La Chiesa in rosso

di Giorgio Nadali

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Quota 213 per il “club più esclusivo del mondo”. Uomini in rosso da 70 nazioni diverse, al servizio della carità nella verità. 22 nuovi cardinali nel nuovo concistoro della Chiesa Cattolica.

L’Apostolo della Genti riteneva che «Il vescovo infatti, come amministratore di Dio, dev’essere irreprensibile: non arrogante, non iracondo, non dedito al vino, non violento, non avido di guadagno disonesto,  ma ospitale, amante del bene, assennato, giusto, pio, padrone di sé, attaccato alla dottrina sicura, secondo l’insegnamento trasmesso, perché sia in grado di esortare con la sua sana dottrina e di confutare coloro che contraddicono». (Tito 1,7-9)

 «Mostra deferenza ai tuoi vescovi, rivolgiti sempre a loro per essere consigliato, e , se sarai in armonia con loro, la tua terra prospererà».  (San Remigio – 437 – 533). Eletto vescovo di Reims a 22 anni.

 «Guai anche a voi, dottori della legge, che caricate gli uomini di pesi insopportabili, e quei pesi voi non li toccate nemmeno con un dito!». (Lc 11,46)  Ecco, il buon vescovo non deve essere così. Il buon vescovo non confonde l’integralismo con la difesa della sana dottrina. Il buon vescovo deve essere un modello di dialogo.  Un grande vescovo poi diventato Paolo VI – Giovanni Battista Montini – nel 1956 mise in atto la Grande missione di Milano per raggiungere i lontani dalla fede. Dopotutto ha promesso il giorno dell’ordinazione episcopale rispondendo ad una delle domande: «vuoi, come buon pastore, andare in cerca delle pecore smarrite per riportarle all’ovile di Cristo? Eletto: Sì, lo voglio».

 Ecco, il buon vescovo é attento a chi è lontano dalla fede e non confonde la morale con il moralismo. La morale sostenuta dai valori aiuta ad orientare le scelte, mentre nel moralismo contano più le norme stesse che i valori che le sostengono. La morale si basa sulla parola di e la tradizione della Chiesa, non è mai dogmatica ed è sempre in evoluzione.

 Il buon vescovo è umile.

      Non fa moralismi. Il moralismo è nemico della fede. Difendere la fede e la morale non vuol dire ossessionare e allontanare i fedeli con una morale più rabbinica che paolina – come direbbe il cardinale Martini.

 Il buon vescovo dovrebbe anche chiedersi per quale motivo solo il 30% dei battezzati italiani (il 4% dei francesi) frequenta la messa domenicale e non dovrebbe liquidare semplicemente il problema dando la colpa al secolarismo o al materialismo. Non dovrebbe frettolosamente concludere che non c’è più fede e quindi occuparsi soltanto dei propri fedeli. Gesù andava da tutti e anche per questo faceva scandalo. Diceva: «Non sono i sani che hanno bisogno del medico, ma i malati» (Lc 5,31). «I farisei e i loro scribi mormoravano e dicevano ai suoi discepoli: «Perché mangiate e bevete con i pubblicani e i peccatori?». (Lc 5,30) Quanti vescovi mangiano e bevono con i pubblicani e con i peccatori allo scopo di riportarli all’ovile?

 A quella vista il fariseo che l’aveva invitato pensò tra sé. «Se costui fosse un profeta, saprebbe chi e che specie di donna è colei che lo tocca: è una peccatrice» (Lc 7,39). Il buon vescovo dovrebbe andare lui da tutti ed essere attento a coloro che sono lontani dalla Chiesa a ragione o a torto – soprattutto a ragione – per comprenderne i motivi. Un padre fa così.

 Il buon vescovo è un uomo dello spirito. E’ attento al suo gregge, ma sa guardare oltre.

      Quanti vescovi uomini dello spirito abbiamo? Quanti manager? Quanti fondamentalisti e quanti sostenitori della fede, ma aperti al dialogo? Il buon vescovo non è un politico. Quanti politici abbiamo e quanti uomini dello spirito? Il buon vescovo dovrebbe anche chiedersi anche per quale motivo vengono mosse certe critiche alla Chiesa. Soltanto torti? Eminenza, attenzione! Il mondo laico non è distratto! Guarda cosa ti dice:

 «L’evento più rivoluzionario, a cui pochi prestano attenzione, è la fine della trasmissione della cultura religiosa tradizionale all’ interno delle pareti domestiche. La famiglia mononucleare (tranne eccezioni) non insegna più a pregare, non spiega il decalogo, non trasmette racconti, fatti e leggende religiose. Affida tutto alla scuola, ma a sua volta l’ora di religione si è trasformata in tuttologia [per colpa di alcuni docenti che tradiscono il loro mandato, N.d.A.], saltando spesso l’esegesi della Bibbia. E così, per la prima volta nella storia del Cristianesimo, si è spezzata la catena della memoria. Basta guardarsi intorno. I figli della generazione di mezzo sanno a malapena chi è Abramo, vacillano su Isacco, ignorano Giacobbe. Le parabole sono per loro un mistero. Quando essi stessi saranno genitori non avranno più niente da tramandare. Eventi e miti che per millenni hanno sorretto la fede, parlando attraverso gli affreschi e le sculture delle cattedrali, sono diventati linguaggio muto. In Francia il direttore di un museo ha organizzato serate di cultura religiosa, perché la gente non sapeva più “leggere” i quadri.

Da noi la perdita della memoria religiosa è altrettanto diffusa. All’alba del Duemila revival religioso e desacralizzazione non sono in contraddizione. Mentre individui, gruppi, movimenti riscoprono con entusiasmo l’ardore mistico, la società contemporanea si desacralizza inesorabilmente. Non esistono più tempi sacri, momenti sacri. I luoghi santi sono per la massima parte del tempo spazi turistici e riti come il matrimonio (che quasi l’ ottanta per cento degli italiani celebra ancora cattolicamente) difficilmente sono percepiti da familiari ed amici come un’ azione sacra, in cui “Dio è presente”. La quotidianità omogeneizza tutto e l’ influenza pervasiva dei mass media contribuisce potentemente a desacralizzare le Chiese in quanto istituzione. Per millenni mistero e inavvicinabilità hanno circondato il sacro e i suoi attori. Ora grazie ai mass media, è scomparso il confine tra scena e retroscena. Ci si è accorti che le persone dell’istituzione sono assolutamente normali con i loro difetti e la loro umanità. “Il re è nudo”, dichiara Pollo. Non a caso papa Wojtyla per combattere la desacralizzazione della Chiesa e del papato ha dovuto puntare sulla proiezione carismatica del proprio personaggio, facendosi sacralizzare dalle televisioni. In questo clima predomina fra i cattolici (e fra gli altri cristiani) una religiosità impostata sul “fai da te”, sul bricolage etico, sulla tendenza a formarsi ognuno per conto suo una propria immagine di Chiesa. Tutto ciò è poco “cattolico” per come lo ha insegnato nei secoli la Chiesa. L’alta partecipazione ai matrimoni religiosi o alle prime comunioni non significa molto. Gli uni e le altre sono sostanzialmente riti di passaggio, celebrati per tradizione etnico-culturale. I preti sanno per esperienza che in genere qualche anno dopo la prima comunione i giovani abbandonano la pratica religiosa. Franco Garelli, che insieme ad altri sociologi ha curato una voluminosa indagine per la conferenza episcopale, prova a delimitare l’ area di quanti possano dirsi veramente cattolici nell’ Italia di oggi. “I credenti militanti – spiega -, coloro che fanno parte di gruppi, associazioni, movimenti e danno grande rilevanza all’ esperienza comunitaria della fede, sono circa un 10 per cento. I praticanti assidui, che però non avvertono l’ esigenza di una vita religiosa collettiva e di una visibilità, sono un altro 15-20 per cento. Sommando entrambi i gruppi si arriva ad un 30 per cento di credenti regolari”. E’ la stessa cifra riferibile ai praticanti abituali della messa domenicale, che rappresenta il centro del culto cristiano. Fra i giovani la partecipazione è naturalmente al ribasso: solo il 20-22 per cento, dice Garelli, frequenta la chiesa la domenica. Un altro riferimento per individuare lo zoccolo duro dei cittadini cattolici convinti è quello dell’ 8 per mille, la firma che i contribuenti mettono sulla dichiarazione dei redditi per favorire la Chiesa. Nel 1993 su 27-29 milioni di contribuenti (dati Cei ricevuti dal ministero delle Finanze) quasi il 49 per cento ha messo la crocetta sul modulo Irpef a favore di una confessione religiosa.

