questioni religiose e spirituali.
Questo significa che il credere in un potere superiore legato al perdono al sostegno e all’amore è connesso con una situazione mentale positiva nell’affrontare una malattia cronica, da parte delle donne. Per gli uomini, il sostegno religioso – la percezione di un aiuto e di un supporto da parte di congregazioni religiose è associato con una migliore salute». Johnstone è il direttore del programma di ricerca di spiritualità e salute dell’Università del Missouri. Ha condotto diversi studi con l’intento di esaminare la relazione che esiste tra la religione, la spiritualità e la salute, in particolare per gli individui con condizioni croniche disabilitanti, appartenenti a diverse tradizioni religiose.

Chiediamo cosa ne pensa la psicanalista Giovanna Capolongo, che esercita la professione a Milano.

Dottoressa, cosa ne pensa delle affermazioni della ricercatrice Stephanie Reid-Arndt?
Le affermazioni della ricercatrice Stephanie Reid-Arndt trovano conferma nella mia esperienza clinica in qualità di psiconcologa.
La religiosità vissuta e praticata non solo offre conforto e sostegno nei momenti difficili, ma diventa un’alleata del paziente insieme al piano terapeutico la cui efficacia dipende dalla compliance, insieme all’aiuto offerto dai psiconcologi.
Non solo la religiosità vissuta e praticata, ma anche la religiosità che inizia semplicemente come curiosità o come domanda da parte di quelle persone che sono “alla ricerca” di una risposta alle proprie domande cosiddette “esistenziali”, ma che non sono pervenuti ancora ad una risposta, non sono ancora approdati ad una fede e ad una fede certa in Qualcuno: la domanda e l’attesa di queste persone di poter trovare un senso all’esistenza, che vuol dire poi trovare il senso della propria malattia, li rende attivi, partecipativi di tutta la propria vicenda umana e collaborativi nel lavoro della cura del proprio male.

Nella sua professione ha riscontrato una differenza tra coloro che credono e coloro che non credono?

Si.

I non credenti nel momento della malattia mettono in campo risorse esclusivamente frutto della propria storia personale. E queste il più delle volte sono limitate. Alcuni presentano una grande capacità organizzativa, della gestione della propria malattia, ma c’è spesso l’altra faccia della medaglia che si presenta come solitudine, mancanza di rapporti significativi capaci di prendersi cura.
I “credenti” mettono in campo risorse non solo personali ma risorse che sono il frutto di una condivisione comunitaria: l’ascolto, la fiducia, l‘abbandono, la speranza, la domanda di aiuto e tutto ciò li rende più attrezzati a compiere quella battaglia contro il proprio male.

Secondo Lei come e perché la fede religiosa influisce sui processi psichici?

Influisce perché l’apertura della psiche al Mistero come ciò la cui conoscenza è inesauribile, dilata le possibilità della psiche di trovare soluzioni e risposte.

Esiste un rapporto tra spiritualità e armonia interiore secondo Lei?

Lo spirito come componente del soggetto, se adeguatamente vissuto, cioè se allo spirito viene data la possibilità di avere una “vita”, esso genera armonia, cioè benessere ed equilibrio.

 

Giorgio Nadali


Dybbuk. Il demone in scatola

 

     Il dybbuk è, nel misticismo ebraico, l’anima senza pace di un defunto, che prende possesso del corpo di un uomo o di una donna. Il suo nome deriva dall’ebraico “attaccamento”. È forse questa l’accusa che è rivolta a Gesù, quando coloro che l’ascoltavano dissero: «Ha un demonio» (Giovanni 10,20). Come anima di un morto o semplicemente come spirito maligno, il dybbuk, può attaccare un corpo vivente e possederlo a causa di un peccato segreto, facendo di lui o lei un dybbukin (posseduto). Questo causa una possessione diabolica che lo fa parlare attraverso il posseduto. Il dybbuk deve completare dentro la persona che possiede ciò che non è riuscito a fare durante la vita terrena. Per farlo uscire dalla persona in cui dimora, vi sono delle complesse procedure che si trovano nei testi cabalistici e queste possono essere messe in atto solo da esperti chassidici. Il giudaismo non conosce comunque il concetto di inferno o di dannazione eterna. Il dybbuk è legato alla credenza nello ibbur (“impregnamento”), una forma limitata di trasmigrazione dell’anima. Lo ibbur è la nascita in una persona buona di un’anima giusta. Per estensione, uno spirito malvagio può passare da una persona all’altra. Il giudaismo tradizionale non insiste sulla realtà dell’oltretomba né sulla trasmigrazione dell’anima. La Cabala afferma invece il concetto di reincarnazione chiamata gilgul. Il dybbuk è uno spirito maligno nello chassidismo ebraico. Il termine apparve per la prima volta nelle comunità ebraiche in Polonia e Germania nel xvii secolo d.C.

