ISIS e strategia mediatica

L’ISIS – il sedicente Stato islamico – è il primo gruppo terrorista che ha l’ambizione di imporre la sua ideologia a livello globale e il primo che ha una vera e propria strategia di comunicazione. Il suo primo obiettivo infatti è quello di presentarsi al mondo come Stato, influenzando la politica occidentale convincendola della potenza del Califfato. Per fare questo punta sulle dinamiche dello “sciame”, ossia la radicalizzazione di un singolo seguace per condizionare un gruppo di suoi amici. Per fare questo vengono ampiamente utilizzati i social network. La comunicazione è divisa in locale, regionale e globale. Quella locale riguarda la popolazione del luogo, raggiunta attraverso opuscoli, oratori e con la radio Al-Bayan, una stazione radio in Iraq di proprietà e gestita dallo Stato Islamico dell’Iraq e il Levante (ISIL) che trasmette sulla frequenza 92,5 in FM e che serve anche per una comunicazione globale. Infatti la stazione trasmette notizie dell’ISIS in arabo, curdo inglese, francese e russo. La qualità dei notiziari è stata paragonata a quelli della BBC inglese. La stazione offre una vasta gamma di programmi tra cui i canti islamici Nasheed solo vocali, recitazioni del Corano, discorsi, fiqh (la giurisprudenza coranica), corsi di lingua, e interviste, intervallati da regolari notiziari e relazioni sul campo da corrispondenti di Al-Bayan in Iraq e in Siria. Le notizie in lingua inglese e i bollettini sono forniti da uno speaker con accento americano e le date degli eventi vengono letti secondo il calendario islamico. L’ISIS utilizza molto anche i “mujatweets” su Twitter – che partono dal media center Al Hayat di ISIS a Mosul con i quali raggiunge i seguaci più evoluti tecnologicamente. Ben sessantamila sono gli account internet pro ISIS sui social network. La comunicazione avviene con caratteristiche diverse a seconda degli obiettivi:

Prodotto Target Obiettivo
Social media (Mujatweets e video)In questi filmati i membri dell’ISIS si mostrano gentili con i bambini e regalano dolci e vestiti Potenziali reclute Radicalizzazione e reclutamento
Filmati dell’orrore Nemici del CaliffatoPubblico occidentale ampio Terrorizzare, minacciare
Filmati di contro informazione Pubblico occidentale competente Indirizzare il dibatto su ISIS
Filmati di testimonianza Musulmani in Occidente e nel mondo islamico Reclutare nuovi volontari
Brochure Famiglie di potenziali sostenitori Indirizzano sul piano politico, teologico e tattico
Ebook, magazine Foreign fighters e pubblico occidentale competente Socializzare al Califfato

 

ISIS ha anche una rivista online di propaganda chiamata Dābiq nata il 5 luglio 2014 (Mese di Ramadan 1435 islamico) uscita con il primo numero intitolato “Il ritorno del Califfato”). Il numero attuale è il 14, uscito il 13 aprile 2016 (Mese di Rajab 1437 islamico) dal titolo “La confraternita dei Murtadd”. Il murtadd è un apostata dell’Islàm.

ISIS ha addirittura una targa automobilistica, per sostenere l’utopia di essere un vero Stato e un hotel moderno a cinque stelle (piscina, campo da tennis, 262 stanze), il Ninawa International Hotel a Mosul, sorto per foreign fighters, i combattenti stranieri unitisi alle fila dell’ISIS, che sono ormai ventiduemila. Ovviamente anche l’hotel fa parte di una strategia per dare l’Idea di uno stato stabile. Di questi foreign fighters quattro sono svizzeri. Tra questi il 32enne romando Mathieu A., detto Abu Mahdi Al Suissery (che significa “lo Svizzero Illuminato”) aggregato al Califfato nel 2013 e il 25enne Damien G, già noti agli inquirenti federali. Un giornalista britannico – John Cantlie – rapito in Siria nel 2012 viene costretto dall’ISIS a girare sinora sei finti documentari “verità” di propaganda (della serie chiamata Lend Me Your Ears – cioè “prestami le tue orecchie”) vestito normalmente in abiti occidentali per mostrare al mondo che lo Stato islamico è un luogo tranquillo ed efficiente. In uno di questi filmati si vede Cantlie che si “diverte” a bordo di una moto di notte per le vie di Mosul portando sul sellino un combattente dell’ISIS vestito in abito tradizionale e mitra a tracolla. In realtà il combattente si sta assicurando gentilmente che Cantlie dica la “verità” con un mitra alle spalle.

Giorgio Nadali


Il compassionevole musulmano?