Cioè, grossomodo 14 milioni. Di questi l’ 85,8 per cento ha “votato” a favore della Chiesa cattolica: poco meno di 12 milioni e mezzo. In conclusione se al 30 per cento di cattolici regolari si aggiunge l’ area indistinta dei praticanti saltuari (40 per cento) il cattolicesimo resta in superficie religione di maggioranza. Se si va al fondo delle cose, analizzando credenze dottrinali e comportamenti delle persone, non lo è più. Vescovi e parroci, guardando all’ affluenza nelle loro chiese, sperimentano già oggi che la maggioranza è altrove. Per la chiesa-istituzione la sfida è radicale. Perché anche tantissimi giovani, che abbracciano il cattolicesimo convinti, si sentono a maggior agio in una piccola comunità, basata su un’ esperienza emotiva e la leadership carismatica di una guida spirituale, piuttosto che nell’ organizzazione ecclesiastica tradizionale. “La vera novità – aggiunge Garelli – è che oggi l’ osservanza religiosa dei giovani si identifica molto meno con l’ appartenenza ad una Chiesa”. Si vuole con-vivere piuttosto che con-credere. Le appartenenze travalicano i confini. Preghiere a Taizé, riscoperta del Gregoriano, fascino della liturgia ortodossa, meditazione orientale si mescolano esprimendo una nostalgia di sacro, refrattario alle istituzioni. Forse ha ragione Baget Bozzo. In un intrecciarsi e contaminarsi di credenze siamo tornati indietro di duemila anni: nell’ era pre-cristiana, quando milioni sognavano una qualche salvezza».[1]

 Il buon vescovo sa farsi sa farsi un’autocritica  

      Prima di condannare gli altri  cerca di capire e di incontrare gli altri soprattutto proprio perché è un vescovo. Il buon vescovo sa che nei tempi moderni deve avere a che fare con i Mass media e che i giornali possono prendere anche soltanto una sua parola da lui pronunciata per essere usata in maniera strumentale. Vescovi con formazione mediatica e di stile di comunicazione? Neanche a parlarne… Un buon vescovo è un uomo di fede, non si scandalizza di questo. Sta attento a quello che dice, sul come lo dice e quando lo dice, dove lo dice. Non dovrebbero essere i giornalisti laici a fare i salti mortali per correggere le tue gaffes di comunicazione. Perché non vuoi una Chiesa moderna, non solo a parole. Modernità non vuol dire necessariamente immoralità. Si cresce guardando in avanti, senza dimenticare il passato la tradizione. Tutti abbiamo una storia, ma si guida guardando la strada in avanti. E se devi guardare indietro, guarda nello specchietto retrovisore per svoltare. Rapidamente.  Il buon vescovo è umile e attento ad imparare anche dalle altre Chiese cristiane che non perdono fedeli ogni giorno in caduta libera. Perché il buon vescovo è anche ecumenico. Non solo negli incontri ecumenici ufficiali, ma nei fatti. Troppo orgoglio impedisce un reale incontro ecumenico. E altre chiese cristiane più moderne guadagnano fedeli. Sai, qualcuno ha detto: «Mi sono fatto debole con i deboli, per guadagnare i deboli; mi sono fatto tutto a tutti, per salvare ad ogni costo qualcuno». (1 Cor 9,22). Ma il tuo dottorato in teologia può non bastare per questo. E’ urgente che i vescovi abbiano una formazione in scienze della comunicazione. Ma il tradizionalismo clericale è contrario a tutto ciò.

     Il papa ha perso consensi. E non pochi… Il venti per centro proprio nella sua  terra, in Germania. C’è chi avrebbe voluto maggior dialogo ecumenico con la Riforma protestante, piuttosto che revocare la scomunica ad una comunità religiosa anti concilio, che vorrebbe una chiesa ferma agli anni cinquanta del secolo scorso. C’è chi pensa, come il teologo Hans Küng,  che non basti solamente parlare sulla speranza in genere. Ci vogliono atti concreti. Ci sono per esempio milioni e milioni di divorziati che hanno difficoltà perché non sono ammessi alla comunione. Sarebbe molto meglio fare una riconciliazione con questi  divorziati piuttosto che con questi lefrevriani.. E che dire del dialogo con la riforma protestante? E invece si sono messi a repentaglio i rapporti con l’ebraismo. Che cosa dovrebbe fare il papa ora per convincere davvero che non sapeva e per riparare i guasti. Perché dopo il discorso di Ratisbona in qualche modo è riuscito a recuperare con il mondo islamico. Oggi che cosa dovrebbe fare per recuperare questo? Com’è possibile che il papa non sapesse della posizione del vescovo Williamson? Secondo Küng, e molti altri, certamente queste scuse non bastano.

I giudei stessi hanno detto che questo non basta. Il papa deve essere veramente distaccato da questo gruppo. Non è possibile che questi sono vescovi della chiesa cattolica. Anche se sono sospesi dalle funzioni non è accettabile che restino vescovi della chiesa cattolica. E questo sarebbe un atto coraggioso del papa: dire, ecco vediamo questo non è possibile, lasciamo questa gente fuori dove vogliono essere. Ratzinger è stato 20 anni nella curia Romana e vede tutto dal punto di vista del Vaticano. Adesso come papa è ancora di più in questa visione. Praticamente lui non ha nessuno tra i suoi collaboratori che non sia un destro. Tutti sono molto obbedienti, nessuno può criticare il papa. E’ senza critiche. E’ un po’ come questi del Kremlino che non vedono il mondo com’é. Hanno nella mente le loro dottrine, il loro sistema dogmatico, però non vedono il mondo e noi siamo veramente in pericolo che la chiesa avrà un danno molto più serio se il papa non collabora in collegialità con i vescovi, se lui non ha periti in vaticano che abbiano il coraggio di pronunciare una critica seria, se lui non fa altro che solamente ricevere la gente, scrivere libri e fare funzioni. Noi vogliamo avere un leader nella chiesa, un leader che guida la chiesa in  questo periodo molto difficile per tutto il mondo.

Non si è detto che il negazionismo potrebbe essere il risultato per alcuni di una visione preconciliare che accusava gli ebrei di deicidio. Prima di quel concilio che i lefebvriani disprezzano perché ha cercato di ridurre le distanze tra clero e popolo di Dio. E invece di Concilio ce ne vorrebbe un altro. Presto. Che si ponga il problema della perdita di terreno verso milioni di persone che ormai da tempo non guardano più alla Chiesa come alla madre che li conduce a Cristo.    

C’è dunque, e forse no sono pochi,  che vorrebbe un Obama sulla cattedra di Pietro. Che senza scendere a compromessi con la dottrina, suscitasse consensi raggiungendo le masse che abbandonano la Chiesa. Un linguaggio semplice, che tocchi il cuore della gente. Don Primo Mazzolari diceva: “Nell’altro non si entra come in una fortezza, ma come si entra in un bosco, in una bella giornata di sole. Bisogna che sia un’entrata affettuosa per chi entra come per chi lascia entrare, da pari a pari, rispettosamente, fraternamente. Si entra in una persona non per prenderne possesso, ma come ospite di riguardo”.