     Il dybbuk può nascondersi in una scatola di legno chiamata kufsat dybbuk. Se è aperta, il dybbuk prenderà possesso del malcapitato. Da questa credenza chassidica è stato tratto un film[1] del 2012, tratto da una storia vera[2], The Possession, in cui il dybbuk è il dèmone femminile ebraico Abyzou, detta “la ladra di bambini”. Un precedente film che ha per protagonista un dybbuk è The Unborn, del 2009.

Nel 2004 una kusfat dybbuk è stata venduta sul sito di aste eBay per 280 dollari da Iosif Nietzke[3] a un acquirente di San Louis (usa). La scatola di legno, oltre al presunto dybbuk, conteneva due ciocche di capelli, una tavoletta di marmo, un calice, un bocciolo di rosa essiccato, due penny e una candela. Sia il primo possessore, Kevin Mannis, sia l’ultimo acquirente sperimentarono strani fenomeni come guasti elettrici, bruciatura di lampadine, guasti al computer e problemi di salute, come urticaria e perdita di capelli. Jason Haxton, direttore del museo di medicina osteopatica di Kirksville, ha seguito l’ultimo proprietario Nietzke e ha sperimentato gli stessi fenomeni. Chiese aiuto ai rabbini chassidici per richiudere il dybbuk al suo interno, riuscendovi, e nascose la scatola in una località segreta.

     Nella tradizione chassidica solo un potente rabbino che può operare miracoli, noto come ba’al shem (il signore del nome), può espellere anche il più malvagio dei dybbuk mediante un esorcismo. In ogni caso il rituale per espellere un dybbuk prevede oggi che siano presenti nove uomini ebrei più il rabbino. La celebrazione del rito prevede di spaventare il dybbuk e poi di dialogare con esso nel tentativo di fargli comprendere che deve andarsene. Il gruppo dei dieci circonda il posseduto e recita ripetutamente i versetti del Salmo 91[4]. Il rabbino suona uno shofar (il corno di ariete rituale giudaico) in un modo particolare. Questo spaventa sia il dybbuk, sia la persona posseduta, provocando la separazione dei due. Fatto ciò, il rabbino dialoga con il dybbuk per capire se ha intenzione di possedere diabolicamente un essere umano. Infine il gruppo prega per il posseduto. Talvolta è necessario che il dybbuk faccia i suoi comodi prima che decida di andarsene. La maggioranza degli ebrei non crede più alla presenza dei dybbuk, tranne la comunità chassidica, che celebra ancora i rituali esorcistici sui dybbuk.  

Giorgio Nadali

[1] The Possession, di Ole Bornedal, scritto da Juliet Snowdel e Stiles White, 2012.

[2] La scatola di legno kusfat dybbuk portata in America da una sopravvissuta all’Olocausto. La scatola non è stata aperta per sessant’anni e proveniva dal ghetto di Varsavia. Il 10 novembre 1938 un gruppo di donne del ghetto di Lodz vi intrappolarono un dybbuk.

[3] A jinx in a box?, «Los Angeles Times», 25/07/2004.

[4] Salmo 91,10: «Ecco, i tuoi nemici, o Signore, ecco, i tuoi nemici periranno, saranno dispersi tutti i malfattori».

 


Velo integrale islamico vietato negli uffici pubblici

Niente velo integrale islamico negli uffici poubblici della Lombardia. Dal gennaio 2016 sarà vietato l’ingresso nelle strutture regionali e negli ospedali per chi indossa niqab e burqa. Lo aveva già annunciato il governatore della Lombardia, Roberto Maroni. La giunta lombarda ha modificato il regolamento di accesso agli edifici pubblici per motivi di sicurezza, in base alla legge nazionale. Il provvedimento è ssotenuto dalla Lega Nord, dopo gli attentati di Parigi.