“Non esiste un Islam moderato. Il Corano è il loro Mein Kampf…  Non credo alla frode dell’Islam Moderato. Quale Islam moderato? Quello dei mendaci imam che ogni tanto condannano un eccidio ma subito dopo aggiungono una litania di «ma», «però», «nondimeno»? È sufficiente cianciare sulla pace e sulla misericordia per essere considerati Mussulmani Moderati? È sufficiente portare giacche e pantaloni invece del djabalah, blue jeans invece del burka o del chador, per venir definiti Mussulmani Moderati? È un Mussulmano Moderato un mussulmano che bastona la propria moglie o le proprie mogli e uccide la figlia se questa si innamora di un cristiano? Cari miei, l’Islam moderato è un’altra invenzione. Un’altra illusione fabbricata dall’ipocrisia, dalla furberia, dalla quislingheria o dalla Realpolitik di chi mente sapendo di mentire. L’Islam Moderato non esiste. E non esiste perché non esiste qualcosa che si chiama Islam Buono e Islam Cattivo”. Lo scriveva Oriana Fallaci.

Musulmani in chiesa per mostrare compassione a un prete cattolico sgozzato da combattenti del sedicente stato islamico? Vediamoci chiaro…

L’Islàm dà una grande importanza ai bisogni di tutti, specialmente dei bisognosi, dei deboli e dei poveri. Fondati su questi nobili principi come pace, amore e misericordia, vi sono parecchi termini che denotano la centralità della compassione nella religione Islamica. Ad esempio: rahman, rahim, gafur, merhamah, rahmah. Secondo la prospettiva Islamica, la compassione è il riflesso di Allah su ciò che crea e il profeta Maometto è il segno più grande della sua compassione e il miglior esempio di insegnamento ai musulmani ad essere compassionevoli. Maometto rappresenta il simbolo della compassione e misericordia divina. Nel 622 d.C. il profeta fuggì dalla Mecca dopo essere stato umiliato anche dai suoi parenti. A Taif cercò di diffondere la nuova religione Islamica, ma fu preso a sassate. Non condannò mai chi lo trattò male. Dieci anni dopo conquistò la Mecca e nonostante avesse la possibilità di vendicarsi perdonò tutti coloro che lo afflissero, compreso Wahshi che assassinò Hamza, il suo amato zio. Il Corano dice nella Surah al-Maidah: «Chiunque uccida un uomo, sarà come se avesse ucciso l’umanità intera . E chi ne abbia salvato uno, sarà come se avesse salvato tutta l’umanità». (Sura 5,32). La parola araba insaan, essere umano, deriva dalla parola nasiya, dimenticare. Come umani siamo sempre soggetti al perdono di Dio che deve dimenticare.

Tuttavia… vi sono decine (cento ventitré per l’esattezza) passi del Corano che si prestano facilmente a interpretazioni diametralmente opposte alla virtù della compassione e che possono essere usati da fanatici a sostegno di tesi fondamentaliste in diversi Paesi Islamici come Iran, Pakistan, Arabia Saudita, Nigeria, Sudan, Yemen e Afghanistan e insegnati ai bambini nelle madrasse (scuole coraniche). Storicamente si riferivano alle guerre di conquista islamiche. Tra questi vi sono: «La ricompensa di coloro che fanno la guerra ad Allah e al Suo Messaggero e che seminano la corruzione sulla terra è che siano uccisi o crocifissi, che siano loro tagliate la mano e la gamba da lati opposti o che siano esiliati sulla terra: ecco l’ignominia che li toccherà in questa vita; nell’altra vita avranno castigo immenso» (Sura 5,33). «E quando il tuo Signore ispirò agli angeli: “Invero sono con voi: rafforzate coloro che credono. Getterò il terrore nei cuori dei miscredenti: colpiteli tra capo e collo, colpiteli su tutte le falangi!”» (Sura 8,12). «Muhammad è il Messaggero di Allah e quanti sono con lui sono duri con i miscredenti e compassionevoli fra loro. Li vedrai inchinarsi e prosternarsi, bramando la grazia di Allah e il Suo compiacimento. Il loro segno è, sui loro volti, la traccia della prosternazione: ecco l’immagine che ne dà di loro la Torâh. L’immagine che invece ne dà il Vangelo è quella di un seme che fa uscire il suo germoglio, poi lo rafforza e lo ingrossa, ed esso si erge sul suo stelo nell’ammirazione dei seminatori. Tramite loro Allah fa corrucciare i miscredenti. Allah promette perdono e immensa ricompensa a coloro che credono e compiono il bene» (Sura 48:29). «Combatteteli finchè non ci sia più persecuzione e il culto sia [reso solo] ad Allah. Se desistono, non ci sia ostilità, a parte contro coloro che prevaricano» (Sura 2:193). «Tagliate loro le mani e la punta delle loro dita» (Sura 8:12).  «O voi che credete, non sceglietevi per alleati i giudei e i nazareni, sono alleati gli uni degli altri. E chi li sceglie come alleati è uno di loro». (Sura 5,51). «Lottate per Allah come Egli ha diritto [che si lotti]». (Sura 22:78). «I miscredenti sono per voi un nemico manifesto» (Sura 4,101). Gli stessi passi possono essere usati anche da chi vuole suscitare sentimenti anti Islamici. All’opposto di questi passi coranici vi è la corrente islamica mistica del Sufismo (taṣawwuf), tutta incentrata sull’amore. Il primo maestro Sufi fu Hasan al-Basri (642-728).