     La Chiesa ha urgente bisogno del carisma che trascina. In fondo per cambiare le persone occorre amarle, la nostra influenza arriva solo fin dove arriva il nostro amore. Se, come è, il papa è il vicario di Cristo, dovrebbe sempre suscitare  la stessa reazione che  il  Maestro provocò  nella donna samaritana: «Venite a vedere un uomo che mi ha detto tutto quello che ho fatto. Che sia forse il Messia?». (Gv 4,29). Questo è possibile senza travisare il messaggio. Ma il messaggio non passa se non si creano ponti con le persone. Un carisma dunque che trascina perchè ama e che quindi accorcia le distanze con l’interlocutore. Si riescono a raggiungere i “lontani”  là dove vivono, facendo conoscere loro una nuova immagine di Chiesa. Ci arriveremo? Yes, we can. We must. [2]

     Eminenza, le chiese evangeliche americane scrivono cartelloni accanto alle chiese per invogliare la gente a riflettere. Non lo sapevi? Ti sorprende? Non ti interessa? Non sono dei veri cristiani? Ti fa sorridere? Ne ero certo. Guarda che là qualche parroco cattolico ha incominciato a fare lo stesso. Non è questione di compromettere la sacralità con il profano. Qualcuno ha rinunciato alla sua ieraticità per farsi umile Bambino in mezzo a noi, sconvolgendo le attese dei grandi della Terra. E’ la kénosi, lo sai. Si avvicina la gente al sacro partendo dal profano. Sono cattolico, tu lo sai. E ho assistito all’entusiasmo di altri cristiani come noi che pregano in un ex palazzetto dello sport trasformato in luogo di culto. A Houston, nel Texas. Lo so non puoi andarci. Non puoi fare quello che vuoi. E nemmeno lo vorresti, naturalmente. Ma sarebbe bello se tu lo facessi. Ti verrebbero i brividi. Ho visto la gioia e l’entusiasmo dei primi cristiani nei loro occhi. 40.000 fedeli a settimana in un solo colpo non sono uno scherzo. Senza parlare di quelli che ricevono il messaggio che Dio ci ama e che ci vuole vincenti (anche la croce è vittoria, lo sai). Sai quanti sono? Milioni ogni settimana via televisione e Internet. Ma ti prego, non pensare a loro come la “concorrenza” o come a cristiani “strani”. Non c’è nessuno che prega il Padre Nostro con le mani in tasca o con le braccia conserte. Ma nemmeno in latino. La Chiesa è madre e maestra. Questa mamma deve ricominciare ad essere affettuosa e trasmettere la gioia di vivere in Cristo ai suoi figli. Uno stile nuovo. Ha tanti anni, ma non deve essere mai vecchia. Ricordati che le divisioni stupide le hanno volute gli uomini e che la Chiesa è del Signore. La Chiesa. Senza altri aggettivi storici. Là tu vedresti la fede viva che sgorga dal cuore in festa. Non ti dico che un parroco debba arrivare ai  livelli di Joel Osteen oppure del compianto Roger Schutz che ha avvicinato milioni di giovani alla fede in Cristo, ma che non potrà mai essere dichiarato Santo.[3] Però la gente ha bisogno che tu gli ricordi che Dio è amore. Ma è anche gioia. Gesù voleva che la nostra gioia fosse piena. Sai, lo spirito soffia dove vuole…            

 Un buon vescovo è attento ai tutti i fedeli.

      L’attenzione e l’accoglienza di tutti i figli della Chiesa – facendoli sentire a casa loro – è un’altra caratteristica del buon vescovo, se non vuole perderli. Single di tutte le età, vedovi, separati, divorziati, ragazze madri, madri o padri soli… non dovrebbero mai sentirsi cristiani di serie B… Dovrebbero sentire la carità della Chiesa attraverso iniziative del loro buon vescovo, attento alla pastorale a 360° e non ad aumentare le distanze all’interno della sua Curia e tra i fedeli e l’Istituzione che – troppo spesso – si dimentica appartenere a Gesù Cristo. Sarà Lui che chiederà conto all’amministratore sleale o poco accorto, di quanti figli ha stupidamente perso pensando più alla sua carriera che a pascere le sue pecorelle. Ad esempio, la  festa della famiglia è importante, ma ha senso solo quando tutti si sentono parte di una famiglia spirituale, soprattutto se una famiglia non ce l’hanno più o non hanno potuto per varie ragioni formarla… Nell’era della comunicazione globale e di Internet un fedele ci mette molto poco a informarsi e passare ad un’altra Chiesa cristiana più accogliente per tutti… per non parlare di chi cede alle lusinghe delle sette. Per qualche vescovo  “sarebbe meglio per lui che gli fosse appesa al collo una macina girata da asino, e fosse gettato negli abissi del mare” (Mt 18,6) piuttosto che dare scandalo a uno solo dei figli della Chiesa… E invece le macine da asino rimangono su altri colli e nessun vescovo incapace si butta negli abissi del mare. Gli basta essere chiamato “eccellenza” o “eminenza”. Non si capisce in cosa eccella l’amministratore infedele del gregge del Signore. Non si è vescovi per carriera, ma per amore.

 Il buon vescovo deve essere un comunicatore.

      Peccato che nessuno insegni ad un vescovo ad essere un buon vescovo. Da molte parti nella Chiesa si auspica una scuola che insegni ai vescovi ad essere tali, mentre adesso si viene eletti vescovi soltanto per elezione diretta. Nessuno insegna oggi ad un prete ad essere un buon vescovo. La visione clericale tradizionale non funziona più. Oggi la Chiesa viene liberamente scelta. Oppure rifiutata. Ci sono tante proposte. Anche Dio va scelto. Io credo che Lui accetterebbe di essere confrontato con le altre proposte. Dopotutto ha accettato di farsi umilmente uomo. Si è messo in discussione. Non scandalizzarti. Dovresti “fargli pubblicità”. Sai, a non tutti basta che la Chiesa esista per essere automaticamente scelta. Senza parlare di chi non si immagina neppure di cosa faccia e di cosa abbia fatto di buono in qualsiasi secolo della sua bimillenaria storia. Di chi non capisce il tuo linguaggio teologico e quindi nemmeno di come la fede possa cambiarti la vita. Sai, un messaggio così prezioso deve essere veicolato con cura. Il 55% della nostra comunicazione è costituita dal linguaggio non verbale del nostro corpo, un altro 38% dal timbro e dall’intonazione della nostra voce. Si capisce quello che siamo e in cosa veramente crediamo. Psicologia, sociologia, immagine, stile di comunicazione… La sola teologia non basta più per attrarre l’uomo moderno. Certo, il carisma è innato, ma molto si può fare. Papa Giovanni Paolo II era amato per il suo carisma, anche se non sempre era ascoltato per la sua dottrina. Non dipende dall’essere conservatori o progressisti. E’ lo stile di comunicazione. Un vescovo deve piacere alla gente, perché ha il dovere di trasmettere il messaggio più importante che esista per l’uomo. Anche il Verbo si è fatto carne, mentre troppo spesso la Chiesa si fa solo carta. 

E poi… qualcuno dovrebbe proprio diventare come i bambini. Semplici, umili, spontanei, gioiosi, entusiasti, simpatici, innocenti, gentili, disponibili – per entrare e fare entrare i suoi figli nel Regno dei Cieli. Lo sai, per noi il potere è servizio – non dominio.

 Il buon vescovo non è clericale, è ecclesiale.

      Clericale è quel vescovo che vive il suo episcopato con lo spirito dei dottori della legge, pieni di sé. Si compiace di una morale rabbinica, basata su leggi e divieti, ma non sui valori che deve trasmettere al suo gregge. E’ più attento al politically corrrect, alla carriera. Sepolcri imbiancati, direbbe il Padrone del suo gregge.    

 Ecclesiale è quel vescovo che tiene in considerazione la dignità del laicato. “Già papa Giovanni Paolo II citando papa Pio XII diceva: «I fedeli, e più precisamente i laici, si trovano nella linea più avanzata della vita della Chiesa; per loro la Chiesa è il principio vitale della società umana. Perciò essi, specialmente essi, debbono avere una sempre più chiara consapevolezza, non soltanto di appartenere alla Chiesa, ma di essere la Chiesa, vale a dire la comunità dei fedeli sulla terra sotto la condotta del Capo comune, il Papa, e dei Vescovi in comunione con lui. Essi sono la Chiesa(…)» (Christifideles Laici – 9)

      Il buon vescovo sa come affrontare il laicismo e rispetta la laicità. Esiste un corretto rapporto tra cultura religiosa di un popolo e laicità di uno stato? Non esistono popoli atei. Non esistono popoli senza una tradizione religiosa. Esistono oggi solo alcuni stati in cui la legge religiosa equivale a quella civile. Le teocrazie. In tutti gli altri Paesi, le leggi fondamentali sono state scritte basandosi anche sulla cultura religiosa di maggioranza in quello stato. Non sarebbe stata pensabile la carta costituzionale italiana, astrusa dalla cultura cattolica. Semplicemente perché la grande maggioranza dei cittadini si riconosce nei valori cristiani. Perché la storia dell’Occidente è stata in larga parte fondata dal Cristianesimo. Perché la dimensione religiosa è una parte fondamentale della storia degli individui e dei popoli. Con buona pace di chi vorrebbe rivendicare la laicità come arma di difesa alla crisi della coscienza e al suo rancore verso la religione.