La Sura 24,31 del Corano richiede che la donna si veli i capelli. Le nazioni più rigide a questo riguardo sono Arabia Saudita e Iran. La più libera è la Tunisia (velo non necessario). Si va dall’hijab (velo semplice tipo foulard) al niqab (velo nero integrale con fessura che lasciano intravedere solo gli occhi e con sportellino per mangiare. Va indossato solo in pubblico. Arabia Saudita, Yemen, Bahrain, Kuwait, Qatar, Onam, Emirati Arabi Uniti, Pakistan. Dalla pubertà (14 anni in su). Lo chador è invece il velo totale ma fa intravedere l’ovale del volto. Il burqa è il velo totale con una retina per vedere. Non si vedono nemmeno gli occhi. Si usa solo in Afghanistan. La polizia religiosa islamica è chiamata muttawia o muttaween. È il «Comitato per l’imposizione della virtù e l’interdizione del vizio». Opera in Iran contro le donne non velate bene e altre indecenze.
I tipi di veli, dal più coprente a quello più semplice, sono: Burqa. (Afghanistan e Pakistan). Mantello integrale, interamente coprente di colore blu o marrone. La donna può vedere solo grazie ad una piccola rete all’altezza degli occhi. Impossibile identificare i tratti somatici della persona. Ha
un prezzo molto basso. In uso negli harem del re Habibullah, poi diffusosi a tutte le donne dal 1950. Niqab (soprattutto Arabia Saudita). Interamente coprente di colore nero, composto da una tunica nera e un velo aggiuntivo che lascia scoperta solo una fessura per gli occhi. Per mangiare in pubblico la donna deve alzare leggermente il velo sul volto da sotto, sena scoprire altro. Va indossato con lunghi guanti neri sino al gomito. Khimar (Paesi Islamici teocratici). Velo integrale che lascia scoperto l’ovale del volto. Chador (Iran). Mantella di colore nero coprente sino ai piedi. Dal 1979 (rivoluzione islamica) le donne devono indossarlo quando escono da casa. L’ovale del volto è visibile. Shayla (India e Pakistan). Sciarpa rettangolare che avvolge la testa. Usata insieme alla tunica. Volto visibile. Al Amira. Velo composto di due pezzi usato insieme con un foulard che copre il collo e alla tunica. Volto visibile. Hijab. (Algeria, Tunisia, Marocco). Velo coprente testa e spalle con chiusura sul collo. Volto visibile Usato insieme alla tunica. Jibab. (Egitto, Marocco, Giordania, donne immigrate in Paesi occidentali). Abito simile a un impermeabile scuro che copre interamente il corpo. Usato insieme al khibab i cui lembi sono inseriti nel colletto dell’abito.

Giorgio Nadali


Apparizioni. La Vergine di Naju (Corea)

La Madonna appare anche in Paesi dove i cattolici sono in forte minoranza, come la Corea. Nella Corea del Sud sono cinque milioni i cattolici in 1.673 parrocchie (10% degli abitanti). Nel Nord non è riconosciuta la libertà di culto. Per questo il 18 febbraio 1993 la Vergine – in una delle apparizioni del Pase asiatico – ha chiesto di pregare per la conversione del Nord, a dittatura comunista. I fenomeni di Naju — effusioni di una statua della Vergine Maria, segni eucaristici, apparizioni e messaggi – hanno avuto inizio il 30 giugno 1985 alle 22.50, in casa di Julio e Julia Dulia Youn, trentanove anni e Julio Kim, sposatisi nel 1972 all’età di venticinque e ventisei anni, hanno mantenuto ognuno il proprio cognome secondo l’uso coreano. Hanno avuto quattro bambini: Rose nel 1970, Thomas nel 1972, Teresa nel 1976 e Philippe nel 1978. Julio si è impegnato nel catecumenato nei primi anni ’80. Julia, gravemente malata, lo seguiva ma con reticenza. La donna dice ad un sacerdote coreano che li guidava: «Se c’è un Dio, è troppo crudele verso di me. Che cosa ho fatto per ricevere un calice tanto amaro?». Questo sacerdote, profondamente spirituale, aveva trovato una risposta dura, ma ispirata che sembrava anticipare la vocazione eccezionale di Julia: «La grazia della sofferenza è una grazia maggiore di quella della salute. Hai ricevuto questa grazia con questo tuo corpo malato.

