Le opere di misericordia. 4. Consolare gli afflitti

“Beati gli afflitti, perché saranno consolati”. È la seconda beatitudine che proclama Gesù (Matteo 5,4). La consolazione viene da Dio perché, come recita il Salmo 33 ”il Signore è vicino a chi ha il cuore ferito egli salva gli spiriti affranti”. “Sia benedetto Dio, Padre del Signore nostro Gesù Cristo, Padre misericordioso e Dio di ogni consolazione, il quale ci consola in ogni nostra tribolazione perché possiamo anche noi consolare quelli che si trovano in qualsiasi genere di afflizione con la consolazione con cui siamo consolati noi stessi da Dio”. (2 Corinzi 1,3-4). Consolare è un atto di grande carità. San Paolo scrive a Filemone: “la tua carità è stata per me motivo di grande gioia e consolazione” (Filemone 7). Le occasioni di mettere in pratica questa grande opera di misericordia sono infinite. “Voi sarete afflitti, ma la vostra afflizione si cambierà in gioia”, promette Gesù (Giovanni 16,20). Abbiamo un Consolatore che opera per mezzo nostro, lo Spirito santo.

Possiamo consolare con le parole, la preghiera, il consiglio, con una presenza silenziosa e naturalmente con le opere di misericordia corporale. Il modo migliore è ovviamente quello di donare noi stessi, cioè il nostro tempo. È un modo più profondo e personale che donare denaro e cose materiali. Basta alle volte una parola di speranza, soprattutto basata sulla Parola con la P maiuscola, cioè quella dii Dio. Chiunque può essere afflitto per moltissimi motivi, soprattutto in questi tempi di crisi. Va distinta l’afflizione dalla malattia psicologica e dalla depressione. Dobbiamo comprendere che in forza del nostro battesimo siamo tutti testimoni della speranza che è in noi (1Pietro 3,15) e operatori dell’amore di Dio. Consolare gli afflitti che Dio pone sul nostro cammino di vita è quindi un dovere per chiunque si definisca cristiano. Oggi si sta diffondendo anche il coaching spirituale, una nuova professione laica riconosciuta per legge dallo Stato italiano. Ma per consolare una persona basta poco. Come diceva Madre Teresa di Calcutta “non sapremo mai quanto bene può fare un semplice sorriso”.

Papa Francesco scrive nella sua enciclica Deus caritas est (Dio è amore): “L’amore — caritas — sarà sempre necessario, anche nella società più giusta. Non c’è nessun ordinamento statale giusto che possa rendere superfluo il servizio dell’amore. Chi vuole sbarazzarsi dell’amore si dispone a sbarazzarsi dell’uomo in quanto uomo. Ci sarà sempre sofferenza che necessita di consolazione e di aiuto. Sempre ci sarà solitudine. Sempre ci saranno anche situazioni di necessità materiale nelle quali è indispensabile un aiuto nella linea di un concreto amore per il prossimo. Lo Stato che vuole provvedere a tutto, che assorbe tutto in sé, diventa in definitiva un’istanza burocratica che non può assicurare l’essenziale di cui l’uomo sofferente — ogni uomo — ha bisogno: l’amorevole dedizione personale. Non uno Stato che regoli e domini tutto è ciò che ci occorre, ma invece uno Stato che generosamente riconosca e sostenga, nella linea del principio di sussidiarietà, le iniziative che sorgono dalle diverse forze sociali e uniscono spontaneità e vicinanza agli uomini bisognosi di aiuto. La Chiesa è una di queste forze vive: in essa pulsa la dinamica dell’amore suscitato dallo Spirito di Cristo.

Questo amore non offre agli uomini solamente un aiuto materiale, ma anche ristoro e cura dell’anima, un aiuto spesso più necessario del sostegno materiale. L’affermazione secondo la quale le strutture giuste renderebbero superflue le opere di carità di fatto nasconde una concezione materialistica dell’uomo: il pregiudizio secondo cui l’uomo vivrebbe « di solo pane » (Mt 4, 4; cfr Dt 8, 3) — convinzione che umilia l’uomo e disconosce proprio ciò che è più specificamente umano […] La carità, inoltre, non deve essere un mezzo in funzione di ciò che oggi viene indicato come proselitismo. L’amore è gratuito; non viene esercitato per raggiungere altri scopi. Ma questo non significa che l’azione caritativa debba, per così dire, lasciare Dio e Cristo da parte. È in gioco sempre tutto l’uomo. Spesso è proprio l’assenza di Dio la radice più profonda della sofferenza. Chi esercita la carità in nome della Chiesa non cercherà mai di imporre agli altri la fede della Chiesa”.

Donare un sorriso rende felice il cuore. Arricchisce chi lo riceve senza impoverire chi lo dona. Non dura che un istante, ma il suo ricordo rimane a lungo. Nessuno è così ricco da poterne far a meno nè così povero da non poterlo donare. Il sorriso crea gioia in famiglia, dà sostegno nel lavoro ed è segno tangibile di amicizia. Un sorriso dona sollievo a chi è stanco, rinnova il coraggio nelle prove e nella tristezza è medicina. E se poi incontri chi non te lo offre, sii generoso e porgigli il tuo: nessuno ha tanto bisogno di un sorriso come colui che non sa darlo. (P. John Faber)

Giorgio Nadali