Intervista esclusiva a Satana

di Giorgio Nadali

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Intervista esclusiva a Satana, di Giorgio Nadali

Difficilmente Satana concede interviste, ma correndo rischi indicibili sono riuscito ad ottenerne una… sconvolgente. Va presa con prudenza. Dopotutto è sempre il “padre della menzogna”.

Satana, Lei può leggere la mia mente?

In parte sì, come tutti gli esseri spirituali. Però molte informazioni me le danno le persone stesse. Mi spiego meglio. Quando ho tentato Giobbe[1] ho capito che la sua paura più grande era quella che in un momento di dura prova avrebbe potuto maledire Dio. La sua preoccupazione era quella, quindi io ho giocato su quello, capisci? Mi servo delle paure della gente. Ho un grande intuito! Se tu parli male della tua vita e ti lamenti, io gioco proprio su questo! Posso ucciderti solo se Dio lo permette. Ma se lo permette è sempre per i suoi disegni, purtroppo non per i miei. Vedi? Dio permette la morte! Lavoro molto bene su questo fatto, sai?

Satana, Lei può uccidere me o la mia famiglia?

Certo, e se potessi lo avrei già fatto da molto tempo! Lo sai. Putroppo anche se il motto delle mie sette è “Fai ciò che vuoi”, neanche io posso fare quello che voglio! Dio mette un freno al mio infinito desiderio di violenza. Avrei potuto uccidere Giobbe, ma Dio mi ha detto “risparmia la sua vita”[2] e purtroppo ho dovuto farlo, capisci?

 

Satana, qual è la Sua arma più potente contro un credente?

Ma vuoi proprio sapere tutti i miei segreti!. Non voglio dirti tutto! Comunque la mia arma più potente è… No, non te lo dico. (Mostra il dito medio)

No, adesso Lei me lo dice!

(… Risata …) Bravo, mi piaci tanto quando ti arrabbi! E va bene. E’… la condanna che una persona fa di se stessa. Sai quanta gente non è capace di perdonare se stessa? Quanta gente crede che Dio non la ascolti più o che non è (più) degna di essere ascoltata! Per cui non prega più e… Quando il tuo Dio perdona (che brutta parola) non ricorda neanche più quello che hai fatto. Cancellazione totale. E tu credi che per un uomo sia facile? Gli uomini ricordano molto bene cosa hanno fatto. E io lavoro proprio su questo. Tu agisci come pensi e pensi come credi e… zac! Facile, no? Adoro imprigionarti dentro te stesso! Mi chiamato l’accusatore (shatàn), ma il tuo peggiore accusatore se proprio tu. Mi chiamano anche diavolo (dyàbolos) “colui che divide”. E’ facile dividerti da Dio e dagli altri, ma è ancora più facile dividerti dentro!

Satana, può dirmi quanta gente riesce a possedere in un anno in Italia?

Dunque vediamo… All’incirca mezzo milione di casi segnalati all’anno tra le mie possessioni e i vostri esorcismi. Ti basta? Però la possessione del cuore è ancora più diffusa di quella del corpo. Preferisco quella e sai perché? Perché per la possessione del cuore non c’è esorcismo che tenga. C’è solo la conversione. Difficile!

Satana, Lei può possedere chiunque?

Certo! Ma non posso. Però chi partecipa a sedute spiritiche o interroga i defunti con le tavole Ouija[3] mi rende il compito molto più facile. Ma ripeto, preferisco il cuore al corpo. Solo il 3 per mille dei casi segnalati sono opera mia. Gli altri sono proprio malati! (… Risata …)

Satana, può dirmi cosa preferisce in un uomo o in una donna?

Primo. La superbia. Non hai bisogno di Dio, non pregare, non adorare Dio… Secondo. Non pentirti di nulla. Il peccato non esiste! I tuoi capricci sono i tuoi diritti. Bello, eh?

Satana, cosa si sentirebbe di dire ad un agnostico, ad un indeciso?

Dio ti toglie la libertà! Trasgredisci! Non credere a Gesù Cristo che dice: “La verità vi farà liberi”. Ma quale verità? Quello in cui tu credi è sempre la verità, no? E’ così facile!

Signor Satana, qual è il motto che secondo Lei dovrebbe avere nella vita una persona umana?

Ma è ovvio: “Fai di te stesso il tuo Dio”. Oppure “Fai ciò che vuoi”. E’ veramente il motto delle mie sette sataniche moderne. Ti piace?

Satana, ma perché la rappresentano sempre con le corne, la coda e i piedi capirini?

Io sono non ho un corpo. Sono uno spirito! Ma i pittori umani mi dipingono così per far capire che sono un tipo che va contro natura. Sono dei ……. ( censura ).

Satana, Lei tormenta solo i cristiani, cattolici o anche altre religioni?

Io tormento chiunque. Preferisco però quelli che non sanno neanche da dove arriva la loro angoscia esistenziale oppure quei bigotti che mi vedono dappertutto e anche quelli che non credono per niente che io esista. (… Risata …).

Satana, cosa pensa della vita?

Io amo tutto ciò che è conto la vita. Invece il tuo Dio ti invita invece ad amare la vita in ogni caso e in qualsiasi situazione si presenti, sana, malata, felice o triste, voluta, non voluta. La tua e quella degli altri. E poi mi piace distorcere la realtà. Voglio che  tu punti all’eccesso facendoti credere che non puoi divertirti senza emozioni dannose come droga, alcol…

Senta Satana, cosa vuol dirci a proposito del male?

Ti dico che il male è più forte del bene. Cosa credi di fare? Non lo vedi? E non scrivere che è l’amore che sostiene il mondo ogni giorno e che il male fa solo più notizia, ma è molto meno diffuso del bene. Tanto nessuno ci crede.

Satana, ma perché capita così tanto male a gente innocente?

Innocente? Per me nessuno di voi è innocente. Dio non si occupa di voi! IO mi occupo di voi. E  comunque io uso il mio fascino perché la gente faccia del male ad altra gente che tu chiami stupidamente innocente. E non venirmi a dire che Dio vuole la libertà umana e che questa ha un prezzo da pagare.

Satana, cosa vuol dire ai giovani?  

Cercatevi qualcosa che prenda il posto di Dio nella vostra vita. Degli idoli moderni! Potere,  denaro, sesso, usati come idoli, come droghe. Sono io che li controllo. Siate violenti! Fisicamente, pscicologicamente, moralmente! Sai qual è la violenza psicologica che preferisco e che è al primo posto in classifica? La menzogna. E la violenza fisica più diffusa al mondo? Quattro milioni di casi all’anno, di cui 137.000 in Italia… Si’, è l’interruzione volontaria di gravidanza. E la violenza morale più diffusa al mondo? Ma non sai proprio niente! E’ l’insulto, no? Non perdonate e non chiedete mai perdono. E’ da deboli. Non credete a chi vi dice che il vero uomo e la vera donna sanno chiedere scusa quando sbagliano, senza abbattersi e sanno perdonare quando è necessario!

Satana, cosa mi dice sul piacere e la felicità?

Sai, mi piace suggestionare i vostri sensi per allontanarvi dalla realtà. Vi faccio credere che il   piacere dà sempre la felicità. E’ facile. Vi voglio bestie. Anche a me mi chiamano “Bestia”! La bestia non ha l’immagine e la somiglianza con Dio, capisci?  Voglio che cerchiate la vostra gloria e non Dio. Mi piace mischiare verità e falsità. Se cerchi Dio tu realizzi ciò che non oseresti neppure immaginare e questo no lo voglio. Voglio la tua inquietudine, per cui adoro abbatterti affinché tu non realizzi ciò che Dio ha pensato di grande per te.

Satana, ha un consiglio da dare per avere successo nella vita?  

Certo! Guarda, cerca sempre scorciatoie. E’ il furbo che va avanti. L’onesto no. Non lo vedi? Io ti tratto da stupido, ma non te lo faccio capire! Dio è troppo esigente con te! E non venirmi a dire che fa così perché ti ama.

Ma scusi Satana, non è proprio il vincente che non ha bisogno di scorciatoie per mostrare quanto vale?

Senti professore, non dire …. ( censura ) o la finiamo qua.

Parliamo di sogni. Cosa mi dice dei sogni, delle aspirazioni di una persona?

Io non dormo mai. Quali sogni? A me non  piacciono i sogni. Li distruggo. (… Risata …)  Comunque, non sperare e non sognare. Dio non si occupa di te e non ti ascolta! I tuoi errori sono irreparabili! E non venirmi a citare il solito salmo 35: “Cerca la gioia del Signore, esaudirà i desideri del tuo cuore”. Ma come fai a crederci? Non osare fare preghiere grandi perché hai un Dio grande. Tanto la gente non lo fa nemmeno. Sei piccolo tu! A me piace sbatterti giù e farti sentire un verme, ma non disdegno neanche di esaltarti, così che ti monti la testa e poi fai un sacco di danni. Voglio farti dimenticare che sei un figlio di Dio. Ti voglio verme oppure presuntuoso. Mi piacciono gli estremi, capisci?

Satana, cosa mi dice della morale?

La moraleeeee? Sì certo, dài creati una tua morale che ti dà sempre ragione. L’ho detto anche a quei due là… Adamo, Eva… “Diventerete come Dio”. Che cretini! Lei adesso la chiamano tutti “porca”, anche gli atei. (… Risata…) E poi stabilisci tu ciò che è bene e male, come ti piace! Quando l’uomo si sostituisce a Dio vuol essere lui il dio degli altri. Nascono tutti i grossi problemi a livello sociale, storico e personale che mi piacciono così tanto! E adoro quando l’uomo non rispetta le regole del creato e la sua stessa dignità…  E poi… sai il mio trucco preferito oggi? Si chiama “relativismo morale”. Un capolavoro! Il bene e il male sono cose relative. Non ci sono “il bene” o “il male”. C’è il tuo bene e il tuo male. Opinioni, capisci? Altro che universalità dei diritti umani![4] Quale universalismo? Viva il relativismo!  Tu sei la fonte dei tuoi valori. La verità non esiste. Mi chiamano il “padre della menzogna” perché creo illusioni. Sono un illusionista! Mi prendo gioco di te. Sai il greco? Lùdos vuol dire gioco. Facciamo un gioco? Inventati diritti che non esistono. I migliori li premio io.

Satana, quanti siete laggiù?

Legioni. Vieni a trovarci!

Satana, cosa vuole agurarmi?

Ma è ovvio! Ti auguro di andare all’Inferno!   Ti aspetto, eh?

Giorgio Nadali

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[1] Giobbe 2,5

[2] Giobbe 2,6

[3] Sono tavolette con le lettere e i numeri, per interrogare gli spiriti. Il nome viene da oui, sì in francese e ja, sì in tedesco.

[4] Satana sta parlando qui della Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo, firmata a Parigi nel 1948


La Chiesa arretrata di 2 secoli. Morale rabbinica contro morale paolina

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di Giorgio Nadali

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La più autorevole voce di riforma della Chiesa cattolica si è spenta. Il Cardinale Carlo Maria Martini avrebbe voluto un altro concilio. E soprattutto una Chiesa moderna, in dialogo e al passo con i tempi. Una Chiesa in cui la Parola (di Dio) incontra le parole (degli uomini). 

“Occorre, conseguentemente, creare atteggiamenti e strumenti di tolleranza, di dialogo, di collaborazione, di comprensione e di perdono reciproco, per favorire l’intesa sull’immagine unitaria dell’uomo. Occorre una nuova mediazione culturale aperta a questi orizzonti”. (Carlo Maria Martini – Lettera pastorale “Attirerò tutti a me” (19), 1982-1983

“Vorrei farmi tuo compagno di strada: ascoltare le domande vere del tuo cuore, confessarti le mie. Questo è importante: non è possibile trovare e dare risposte, se non si sono riconosciute le domande. Una “regola di vita” vorrebbe anzitutto essere un tentativo di dare risposte a domande vere (o forse, più modestamente, l’indicazione di un tracciato, lungo il quale cercare e incontrare risposte vere)”. (Carlo Maria Martini – Lettera pastorale “Parlo al tuo cuore” (1), 1996-1997)

Un “antagonista fedele” di Benedetto XVI esce di scena. Ora sarà più facile che tutto rimanga come prima. Martini: I divorziati risposati? Vanno accolti in chiesa. Gli omosessuali? Non vanno giudicati. La pillola? La Chiesa oggi può cambiare atteggiamento. La lotta all’aids? Se un coniuge è malato, è lecito il preservativo. L’eutanasia? È giusto morire con dignità. Per questo ha rifiutato l’accanimento terapeutico.

Le correnti tra i cardinali sono opinioni sul modo in cui i fondamenti della fede debbano essere espressi. Queste correnti possono cambiare col passare del tempo, producendo nuove configurazioni. Nessun cardinale dichiarerà mai di appartiene ad una corrente piuttosto che ad un’altra. Alcuni cardinali negano proprio l’esistenza di orientamenti politici tra le loro fila.