Per parte mia, non ho ricevuto una tale grazia». Queste parole si fecero strada pian piano in Julia ottenendo un buon effetto: «Parole dello Spirito Santo», le ha chiamate più tardi la donna. Julia ha avuto subito una grazia di accettazione e di quel preciso momento ha detto: «Ho sentito il mio corpo da ghiacciato diventare caldo perché avevo appena creduto alla parola del Padre». È stato allora che Julia ha comprato una Bibbia e delle immagini della Vergine. Sua madre, Pate Lubino, le acquista una statua della Madonna. Julia si impegna nella preghiera e nel servizio. Guarisce. La malattia aveva lasciato la famiglia in difficoltà economiche. Dopo aver recuperato la salute, lei e suo marito hanno aperto un parrucchiere il cui successo ha permesso loro di ripristinare l’equilibrio finanziario della casa. «Il 29 giugno 1985, racconta, mi sono recata in autobus, insieme ad alcuni cristiani della parrocchia, nel villaggio di Kkot Tongnay. In questo villaggio, un sacerdote accoglieva i mendicanti e i senzatetto, i malati, i disabili abbandonati e i più emarginati: più di novecento persone, cristiani o meno. Tutto l’aiuto era gratuito». Dulia ne resta molto colpita e aiuta a curare i malati: «Vedevo Gesù in ognuno di loro», scrive la donna. Il sacerdote fondatore di questo centro era padre Spies, che aveva portato il Vangelo in Corea dopo un percorso di vita notevole.

Nato da padre tedesco e da madre francese, belga di nascita, era andato in Giappone per insegnare all’Università Cattolica di Sofia — la più importante in Asia — il 6 gennaio 1951. Sette anni più tardi, il 3 maggio 1958, aveva sacrificato la sua carriera accademica per andare ad aiutare i più poveri. Dal punto di vista giapponese si è trattato di una caduta verso il basso, perché questo paese che all’epoca non era ancora molto sviluppato, veniva ampiamente disprezzato da Tokyo, e la casta più bassa, quella degli «Eta», veniva considerata come derivante dai coreani. Perciò questo sacerdote era passato dal culmine della cultura di Tokyo ai bassifondi della miseria, che erano notevoli in un periodo in cui il miracolo economico coreano non si poteva ancora prevedere. Da quel momento in poi padre Spies ha fondato cinque centri. Ha affidato le cure di questi centri alle suore di Madre Teresa. «Quella sera stessa, sono tornata a Naju verso le ventidue e venti, il 30 giugno, continua a raccontare Julia. Recitavo il rosario per la conversione dei peccatori e per la comunità (dei poveri). Come ho finito di dire l’Ave Maria, che cosa ho visto sugli occhi della Vergine? Delle lacrime che scorrevano verso il basso sul suo volto. Non sapevo se fossero state gocce d’acqua o lacrime. Sconvolta, ho svegliato mio marito che si era appena addormentato. Era quasi mezzanotte. Per essere sicuri di vedere meglio, abbiamo guardato tutti e due. Erano proprio lacrime. La mattina successiva, le lacrime che prima “scorrevano dall’occhio sinistro” scendevano da entrambi gli occhi.