In un certo senso il contrasto nasce dal fatto che, com’è giusto che sia, esistono stati laici, ma non esistono popoli laici. Esiste una minoranza di cittadini non religiosi (o di altre religioni) che deve sentirsi a proprio agio in uno stato democratico, ma sempre in un Paese che trova il suo collante anche e forse soprattutto nelle tradizioni e nella cultura religiosa della sua storia. Non è un caso che su più di sei miliardi di individui nel mondo oggi stime attendibili parlino di qualche centinaio di milioni di atei o agnostici, ben al di sotto del quindici per cento dell’umanità. Un vero laico non è quindi un oppositore della religione, né si sente minacciato dalla naturale e inevitabile religiosità del suo popolo. La vera laicità non è opposta alla cultura religiosa. Uno stato laico deve tenere conto della sua tradizione religiosa. 

     Chiariamo un malinteso. Stato laico non vuol dire stato ateo e nemmeno stato antireligioso. Uno stato laico garantisce le libertà religiose. Ha una cultura religiosa che nasce dalla sua storia e nella quale si riconosce la quasi totalità dei suoi cittadini. Non è realistico pensare all’Italia come ad un Paese non cattolico. E’ impensabile guardare all’Occidente senza comprendere la storia del Cristianesimo. Uno stato laico non ha leggi basate sulla religione. Se così fosse, tutti i peccati, ad esempio, della morale cattolica, sarebbero automaticamente reati. Divorzio, adulterio, aborto, rapporti sessuali prematrimoniali non sono reati. Mentre tutti i reati sono anche peccato perché si oppongono alla visione morale, quella cattolica, che forma il tessuto culturale e sociale del nostro Paese. Certo. I valori laici e quelli cattolici possono convergere, ma è illusorio pensare che i “valori laici” in un Paese di cultura cattolica non abbiano nulla a che fare, anche a livello di formazione, con quest’ultima.

 In altre parole, il cattolicesimo ha generato anche valori che qualcuno ritiene “laici”. E così in qualsiasi altro Paese al mondo, non essendoci, abbiamo già detto, società e popoli atei. Se il nostro Paese crede nel dialogo e nella tolleranza, lo deve alla cultura cattolica. Lo sarebbe nella stessa misura se fosse stato fondato in una cultura islamica fondamentalista, come in Arabia Saudita o in Iran? Alla base delle diverse deviazioni dottrinali e pratiche del mondo attuale si può scoprire come un denominatore comune, che quasi esprima l’anima di tutto e rappresenti il principio ispiratore della complessa gamma degli atteggiamenti errati nel campo religioso e morale?

Noi pensiamo di sì e crediamo di individuare questo atteggiamento di fondo in quella diffusa mentalità attuale che va sotto il nome di “laicismo”. Non temiamo di affermare che questo è l’errore fondamentale, in cui sono contenuti in radice tutti gli altri, in un’infinità di derivazioni e di sfumature.
E’ difficile dare una definizione del laicismo, poiché esso esprime uno stato d’animo complesso e presenta una multiforme varietà di posizioni. Tuttavia in esso è possibile identificare una linea costante, che potrebbe essere così definita: una tendenza o, meglio ancora, una mentalità di opposizione sistematica ed allarmistica verso ogni influsso che possa esercitare la religione in genere e la gerarchia cattolica in particolare sugli uomini, sulle loro attività ed istituzioni.

Ci troviamo, cioè, di fronte ad una concezione puramente naturalistica della vita dove i valori religiosi o sono esplicitamente rifiutati o vengono relegati nel chiuso recinto delle coscienze e nella mistica penombra dei templi, senza alcun diritto a penetrare ed influenzare la vita pubblica dell’uomo (la sua attività filosofica, giuridica, scientifica, artistica, economica, sociale, politica, ecc.).

Abbiamo, così, innanzitutto un laicismo che si identifica in pratica con l’ateismo. Esso nega Dio, si oppone apertamente ad ogni forma di religione, vanifica tutto nella sfera dell’immanenza umana. Il marxismo è precisamente su questa posizione né è il caso che ci diffondiamo ad illustrarlo.
Abbiamo, poi, un’espressione meno radicale, ma più comune, di laicismo, che ammette Dio e il fatto religioso, ma rifiuta di accettare l’ordine soprannaturale come realtà viva ed operante nella storia umana. Nell’edificazione della città terrestre intende prescindere completamente dai dettami della rivelazione cristiana, nega alla Chiesa una superiore missione spirituale orientatrice, illuminatrice, vivificatrice nell’ordine temporale.
Le credenze religiose sono, secondo questo laicismo, un fatto di natura esclusivamente privata; per la vita pubblica non esisterebbe che l’uomo nella sua condizione puramente naturale, totalmente disancorato da un qualsiasi rapporto con un ordine soprannaturale di verità e di moralità. Il credente è perciò libero di professare nella sua vita privata le idee che crede. Se, però, la sua fede religiosa, uscendo dall’ambito della pratica individuale, tenta di tradursi in azione concreta e coerente per informare ai dettami del Vangelo anche la sua vita pubblica e sociale, allora si grida allo scandalo come se ciò costituisse una inammissibile pretesa.
Alla Chiesa si riconosce, tutt’al più, un potere indipendente e sovrano nello svolgimento della sua attività specificamente religiosa avente uno scopo immediatamente soprannaturale (atti di culto, amministrazione dei sacramenti, predicazione della dottrina rivelata, ecc.). Ma si contesta ad essa ogni diritto di intervenire nella vita pubblica dell’uomo poiché questa godrebbe di una piena autonomia giuridica e morale, né potrebbe accettare dipendenza alcuna o anche solo ispirazione da esterne dottrine religiose. Agli antipodi del pensiero cattolico.

 
Tali affermazioni, che sono in nettissimo contrasto con la dottrina cattolica. Vogliamo soltanto sottolineare la portata gravissima di esse. Praticamente si nega o si prescinde dal fatto storico della rivelazione; si misconosce la natura e la missione salvifica della Chiesa; si tenta di frantumare l’unità di vita del cristiano, nel quale è assurdo voler scindere la vita privata da quella pubblica; si abbandona la determinazione della verità e dell’errore, del bene e del male all’arbitrio del singolo o delle collettività, aprendo così la strada a tutte le aberrazioni individuali e sociali, di cui – purtroppo – i nostri ultimi decenni hanno offerto testimonianze atroci.
     Come si vede, il fenomeno laicista affonda le sue radici in un contrasto sostanziale di principi. Non si esaurisce nel fatto politico contingente, anche se preferisce sviluppare soprattutto su questo terreno la sua quotidiana polemica contro la Chiesa. Nella sua accezione più conseguente, esso è una concezione della vita che è agli antipodi di quella cristiana. Una sottile corrosione dell’anima cattolica del Paese
Il pericolo insito in questo errore è oggi accentuato da due fatti. Innanzi tutto il laicismo, nell’odierna situazione italiana, evita generalmente gli atteggiamenti plateali e massicci del vecchio anticlericalismo ottocentesco. IL più scaltrito, più duttile, più lucido ed aggiornato alle tecniche del tempo. Più che aggredire direttamente preferisce l’insinuazione perfida e la critica sottile, più che la discussione diretta preferisce la battuta di spirito e lo scherno, più che l’attacco alle idee preferisce l’utilizzazione delle debolezze degli uomini, più che le spettacolari chiassate di piazza preferisce l’orpello d’una certa severità culturale.
Anche quando attacca la Chiesa si sforza di ammantarsi di nobili motivi: vorrebbe svincolarla da ogni “compromissione” temporale, purificarla da ogni “contaminazione” mondana e politica, metterla al passo dei tempi e svecchiare le sue interne strutture, affinché, libera e ringiovanita, possa tornare ad esercitare il suo sovrano ministero spirituale sulle anime.
A questo s’aggiunge un altro fattore importante: il laicismo sfugge a posizioni dottrinali precise. Come tutti gli errori di oggi preferisce l’indeterminatezza e la vaporosità degli atteggiamenti. Fa leva soprattutto su impressioni, su sentimenti e risentimenti, su stati d’animo. Ciò è dovuto a volte alla superficialità delle sue idee, ma spesso obbedisce ad un preciso calcolo. Ama giocare sull’equivoco per raggiungere i propri scopi senza suscitare eccessive reazioni, soprattutto in quella parte dell’opinione pubblica ancora legata – in qualche modo – alla religione e alla morale cristiana. Si mimetizza per operare indisturbato in modo da creare gradualmente un clima di pensiero e di vita disancorato da ogni riferimento soprannaturale ed aperto a tutte le avventure intellettuali e morali.

Questi fatti rendono l’insidia molto più grave, perché, sotto l’apparente rispetto per la fede religiosa del popolo, può essere gradualmente e insensibilmente consumata un’opera di sistematica corrosione dell’anima cattolica del paese.