Corrente  della “Riforma della Chiesa” “Sinistra” Corrente  della “Luce del Mondo”“Centrosinistra” Corrente  dei “Guardiani della Fede”  “Destra”
C’è bisogno di una morale paolina (basata sui valori), non di una morale rabbinica (basata sulla legge). Questo il pensiero  di uno dei maggiori rappresentanti di questa corrente. Il Cardinale Carlo Maria Martini. I prìncipi della Chiesa “riformatori” ritengono che il dialogo sui temi scottanti sia essenziale. Nessuno di loro è d’accordo con l’ordinazione delle donne o con l’accettazione dell’omosessualità, ma lo stile di approccio ai temi è diversa. Recentemente il Cardinale Martini si era espresso a favore per un’apertura maggiore della Chiesa ai divorziati. Questa corrente è favorevole ad una maggiore collegialità dei vescovi e meno centralizzazione sulla Santa Sede. Vogliono che la Curia Romana funzioni come serva delle chiese locali, non come padrona. Si esprimono a favore di una maggiore libertà delle chiese locali nell’adattare gli insegnamenti le pratiche alle loro particolari circostanze. Il Concilio Vaticano II è stato per loro una stagione di riforme prematuramente interrotte dal pontificato di Giovanni Paolo II. Il rappresentante principale di questa corrente riformatrice è stato il Card. Franz Konig, scomparso nel 2004 e appunto Martini, appena scomparso. Altri sono Lehmann, Kasper,  Danneels, Tettamanzi, Lehmann, Marchisano, Hummes, Mahony, Cassidy. Le loro strategie riformatrici della Chiesa sono diverse, ma hanno in comune il desiderio per una Chiesa più aperta, che condanni di meno e che sperimenti maggiormente il dialogo. Progressi senza compromessi verranno da un papa di questa corrente. Se glielo permetteranno. I membri di questa corrente ritengono che il Popolo di Dio non debba perdere tempo in dibattiti teologici. Desiderano gettare ponti con le culture differenti da quella cattolica. Desiderano preservare la tradizione cattolica, ma sotto forma di influsso politico sui governi affinché questi adottino scelte in linea con la morale cattolica. Ad esempio – in Italia -col referendum contro la legge 40 in bioetica. L’ordine sociale deve riflettere gli insegnamenti cattolici. Interesse sulla questione sociale e su come il sistema sociale promuova la giustizia. Ad esempio attraverso   la cancellazione del debito ai Paesi del Terzo Mondo. Fanno parte di questa corrente i cardinali McCarrick,  Maradiaga, Arns, Ruini, Daarmatmadja, Napier.  Sono molto preoccupati dell’impatto del relativismo e del secolarismo sulla Chiesa. Il relativismo è la negazione di verità assolute, specialmente in campo morale. Il secolarismo è invece la marginalizzazione o esclusione dei valori della fede religiosa nella vita quotidiana. Il relativismo pone diversi problemi perché mette in discussione l’autorità della Chiesa sulle questioni morali, che diventano un fatto soggettivo. Col relativismo non c’è più bisogno di un’autorità centrale della Chiesa che indichi una retta via. Ma manca anche la percezione di un bene e di un male assoluti per l’uomo. Il relativismo dovrebbe quindi anche negare i diritti umani universali proprio in quanto universali, cioè non relativi. Inoltre se tutte le religioni, tutte le verità  si equivalgono non c’è più bisogno di conversione al Cattolicesimo. La secolarizzazione invece tende a separare a Chiesa dallo Stato e riduce o elimina l’influsso della Chiesa sulla politica di una nazione. È l’esempio di quelle nazioni che hanno approvato l’aborto,  l’eutanasia, la contraccezione,  ecc.Questi cardinali si preoccupano della perdita di identità cristiana dei fedeli, dell’obbedienza all’autorità della Chiesa e dell’assimilazione della cultura cristiana a culture estranee ai suoi valori. Due sono i rimedi: Ribadire i principi dottrinali e morali anche a costo di entrare in contrapposizione dura con il mondo non cattolico. La fedeltà e l’identità cattolica sono più importanti del dialogo. Il cardinale Biffi, ad esempio, ha suggerito di adottare leggi per ridurre l’immigrazione islamica al fine di preservare la cultura cattolica. Il leader del “”partito conservatore” all’interno il Collegio cardinalizio è stato sino alla sua elezione a Papa, Joseph Ratzinger. Benedetto XVI fu prefetto della Congregazione della Fede fino al 1981 e nel 2001 scrisse la Dominus Iesuribadendo i principi del cattolicesimoela relazione tra il Cattolicesimo e le altre Religioni, rassicurando della superiorità del Cattolicesimo. Un forte accento è messo anche sulla liturgia, perché questa dà identità ed è uguale in tutto il mondo e ha il potere di rinforzare e di alimentare la fede. Ad esempio, nel maggio 2001 il cardinale Medina ha promulgato nuove regole per i testi liturgici, il più possibile fedeli all’originale latino.Un altro accento è posto sulla forte distinzione tra clero e laicato. Vi è un’enfasi su una Chiesa aggressiva, che erge barriere contro gli “attacchi” delle culture estranee ad essa. Clericalismo quindi come barriera alle invasioni e agli attacchi contro la cultura (e all’autorità) cattolica. I membri di questa corrente di “destra” sono – tra gli altri – i cardinali Biffi, Medina, Schotte, Schoumn, Law, George, Degenhard, Dias, Cornell, Ambrozic, Tomko, Jaworski, Schonborn.[1] 

[1] Cf. John L. Allen, Jr., Conclave, New York, Doubleday, 2002, pp.132-157

Nell’ultima intervista il Cardinale Carlo Maria Martini si espresse così

Come vede lei la situazione della Chiesa?
«La Chiesa è stanca, nell’Europa del benessere e in America. La nostra cultura è invecchiata, le nostre Chiese sono grandi, le nostre case religiose sono vuote e l’apparato burocratico della Chiesa lievita, i nostri riti e i nostri abiti sono pomposi. Queste cose però esprimono quello che noi siamo oggi? (…) Il benessere pesa. Noi ci troviamo lì come il giovane ricco che triste se ne andò via quando Gesù lo chiamò per farlo diventare suo discepolo. Lo so che non possiamo lasciare tutto con facilità. Quanto meno però potremmo cercare uomini che siano liberi e più vicini al prossimo.
Come lo sono stati il vescovo Romero e i martiri gesuiti di El Salvador. Dove sono da noi gli eroi a cui ispirarci? Per nessuna ragione dobbiamo limitarli con i vincoli dell’istituzione».
Chi può aiutare la Chiesa oggi?
«Padre Karl Rahner usava volentieri l’immagine della brace che si nasconde sotto la cenere. Io vedo nella Chiesa di oggi così tanta cenere sopra la brace che spesso mi assale un senso di impotenza.
Come si può liberare la brace dalla cenere in modo da far rinvigorire la fiamma dell’amore? Per prima cosa dobbiamo ricercare questa brace. Dove sono le singole persone piene di generosità come il buon samaritano? Che hanno fede come il centurione romano? Che sono entusiaste come Giovanni Battista? Che osano il nuovo come Paolo? Che sono fedeli come Maria di Magdala? Io consiglio al Papa e ai vescovi di cercare dodici persone fuori dalle righe per i posti direzionali.
Uomini che siano vicini ai più poveri e che siano circondati da giovani e che sperimentino cose nuove. Abbiamo bisogno del confronto con uomini che ardono in modo che lo spirito possa diffondersi ovunque».
Che strumenti consiglia contro la stanchezza della Chiesa?
«Ne consiglio tre molto forti. Il primo è la conversione: la Chiesa deve riconoscere i propri errori e deve percorrere un cammino radicale di cambiamento, cominciando dal Papa e dai vescovi. Gli scandali della pedofilia ci spingono a intraprendere un cammino di conversione. Le domande sulla sessualità e su tutti i temi che coinvolgono il corpo ne sono un esempio. Questi sono importanti per ognuno e a volte forse sono anche troppo importanti. Dobbiamo chiederci se la gente ascolta ancora
i consigli della Chiesa in materia sessuale. La Chiesa è ancora in questo campo un’autorità di riferimento o solo una caricatura nei media?
Il secondo la Parola di Dio. Il Concilio Vaticano II ha restituito la Bibbia ai cattolici. (…) Solo chi percepisce nel suo cuore questa Parola può far parte di coloro che aiuteranno il rinnovamento della Chiesa e sapranno rispondere alle domande personali con una giusta scelta. La Parola di Dio è semplice e cerca come compagno un cuore che ascolti (…). Né il clero né il Diritto ecclesiale possono sostituirsi all’interiorità dell’uomo. Tutte le regole esterne, le leggi, i dogmi ci sono dati per chiarire la voce interna e per il discernimento degli spiriti.
Per chi sono i sacramenti? Questi sono il terzo strumento di guarigione. I sacramenti non sono uno strumento per la disciplina, ma un aiuto per gli uomini nei momenti del cammino e nelle debolezze della vita. Portiamo i sacramenti agli uomini che necessitano una nuova forza? Io penso a tutti i
divorziati e alle coppie risposate, alle famiglie allargate. Questi hanno bisogno di una protezione speciale. La Chiesa sostiene l’indissolubilità del matrimonio. È una grazia quando un matrimonio e una famiglia riescono (…). L’atteggiamento che teniamo verso le famiglie allargate determinerà l’avvicinamento alla Chiesa della generazione dei figli. Una donna è stata abbandonata dal marito e trova un nuovo compagno che si occupa di lei e dei suoi tre figli. Il secondo amore riesce. Se questa famiglia viene
discriminata, viene tagliata fuori non solo la madre ma anche i suoi figli. Se i genitori si sentono esterni alla Chiesa o non ne sentono il sostegno, la Chiesa perderà la generazione futura. Prima della Comunione noi preghiamo: “Signore non sono degno…” Noi sappiamo di non essere degni (…).
L’amore è grazia. L’amore è un dono. La domanda se i divorziati possano fare la Comunione dovrebbe essere capovolta. Come può la Chiesa arrivare in aiuto con la forza dei sacramenti a chi ha situazioni familiari complesse?»
Lei cosa fa personalmente?
«La Chiesa è rimasta indietro di 200 anni. Come mai non si scuote? Abbiamo paura? Paura invece di coraggio? Comunque la fede è il fondamento della Chiesa. La fede, la fiducia, il coraggio. Io sono vecchio e malato e dipendo dall’aiuto degli altri. Le persone buone intorno a me mi fanno sentire l’amore. Questo amore è più forte del sentimento di sfiducia che ogni tanto percepisco nei confronti della Chiesa in Europa. Solo l’amore vince la stanchezza. Dio è Amore. Io ho ancora una domanda per te: che cosa puoi fare tu per la Chiesa?».

Giorgio Nadali

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La giustizia ingiusta

di Giorgio Nadali

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Chi commette un’ingiustizia è sempre più infelice di quello che la subisce – osservava Platone. A quanti italiani basta questa consolazione? Non c’è che l’imbarazzo della scelta. 10 anni di galera per 97 coltellate alla madre e al fratellino. A 320 all’ora in autostrada? Ritiro della patente e una multa. Cosa sarebbe accaduto a questi personaggi se fossero cittadini statunitensi nel loro Paese? Quanti cittadini in Italia sentono invece che la giustizia è troppo spesso ingiustizia? Secondo Die Presse l’Italia ricopre il 151esimo posto nella classifica internazionale sull’efficienza dei sistemi di giustizia del mondo. “Non possiamo andare avanti così. Il sistema giustizia in Italia è peggiore di quello di molti altri paesi africani come l’Angola, il Gabon, la Guinea e il São Tomé” ha detto Vincenzo Carbone, primo presidente della Cassazione. Pene troppo miti nel Bel Paese. Pene non scontate sino in fondo. Un male epocale mai guarito. Giudici che non rispondono penalmente dei loro errori. Giudici che non rispondono alla sete di giustizia dei citttadini. L’unico istituto giuridico veramente equo ed efficiente rimane – dal 1991 – il Giudice di Pace, che è un giudice professionale non togato.

A proposito.  Dall’ergastolo alla pena di morte nel primo caso. 10 anni di reclusione nel secondo. Sono le pene negli Stati Uniti per gli stessi crimini. Giustizia, integrità, servizio – c’è scritto sullo stemma dell’United States Marshal (il braccio armato della corte federale americana).

Qui questi valori sono spesso latitanti. Grandi esempi morali dalla giustizia italiana. Che fortuna delinquere in Italia!   