Con molta insistenza abbiamo chiesto alla Vergine che cosa significasse tutto ciò». Nei giorni successivi, le lacrime continuano a scendere, fino al 4 luglio. Julio comprende di dover mantenere il riserbo: «Per il momento, non devi parlarne con nessuno», dice a Julia prima di tornare a pregare. «Dalle nove e trenta, ho cominciato a sentirmi invasa da qualcosa di straordinario (come nella mia esperienza durante le riunioni del movimento carismatico). Dato che non ce la facevo più, ho telefonato alle suore della parrocchia». Nessuna risposta. Tuttavia, la voce si sparge e l’affluenza aumenta; la casa è piena e la gente riempie anche la strada, di giorno e di notte, e persino il negozio di parrucchiere viene disturbato da questo evento. Julio aveva detto a Julia: «Ti concedo il 50% del tuo tempo per occuparti della Vergine». Ora le dice: «Ti concedo il 100% del tempo». Questo li porta a dar via il negozio di parrucchiere nel quale si presentavano molte prostitute. 18 luglio 1986, Julia riceve un primo «messaggio della Vergine». Si tratta di un’esortazione di cui queste sono le parole chiave: mio Cuore soffre […]. Il Cuore di Figlio è lacerato [dalla vostra mancanza di amore]. Quell’anno sono stati lasciati undici messaggi e poi ce ne sono altri con una frequenza analoga ma senza alcuna periodicità regolare, come un prolungamento del messaggio dato a s. Margherita Maria. «Ecco questo Cuore che ha tanto amato. gli uomini e che viene così poco amato da loro». Il 2 febbraio 1987, il sacerdote restituisce la statua a Julia e le effusioni riprendono, fino al 23 aprile. Queste proseguiranno ancora ma con alcune interruzioni. Julio aveva preso contatto con la parrocchia che invece si teneva a distanza; egli vi ritorna con la statua.

Il sacerdote prende la statua e la mette nella sua stanza il 5 novembre 1986. Ma l’effusione cessa fino alla fine del 1986 e oltre. Nel gennaio 1987 padre Spies si mette in contatto personalmente con Julia, e discerne la sua conversione e la sua vocazione. Il 2 febbraio 1986, la parrocchia restituisce la statua a Julia e di nuovo la folla affluisce a casa sua. Quello stesso anno ho visitato anche io Naju insieme a padre Spies, che vive a Seoul. Ho incontrato Julio e Julia ed ho percepito la profondità cristiana presente nella loro famiglia unita. Ma in quel periodo ci si è trovati a dover cercare una soluzione per la famiglia che si trovava di fronte ad un problema finanziario; per loro, far costruire una cappella separata, in un altro luogo, sarebbe stato troppo oneroso. Fortunatamente, il cimitero era in vendo e nessun coreano vorrebbe vivere in un luogo che in precedenza aveva ospita un camposanto. Il cimitero viene acquistato a un prezzo basso; in quel luogo viene fatta costruire una cappella statua e accanto, una casa per la famiglia. Anche li si produrranno nuovi fenomeni eucaristici.

Sulla scia di questi ultimi, avvengono altri fenomeni su una collina vicina, che diventa anch’essa un luogo di preghiera. Da domenica 5 giugno 1988. festa del Santissimo Sacramento, Gesù comincia a parlarle. «La Vergine le insegna» la via evangelica dell’infanzia spirituale ispirata a Teresa di Lisieux e il significato della sofferenza di cui ha potuto avere un’esperienza cruciale sul Calvario. Il 15 novembre 1986, il sacerdote mette la statua nella sua stanza per osservarla. Ma le effusioni cessano per un periodo di tre mesi. Il 18 febbraio 1993, la Vergine chiede che si dica una preghiera tutti i giovedì per la conversione della Corea del Nord.

Dall’8 gennaio al 14 aprile 1993, ventiquattro messaggi parlano di guerre e di persecuzioni. Dal 5 giugno 1988 al 22 settembre 1995, vengono dati dei segni nell’Eucaristia: approccio, effusione, trasformazione in carne nella bocca di Julia. Il 24 settembre 1994, quaranta filippini, venti americani e una dozzina di altri pellegrini assistono alla messa celebrata nella cappella parrocchiale da un sacerdote filippino, padre Jerry Orbos. «Nel momento dell’elevazione, spiega Julia, ho visto sorridere Gesù misericordioso nell’Eucaristia. Allora, trasportata da una gioia indescrivibile, ho pregato con fervore: “O Signore! O Salvatore! O Re d’amore che ti sei abbassato fino a noi e sei diventato il nostro nutrimento!” […] Al momento della comunione, mentre ritornavo al mio posto, ero in raccoglimento.