Alla base dell’odierno atteggiamento laicista vi sia un profondo contrasto di natura religiosa, lo dimostra anche uno sguardo – sia pure sommario – dato alle più recenti manifestazioni di esso, le quali possono essere così sommariamente delineate:

 a) critiche astiose, anche se talvolta espresse in forma di apparente rispetto, per ogni intervento del magistero ecclesiastico, ogni qualvolta esso, dal piano dei principi, scende alle applicazioni pratiche; allarme e rifiuto dell’intervento della Chiesa e della sua gerarchia perfino in fatto di pubblica moralità;
b)insofferenza e diffidenza, se non aperta ostilità, verso tutto ciò che è espressione del pensiero e della vita dei cattolici nel paese, verso tutto ciò che indica una loro presenza ed influenza nei diversi settori della vita pubblica;
c) compiaciuta pubblicità data ad episodi di immancabili deficienze e di presunti scandali nel clero e nel laicato cattolico organizzato; travisamento sistematico delle finalità che animano opere cattoliche di assistenza, di carità, di educazione, ecc.;

d) compiacente appoggio dato ad ogni tentativo tendente ad introdurre nella legislazione italiana il divorzio e ad attenuare le vigenti disposizioni a tutela delle leggi della vita;

e) isolati, ma chiari sforzi per rimettere in discussione il Concordato che pure fu accettato con quasi unanime riconoscimento nell’immediato dopoguerra ed inserito nella stessa Costituzione;

f) aspri attacchi contro la vera libertà della scuola non statale e continue accuse ai cattolici di voler sabotare la scuola statale; opposizione tenace ad ogni richiesta di contributi, da parte dello Stato, alla scuola non statale e taccia alla stessa di mancare di libertà e di non educare alla libertà, in quanto al cattolico sarebbe preclusa la libertà d’indagine necessaria per il progresso e la cultura;
g) scandalo e proteste per ogni partecipazione delle pubbliche autorità a manifestazioni religiose o ad atti di omaggio al vicario di Cristo, nel quale si vuol vedere soltanto il sovrano della Città del Vaticano, con cui trattare da pari a pari, pena l’umiliazione e l’abdicazione dello Stato alla sua dignità sovrana;
h) incapacità a comprendere nel loro pieno significato religioso gli interventi della Chiesa e della sua gerarchia, intesi ad orientare i cattolici nella vita pubblica, a richiamarli – nel momento attuale – al dovere dell’unità, e a metterli in guardia contro ideologie che, prima di essere aberrazioni politiche e sociali, sono autentiche eresie religiose. Gioverà ricordare le parole di Pio XI: “Ci sono dei momenti in cui noi, l’episcopato, il clero, i laici cattolici, sembra si occupino di politica. Ma, in realtà, non ci si occupa che della religione e degli interessi religiosi, finché si combatte per la libertà religiosa, per la santità della famiglia, per la santità della scuola, e per la santificazione dei giorni consacrati al Signore. Non è questo fare della politica… Allora è la politica che ha toccato la religione, che ha toccato l’altare. E noi difendiamo l’altare” (Pio XI, Discorso del 19 settembre 1925).[4]

Meno male che Dio sa scrivere dritto sulle righe storte degli uomini.

«Guai anche a voi, dottori della legge, che caricate gli uomini di pesi insopportabili, e quei pesi voi non li toccate nemmeno con un dito! ». (Lc 11,46). E’ quello che nessun vescovo vorrebbe sentirsi ripetere da Gesù Cristo nel giorno del giudizio. Perché c’è vescovo e vescovo… Quali caratteristiche deve avere?

Il vescovo “fondamentalista”.

     Il buon vescovo non confonde il sostegno alla sana dottrina  col fondamentalismo.

«Perciò correggili con fermezza, perché rimangano nella sana dottrina». (Tito 1,13)

    Il vescovo “fondamentalista” non dialoga. Si sente migliore degli altri. Pasce, sì, da bravo pastore il proprio gregge, ma usa il pastorale come una sciabola che divide i propri bravi fedeli dal resto delle folle di persone “cattive”, che non figli di Dio e che vogliono incomprensibilmente starsene lontane della Chiesa. O con noi o contro di noi! Siamo o non siamo la vera Chiesa?  E Gesù non ha forse detto “Sia invece il vostro parlare sì, sì; no, no; il di più viene dal maligno”? (Mt 5,37) A lui piace la morale  rabbinica, quella basata sulla legge, non quella paolina, basata invece sui valori. Lui non va a cercare la pecorella smarrita, né tanto meno siede a tavola con i peccatori. Queste cose le faceva il Maestro, ma lui che c’entra? Ha una dignità; è un’eccellenza (o un’eminenza) da rispettare! Eminenza, avevi promesso!.. : «vuoi, come buon pastore, andare in cerca delle pecore smarrite per riportarle all’ovile di Cristo? Eletto: Sì, lo voglio».

Il vescovo “difensore della sana dottrina”

    Sostiene la sana dottrina (Tito 2,1), ma cerca di raggiungere ogni persona in nome di Cristo, secondo il monito di San Paolo  (1Corinzi 9:22): «Mi sono fatto debole con i deboli, per guadagnare i deboli; mi sono fatto tutto a tutti, per salvare ad ogni costo qualcuno». E’ pastore, quindi è sensibile a coloro che – smarritisi – sono lontani dal suo gregge. “Per poter pre-evangelizzare la Chiesa deve farsi ascoltare, deve essere credibile. Paolo Vi nel 1975 scriveva nell’esortazione apostolica Evangelii Nuntiandi (51): “Rivelare Gesù Cristo e il suo Vangelo a quelli che non li conoscono, questo è, fin dal mattino della Pentecoste, il programma fondamentale che la Chiesa ha assunto come ricevuto dal suo Fondatore. Tutto il Nuovo Testamento, e in modo speciale gli Atti degli Apostoli, testimoniano un momento privilegiato e, in un certo senso, esemplare di questo sforzo missionario che si riscontrerà poi lungo tutta la storia della Chiesa.

     Questo primo annuncio di Gesù Cristo, essa lo realizza mediante un’attività complessa e diversificata, che si designa talvolta col nome di «pre-evangelizzazione», ma che è già, a dire il vero, l’evangelizzazione, benché al suo stadio iniziale ed ancora incompleto. Una gamma quasi infinita di mezzi, la predicazione esplicita, certamente, ma anche l’arte, l’approccio scientifico, la ricerca filosofica, il ricorso legittimo ai sentimenti del cuore umano possono essere adoperati a questo scopo”. E la terza assemblea generale del Sinodo dei Vescovi, il 28 febbraio 1974 osservava amaramente che “Purtroppo, ci sono oggi molti pregiudizi contro la Chiesa, che ne infirmalo gravemente la credibilità e che fanno sì che essa non sia ascoltata, e, anzi, talvolta sia respinta a priori. Alcuni di questi pregiudizi sono dovuti alle lotte che nel passato ci sono state tra la Chiesa e la società civile: diffusi dalla cultura ufficiale italiana, essi sono profondamente radicati specialmente negli ambienti intellettuali, cosicché sradicarli è molto difficile. Altri pregiudizi sono nati in questi anni, , caos e dell’intervento della Chiesa nel campo politico, dovuto a necessità storiche contingenti: cosicché, per molti italiani, oggi la Chiesa fa politica o è una Chiesa ‘di parte’, perché appoggia un partito contro altri.”[5]