Giorgio Nadali

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Moralismo politico e bunga bunga

di Giorgio Nadali

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«La ferocia dei moralisti è superata soltanto dalla loro profonda stupidità.»  Lo diceva Filippo Turati. C’è qualcuno che può credere che un uomo come Silvio Berlusconi possa essere così sprovveduto da farsi ricattare da una ragazzina? Può darsi. Ma alla maggior parte degli italiani interessano i risultati politici, il programma di gorverno, le riforme. Quanto di ciò che un uomo politico fa nel privato conta? Quanti politici possono scagliare la prima pietra? L’onore della prima pietra della lapidazione veniva dato al più onorevole della comunità. Scandali più o meno costruiti per scalzare l’avversario politico. Dal sexgate di Bill Clinton con Monica Lewinsky del 1995 con tentativo di impeachment dei Repubblicani. Lo scandalo si sgonfiò nel 1998 con l’ammissione di colpa di Clinton in diretta tv.

Il mese scorso il presidente israeliano Moshe Katzav è stato incriminato dallo Stato di  Israele di ripetuti abusi sessuali e in un caso di stupro. Le accuse riguardano sia il periodo in cui era Ministro del Turismo dal 1988 al 1999, sia quando era presidente. Decisiva la testimonianza di alcune sue collaboratrici.

Certo, non un’ipotesi di reato come questa: “Chiunque induce alla prostituzione una persona di età inferiore agli anni diciotto ovvero ne favorisce o sfrutta la prostituzione è punito con la reclusione da sei a dodici anni e con la multa da euro 15.493 a euro 154.937. Salvo che il fatto costituisca più grave reato, chiunque compie atti sessuali con un minore di età compresa tra i quattordici e i diciotto anni, in cambio di denaro o di altra utilità economica, è punito con la reclusione da sei mesi a tre anni e con la multa non inferiore a euro 5.164. Nel caso in cui il fatto di cui al secondo comma sia commesso nei confronti di persona che non abbia compiuto gli anni sedici, si applica la pena della reclusione da due a cinque anni. Se l’autore del fatto di cui al secondo comma è persona minore di anni diciotto si applica la pena della reclusione o della multa, ridotta da un terzo a due terzi”. Difficile che Berlusconi – laureatosi in legge nel 1961 – non lo sappia.

Dunque, moralismo ipocrita a orologeria, in larga parte proveniente dagli eredi di un’ideologia nemica della libertà e dell’uomo. Molto strano…

Tutta da dimostrare l’induzione alla prostituzione. Il sesso con minorenni invece non è reato, a meno che sia:

  • con minori di 14 anni, quando il fatto è compiuto da persona maggiorenne (ovvero, che ha compiuto gli anni 18);
  • con minori di 13 anni, in qualsiasi caso, anche tra partner entrambi minorenni;
  • con minori di 16 anni, quando il fatto è compiuto da persona maggiorenne cui il minore è affidato per ragioni di cura, istruzione, educazione, vigilanza o custodia o che abbia con esso una relazione di convivenza;
  • con minori di 18 anni, quando il fatto è compiuto dal genitore (sia biologico che adottivo), dall’ascendente o dal tutore del minore, o da altra persona che convive con una delle precedenti figure.
  • Qualcuno potrebbe anche sapere molto bene (e credere) che sedici anni fa, ad una sua amica di Sofia (Bulgaria) – allora ventenne – è stato offerto del denaro in cambio di una notte di sesso con  Berlusconi, ma a questo qualcuno interessa solo il suo programma di governo e che il federalismo venga presto approvato. Il gossip è altra cosa… E molti di più sono preoccupati che in un Paese come il nostro l’intercettazione e la violazione della privacy sia abuso e abitudine.

    A noi interessano i grandi risultati ottenuti del Governo contro la criminalità e la mafia, la lotta contro l’immigrazione clandestina, la riforma dell’Università, il federalismo… Se il Premier va a p…. non è un problema. Se ci va il Paese sì.

    La vita privata di Berlusconi non è un pericolo per la democrazia. La “giustizia” usata a fini politici sì.  E allora, bunga bunga Presidente! Si diverta, ma sia più prudente.

    Giorgio Nadali

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    Verbali della Procura di Milano


    Allarme rosso. I giovani hanno smarrito il senso di colpa. I genitori hanno sbagliato

    di Giorgio Nadali

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       I ragazzi hanno smarrito il senso di colpa e la paura dei castighi. Una volta quando un professore entrava in classe rappresentava l’Istituzione. Per governare una classe bastava il proprio ruolo. Una volta. Oggi i ragazzi non danno più alla scuola un significato etico istituzionale. E’ un luogo di socializzazione, di servizio, in cui ogni tanto si può anche prestare attenzione a ciò che l’Istituzione offre. Tutta colpa dei genitori – afferma Gustavo Pietropolli Charmet –  presidente dell’Istituto di Analisi dei Codici Affettivi “Minotauro” e  docente di Psicologia Dinamica all’Università di Milano – al convegno dei docenti di religione cattolica tenutosi domenica 24 ottobre a Milano. Il bambino è stato considerato naturalmente buono, non tabula rasa sulla quale costruire una istanza etica che possa tenere a bada gli istinti e che crei il senso di colpa e la paura di castighi. Si è creduto troppo che un figlio possa imparare per amore.

        Il senso di colpa è diventato un tabù un mostro da esorcizzare. Si dimentica che è il segnale di allarme di ha ancora una coscienza. Allarme rosso – quello sì- quando questa non dà più segni di vita.   

       Il risultato è quello di avere giovani che hanno smesso di sentirsi in colpa, che non hanno paura di castighi – se questi vengono comminati non provocano l’effetto desiderato.  I genittori hanno scollagato le regole dai valori. Oggi per i ragazzi è giusto solo ciò che è bello. Estiticità e eticità sono unite nelle loro coscienza. La sfida dei prossimi anni – dice Pietropolli Charmet – è quella di rimotivare gli studenti, di rimettere la relazione all’interno dell’istituzione scuola. Come? Organizzare i curricula, non le classi. Aule per le materie e non per le classi. Lo studente cambia aula a secondo della materia. Diminuire l’importanza del gruppo classe e insistere sull’importanza della disciplina. E’ l’istituzione, non lo studente che deve creare il gruppo solidale. Senza relazioen i contenuti non passano. Professore – chiedo – come favorire negli adolescenti una morale autonoma (basata sulla coscienza dei valori) e non una morale eteronoma (basata sulla paura di una punizione)? E’ davvero convinto che rimettere nei giovani la pura della punizione crei in loro una morale autonoma? Un ritorno al passato?  

        Per un adolescente una cosa giusta deve essere anche bella Questo è molto legato all’ambiente socio cultuale. Un conto è la paura del castigo, un altro conto è la paura di perdere gli affetti e di perdere la faccia. Oggi viene considerato un affronto l’essere smascherato. E’ un dolore narcisistico. Se la bellezza del sè è più importante della perdita dell’oggetto di amore, allora il lutto amoroso, la sconfitta, l’amore sono vissuti come ammaccature del proprio sè. E’ inaccettabile il non essere importanti agli occhi dell’altro. Se il genitore alimenta troppo l’ego del figlio, allora questo si sente più importante dell’istituzione. In sostanza – per Pietropolli Charmet – cari genitori, avete fatto dei vostri figli un mostro di egocentricità e narcisismo ai qualivalori sociali, regole e rispetto per l’istituzione vanno stretti.  

       Oggi la mente del gruppo giovanile –  che  si trasforma in “banda” – crea valori individuali per il singolo. Per il ragazzo è molto più importante l’essere accettato dai propri coetanei nel gruppo che rapportarsi con l’istituzione, in particolare la scuola. Bisogna portare il gruppo dalal propria parte, prima che si sposti troppo dalla parte dell’adolescente. E adesso non meravigliatevi se i ragazzi se ne infischieranno di voi e delle istituzioni della società e se sentiranno dentro di loro che tutto è permesso al loro ego smisurato. Qualche no e qualche sberla di più  non avrebbero proprio guastato.  

    Giorgio Nadali

    www.giorgionadali.it


    Essere cristiani fa bene alla salute e all’amore – prima parte – di Giorgio Nadali – www.giorgionadali.it

    Di Giorgio Nadali   www.giorgionadali.it 

                 La triangolazione dell’amore per alcuni è “lui, lei, l’altro”, ma non per Robert J. Sternberg, psicologo statunitense dell’Università di Yale. Nel 1986 pubblicò, sulla rivista Psychological Review», la sua Teoria sulla triangolazione dell’amore» (A triangular theory of love), nella quale affermava che l’amore maturo («vissuto») è composto da tre componenti che possono essere graficamente collocate ai vertici di un triangolo equilatero.

                 Le tre componenti sono: l’intimità, la passione, la decisione/impegno. Il triangolo è una metafora utile per visualizzare i reciproci collegamenti e combinazioni possibili fra le tre componenti dell’amore e a comprendere in che modo esse si manifestino. La teoria è simile a quella di Lee, (1977), detta «Tipologia degli stili di amore» («A typology of styles of loving»), pubblicata nel «Personality and social Psychology Bullettin» n° 3, di quell’anno.

                 Ricordiamo che “sessualità” significa molto di più di “sesso”. La dimensione religiosa gioca un ruolo molto importante nella strutturazione di tutta l’affettività (il complesso dei sentimenti e delle emozioni) della persona. Affettività e sessualità strutturano la personalità. La sessualità è quindi la chiave nella melodia dell’amore. Una sola nota stonata, fuori dal pentagramma dei valori, non farà altro che rovinare il motivo di fondo della nostra esistenza.

    Ecco perché in questo capitolo abbracceremo un orizzonte un po’ più ampio di quello specificatamente sessuale e analizzeremo un po’ più in profondità l’esperienza religiosa cristiana, (quella storicamente e culturalmente maggiormente diffusa qui in occidente) ,  e i suoi risvolti sulla personalità. (Cf. Giorgio Nadali, Il contributo dell’esperienza religiosa cristiana all’integrazione dell’affettività matura. Milano, ISSR, 1992).  Ma andiamo per ordine…

                 «L’intimità si riferisce a sentimenti di confidenza, di unione e di affinità che creano un’esperienza di calore. Sternberg e Grajek (1984) hanno individuato, nel rapporto amoroso, dieci segnali di intimità: 1) il desiderio di contribuire al benessere materiale della persona amata; 2) sentirsi felici con la persona amata; 3) avere una profonda stima della persona amata; 4) poter contare sulla persona amata, in caso di bisogno; 5) darsi reciproca comprensione; 6) condividere con la persona amata il proprio mondo interno e le proprie risorse materiali; 7) ricevere sostegno emotivo dalla persona amata; 8) dare alla persona amata sostegno emotivo; 9) comunicare alla persona amata i propri desideri più intimi; 10) considerare il rapporto con la persona amata come qualcosa di grande valore nella propria vita»[1].

                 La componente passione riguarda «un forte eccitamento psicologico e fisiologico, segnato da un’intenso desiderio di unione con l’altro… Nei rapporti romantici la passione in genere include una potente attrazione sessuale, il desiderio di stringere fisicamente l’altro e di confondersi biologicamente con lui. Nei rapporti non romantici – come ad esempio nell’amore genitoriale o nella devozione religiosa – l’aspetto sessuale viene soppresso e l’eccitamento psicologico assume altre forme»[2].

                 «Nella componente decisione/impegno convivono due aspetti, uno a breve e l’altro a lungo termine. L’aspetto a breve termine è rappresentato dalla decisione di amare qualcuno. L’aspetto a lungo termine è rappresentato dall’impegno a conservare vivo quell’amore. Essi tuttavia non sono necessariamente inscindibili, dal momento che l’impegno non è la conseguenza inevitabile della decisione, e viceversa: esistono molti casi di persone coinvolte in un rapporto amoroso (impegno) che non hanno mai ammesso di amare il partner e di esserne innamorato (decisione). Il più delle volte, tuttavia, la decisione precede l’impegno»[3].

                 «Tutti i vari significati contenuti nel termine impegno indicano comunque la stabilità di un vincolo interpersonale di fronte al fluttuare delle situazioni personali, relazionali e ambientali. Il profondo e continuativo senso di impegno rispetto a un legame – anche in assenza di calore o addirittura in presenza di ostilità – deriva dai sentimenti di investimento cumulativo o di interdipendenza»[4].

                 Le varie combinazioni di queste componenti dell’amore maturo danno origine ai seguenti tipi d’amore:

    «Simpatia» (solo intimità)

    «Amore vuoto»                   (solo impegno) che qui noi preferiremmo chia-mare «carità», rispetto al termine usato da Sternberg, in quanto essa non richiede né intimità, né passione, ma è tutt’altro che essere un tipo di amore vuoto, pur richiedendo unicamente impegno per il bene dell’altro, senza distinzioni, né esclusività, a imitazione dell’amore divino e in forza di esso.

    «Amore amicizia»              (intimità + impegno)

    «Infatuazione»                    (solo passione)

    «Amore romantico»          (intimità + passione)

    «Amore fatuo»                    (passione + impegno)

    «Amore vissuto»                (passione + intimità + impegno)

    nell’ordine che ci sembra seguire la genesi di questo amore, a differenza dell’amore amicizia, che parte dall’intimità per arrivare all’impegno, sorretto dall’intimità.