In quel momento ho avvertito un forte sentore di sangue nella mia bocca. Mi sono girata verso Lubíno e André che erano vicino a me. Aprendo la bocca, ho mostrato loro la trasformazione dell’ostia in sangue: dapprima giallastra, questa ha cominciato a tingersi di rosso fino a diventare gradualmente sangue. In quello stesso istante sono caduta in estasi». Julia allora «vede» come delle «grandi navi»; una di esse ha l’effigie della Eucaristia. La Vergine la conduce e indossa un mantello azzurro. Le altre barche sono pilotate dall’«effigie del dragone rosso». Julia continua: «Delle scintille di fuoco hanno cominciato a cadere come pioggia. La Vergine ha steso il suo mantello su tutti noi per proteggerci. Ma quelli che stavano sulle altre navi si sono bruciati oppure sono caduti in mare urlando e sono morti annegati. È stato uno spettacolo orribile. La Vergine, che guardava angosciata, ha ritirato rapidamente dall’acqua alcuni di quelli che vi erano caduti […]. Subito dopo aver salvato questi uomini, la tempesta si è placata e il mare è diventato di nuovo calmo. La Vergine poi ci ha inviato questo messaggio dolce   e amabile: «Ricordatevi che vi ho dato come rifugio l’Arca della Salvezza. […] Voi siete tutti chiamati ad essere apostoli degli ultimi tempi. […] Oggi, l’impostura di Satana è arrivata ad un tale grado di astuzia che inganna, grazie a fenomeni straordinari, persino le anime buone. […] Se attirerete la potenza dell’amore, allora tutti i bambini del mondo si uniranno al di là delle frontiere e la Chiesa ne sarà rigenerata. Arriverà una nuova Pentecoste e il mondo verrà salvato dal Salvatore presente nell’Eucaristia”».

Giorgio Nadali


I funghi taoisti dell’immortalità

 

Lo Ch’ang Shen Pu-ssu è l’obiettivo del Taoismo in molte delle sue pratiche. Inizialmente il Taoismo riguardava la vera e propria immortalità fisica da raggiungere tramite gli esercizi detti tao-yin e fang-chung shu. La ginnastica taoista tao-yin (letteralmente signifca “condurre” o “guidare”) consiste in esercizi di stretching e di flessioni atte a facilitare la permeazione del respiro vitale (ch’i) in tutto il corpo. Una tecnica per raggiungere l’immortalità trascendente o almeno la longevità. Si parla già di queste tecniche nel testo del III secolo a.C. Chuang Tzu. La versione più nota oggi è l’esercizio simile ad una danza lenta noto come t’ai-chi-ch’uan (“grande-estrema-boxe”) praticato ogni giorno da milioni di persone in estremo Oriente. Chi ottiene l’immortalità (hsien) sale al cielo (fei-sheng) visibilmente o altrimenti sembra che muoia e che venga sepolto, ma quando la bara viene aperta è in realtà vuota. Il Taoismo di Lao-Tzu o di Chuang-Tzu riguardava un’immortalità spirituale più importante e l’unica possibile. Essa comporta l’unione con il Tao attraverso i metodi delle varie scuole taoiste. Ma dato che il linguaggio esteriore è un mezzo per quello interiore (e viceversa) non è sempre chiaro quale percorso una scuola segua. L’immortalità può comunque essere provvisoria, rallentanto la morte per un certo periodo di tempo. Molti simboli dell’immortalità appaiono nell’arte cinese sotto l’influenza taoista. I più frequenti sono le pesche coltivate da Hsi Wang mu (uno dei più noti immortali cinesi, gli hsien), l’erba o i funghi dell’immortalità (ling-chih), una gru che tiene nel becco il ling-chih, pini, e un bastone di legno nodoso. Anticamente il fungo dell’immortalità era riservato ai nobili e nascosto alla gente comune. Il ling shih (o reishi per i giapponesi), “fungo soprannaturale” che rapprsenta grande salute e immortalità, è il Ganoderma lucidum e purtroppo non è un fungo commestibile ed è decisamente amaro. Viene usato come fungo officinale dalla medicina cinese in più di venti patologie. Fare un’amara scorpacciata di questi funghi non cotti ha comunque l’effetto sperato e funziona davvero. Manda nell’aldilà dopo poche ore. Anche se il leggendario eremita Sennin lo usava abitualmente nella sua dieta. Ma sono cose più adatte ai fumetti manga giapponesi di Dragon Ball, dove infatti è di casa.

Giorgio Nadali