      Il 21 dicembre 2009 nel corso del discorso alla Curia Romana, papa Benedetto XVI osservava che è ricorrente per la Chiesa e i vescovi «la tentazione di fare politica», cioè di «cedere alla tentazione di prendere personalmente in mano la politica e da pastori trasformarsi in guide politiche». “Perciò, per poter fare opera di pre evangelizzazione la Chiesa italiana deve sforzarsi di eliminare dalla sua vita a tutto ciò che favorisce il persistere di questi pregiudizi e di mostrarsi, di conseguenza, sempre più credibile e autentica. In particolare, deve sempre più chiaramente, prendere le sue distanze dalla politica concreta e militante, pur dovendo intervenire in campo politico quando sono in gioco le esigenze del Regno di  Dio e i diritti della persona umana, per denunciare le ingiustizie e proporre le vie da percorrere per costruir un mondo più umano e più fraterno; soprattutto deve mostrasi distaccata dal denaro e dagli interessi economici o di prestigio, evitando tutto ciò che può far pensare alla ricerca del lucro anche nell’amministrazione dei sacramenti: deve purificare la sua religiosità da forme ‘superstiziose’ o folcloristiche che impressionano negativamente. Positivamente la Chiesa italiana deve mostrare in se stessa che il Vangelo è veramente capace di creare un mondo nuovo di fraternità, di libertà, di amore: deve, cioè, divenire l’’icona del mondo futuro’. Perciò, essa deve eliminare dal suo seno ogni forma di ingiustizia, ogni forma di mancanza rispetto della dignità delle persone ogni divisione ‘classista’ nel clero e nei fedeli, ogni fermento razzista, mostrandosi sempre più quello che la Chiesa è nella sua essenza profonda: una ‘comunione’ o, come diceva il martire S. Ignazio, una ‘agape’, non chiusa in se stessa in spirito di difesa, ma aperta a tutti, credenti e non credenti, rispettosa delle libertà di tutti, capace di apprezzare tutto ciò che di buono, di bello, di grande, tutto ciò che di autenticamente umano c’è nel mondo di oggi, nel quale, nonostante la presenza di tanto male, Dio è all’opera e silenziosamente costruisce il suo Regno».[6]

     Padre Franc Rodè – attuale Cardinale prefetto della Congregazione per gli Istituti di Vita Consacrata – nel 1984 scriveva: “Innanzi tutto dobbiamo essere umili nel dialogo, per rispetto al non credente al quale ci rivolgiamo… dove il cristiano troverebbe nella sua fede il fondamento   d’una qualsiasi sufficienza?.. Chi, in effetti potrebbe lusingarsi di ricevere il dono della fede, se rifiutasse d’esprimere e di comunicare questo dono nella semplicità, nella dolcezza?”[7]

 Il buon vescovo non è un manager

     Deve ricordare che la sua autorità è più vicina a quella di un padre, che a quella di un leader. E’ un uomo dello spirito. Certo di avere anche capacità di guida, anche di comando, di gestione della sua diocesi, ma è sempre un uomo dello spirito e la gente oggi ha molto bisogno di modelli spirituali. Guai al vescovo manager. Pensa come sarebbe bello se tanti battezzati “perduti” guardassero alla Chiesa come alla casa di un Padre pronto a fare festa per il loro ritorno. Un Padre che non ha detto una sola parola di condanna. Basta la gioia del ritorno. Fratelli che tornano per interesse – perché hanno fame di verità – e che poi scoprono con sorpresa l’amore che accoglie senza condizioni. Ma se tornano e poi trovano te come manager o come ieratico giudice, beh allora… Cosa fai per questi fratelli? Cosa fai per raggiungerli? Parli la loro lingua? Li capisci? Sai quello che pensano di te e metti da parte il tuo orgoglio?

 Il buon vescovo non confonde la morale col moralismo

    La morale orienta la libertà al bene autentico ed è basata sulla parola di Dio e la tradizione della Chiesa. Questa però può cambiare, evolversi, essere attenta alle situazioni che lo scorrere della storia porta alla ribalta della riflessione etica. La tradizione è buona quando preserva da interpretazioni soggettive, non quando impedisce uno sviluppo della teologia morale. Altrimenti saremmo ancora a sostenere le indicazioni morali errate di papi e dottori della Chiesa. Un esempio? Papa Leone Magno (461) riteneva che «presso tutte le madri di questa terra il concepimento non è senza colpa» (Sermones 22,3). Papa Gregorio Magno (604) riteneva l’unione coniugale immune da colpa solo con la previa intenzione di generare. Per lui «Il piacere non può essere mai senza peccato». Cesario di Arles (542), vescovo, ammoniva che figli lebbrosi e indemoniati sarebbero nati da rapporti sessuali avuti nel dì festivo. Papa Nicola I (866) raccomandava di astenersi da ogni piacere della carne e contaminazione del corpo nei giorni di festa. Per S. Girolamo (420) una donna cessa di essere tale e può essere chiamata uomo quando vuol servire più Cristo che il mondo (Comm. ad Ephesios III,5). Egli afferma inoltre che la contraccezione è omicidio. Papa Gregorio I era convinto che «il piacere non può mai essere senza peccato». La verginità consacrata a Dio è molto superiore al matrimonio.

Il buon vescovo deve rispettare la tradizione, ma essere sempre aperto ad una riflessione che eviti al suo ministero di creare fossati incolmabili col mondo laico e con la parte del suo gregge che non riesce ad accettare una morale come dogmatica. Questo vuol dire dialogo umile e aperto:

Il moralismo è nemico della morale e allontana, la morale comprende. E per favore, dateci una Chiesa realmente ecumenica! Una Chiesa al cuore del Vangelo. Se no la gente comune, sopratutto quel 70% dei cattolici italiani continuerà ad interessarsi solo a quanto guadagnano il Papa, i cardinali e i vescovi… “Stranamente” l’articolo più letto di questo blog, da sempre. (http://giorgionadali.wordpress.com/2010/07/11/vaticano-e-stipendi-papa-vescovi-cardinali-e-preti)


[1] Marco Politi – Sarà il Millennio dei senza Cristo? La Repubblica, 28 luglio 1997, p. 21

[2] Giorgio Nadali – Un Obama a San Pietro, Affari Italiani, 10 febbraio 2009

[3] Joel Osteen è il pastore di Lakewood Church, la più grande chiesa cristiana indipendente degli Stati Uniti. Definito il “predicatore del sorriso”. www.lakewood.cc  Roger Schutz era il priore della comunità ecumenica più grande del mondo. La comunità di Taizé, Francia. www.taize.fr  che papa Giovanni XXIII aveva definito come “Primavera della Chiesa”.

[4] Lettera dell’Episcopato al Clero. Roma, 25 marzo 1960, tratto da Litterae Communionis, supplemento al n. 5, 1988

[5] Evangelizzazione nel mondo contemporaneo – Documenti dell’episcopato italiano per la III assemblea generale del Sinodo dei Vescovi, 28 febbraio 1974, p. 474 s.

[6] Op. cit. p. 476

[7] Franc Rodè in Via Verità e Vita – Novembre-Dicembre 1984 –“Per una pastorale verso I “lontani”. P. 19

Cf. Giorgio Nadali – La croce e l’anello. Misteri e segreti delle carriere ecclesiastiche, Udine, Edizioni Segno, 2010 

Giorgio Nadali

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Vaticano e stipendi. Papa, Vescovi, Cardinali e Preti

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di Giorgio Nadali 

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Quanto guadagna il Papa? Nessuno stipendio. A disposizione un fondo in euro presso lo I.O.R.
 (Istituo Opere di Religione- la banca del Vaticano), l’Obolo di San Pietro (vedi voce) e il fondo di
 2,5 milioni di dollari - il Vicarius Christi Fund - della Confraternita dei Cavalieri di Colombo con
sede a New Haven, Connecticut (USA) e Roma, presieduta dal Prof. Carl A. Anderson. Inoltre i diritti
d’autore delle opere letterarie gestite dalla Fondazione Joseph Ratzinger, inaugurata nel 2008, amministrata
dagli Ratzinger Shulerkreis (Circolo degli Studenti di Ratzinger) a Monaco di Baviera (Germania)
e presieduta dal Prof.  Stephan Otto Horn.  
Cardinali di Curia – 150.000 euro (1) netti annuali per l'"assegno cardinalizio" (il nuovo nome del vecchio "piatto cardinalizio") erogati dall’Amministrazione del Patrimonio della Sede Apostolica 
 per i Cardinali di Curia, più il “rotolo cardinalizio” (somma derivante dalle rendite del Sacro Collegio Cardinalizio). Altri parlano di cifre ben più modeste: 3000 euro netti mensili. 
(1) Claudio Rendina - "La santa casta della Chiesa", Roma, Newton & Compton, 2009, p. 241. 