                 Ora, per applicare questa teoria anche all’amore verso Dio, nell’esperienza religiosa e, più specificatamente, nell’esperienza cristiana, visto  che  la  teoria  di  Sternberg  è  stata  da  lui  formulata per l’amore che unisce un uomo ad una donna, dovremo, su questo modello, creare un altro triangolo metaforico ai vertici del quale porremo le 3 componenti dell’esperienza di fede religiosa cristiana.

                 Queste sono: la grazia, l’intelligenza e la volontà.

                 Le varie combinazioni di questi elementi produrranno un certo tipo di atteggiamento, cioè di «disposizione mentale verso il valore» fede cristiana. Solo nella presenza di tutti questi elementi avremo la fede matura, l’«amore vissuto», come lo chiama Sternberg, applicato a Dio, attraverso la mediazione del Figlio, rivelazione del volto del Padre (GV 12, 46). L’atto di fede è quindi un atto tre volte personale. Si tratta di abbandonarsi a Dio, che presentando se stesso chiede il nostro amore. Il Concilio Vaticano I (1869), che ha preso in approfondito esame il problema della fede, ha poi precisato che per giungere alla fede occorre il sumultaneo intervento dell’intelligenza, della volontà e della grazia. I passi nei quali le 3 caratteristiche sono prese in esame sono i seguenti:

    —   GRAZIA: «…sebbene l’assenso della fede non sia per nulla un cieco movimento dello spirito, nessuno può acconsentire alla predicazione evangelica… senza l’illuminazione e l’ispirazione dello Spirito Santo… il quale dà a tutti la soavità nel credere e consentire alla verità… per la qual cosa la fede in se stessa… è dono di Dio e l’atto di fede è opera che appartiene alla salvezza» (DS 1791/3010).

    —   VOLONTA’: «con essa l’uomo liberamente ubbidisce a Dio consentendo e operando alla sua grazia, alla quale potrebbe resistere, acconsentendo e cooperando» (DS 1791/3010).

    —   INTELLIGENZA: «e tuttavia perché l’omaggio della nostra fede fosse conforme a ragione, Iddio volle aggiungere, agli interni aiuti dello Spirito Santo, gli esterni argomenti della sua rivelazione, e cioè i fatti divini, e in primo luogo i miracoli e le profezie…» (DS 1790/3009)[5].

                 La grazia indica il favore assolutamente gratuito e personale di Dio che si china fino all’uomo e gli effetti di questa benevolenza per la quale Dio si comunica. E’ quindi un appello divino all’uomo affinché questo partecipi alla vita divina.

                 «La grazia ci appare il contenuto della predestinazione: essa descrive la situazione nuova che la elezione del Signore Gesù ha introdotto nella storia umana e nella vita degli individui. La grazia è l’espressione antropologica dell’amore salvifico del Dio di Gesù Cristo: essa mostra come il senso della vita umana è totalmente dato in Gesù. La grazia quindi non è l’offerta di una verità o di una concezione di vita ma è la possibilità di vivere la comunione con Dio come criterio ultimo e autentico della vita umana»[6]. «L’esperienza cristiana si fonda sulla grazia, sulla presenza di Dio: non certo come esperienza di Dio stesso, di Dio in sé, ma come esperienza di quella «vita spirituale» che Dio fa crescere in noi suscitando la nostra risposta di fede e di carità… L’esperienza della grazia incontra e valorizza lo sforzo umano dell’esistere, lo sforzo cioè di dare senso e significato al mondo e alla storia umana: pur fondata in Dio, l’esperienza cristiana della salvezza non è senza rapporti con quegli ambiti personali intellettuali ed emozionali dove nasce il pensiero, l’agire, il decidere, lo sperare… In questo senso l’esperienza della grazia appare innanzitutto la capacità di qualificare in profondità la nostra libertà come plasmata e orientata a Dio»[7].

                 Possiamo porre quindi in parallelo la grazia, come elemento base della fede, con la passione, come elemento base della teoria della triangolazione dell’amore di Sternberg. Attraverso la grazia Dio desidera attrarre e unire l’uomo a sé. Mediante la grazia l’uomo può sperimentare attrazione verso Dio.

                 Levinger, commentando Sternberg, riconosce che la passione non ha l’unica valenza di attrazione sessuale e tra le forme di passione annovera la devozione religiosa. E’ l’esperienza della grazia che genera la passione per Dio.

                 E’ la passione per Dio che fa a dire a S. Teresa: «O mio Dio, che cosa fa mai un’anima se non si consuma per voi?»[8] O a S. Agostino: «Orsù, Signore, agisci, svegliaci, richiamaci, accendi e trascina i nostri cuori, ardi, sii dolce. Amiamo, corriamo»[9].

                 Tuttavia come la sola passione non è sufficiente a creare l’amore maturo, così la sola grazia, che suscita la passione religiosa, non è sufficiente per la fede matura, nell’esperienza cristiana.

                 La persona che si ferma alla passione è la stessa che vive la religiosità numinosa o sentimentale. Strutturata su di un’affettività labile, suggestionabile. E’ la persona che ha ricevuto la parola seminata sul terreno sassoso della parabola evangelica (MT 13, 3-9). L’individuo l’accoglie con gioia, ma l’incostanza e la persecuzione a causa della parola lo portano a «scandalizzarsi», cioè a urtare la «pietra d’inciampo», lo skandalon di quel suo terreno psicologico, sul quale l’altro è cercato come fonte di emozione, di infatuazione.

                 Senza l’esperienza di intimità, di conoscenza, di riflessione dettata dall’intelligenza, l’altro, in questo caso Dio, viene idealizzato e strumentalizzato da un Io sostanzialmente insicuro ed egocentrico.

                 «Jung affermava di avere una conoscenza o esperienza intuitiva di Dio… Ha definito la fede come percezione attraverso l’inconscio… L’esperienza intuitiva di Dio, però, non è l’esatto equivalente della fede in lui; la fede totale comprende l’esperienza di Dio, ma è più ampia. La fede implica sempre rischio; significa accettare come autentica l’intuizione su Dio e sottoporla alla verifica dell’azione pratica… Come l’ipotesi scientifica deve essere verificata con l’esperimento, così l’esperienza della fede deve essere verificata traducendola in azione. Il Dio che si rivolge alla personalità cosciente di ogni uomo tramite tutto l’insieme che l’uomo stesso è, si rivolge a lui anche tramite il mondo che lo circonda, tramite i bisogni e le esigenze di altre persone, tramite gli eventi che lo riguardano. La fede in Dio orienta la persona sia verso il proprio profondo intimo, sia verso gli altri e verso tutti i problemi del vivere… La fede è un mezzo per arrivare a una comprensione più profonda e a una vita più piena… Perché è un principio di rischio… Una vita piena e matura richiede coraggio e se la fede aiuta la persona ad affrontare la vita senza paura è certamente importante per raggiungere la maturità»[10].                     Occorre dunque una riflessione critica sul dato di fede per aggiungere alla passione religiosa, alimentata dalla grazia, il proprio contributo umano alla relazione con Dio. «La vera felicità consiste nell’amore di Dio, ma in un amore illuminato, il cui ardore sia accompagnato dalla luce», secondo Leibniz[11].

                 Sternberg definisce l’amore composto dalla sola componente passione come «amore-infatuazione», che ama l’altro (in questo caso Dio) come un oggetto idealizzato e non come la persona che è in realtà. E’ un sentimento improvviso ed estremamente fugace e transitorio, sussistente solo se il rapporto con l’altro non è realmente vissuto o se almeno non subisce l’impatto con le frustrazioni. Nasce più che altro da una proiezione dei desideri della persona e non da un vivo interesse per l’altro. Dà luogo a rapporti asimmetrici direttamente proporzionali all’angoscia con cui il rapporto viene vissuto. Essendo l’altro idealizzato, questo rapporto è particolarmente soggetto all’angoscia. Infatti, rapportato al nostro ambito di esperienza della grazia (mediata dalla comunità di fede), gli individui che non integrino questo elemento con l’intelligenza prima, e con la volontà poi, la ridurranno a pura esperienza emotiva, legata esclusivamente all’ambiente dove l’hanno esperita, conducendoli a forme di religiosità «dipendente» nella quale «l’onnipotenza divina è cercata come medicina compensataria alla propria insicurezza profonda; ogni trauma della vita è vissuto come un tradimento da parte di Dio che non ha più continuato a proteggerli. Conseguenza è anche una perdita dell’autostima, proprio perché essa è rimasta connessa ad un costante bisogno di essere rassicurati, protetti e amati. La religiosità di costoro è caratterizzata dalla ricerca di confortanti simboli di protezione e dall’aspettativa di interventi magici»[12].

                 Sternberg suggerisce di uscire dall’impasse della pura passione, mediante una buona conoscenza del proprio oggetto d’amore. Solo così la realtà può venire a un confronto con l’idealizzazione.

                 Come seconda componente fondamentale della relazione affettiva egli evidenzia l’intimità, la quale si riferisce ai sentimenti di unione, di confidenza, di affinità che creano un’esperienza di calore con l’altro, con le caratteristiche che abbiamo già elencato. L’intimità nasce dalla conoscenza dell’altro. Hatfield[13] ha definito l’intimità come un processo che induce un avvicinamento e che implica l’esplorazione delle affinità e delle differenze esistenti tra due persone, implicanti la confidenza, una componente cognitiva di fiducia.

                 S. Teresa d’Avila trova nell’intimità il sesto e penultimo stadio dell’evoluzione dell’amore per Dio, che la Santa immagina, nel suo scritto «Il castello interiore», come un viaggio dell’anima in un castello composto di molte dimore. La dimora intimità è quella che immette all’unione definitiva con Dio nell’amore completo del «matrimonio spirituale»[14]. La fede matura, quindi.

                 La componente intellettiva è quella che nell’esperienza religiosa (cristiana) possiamo porre in parallelo alla componente intimità dell’amore maturo. «Considerate a livello obbiettivo del loro contenuto mentale, le credenze possono assumere molte connotazioni personali che ne determinano il senso vero. Per conoscere il contenuto specificatamente religioso d’una credenza, importa sapere per quale ragione il soggetto l’adotti»[15].

                 La persona non subisce passivamente l’influsso della grazia divina, ma inizia a portare il proprio contributo alla relazione con Dio, mediante la riflessione e l’approfondimento della parola di Dio e dell’esperienza che ne ha fatto attraverso gli altri, sia per verificarne la conformità al patrimonio della fede apostolica, e quindi l’autenticità, sia per verificarne l’applicazione nel proprio vissuto personale. La persona giungerà così alla motivazione alla fede, senza la quale non è possibile una reale esperienza religiosa vissuta, con effetti positivi sull’affettività.

                 L’intimità nasce dalla motivazione alla relazione e questa implica una componente intellettiva.

                 «Dato che il processo della decisione inizia sempre con una valutazione intuitiva, ci sono dei motivi emotivi. Tuttavia perché l’azione sia matura, occorre un motivo razionale che nasce dalla valutazione riflessiva»[16] che può seguire un triplice percorso, valido anche per la riflessione sul dato di rivelazione divina e sull’esperienza religiosa con la quale l’individuo è venuto a contatto.

                 Le tre piste sono (secondo Kelman): la compiacenza, l’identifi-cazione e l’internalizzazione[17].

                 Brevemente, ricordiamo che un atteggiamento è uno stato mentale e nervoso di predisposizione a rispondere, organizzato attraverso l’esperienza, che esercita un’influenza direttiva e/o dinamica sul comportamento.

                 La compiacenza è il primo processo che fa adottare un atteggiamento vantaggioso, ma non condiviso come valore dall’individuo. L’atteggiamento appreso non è creduto, ma serve per produrre un effetto sociale. E’ l’aspetto della religiosità ipomaniaca oppure dottrinalistica.

                 L’identificazione è il processo che porta la persona ad adottare un comportamento perché le serve per stabilire o mantenere una relazione gratificante con un’altra persona o gruppo, identificandosi con l’identità del modello (classica) oppure tramite l’identificazione reciproca delle due parti in gioco nella relazione, esclusivamente per mantenere l’immagine di sé o nella complementarietà o nella somiglianza con l’altro.

                 «Ciò che fa scattare l’identificazione è la percezione nell’altro di qualcosa che serve per il senso del proprio Io, il che è come dire che il soggetto scopre nell’altro l’appello ad essere se stesso… L’identificazione è fonte di crescita nella misura in cui fa apprendere atteggiamenti che aumentano i valori. E’ bloccante quando gratifica quella parte dell’Io contraddittoria ai valori»[18].

                 «L’identificazione è di qualità superiore rispetto alla compiacenza. Qui c’è anche un’accettazione privata-interiore, oltre che pubblica-esteriore dell’atteggiamento adottato… Ma la differenza più grande è che il processo dell’identificazione è uno stadio necessario nell’acquisizione dei valori. Per apprendere opinioni bastano i mezzi didattici (libri e conferenze); per apprendere i valori occorrono dei modelli di riferimento. Il valore è come il messaggio che per essere trasmissibile necessita di una relazione; è da questa che nasce l’apprendimento. Il modello serve perché la persona si costruisca secondo contenuti precisi e concreti e non sulla base di idee peregrine o di ideali arbitrariamente interpretati. Il modello è un essere umano che dà corpo nella sua umanità ad una realtà difficilmente comunicabile in astratto con nozioni intellettuali.

                 Pensiamo ad esempio alla catechesi: vuole favorire l’incontro dell’uomo con il divino per abilitarlo a trovare in questo rapporto la sua identità, nel duplice senso di ciò che è e ciò che è chiamato a diventare»[19].

                 Nel processo di internalizzazione la persona vive i valori e gli atteggiamenti ad un livello di riconoscimento interiore, con convinzione, con una moralità che abbiamo già definito come post-convenzionale. Il motivo dell’adesione è nel contenuto stesso dell’atteggiamento e non le pressioni sociali o le relazioni gratificanti. «L’internalizzazione avviene su base super razionale di integrazione mentale-affettivo-volitiva: è una decisione che può iniziare con una riflessione o emozione, ma che termina con la scoperta dell’attrazione. E’ una sensazione prima vaga e poi sempre più chiara che quel contenuto è un qualcosa che fa essere di più, rispetta le esigenze e il principio di totalità dell’essere, è appetibile e vale la pena farlo proprio anche a costo di qualche sacrificio»[20].

                 A questo punto l’individuo ha integrato la passione puramente emotiva suscitata dal primo incontro col Dio che si rivela per grazia, con la riflessione personale che può seguire tutte le tre tappe appena esaminate, partendo da una religiosità estrinseca e funzionale all’individuo sino ad arrivare ad una religiosità maturata nella quale la riflessione stimola la persona alla internalizzazione del valore di fede. Valore che muove l’individuo ad una partecipazione vissuta di questa esperienza. E’ importante notare che nell’esperienza cristiana, lo stadio di identificazione è privilegiato dall’incarnazione stessa, del modello-valore al quale Dio per grazia vuole chiamare l’uomo a conformarsi, in una persona: il Cristo.

                 A questo punto, unite le componenti passione ed intimità, (grazia ed intelligenza), avremo il tipo di amore che Sternberg chiama «amore romantico».

                 Prima di esaminare le caratteristiche in rapporto all’esperienza cristiana, ricordiamo che la sola componente intimità, presa da sola, definisce nella teoria della triangolazione dell’amore, la simpatia, cioè confidenza, senso di unione e stima, senza attrazione né impegno di coinvolgimento. Avendo messo in parallelo l’elemento intimità con l’elemento intelligenza, notiamo che la sola intelligenza nel rapporto di amore con Dio, nella fede, può sì condurre ad una certa simpatia, del tutto speculativa, sul mistero di Dio, ad un livello puramente intellettuale e teorico, senza attrazione, perché senza accoglienza della grazia, cioè dell’appello divino, l’uomo non può essere coinvolto emotivamente, non solo intellettualmente, nella relazione divina, oltre che essere nell’impossibilità di conoscere ciò che Dio gratuitamente vuol rivelare per instaurare questa relazione.

                 Anzi, senza la grazia non v’è nemmeno relazione, così come nella simpatia la persona può sentirsi intuitivamente unita all’altro pur senza conoscerlo e può provare interesse e stima ad un livello superficiale. Potremmo paragonarla all’esperienza di conoscenza speculativa del «Dio dei filosofi». Manca l’attrazione (passione) suscitata da Dio mediante la grazia.

                 Nell’ambito dell’esperienza cristiana la sola componente intimità-intelligenza, simpatia per Dio, è quella di coloro che vivono nella condizione di non praticanza, situazione che conduce a non alimentare il rapporto con la passione-grazia nella forma sacramentale di comunicazione della stessa.

                 «Come nozione psicologica, l’«indifferenza religiosa» contiene una velata contraddizione. Per provare quest’asserzione, possiamo riferirci a Carl Gustav Jung, che dice: «se un problema vien recepito a livello religioso: ciò significa dal punto di vista psicologico: molto importante, di particolare valore, concernente l’uomo nella sua interezza». E spiegando meglio questo concetto egli continua: «si potrebbe persino definire l’esperienza religiosa come l’esperienza caratterizzata dalla massima stima, accordatale a prescindere dal suo contenuto». Si potrebbe quindi descrivere l’«indifferenza religiosa» come qualcosa di molto importante nella linea di ciò che è indifferente, come l’atteggiamento in cui l’«importanza» sembra riassorbita dall’«indifferenza», pur continuando a essere qualcosa di «caratterizzato dalla massima stima riservatagli”»[21].

                 Il non praticante è generalmente un soggetto che non ha integrato la componente socialità nella propria religiosità. Non riteniamo che la maturità religiosa, vissuta in qualsiasi esperienza religiosa, possa escludere il senso di appartenenza alla comunità di fede, in quanto, come concetto psicologico, il gruppo è di estrema importanza per la determinazione della maturità psichica dell’individuo. L’appartenenza vissuta alla comunità religiosa, prima ancora di essere una questione di coerenza di fede, specialmente nell’esperienza cristiana, è segno di un raggiunto livello di internalizzazione del valore religioso che, se non è vissuto insieme agli altri, origina nella persona un’immagine deformata e idolatrica della divinità, ad uso e consumo del suo narcisismo. L’individuo vuol tenersi per sé, senza condividerlo con gli altri, il suo rapporto con Dio, sia nella dimensione culturale, sia nella dimensione sociale/testimonianza, perché Dio è vissuto come l’oggetto rassicurante del gioco, sul quale può proiettare ogni sua ansietà e sentimento, senza che qualcuno possa interferire in questo rapporto. Proprio nel gioco il bambino domina la realtà, la manipola a piacimento, si afferma, si rifà dalle frustrazioni in un mondo simbolico tutto suo.

                 E’ chiaro, allora, che se l’individuo, nell’esperienza cristiana, si allontana dalla pratica religiosa del Cattolicesimo, non ha mai superato psicologicamente la fase narcisismo, a livello della religiosità. L’autorità sacra (gerarchia) sarà vista come minaccia al suo rapporto con Dio, prima ancora che errore teologico (CF. MT 16, 18-19), come immaturità psicologica. Gli altri saranno visti come concorrenti in questo rapporto. Non meraviglia il fatto che talvolta il cattolico non praticante preghi da solo, ma in chiesa. Non meraviglia l’ipercriticità nei confronti dei praticanti come tentativo di copertura del senso di colpa inconscio, mentre l’esperienza cristiana, come vedremo, dà alla persona il «coraggio di essere debole» e quindi di accettarsi, per poter amare se stessa e quindi gli altri, di vivere un’esperienza di legame con gli altri e con Cristo. Non meraviglia l’accidia di questi individui che non comprendono che l’amore, per essere tale, va sempre concretamente espresso. Anche al «Signore [che] scruta i cuori» (1 CR 28, 9).

                 «Il gruppo, si può affermare a questo punto, gioca un ruolo importante nella dinamica della sicurezza e della colpa, si può quasi dire che il vivere una relazione sociale aumenta il livello di sicurezza raggiunto e la capacità di affrontare lunghi periodi di insicurezza con la coscienza del necessario ritorno alla sicurezza, e permette anche di tollerare il senso di colpa derivante dalla supposta infrazione di norme interiorizzate… Il gruppo agisce profondamente, determina e spesso modifica il significato della sicurezza e della colpevolezza, non elimina queste due qualità, ma le rende tollerabili all’individuo che le vive»[22]. In pratica, il cattolico praticante è un individuo con una maggior stabilità emotiva.

                 «Uno dei modi in cui i primi cristiani furono liberati dalla paura e scoprirono se stessi fu attraverso l’appartenenza a una comunità di fede. Questa fede comunitaria è espressa dal culto… – scrive Bryant – il culto della chiesa è il fattore correttivo più sicuro dell’idolatria dei concetti falsi o inadeguati di Dio. Il culto corporativo della Chiesa con le sue letture delle scritture, in particolare quando esse sono interpretate alla luce di Gesù Cristo e nel linguaggio di oggi, è un modo di sfuggire ai concetti limitati ed egocentrici di Dio verso la fede più ampia della comunità… L’impegno della fede significa coinvolgere noi stessi nel mondo degli uomini e delle donne che Dio ha creato e che ama»[23]. Quindi, gli individui che vivono la sola componente intelligenza, venuto meno il rapporto vissuto con la grazia, vivono la sola componente che Sternberg chiama «intimità», originante, se presa a sé stante, la «simpatia», nella quale il rapporto con gli altri può anche essere assente. «Il vero rapporto religioso tra uomo e Dio che nella comunità parrocchiale s’avvera come servizio del soggetto al valore, vale a dire sottomissione dell’uomo, come individuo e società, a Dio, nella lontananza di qualunque fattispecie viene tradito… La dinamica affettiva è ordinata a una tattica e a una finalità che convergono in un atteggiamento unitario e organizzato di mentalità ostile. L’alieno sfrutta l’aspetto umano della Chiesa criticando non per il gusto di denigrare, ma in «obliquo», con lo scopo di mascherare la propria indolenza con il titolo di una religiosità più pura sotto le istanze di un Io esigente e bramoso di trascendenza… E’ in questo tipo di lontananza che avviene la trasposizione in chiave religiosa delle tesi di Sartre («L’inferno sono gli altri») e di Freud. Ciò che manca nella esperienza di tali mentalità è la convinzione che la società, sia profana che religiosa, è condizione di libertà allo stesso tempo che fonte di oppressione. Si dimentica troppo facilmente che la comunità funziona in primo luogo per dare ai fedeli la possibilità di una diretta ed adeguata espressione del sentimento religioso»[24].

                 La componente grazia, che noi abbiamo messo in parallelo alla «passione» di Sternberg, unita alla componente «intelligenza», messa in parallelo alla componente «intimità», dà origine all’amore romantico, ove la componente «volontà»-»impegno» è assente. Ci sembra di poter paragonare, nell’esperienza cristiana, questo tipo di amore verso Dio, con quello della religiosità formale e convenzionale, nella quale la grazia è accolta criticamente, la partecipazione comunitaria cultuale è presente. L’individuo in un certo senso, vive la fede, ma la componente «volontà» (impegno) è assente, nel senso che questa ha un significato molto più profondo del «credere». Manca il carattere euristico dell’esperienza di fede in Dio. A proposito della distinzione tra fede e credenza Allport sostiene che ««fede» sembra recare un più intenso calore d’affetto di quanto ne mostri «credenza»… Molte persone, interpellate, rispondono dichiarando di credere in Dio. In molti di questi casi però la risposta sembra data meccanicamente e si ha il sospetto che il sentimento religioso retrostante all’asserzione sia elementare. Quando invece un individuo assevera: «io ho fede in Dio», pare quasi certo che il sentimento religioso occupa una posizione preminente della sua personalità»[25].

                 Il carattere euristico della fede, qui assente, essendo ancora assente la volontà-impegno in senso pieno, la rende una continua ricerca di un impegno a tradurla in fatti in ogni aspetto dell’esistenza, senza ridurla ad un fatto cultuale-precettistico.

                 Siamo all’opposto del tutto «intelligenza-intimità». Questi non pratica per tenersi stretto il «suo» Dio, mentre il soggetto che non ha ancora raggiunto la componente volontà-impegno, vive la relazione con Dio come fenomeno a sé stante rispetto al resto della sua vita quotidiana, ove non è integrata, per una paura di coinvolgimento eccessivo o per una educazione riduttiva dell’esperienza cristiana.

                 Il risultato è una sfiducia di fondo nel proprio valore in rapporto alla partecipazione con Dio nella realizzazione del suo Regno. Già Fromm ricordava che la persona che si impegna attivamente nell’amore si sente viva e scopre quanto vale: «Dare è la più alta espressione di potenza. Nello stesso atto di dare, io provo la mia forza, la mia ricchezza, il mio potere. Questa sensazione di vitalità e di potenza mi riempie di gioia. Mi sento traboccante di vita e di felicità. Dare da più gioia che ricevere, non perché è privazione, ma perché in quell’atto mi sento vivo»[26].

                 Senza la «volontà-impegno» l’individuo non ama ancora Dio, perché è ancora passivo, non elabora dentro di sé il dinamismo del darsi a Dio e agli altri in maniera interiorizzata e veramente voluta, al di là del precetto. Vi è attrazione (grazia), risposta (intelligenza), ma non coinvolgimento attivo, responsabile, impegnativo, personalizzato: è un’esperienza di amore-romantico con Dio.