Vescovi – 39.000 euro netti annuali più fondo spese per l’episcopato di competenza.
Preti (italiani) - L’ammontare dello stipendio mensile (lordo di imposte, per 12 mensilità) è calcolato sulla
base di un certo numero di punti - da 80 a 140 - ciascuno del valore di 11,82 euro. Il numero di punti attribuito
a ciascun sacerdote varia a seconda dell’anzianità vocazionale e degli incarichi ricoperti. Ad esempio ad un prete
appena ordinato spettano 80 punti, che moltiplicati per 11,82 euro danno 945,60 euro lordi di stipendio mensile.
Ad un vescovo alle soglie della pensione spettano 140 punti, che ancora moltiplicati per 11,82 fanno risultare 1.654,80 euro lordi.
I limiti di reddito anzidetti, equivalenti per tutti i 37.456 presbiteri italiani, rappresentano il tetto massimo di tutte le entrate a
favore dei singoli. Ogni sacerdote può contare mensilmente su: a) una quota cosiddetta “capitaria”, pari a € 0,0723 per parrocchiano;
b) una quota proveniente dalla ridistribuzione degli ex benefici parrocchiali, assorbiti dal 1989 dagli Istituti Diocesani per
 il Sostentamento del Clero; c) l’eventuale retribuzione di un’attività esterna (in tal caso, ha comunque diritto, in aggiunta,
alla sola quota capitaria di cui al punto a); d) le offerte libere dei fedeli; e) l’intervento della Cei, che
 (con l’utilizzo dei fondi provenienti dall’otto per mille dell’Irpef) integra le entrate a-b-c-d fino al raggiungimento
delle somme indicate all'inizio, che rappresentano i limiti massimi di reddito a favore dei singoli.

Lo Stato della Città del Vaticano lavorano 1894 dipendenti di cui 31 religiosi, 28 religiose, 1.558 laici e
277 laiche. Negli enti legati lla Santa Sede  prestano servizio complessivamente 2.732 persone, di cui 761
ecclesiastici, 334 religiosi (246 uomini e 88 donne), 1.637 laici (1.199 uomini e 438 donne).
I cittadini, quelli con carta d'identità vaticana, sono 524, tra i quali i circa 200 rappresentanti dello Stato
del Vaticano presso i governi di tutto il mondo. Le famiglie residenti sono 15, ma i figli perdono
automaticamente la cittadinanza vaticana a 28 anni. E ci sono infine 350 residenti non cittadini.
Nessun bambino vi è mai nato. Si diventa cittadini del Vaticano non per il fatto naturale che si nasce nel
suo territorio, ma per incorporazione, per volontà del Pontefice. I residenti, tra alti prelati, suore e
addetti ai servizi telefonici e di sorveglianza sono circa 500 (stipendio per 36 ore settimanali, da 800 a 1250 Euro).
Praticamente nulla è proprietà privata. Al 31 dicembre 2000 le persone in possesso della cittadinanza vaticana erano 524,
delle quali 49 Cardinali, 271 Ecclesiastici aventi lo status di membri delle Rappresentanze Pontificie,
63 altri Ecclesiastici, 88 componenti il Corpo della Guardia Svizzera Pontificia e 53 altri laici.

Giorgio Nadali
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http://www.ibs.it/code/9788821567841/nadali-giorgio/monaci-sugli-alberi-e.html 
http://www.edizionisanpaolo.it/varie_1/narrativa/il-pozzo-2a-serie/libro/i-monaci-sugli-alberi.aspx

LA CROCE E L’ANELLO. MISTERI E SEGRETI DELLE CARRIERE ECCLESIASTICHE

Nuovo libro in libreria da Aprile 2010

 Giorgio Nadali LA CROCE E L’ANELLO. MISTERI E SEGRETI DELLE CARRIERE ECCLESIASTICHE

 Edizioni Segno, Udine, 2010

  ISBN: 978-88-6138-239-8  

  320 pp.

http://www.giorgionadali.it/cop_Croce_e_Anello.pdf

http://www.edizionisegno.it

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TUTTI I SEGRETI DEI 5239 UOMINI CHE GUIDANO LA FEDE DI “1 MILIARDO” DI CATTOLICI

Le visioni “politiche” I segreti del Conclave per l’elezione del Papa Come e perchè si diventa Vescovo, Cardinale, Papa Il buon Vescovo, Rivalità e misteri Curiosità sul Vaticano I Vescovi e i Cardinali vicini e lontani alla gente, I retroscena della Curia Romana e della Santa Sede, Gossip  

Capitolo Primo: Un po’ di storia

Capitolo Secondo:  Il buon vescovo

Capitolo Terzo: La cultura interna della Curia Romana

Capitolo Quinto: La politica dello Spirito

Capitolo Sesto: Brillanti carriere ecclesiastiche

Capitolo Settimo: Il papabile al soglio di Pietro  

Capitolo Ottavo: Lo Spirito soffia dove vuole? 

Capitolo Nono: La creazione del porporato

 Capitolo Decimo: Curiosità 

Ci sono sempre quattro vescovi in ogni partita a scacchi. Due bianchi e due neri. Solo che da noi si chiamano alfieri. Nel mondo anglosassone si chiamano “bishops“, cioè “vescovi”. E’ proprio per questo che i quattro pezzi sono rappresentati col copricapo da vescovo – la mitria. Nei tornei, quando gli sfidanti rimangono con solo un alfiere-vescovo a testa, la partita si fa serrata – proprio come nella corsa del Conclave per l’elezione di un nuovo papa e come nella scelta di un vescovo che il pontefice dovrà scegliere da una terna di nomi che gli vengono sottoposti. Una partita di pedoni che vogliono diventare alfieri-vescovi e questi che mangiano diagonalmente altri pezzi sullo scacchiere delle carriere ecclesiastiche. Quale sarà il buon vescovo di cui parla San Paolo nella sua lettera a Tito?

     Cinquemilasettantatre vescovi, centottantacinque cardinali e naturalmente il Papa indossano una croce pettorale e un anello vescovile all’anulare  destro.  Guidano nella fede più di un miliardo e cento milioni di fedeli. Anzi, no. Questo è il numero ufficiale dei battezzati in base ai documenti parrocchiali in tutto il mondo. I fedeli cattolici spiritualmente vicini a quei 5259 uomini sono molto meno. All’incirca quattrocento milioni. Gli altri hanno lasciato il gregge. E non sono tutti cattivi.

     Certo, qualcuno lo ha lasciato a torto. Il seme è caduto sulle spine e non ha attecchito. Altri – troppi – quegli uomini con la croce e con l’anello proprio non li capiscono. Non può essere solo un problema di spine. Qualcuno ha seminato male. Magari usando metodi obsoleti o con più attenzione alla propria carriera, alla tradizione. Guardando troppo al passato si perde di vista il presente e non si entra nel futuro. 

Altri hanno coperto scandali o li hanno addirittura creati, contro il monito del Signore: «chi avrà scandalizzato uno di questi piccoli che credono in me, meglio per lui sarebbe che gli fosse appesa al collo una macina da mulino e fosse gettato in fondo al mare». (Mt 18,6). Invece di cercare la pecorella smarrita hanno fatto fuggire una parte del gregge.

Chi sono e cosa pensano oggi gli uomini successori degli apostoli? Perché sono vicini e lontani alla gente?

    Quando nella Chiesa Cattolica si riceve un anello si fa sempre una promessa. Gli sposi promettono di amarsi e di onorarsi, di servire la vita nei figli ed educarli alla fede della Chiesa. Ogni vescovo promette invece di riportare all’ovile di Cristo le pecore smarrite: «vuoi, come buon pastore, andare in cerca delle pecore smarrite per riportarle all’ovile di Cristo?».  I cardinali promettono fedeltà al Successore di Pietro e ricevono da lui in dono l’anello cardinalizio. Questi a sua volta riceve l’anello del Pescatore – non appena l’orafo lo consegna secondo le indicazioni dell’eletto, con lo stemma richiesto –  qualche giorno dopo la sua elezione al soglio di Pietro. Naturalmente promette di essere un degno Servo dei servi di Dio. Un degno Vicario di Cristo in Terra. La grande maggioranza di questi uomini mantiene la sua promessa, in buona fede.  Ma nessuno ha mai insegnato loro come essere un buon vescovo.

     Nel mondo secolare  ci si prepara duramente a posizioni di responsabilità e si è attenti alle tecniche moderne di comunicazione – soprattutto in una società multiculturale in cui gli stimoli alle persone provengono da una miriade di fonti diverse. Questi uomini si basano  certo sulla loro fede, su una solida preparazione teologica, su una tradizione granitica e inamovibile,  su una bimillenaria storia in cui il Signore è amorevolmente intervenuto più volte per evitare un fallimento ed una chiusura della sua Vigna. Contano su di Lui, certamente. Lui li ha chiamati. Ma i talenti vanno fatti fruttare. Bisogna farsi tutto a tutti per guadagnare ad ogni costo qualcuno, come esortava l’Apostolo delle genti. Una maggiore collegialità dei vescovi, una Curia Romana che funzioni come serva delle chiese locali, non come padrona. Una maggiore libertà delle chiese locali nell’adattare gli insegnamenti alle loro particolari circostanze. Sono le speranze dell’ala più aperta ai cambiamenti di questi uomini che con un vecchio cucchiaino d’oro devono togliere l’acqua che entra a fiotti nella barca di Pietro prima che questa affondi.  