                 «La fede del cristiano è un dono di Dio, come l’intero processo salvifico. «Per grazia, infatti, siete stati salvati mediante la fede; e tutto questo non viene da voi, ma è un dono di Dio» (EF 2, 8). Questo è il pensiero che sta alla base di tutta l’analisi della fede di Abramo (RM 4). Poiché Dio si rivolge all’uomo come a una persona responsabile, questi è libero di accettare o rifiutare l’invito gratuito. E la fede non è che la risposta da parte dell’uomo che si rende conto che l’intera iniziativa dipende da Dio… Nei contesti polemici in cui Paolo rifiuta le «opere della legge» come mezzo di giustificazione, egli insiste nel dire che questa giustificazione viene attraverso la fede (GAL 2, 16; Cfr. RM 2, 20-28; FIL 3, 9). Comunque, il senso pieno di fede secondo lui esige che il cristiano manifesti nella sua condotta la sua radicale dedizione al Cristo mediante opere di carità. «Poiché in Cristo Gesù non ha valore né la circoncisione né la incirconcisione, ma solo la fede operante per la carità (GAL 5, 6), questa è la ragione per cui Paolo esorta continuamente i suoi convertiti cristiani a praticare ogni sorta di buone azioni. La fede cristiana è un invito alla libertà (dalla legge, dal peccato, dall’Io – Sarx), ma anche un invito al servizio dell’amore da dimostrare agli altri uomini (GAL 5, 13). In tal modo, la fede per Paolo non è semplice assenso intellettuale a una proposta di monoteismo (Cfr. GC 2, 14-26). Paolo infatti sa che tale servizio non si compie senza l’attività di Dio nell’uomo: «E’ Dio che produce in voi, a suo piacimento, il volere e l’operare» (FIL 2, 13)»[27].

                 Aggiungendo la componente volontà, la triade grazia-intelligenza-volontà è completa. E’ l’esperienza cristiana di una fede nel senso pieno. Non tutte le esperienze religiose richiedono necessariamente tutti e tre questi elementi, o almeno, non nella misura dell’esperienza cristiana. Senza volontà non v’è carità.

                 Anche la triade della triangolazione dell’amore di Sternberg si completa con l’elemento decisione/impegno. Otterremo l’«amore vissuto».

                 «Ci sembra che un’autentica maturità religiosa si realizzi quando c’è equilibrio dinamico fra gli elementi emotivi, intellettivi e volitivi. Il fattore intellettivo ha valore perché dà persistenza all’elemento emotivo che, a sua volta, soddisfa l’Eros.

                 Infatti una religiosità prevalentemente emotiva, basata sul semplice sentimento e senza una base intellettiva, difficilmente dura nel tempo. Né va considerata maturità religiosa quella che non implica l’elemento volitivo, non comporta cioè atti di volontà»[28].

                 Ricordiamo che l’Eros è una delle due parti in cui Freud ha distinto l’inconscio dinamico ed ereditario (l’Es). L’Eros si riferisce all’energia psichica come impulso dinamico all’apertura all’altro, generalmente designata come libido, in contrapposizione all’istinto aggressivo e di odio, cioè il Thanatos. La religiosità si origina nell’Eros. Rimane quindi da esaminare l’aspetto volitivo dell’esperienza di fede cristiana.

                 Il processo decisionale è composto da due fasi: il volere emotivo e, successivamente, il volere razionale. Il primo impatto con la realtà è sempre emotivo. Ciò che coinvolge l’individuo viene prima sentito e, in seguito, ragionato, con una cooperazione affettività e razionalità. In realtà, il processo completo è composto da percezione, cioè il soggetto riconosce l’oggetto in sé, quindi, nel nostro caso, riconosce quel messaggio che ascolta, che legge, che vede, come facente parte dell’esperienza cristiana, come Parola di Dio. In secondo luogo esegue una valutazione intuitiva, che gli consente di porsi in relazione con l’oggetto percepito, a livello elementare di attrazione-repulsione in maniera passiva e acritica. E’ l’influsso che esercita l’esperienza cristiana nel momento in cui l’individuo deve decidere di orientare la propria esistenza in linea con i valori di questa esperienza. Molto influsso ha in questa fase la testimonianza di coloro che già vivono pienamente la fede matura. «I fedeli laici hanno la loro parte da compiere… non solo con una partecipazione attiva e responsabile nella vita comunitaria, e pertanto con la loro insostituibile testimonianza, ma anche con lo slancio e l’azione missionaria verso quanti ancora non credono o non vivono più la fede ricevuta con il battesimo»[29].

                 «Il desiderio di partecipazione, la ricerca dell’affiliazione religiosa, possono essere descritti globalmente con una parola sola: l’amore. Sia i fenomenologi che gli psicologi sono d’accordo nel dare un nuovo orientamento alle ricerche in questo senso, che un falso pudore aveva trascurato. Van Der Leeuw fa propria l’osservazione acuta di Lévy-Bruhl, il quale afferma che «il bisogno di partecipazione è sicuramente più imperioso e più intenso, anche nelle nostre società, del bisogno di conoscere o di conformarsi alle esigenze logiche. Esso è più profondo, viene da più lontano». L’atteggiamento del convertito verso la Chiesa ci pare inesplicabile al di fuori del sentimento d’amore che lo motiva. Infatti, nella nostra ipotesi, si tratta di affiliazione a una Chiesa ben definita, la Chiesa cristiana; e per Van Der Leeuw, «una sola parola basta a caratterizzare la tipologia del Cristianesimo: l’amore»[30].

                 Grensted sostiene che il solo sentimento che riuscirebbe veramente a integrare la totalità della personalità sarebbe l’amore di Dio, che egli chiama il master sentiment[31] e per Van Der Leeuw: «L’amore risposta all’amore di Dio prende una forma: la Chiesa; essa mostra la sua irriducibile unità con l’amore»[32].

                 «E’ un fatto scioccante che lo stesso Freud, per il quale la religione era un’illusione da superare, abbia visto nella Chiesa cristiana il più perfetto esempio del suo gruppo ideale – scrive Grensted – … né nel nostro più intimo sé né nel nostro ambiente di persone che ci sono offerte come obiettivi del nostro amore noi troviamo un’invariabile e sufficiente forza integrante. A questo punto siamo naturalmente condotti a chiederci se non ci sia un sentimento principale di più alto grado, il sentimento che si prolunga a arriva a Dio e quindi attraverso l’agape, il supremo e creativo aspetto dell’amore, ci offra la vera unità interiore che ci dia la libertà. Qui la psicologia non sa dare risposta. Né può chiudere la porta. Possiamo solo dire che se potessimo propriamente dire che questo sentimento esistesse, la conversione, come convergenza su Dio di tutte le nostre disposizioni conflittuali, sarebbe il modo del suo operare. E quella conversione dovrebbe prendere molte forme e sarebbe naturale come c’è una molteplicità e varietà di individui nella multiformità della creazione di Dio»[33].

                 Infine, dopo la percezione e l’intuizione, l’ultimo processo decisionale è il volere razionale. L’intuizione non era ancora al livello conscio. L’esperienza cristiana era vista come attraente, o meno, a seconda della predisposizione favorevole o sfavorevole. La valutazione razionale, a questo punto, consente all’individuo di trascendere l’impressione istintiva e di valutare la situazione con criteri più ampi ed universali, non basati solo sulla piacevolezza o spiacevolezza, ma sul valore in sé dell’esperienza, che può anche differire dai criteri istintivi. Cioè può essere ritenuta degna anche se non sempre piacevole, oppure dannosa anche se attraente.

                 Non è richiesta una certezza matematica nella decisione razionale riguardante i valori umani. Sarebbe impossibile. Un valore è una rappresentazione concettuale di qualcosa in funzione della sua bontà, del suo pregio, o della sua utilità. Pertanto un valore è un motivo razionale trasformato in un fattore di motivazione relativamente permanente… L’origine immediata dei valori è il processo della deliberazione razionale… Il bagaglio di esperienze personali, le disposizioni mentali già acquisite, i tratti della personalità, le capacità ed i bisogni personali possono determinare l’accettazione o il rifiuto di determinati valori. Fra questi fattori ha molta importanza l’intelligenza, in quanto la formazione dei valori consiste principalmente in un processo intellettuale. La decisione finale di fede cristiana non è il punto di arrivo di un ragionamento teoretico. La fede è un atto d’amore. La decisione finale, la volontà in un atto d’amore è il rischio. Rischio di coinvolgersi totalmente e volutamente nel valore intuito.

                 L’individuo non è più legato alla ricerca dell’emozione positiva, della gratificazione, ma è impegnato nel tradurre in pratica attivamente il dono di sé, abbandonando i propri schemi mentali precostituiti, nei quali l’altro, cioè Dio, era incasellato, dando così maggior sicurezza alla persona, ma togliendole la gioia di scoprire l’altro per come realmente sia, per come possa autenticamente esprimersi e comportarsi quando la persona decide di fidarsi totalmente di lui. E’ una maniera di essere che non è riproducibile prima del dono di sé. Se l’amore è «interesse attivo per la vita e la crescita di ciò che amiamo», come sostiene Fromm[34], ciò non è possibile senza un atto di volontà, che è essenzialmente fiducia e impegno per l’altro. Se questo vale per gli esseri umani, tanto più vale per Dio. Se la persona dicesse di amarlo solo quando lo sente, lo capisce, o ha voglia di pregarlo o di partecipare alla celebrazione eucaristica, ad esempio, certamente non potremmo dire che questa sia un’esperienza di amore, la quale, in ogni caso, non è mai basata solo sul «sentire», «capire», o «essere attratti» dall’altro. Uno splendido esempio lo troviamo nell’episodio del Vangelo di Matteo, nel quale Pietro domanda a Gesù di farlo avanzare verso di lui facendolo camminare sull’acqua del lago di Tiberiade. L’atteggiamento di Pietro è quello di colui che cerca certezza. Ma questa non può esistere, nell’amore, senza essere accompagnata dal rischio. Pietro cammina sull’acqua sintanto che la sua fiducia non vien meno a causa della paura, originata da un amore imperfetto. «L’amore perfetto scaccia il timore, perché il timore suppone un castigo e chi teme non è perfetto nell’amore» (1 GV 4, 18). Il timore della persona che non riesce a donarsi perché è preoccupata dalla possibile reazione dell’altro.

                 «Se volete scoprire quale differenza Gesù abbia prodotto nell’umanità, cercandola nel Nuovo Testamento, troverete che la risposta è l’allontanamento della paura dalla vita della gente. Nel Nuovo Testamento la paura è considerata la radice di ogni male; è la paura che rende egoisti gli uomini, che li fa odiare, che li rende ciechi; è sempre la paura a farli impazzire. La paura scaccia l’amore, così come l’amore scaccia la paura»[35]. Certamente Gesù ha fatto molto di più di questo, ma questo ci aiuta a capire come, in ultima analisi, ciò che frena la persona dal passo decisivo a completare il suo amore con l’impegno e la fede con la volontà, sia il timore.

                 Spesso il timore è alimentato dalla distanza tra l’ideale e le proprie capacità, ma va tenuto conto che «tutti gli ideali sono in un certo senso staccati dalla realtà… Sono obbiettivi da raggiungere, sono cose realizzabili ma non mai appieno realizzate. Una persona senza ideali è una persona molto povera; d’altra parte una persona che non possiede nient’altro che ideali, è una persona incapace sia per sé che per la società»[36].

                 Allport sostiene che «Salvo non s’abbia a fare con un genio religioso, ad esempio il Cristo, non dobbiamo attenderci che il sentimento religioso, anche quando è maturo, sia coerente in assoluto. Più che per altri, va detto di esso che il suo modellamento è sempre una realtà incompiuta»[37]. E Perugia: «I giovani devono essere guidati verso la scelta di ideali personalizzati che siano il più vicino possibile allo «standard» di eccellenza. Così gli insegnanti di religione giustamente tendono a far sì che i fanciulli e gli adolescenti conoscano la vita di Cristo e dei Santi, perché essi sono esemplari di grandi virtù morali e religiose… I giovani devono saper valutare la distanza esistente fra ideali e realtà. Essi sono troppo spesso scoraggiati dai loro insuccessi per poter raggiungere uno «standard» di eccellenza; essi talora non sanno che gli ideali non sono mai pienamente realizzati, che essi sono obbiettivi a cui tendere più che scopi da realizzare. I giovani devono potersi guardare da tali scoraggiamenti, in quanto questi possono condurre a severi conflitti emotivi e a grave disadattamento. I giovani devono possedere degli ideali per il loro completo sviluppo e la loro completa integrazione, ma questi ideali devono essere costretti a giuocare il proprio ruolo nella dinamica della condotta umana»[38].

                 Dunque, senza idealizzazioni, timori e scoraggiamenti definitivi, l’amore completo richiede un preciso impegno duraturo, un rischio ampiamente ricompensato dallo scoprire l’altro nella misura in cui rischio, in pratica, i miei ideali per lui. Fromm ricorda che «L’amore dovrebbe essere essenzialmente un atto di volontà, di decisione di unire la propria vita a quella di un’altra persona – nel nostro caso, Dio – … Amare qualcuno non è solo un forte sentimento, è una scelta, una promessa, un impegno. Se l’amore fosse solo una sensazione, non vi sarebbero i presupposti per un amore duraturo. Una sensazione viene e va. Come posso sapere che durerà sempre, se non sono cosciente e responsabile?

                 Tenendo conto di questi elementi, si arriva alla conclusione che l’amore è essenzialmente un atto di volontà»[39].

                 Anche Rollo May è dello stesso avviso: «Il compito dell’uomo è di unire amore e volontà. Essi non sono uniti da un’automatica crescita biologica, ma devono essere parte del nostro sviluppo cosciente… La volontà interviene e pone le basi che rendono possibile un amore relativamente maturo. Non più alla ricerca di una reviviscenza della sua condizione infantile, l’essere umano… ora si assume liberamente la responsabilità per le sue scelte…

                 L’amore che è separato dalla volontà, o l’amore che impedisce la volontà, è caratterizzato da una passività che si incarna e non si sviluppa con la propria passione; tale amore tende, quindi, alla dissociazione. Finisce in qualcosa che non è pienamente personale perché non discrimina completamente. Tali distinzioni coinvolgono il volere e lo scegliere; e scegliere qualcuno significa non scegliere qualcun altro»[40]. Amare Dio implica sceglierlo: «Scegliete oggi chi volete servire» (GS 24, 15).

                 «L’obbedienza della fede non va scambiata con un atto compiuto perché un potente ha comandato qualcosa, ma va vista come un modo di agire adottato perché Dio sta con la sua interpellanza e la sua rivendicazione nella vita dell’uomo, una interpellanza e una rivendicazione dotate di senso e indicanti una via»[41].

                 «Una persona non offre mai altra garanzia se non se stessa. Nella relazione con gli altri, la certezza non antecede l’assenso: lo accompagna e ne è il frutto. Così è nella fede religiosa. Quando si rivolge a Dio, l’uomo vorrebbe anzitutto sapere in chi crede: lo sa però solo nel momento in cui crede … La fede è un atto cosciente, compiuto dalla persona nella sua totalità, e la sua certezza è una luce che si riflette sull’esistenza umana e la rende più ragionevole… Una certa umanizzazione e un certo equilibrio psicologico le sono indispensabili. In cambio, però, essa libera l’uomo, giacché dilata il suo essere in una relazione interpersonale»[42].

                 Nella seconda parte esamineremo in quale maniera l’esperienza religiosa specificatamente cristiana integri la personalità e l’affettività della persona, aprendole più vasti orizzonti.[43]


     

    [1]      STERNBERG Robert J., BARNES Michael L. (a cura di) – LA PSICOLOGIA DELL’AMORE, Milano, BOMPIANI, 1990, p. 142

     

    [2]      LEVINGER George – Ibidem, pp. 170-171

     

    [3]      STERNBERG Robert J. – Ibidem, p. 143

     

    [4]      LEVINGER George – Ibidem, p. 170

     

    [5]      DENZINGER Henricus, SCHÖNMETZER Adolfus – ENCHIRIDION SYMBO- LORUM DEFINITIONUM ET DECLARATIONUM DE REBUS FIDEI ET MORUM, Friburgo, HERDER, 1965 (XXXVI), p. 589

     

    [6]      COLZANI Gianni – ANTROPOLOGIA TEOLOGICA. L’UOMO: PARADOSSO E MISTERO, Bologna, EDB, 1988, p. 239

     

    [7]      Ibid., pp. 261-262

     

    [8]      S. TERESA DI GESU’ – PENSIERI, (90), Roma, IL PASSERO SOLITARIO, 1980, p. 37

     

    [9]      S. AGOSTINO – LE CONFESSIONI VIII, 4, Brescia, LA SCUOLA, 1987 (7), p. 124

     

    [10]    BRYANT Christopher – PSICOLOGIA DEL PROFONDO E FEDE RELIGIOSA, Assisi, CITTADELLA, 1989, pp. 99-101

     

    [11]    LEIBNIZ Gottfried W. – citato da MARIAS Julián – LA FELICITA’ UMANA. UN IMPOSSIBILE NECESSARIO, Cinisello Balsamo, PAOLINE, 1990,  p. 13

     

    [12]    DACQUINO Giacomo – RELIGIOSITA’ E PSICOANALISI, Torino, SEI, 1980 (7),  p. 151[12]

    [13]    HATFIELD D. – «THE DANGERS OF INTIMACY» in DERLEGA V., (a cura di)

             COMMUNICATION, INTIMACY AND CLOSE RELATIONSHIP, New York, ACADEMIC PRESS, 1984, pp. 207-220

     

    [14]    S. TERESA D’AVILA – OPERE COMPLETE, Roma, Postulazione Generale dell’Ordine dei Carmelitani scalzi, 1981

     

    [15]    VERGOTE Antoine – PSICOLOGIA RELIGIOSA, Roma, BORLA, 1979, p. 215

     

    [16]    CENCINI Amedeo, MANENTI Alessandro – PSICOLOGIA E FORMAZIONE. STRUTTURE E DINAMISMI, Bologna, EDB, 1986, p. 284

     

    [17]    KELMAN H.C. – «TRE PROCESSI DI INFLUENZA SOCIALE» in WARREN N., JAHODA J. – GLI ATTEGGIAMENTI, Torino, BORINGHIERI, 1976

     

    [18]    CENCINI Amedeo, MANENTI Alessandro – op. cit., pp. 290-291

     

    [19]    Ibid., pp. 287-288

     

    [20]    Ibid., p. 294

     

    [21]    KEILBACH Wilhelm – «L’INDIFFERENZA RELIGIOSA: TENTATIVO DI UN’ANALISI PSICOLOGICA» in L’INDIFFERENZA RELIGIOSA, Segretariato per i non credenti, (a cura di), Roma, CITTA’ NUOVA, 1978, p. 69

     

    [22]    SPALTRO Enzo – «LA DINAMICA INDIVIDUO-GRUPPO NEI RAPPORTI EDUCATIVI» in QUESTIONI DI PSICOLOGIA, op. cit., pp. 676-677

     

    [23]    BRYANT Christopher – op. cit., pp. 138-140

     

    [24]    PUGNETTI Maurizio – I CATTOLICI NON PRATICANTI. MORFOLOGIA DELLA LONTANANZA IN PSICO-SOCIOLOGIA PASTORALE, Milano, LUX DE CRUCE, 1961, pp. 60-61

     

    [25]    ALLPORT Gordon W. – L’INDIVIDUO E LA SUA RELIGIONE, Brescia, LA SCUOLA, 1972,  p. 199

     

    [26]    FROMM Erich – L’ARTE DI AMARE, Milano, MONDADORI, 1983 (1988),  p. 33

     

    [27]    FITZMYER Joseph A. – «TEOLOGIA PAOLINA» in GRANDE COMMENTARIO BIBLICO, BROWN Raymond E., FITZMYER Joseph A., MURPHY Roland E., Brescia, QUERINIANA, 1973, p. 1893

     

    [28]    DACQUINO Giacomo – op. cit., p. 114

     

    [29]    GIOVANNI PAOLO II – CHRISTIFIDELES LAICI, 34, Città del Vaticano, LIBRERIA EDITRICE VATICANA, 1988, p. 93

     

    [30]    CARRIER Hervé – PSICO-SOCIOLOGIA DELL’APPARTENENZA RELIGIOSA, Leumann. ELLE DI CI, 1988, p. 66

     

    [31]    GRENSTED L.W. – THE PSYCHOLOGY OF RELIGION, New York, OXFORD UNIVERSITY PRESS, 1952, p. 82

     

    [32]    VAN DER LEEUW G. – LA RELIGION DANS SON ESSENCE ET SES MANIFESTATIONS, Parigi, PAYOT, 1955, p. 633

     

    [33]    GRENSTED L.W. – op. cit., p. 143; 82 (Traduzione dell’autore)

     

    [34]    FROMM Erich – op. cit., p. 36

     

    [35]    WILLIAMS Harry – THE TRUE WILDERNESS citato da BRYANT Christopher, op. cit., p. 132

     

    [36]    PERUGIA Angelo – In QUESTIONI DI PSICOLOGIA, op. cit., p. 523

     

    [37]    ALLPORT Gordon W. – op. cit., p. 111

     

    [38]    PERUGIA Angelo – In QUESTIONI DI PSICOLOGIA, op. cit., pp. 523-524

     

    [39]    FROMM Erich – op. cit., pp. 60-61

     

    [40]    MAY Rollo – L’AMORE E LA VOLONTA’, Roma, ASTROLABIO, 1971, pp. 276; 278; 272

     

    [41]    WALDENFELS Hans – TEOLOGIA FONDAMENTALE NEL CONTESTO DEL MONDO CONTEMPORANEO, Cinisello Balsamo, PAOLINE, 1988, p. 543

     

    [42]    VERGOTE Antoine – op. cit., pp. 244-245

    [43]   NADALI Giorgio – Sessualità, Religioni e Sette. Amore e Sesso nei Culti mondiali, Roma, Armando Editore, 1999


    La difesa della vita umana dal concepimento alla morte naturale

    di Giorgio Nadali

    Gandhi diceva: “L’uomo si distrugge con la scienza senza umanita’”. E’ il cuore della bioetica. Quella riflessione etica sulle scoperte scientifiche e sulle relative applicazioni tecnologiche, che ci salva dall’autodistruzione. E’ lo studio sistematico della condotta umana nell’area delle scienze della vita e della cura della salute, quando tale condotta viene esaminata alla luce dei valori e dei princìpi morali. Già, ma quali princìpi? 

     Ad ogni essere umano, dal concepimento alla morte naturale, va riconosciuta la dignità di

    persona. Questo principio fondamentale, che esprime un grande « sì » alla vita umana, deve essere

    posto al centro della riflessione etica sulla ricerca biomedica, che riveste un’importanza sempre

    maggiore nel mondo di oggi. Il Magistero della Chiesa è già intervenuto più volte, al fine di chiarire e risolvere i relativi problemi morali.

    • La scienza è buona solo se difende, protegge, sviluppa, aiuta la vita umana, dal concepimento alla morte naturale.
    • L’uomo è persona dal concepimento alla morte naturale. La vita umana è un valore assoluto. Non dipende da opinioni, non dipende dal fatto che sia stata voluta o no. Qualsiasi vita umana vale sempre e comunque. Contro questo principio ci sono solo ingiustizie e barbarie.
    • L’uomo è sempre soggetto e mai oggetto. La vita umana non può mai essere usata. Non esistono vite meno importanti di altre. Agisci sempre in modo da trattare l’umanità sempre come fine e mai come mezzo (Kant). La persona umana è sempre un fine e mai un mezzo. Ad esempio no è lecito usare e distruggere embrioni di essere umano. Il desiderio di donare la vita deve essere sempre un dono e mai un capriccio in cui il più debole – il bambino chiamato alla vita – paga le conseguenze più alte.
    • L’uomo deve sempre preservare la sua vita e quella degli altri.
    • Il vero progresso scientifico deve difendere la vita e migliorarla. Non esiste vero progresso contro la dignità della persona umana.
    • L’uomo è persona anche quando non può comunicare o non può mostrare la sua intelligenza (perché è in coma o è malato di mente o è ancora un embrione o perché è semplicemente un deficiente). Va comunque sempre rispettato. L’intelligenza è una condizione necessaria ma non sufficiente per essere persona (gli animali sono intelligenti, ma non sono persone). La vita è un diritto. Allora esiste sempre il dovere corrispondente di rispettarla e difenderla. 

    Quanti sanno che un cuore già batte a 18 giorni dal concepimento e che il bambino è completo a 12 settimane (3 mesi) e impiega gli altri 6 mesi solo per ingrandirsi?

    Quanti sanno cos’è un aborto? Video: http://www.abort73.com/HTML/I-A-4-video.html

    La Chiesa cattolica, nel proporre principi e valutazioni morali per la ricerca biomedica sulla vita umana, attinge alla luce sia della ragione sia della fede, contribuendo ad elaborare una visione integrale dell’uomo e della sua vocazione, capace di accogliere tutto ciò che di buono emerge dalle opere degli uomini e dalle varie tradizioni culturali e religiose, che non raramente mostrano una grande riverenza per la vita. Negli ultimi decenni le scienze mediche hanno sviluppato in modo considerevole le loro conoscenze sulla vita umana negli stadi iniziali della sua esistenza. Esse sono giunte a conoscere meglio le strutture biologiche dell’uomo e il processo della sua generazione. Questi sviluppi sono certamente positivi e meritano di essere sostenuti, quando servono a superare o a correggere patologie e concorrono a ristabilire il normale svolgimento dei processi generativi. Essi sono invece negativi, e pertanto non si possono condividere, quando implicano la soppressione di esseri umani o usano mezzi che ledono la dignità della persona oppure sono adottati per finalità contrarie al bene integrale dell’uomo.