Giorgio Nadali

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Clero e pedofilia. Chi avrà scandalizzato uno di questi piccoli che credono in me…

Di Giorgio Nadali  www.giorgionadali.it

Chi avrà scandalizzato uno di questi piccoli che credono in me, meglio per lui sarebbe che gli fosse appesa al collo una macina da mulino e fosse gettato in fondo al mare. Mt 18:6. 

L’antipapa Giovanni XXIII (1410 – 1415) giudicato pedofilo dal Concilio di Costanza del 1415. Sospetti di pedofilia anche per papa Giulio II (1503 – 1513) che tenne in ostaggio il figlio di 10 anni di Francesco Gonzaga e diede al bambino una rendita mensile di 100 ducati d’oro. Papa Giulio III (1550- 1555) “dedito all’amore per i bambini” nella biografia delle Vite dei pontefici del Platina. In tempi recenti il Cardinale Bernard Law di Boston (USA) fu accusato di coprire per anni due sacerdoti poi condannati per pedofilia, John Geoghan e Paul Shanley. Nel 2002 sono stati 55 i casi di rimozione negli USA di preti pedofili tra cui il vescovo di Palm Beach (USA) Anthony J. O’Connell dimessosi nel 2002.  Attualmente i vescovi gay (tutti della Chiesa Episcopale) sono: Mervyn Castle (Sud Africa), Arthur Mervyn Stockwood (Inghilterra), Derek Rawcliffe (Scozia), David Hope (Inghilterra), Terry Brown (Isole Salomone). Nella Chiesa cattolica sono stati sospesi per sospetta omosessualità i vescovi  Hans Hermann Groer, Rembert Weakland, Juan Carlos Maccarone, Francisco Domingo Barbosa da Silveira,  Thomas Gumbleton (sostenitore di ordinazioni di gay). Vescovi gay vengono ordinati nella Chiesa luterana di Svezia, Chiesa evangelica di Germania,  Chiesa di Norvegia, Chiesa nazionale danese. La prima e unica donna lesbica vescovo è Eva Brunne, della Diocesi (luterana) di Stoccolma (Svezia).

“Anson Shupe, sociologo dell’Indiana-Purdue University, e dai suoi collaboratori. Shupe, un noto esperto di nuovi movimenti religiosi, sostiene da anni che la “criminalità in colletti bianchi” è oggi affiancata, per una serie complessa di ragioni, da una “criminalità clericale”, diffusa presso ministri di tutte le confessioni che comprende anche — se non soprattutto — reati economici e finanziari (3). In tema di abusi sessuali Shupe sostiene — ancora in uno studio inedito presentato al convegno di San Francisco — che questi sono più diffusi fra il clero cattolico che altrove, anche se le cifre correnti sono certamente esagerate. Il sociologo dell’Indiana peraltro non è convinto che il celibato o la tolleranza dell’omosessualità spieghino il fenomeno: infatti alcune denominazioni al cui clero non viene richiesto il celibato — episcopaliani, avventisti — o che attaccano in modo militante le campagne per i diritti degli omosessuali — mormoni — avrebbero percentuali di rischio simili alla Chiesa cattolica. Il problema, ritiene Shupe, è che la Chiesa cattolica — come la Chiesa mormone o quella episcopaliana — è una struttura piramidale, gerarchica, con un sistema che tende naturalmente, a prescindere dalle buone intenzioni individuali, a proteggere una figura religiosa quando è attaccata dall’esterno. Questa dinamica, se ha portato in altri settori vantaggi alle Chiese organizzate in modo più gerarchico, avrebbe anche permesso ai pedofili di sentirsi in qualche modo protetti e tutelati. Shupe pensa che i casi di pedofilia clericale cattolica nell’ultimo trentennio negli Stati Uniti d’America e in Canada siano un paio di migliaia, e coinvolgano intorno all’uno per cento dei sacerdoti e dei religiosi. Ma ammette che le statistiche sono difficili perché, a partire da poche centinaia di condanne, occorre estrapolare e speculare sulla base di sondaggi su quanti casi non sono denunciati — oggi, certo, meno di ieri — per malintesa lealtà verso la Chiesa, per vergogna o per timore di conseguenze negative”. (M. Introvigne, Cristianità n. 282, 1998).

Pedofilo perchè malato.  Non perchè prete. La maggiornaza dei pedofili sono uomini sposati. 

Nel settembre del 2009 l’arcivescovo Silvano Tomasi, osservatore permanente della Santa Sede all’ONU di Ginevra, in una dichiarazione emessa in una riunione del Consiglio dei Diritti Umani delle Nazioni Unite a Ginevra, in relazione ai crimini sessuali sui minori, ha dichiarato che nel clero cattolico solo tra l’1,5% e il 5% dei religiosi ha commesso atti di questo tipo. È uscito un libro dal titolo Atti impuri nell’anno 2009 che riporta cifre aggiornate sulla pedofilia nella Chiesa americana. Tra il 1950 e il 2004 si sono registrati undicimila casi documentati di abusi sessuali su minori i cui autori sono preti. Mediamente i preti diocesani implicati negli abusi sono il 4,3 per cento. Alcun anni hanno prodotto percentuali molto alte di preti pedofili. Nel 1963, 1966, 1970, 1970 e nel 1974 si è arrivati all’otto per cento di predatori diocesani, fino al nove per cento del 1975. Nel libro si fanno anche delle estrapolazioni su quelli che possono essere i limiti del fenomeno pedofilia (abusi su minori) nella Chiesa e si stima che i casi sono stimabili in quaranta-sessantamila che farebbero salire il tasso dei preti abusanti a percentuali altissime.

Islam e pedofilia.

Nei paesi islamici ove vige la shari’a l’Unicef valuta in circa 60 milioni i casi di matrimonio tra uomini e bambine, pratica avallata dal Corano che nella sura 65 al-Talâq (il ripudio), versetto 4, fa esplicito riferimento alla possibilità per un uomo di divorziare dalla moglie “che non ha ancora il mestruo”. D’altra parte lo stesso Maometto, di cui ogni azione o comportamento è considerato dai musulmani esemplare e da imitare, quando aveva cinquant’anni sposò ‘A’isha che aveva 6 o 7 anni per consumare il matrimonio 3 anni dopo, come riportato nel Sahih di al-Bukhari, nel Sahih di Muslim e nel Sunan di Abu Da’ud, ben tre delle sei principali raccolte di hadith sunnite. Per denunciare questa situazione l’Unicef ha scelto come foto simbolo del 2007 uno scatto della fotografa americana Stephanie Sinclair che ritrae un afgano quarantenne accanto alla sposa undicenne. Nell’aprile 2008, inoltre, ha avuto vasta eco il caso di una bambina yemenita di otto anni che si è rivolta ad un tribunale per chiedere il divorzio.

Ieri Benedetto XVI si è rivolto direttamente alle vittime nella sua lettera pastorale ai cattolici dell’Irlanda (dove il fenomeno pedofilia nel clero è particolarmente forte): ” Quelli di voi che avete subito abusi nei convitti dovete aver percepito che non vi era modo di fuggire dalle vostre sofferenze. È comprensibile che voi troviate difficile perdonare o essere riconciliati con la Chiesa. A suo nome esprimo apertamente la vergogna e il rimorso che tutti proviamo. Allo stesso tempo vi chiedo di non perdere la speranza. È nella comunione della Chiesa che incontriamo la persona di Gesù Cristo, egli stesso vittima di ingiustizia e di peccato. Come voi, egli porta ancora le ferite del suo ingiusto patire. Egli comprende la profondità della vostra pena e il persistere del suo effetto nelle vostre vite e nei vostri rapporti con altri, compresi i vostri rapporti con la Chiesa. So che alcuni di voi trovano difficile anche entrare in una chiesa dopo quanto è avvenuto. Tuttavia, le stesse ferite di Cristo, trasformate dalle sue sofferenze redentrici, sono gli strumenti grazie ai quali il potere del male è infranto e noi rinasciamo alla vita e alla speranza. Credo fermamente nel potere risanatore del suo amore sacrificale – anche nelle situazioni più buie e senza speranza – che porta la liberazione e la promessa di un nuovo inizio”.

Giorgio Nadali

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