    È convinzione della Chiesa che ciò che è umano non solamente è accolto e rispettato dalla fede, ma da essa è anche purificato, innalzato e perfezionato. Dio, dopo aver creato l’uomo a sua immagine e somiglianza (cf. Gn 1, 26), ha qualificato la sua creatura come « molto buona » (Gn 1, 31) per poi assumerla nel Figlio (cf. Gv 1, 14). Il Figlio di Dio nel mistero dell’Incarnazione ha confermato la dignità del corpo e dell’anima costitutivi dell’essere umano. Il Cristo non ha disdegnato la corporeità umana, ma ne ha svelato pienamente il significato e il valore: « In realtà solamente nel mistero del Verbo incarnato trova vera luce il mistero dell’uomo ».

    Alla luce di questi dati di fede, risulta ancor più accentuato e rafforzato il rispetto nei riguardi dell’individuo umano che è richiesto dalla ragione: per questo non c’è contrapposizione tra l’affermazione della dignità e quella della sacralità della vita umana. « I diversi modi secondo cui nella storia Dio ha cura del mondo e dell’uomo, non solo non si escludono tra loro, ma al contrario si sostengono e si compenetrano a vicenda. Tutti scaturiscono e concludono all’eterno disegno sapiente e amoroso con il quale Dio predestina gli uomini “ad essere conformi all’immagine del Figlio suo” (Rm 8, 29) ». Questo valore si applica a tutti indistintamente. Per il solo fatto d’esistere, ogni essere umano deve essere pienamente rispettato. Si deve escludere l’introduzione di criteri di discriminazione, quanto alla dignità, in base allo sviluppo biologico, psichico, culturale o allo stato di salute. Nell’uomo, creato ad immagine di Dio, si riflette, in ogni fase della sua esistenza, « il volto del suo Figlio Unigenito… Questo amore sconfinato e quasi incomprensibile di Dio per l’uomo rivela fino a che punto la persona umana sia degna di essere amata in se stessa, indipendentemente da qualsiasi altra considerazione — intelligenza, bellezza, salute, giovinezza, integrità e così via. In definitiva, la vita umana è sempre un bene, poiché “essa è nel mondo manifestazione di Dio, segno della sua presenza, orma della sua gloria” (Evangelium vitae, 34) ».

    La Chiesa, giudicando della valenza etica di certi risultati delle recenti ricerche della medicina concernenti l’uomo e le sue origini, non interviene nell’ambito proprio della scienza medica come tale, ma richiama tutti gli interessati alla responsabilità etica e sociale del loro operato. Ricorda loro che il valore etico della scienza biomedica si misura con il riferimento sia al rispetto incondizionato dovuto ad ogni essere umano, in tutti i momenti della sua esistenza, sia alla tutela della specificità degli atti personali che trasmettono la vita. L’intervento del Magistero rientra nella sua missione di promuovere la formazione delle coscienze, insegnando autenticamente la verità che è Cristo, e nello stesso tempo dichiarando e confermando autoritativamente i principi dell’ordine morale che scaturiscono dalla stessa natura umana.

    Esistono visioni lontane dall’insegnamento dalla Chiesa. Vediamole brevemente:

    Lo scientismo tecnologico

    E’ quella visione che dà una fiducia esagerata alla scienza, senza alcuna riflessione etica.  Confonde il progresso con la scienza. Innanzi tutto il progresso non è solo un fatto legato alla scienza e alla tecnica. Qualsiasi miglioramento della condizione della vita umana, grazie all’arte, alla musica, alla politica, alla sociologia, alla filosofia, agli sforzi per la pace e la giustizia grazie alla religione, alla diplomazia, ecc. costituiscono
    un progresso per l’umanità. In campo scientifico e tecnico è progresso (da “pro”-“gradum” = “andare avanti”) solo ciò che difende e migliora la vita dell’uomo e la rispetta nella sua dignità.
    Non può essere considerato progresso ciò che danneggia la vita umana. Un cattivo utilizzo della scienza, contro la vita, non è un progresso, e diventa di fatto una violenza tecnologica (abuso delle forze per un fine sbagliato). Lo scientismo tecnologico si illude che ogni problema umano possa essere risolto in chiave tecnologica (dalle cose e non dai valori), dimenticando che l’uomo ha bisogno di significato profondi. nel suo agire (risposte di senso, che la scienza non può dare). In filosofia, lo scientismo è una concezione epistemologica secondo la quale la conoscenza scientifica deve essere il fondamento di tutta la conoscenza in qualunque dominio, anche in etica e in politica. Il termine scientismo è usato spesso in senso dispregiativo, per criticare un dogmatico eccesso di fiducia nel metodo scientifico o negli scienziati. Si vuole criticare così la mancanza di consapevolezza del fatto, supportato dallo studio delle grandi rivoluzioni scientifiche, che l’intero approccio epistemologico della scienza, i suoi metodi, i contenuti e lo stesso paradigma dominante in una data epoca storica sono soggetti a continue variazioni, e non possono essere fissati una volta per tutte. In sintesi, i termini del problema bioetico consistono nell’unire il “si può fare?” di tipo tecnico, (nel senso: “abbiamo le conoscenze scientifiche e tecniche per realizzare qualcosa?”) con il “si può fare?” di tipo etico, cioè:  ”E’ giusto farlo?” Tra il potere e il dovere sta il ponte dell’etica. Ma quali valori danno le risposte? 

    La visione “Radicale Nichilista”

    Ha come metro di giudizio solo la libertà individuale. Tutto ciò che si può fare è anche giusto farlo. Aborto libero, eutanasia libera, fecondazione assistita libera e senza limiti etici, e così via. 

    La visione “Sociologico Utilitarista”

    Ha come metro di giudizio l’opinione dominante della massa e la propria utilità. Se un bambino concepito non è ritenuto un essere vivente, una persona, dalla maggioranza, allora non lo è. Se mi è utile abortire, allora lo faccio. 

    La visione “Scientista”

    Ha come metro di giudizio la scienza. Tutto ciò che la scienza scopre e che la tecnica applica è giusto e automaticamente è un progresso. Nessuna riflessione etica sui suoi utilizzi. Considera il progresso solo sotto un punto di vista scientifico, mentre il progresso per essere tale deve sempre rispettare la dignità di ogni vita umana senza distinzioni – inoltre il progresso non riguarda solo scienza, ma la politica, l’arte, la promozione dei diritti umani, ecc.  

    La visione cristiana si chiama “Personalista” 

    Ha come metro di giudizio la vita e la dignità dell’uomo (valore della persona umana in quanto tale che non dipende da origini, pensieri , comportamenti, ecc. ma dalla legge naturale. Un essere umana ha la dignità umana per il solo fatto di essere una persona umana. Ogni vita umana vale sempre e comunque). E’ lecito solo e tutto ciò che difende, guarisce, protegge, sviluppa, promuove e rispetta la vita umana dal concepimento alla morte naturale. Questa visione è quella ufficiale cattolica, ma è trasversale a credi politici e religiosi. La vita non può esssre ridotta a ideologie e credi. 

    E’ un valore universale. Infatti il giuramento che ogni medico in ogni università statale, compie nel giorno della laurea, si basa su questo principio:  ”Consapevole dell’importanza e della solennità dell’atto che compio e dell’impegno che assumo,  GIURO:  di esercitare la medicina in libertà e indipendenza di giudizio e di comportamento; di perseguire come scopi esclusivi la difesa della vita, la tutela della salute fisica e psichica dell’uomo e il sollievo della sofferenza, cui ispirerò con responsabilità e costante impegno scientifico, culturale e sociale, ogni mio atto professionale; di non compiere mai atti idonei a provocare deliberatamente la morte di un paziente; di attenermi nella mia attività ai principi etici della solidarietà umana, contro i quali, nel rispetto della vita e della persona non utilizzerò mai le mie conoscenze; di prestare la mia opera con diligenza, perizia e prudenza secondo scienza e coscienza ed osservando le norme deontologiche che regolano l’esercizio della medicina e quelle giuridiche che non risultino in contrasto con gli scopi della mia professione; di affidare la mia reputazione esclusivamente alle mie capacità professionali ed alle mie doti morali; di evitare, anche al di fuori dell’esercizio professionale, ogni atto e comportamento che possano ledere il prestigio e la dignità della professione; di rispettare i colleghi anche in caso di contrasto di opinioni; di curare tutti i miei pazienti con eguale scrupolo e impegno indipendentemente dai sentimenti che essi mi ispirano e prescindendo da ogni differenza di razza, religione, nazionalità, condizione sociale e ideologia politica; di prestare assistenza d’urgenza a qualsiasi infermo che ne abbisogni e di mettermi, in caso di pubblica calamità, a disposizione dell’Autorità competente; di rispettare e facilitare in ogni caso il diritto del malato alla libera scelta del suo medico tenuto conto che il rapporto tra medico e paziente è fondato sulla fiducia e in ogni caso sul reciproco rispetto; di osservare il segreto su tutto ciò che mi è confidato, che vedo o che ho veduto, inteso o intuito nell’esercizio della mia professione o in ragione del mio stato”.

    Senza la difesa della vita. Di ogni vita, l’uomo ha solo la possibilità di distruggersi in sette modi “L’uomo si distrugge con la politica senza principi.  L’uomo si distrugge con la ricchezza senza lavoro. L’uomo si distrugge con l’intelligenza senza carattere. L’uomo si distrugge con gli affari senza morale. L’uomo si distrugge con la scienza senza umanità.
    L’uomo si distrugge con la religiosità esteriore senza fede. L’uomo si distrugge con la carità senza il sacrificio di sé”. (Gandhi) Strano che chi usa la sua immagine per le sue lotte politiche, ritenga che la scienza non debba avere limiti morali e che un bambino possa essere ucciso con l’aborto. La tradizione della Chiesa ha sempre ritenuto che la vita umana deve essere protetta e favorita fin dal suo inizio, come nelle diverse tappe del suo sviluppo. Opponendosi ai costumi del mondo greco-romano, la Chiesa dei primi secoli ha insistito sulla distanza che, su questo punto, separa da essi i costumi cristiani.

    Nella Didachè è detto chiaramente: «Tu non ucciderai con l’aborto il frutto del grembo e non farai perire il bimbo già nato».  Atenagora sottolinea che i cristiani considerano come omicide le donne che usano medicine per abortire; egli condanna chi assassina i bimbi, anche quelli che vivono ancora nel grembo della loro madre, dove si ritiene che essi «sono già l’oggetto delle cure della Provvidenza divina». Tertulliano non ha forse tenuto sempre il medesimo linguaggio; tuttavia egli afferma chiaramente questo principio essenziale: «È un omicidio anticipato impedire di nascere; poco importa che si sopprima l’anima già nata o che la si faccia scomparire sul nascere. È già un uomo colui che lo sarà». Ma . il rispetto della vita umana non si impone solo ai cristiani: è sufficiente la ragione a esigerlo basandosi sull’analisi di ciò che è e deve essere una persona. Dotato di natura ragionevole, l’uomo è un soggetto personale, capace di riflettere su se stesso, di decidere dei propri atti, e quindi del proprio destino; egli è libero. È, di conseguenza, padrone di sé, o piuttosto, poiché egli si realizza nel tempo, ha i mezzi per diventarlo: questo è il suo compito. Creata immediatamente da Dio, la sua anima è spirituale, e quindi immortale. Egli è inoltre aperto a Dio e non troverà il suo compimento che in lui. Ma egli vive nella comunità dei suoi simili, si nutre della comunicazione interpersonale con essi, nell’indispensabile ambiente sociale. Di fronte alla società e agli altri uomini, ogni persona umana possiede se stessa, possiede la propria vita, i suoi diversi beni, per diritto; la qual cosa esige da tutti, nei suoi riguardi, una stretta giustizia.

    La storia dell’umanità è testimone di come l’uomo abbia abusato, e abusi ancora, del potere e delle capacità che gli sono state affidate da Dio, dando luogo a diverse forme di ingiusta discriminazione e di oppressione nei confronti dei più deboli e dei più indifesi. I quotidiani attentati contro la vita umana; l’esistenza di grandi aree di povertà nelle quali gli uomini muoiono di fame e di malattia, esclusi dalle risorse conoscitive e pratiche di cui invece dispongono in sovrabbondanza molti Paesi; uno sviluppo tecnologico ed industriale che sta creando il concreto rischio di un crollo dell’ecosistema; l’uso delle ricerche scientifiche nell’ambito della fisica, della chimica e della biologia per scopi bellici; le numerose guerre che ancor oggi dividono popoli e culture, sono, purtroppo, soltanto alcuni segni eloquenti di come l’uomo possa fare un cattivo uso delle sue capacità e diventare il peggior nemico di se stesso, perdendo la consapevolezza della sua alta e specifica vocazione di essere collaboratore dell’opera creatrice di Dio.

    Dietro ogni « no » della Chiesa a pratiche bio-mediche immorali splende, nella fatica del discernimento tra il bene e il male, un grande « sì » al riconoscimento della dignità e del valore inalienabili di ogni singolo ed irripetibile essere umano chiamato all’esistenza.

    Giorgio Nadali

    www.giorgionadali.it

    Pubblicato su L’Opinionista del 28.12.2009   http://www.lopinionista.it/notizia.php?id=356