Giorgio Nadali


Terroristi per Dio?

Una religione che crede in un unico Dio. La religione di Maometto. Le moschee e i minareti ammirati nel viaggio in Turchia o in cartolina. Donne velate. La Mecca e l’enorme cubo nero, la Kaaba.  Era ciò che ci veniva in mente sino a qualche anno fa, se qualcuno pronunciava la parola Islam.  Tutto è cambiato. Ed è peggio per tutti. Per noi, che viviamo le nuove angosce del nuovo millennio. Per gli onesti fedeli del Profeta della Mecca. Perché – è inutile nasconderlo – alzi la mano chi non ha mai associato alla parola terrorismo, la parola araba che significa sottomissione ad Allah. Islam, appunto.

Dall’undici settembre 2001 un’ospite sgradito si è aggiunto ai nostri viaggi… “arriveremo sani e salvi?” Nei nostri sguardi di sospetto per l’immigrato… “hai visto quello? E se…?” Ai nostri discorsi, forse non troppo evangelici… “io li rispedirei tutti al loro paese”. Si chiama angoscia. La sottile paura ingiustificata e indefinita. Una paura che porta a pensieri irrazionali, affrettati, ovviamente noncuranti del pregiudizio e in contrasto con i valori in cui crediamo. E’ il si salvi chi può. Scattano meccanismi ancestrali. I pensieri si rincorrono ed ecco, è il terrore. Ci alziamo una mattina, ed ecco, tredici bombe a Madrid. Tre stazioni colpite. Il più grave attentato in Europa dal dopoguerra. Treni di pendolari. Vite comuni, come la nostra. Gente che andava a lavorare. Come noi. Come quei poveretti a New York, Parigi, Bruxelles… Giunti in ufficio per morire. E se capitasse anche qui, anche ora? Meglio non pensarci. Apro il giornale e leggo: “Se gli infedeli vivono in mezzo ai musulmani secondo le condizioni stabilite dal Profeta, non c’è nulla di sbagliato, purché paghino la Jyzya, la tassa di sottomissione e che non    restaurino chiese e monasteri, che non ricostruiscano quelle distrutte… che non mostrino la croce”. Sono le parole dello sceicco Marzouq Salem Al-Ghamdi. Ed ecco che l’angoscia si accompagna alla collera. Altro che accoglienza. Il terrore scuote i nostri valori.

Mentre piangiamo la perdita di tanti innocenti e quella del nostro senso di sicurezza, alcune domande incominciano ad affiorare alla nostra coscienza. Dov’è Dio? Come può permettere tutto ciò? C’è un senso alla sofferenza? Dov’è la speranza? Come possono uccidere in nome di Dio? Qual è la risposta al terrorismo? Chi sono i fondamentalisti? Perchè questo fanatismo religioso che oggi semina morte?

Da una parte il fanatismo integralista può far leggere diversi versetti della scrittura sacra islamica, il Corano,  come un invito alla violenza. Ad esempio: “Combattete coloro che non credono in Dio e nel Giorno Estremo, e che non ritengono illecito quel che Dio e il Suo Messaggero [Maometto] hanno dichiarato illecito, e coloro, fra quelli cui fu data la Scrittura, che non s’attengono alla Religione della Verità. Combatteteli finché non paghino il tributo uno per uno, umiliati.” (Sura della Coversione  “at-Taubah” IX, 29). Dall’altra la tiepidezza della fede cristiana in Occidente e l’appannamento dei nostri valori può essere un terreno fertile in chi ci vede come odiati infedeli.

Bisogna ammetterlo. Essere occidentali oggi vuol dire essere odiati da gruppi radicali del fanatismo religioso, soprattutto islamico. Perché? La risposta è complessa e coinvolge storia, cultura, politica e psicologia. Certo, la maggioranza dei musulmani deplora il terrorismo. Gli estremisti rappresentano l’Islam come i fanatici del Ku Klux Klan, in America, con le loro croci infuocate e le idee di supremazia bianca rappresentano il Cristianesimo. Per nulla, appunto. Anche se, decise e chiare prese di posizione contro il terrorismo si fanno un po’ desiderare negli ambienti islamici. Ma forse il coraggio, se uno non ce l’ha non se lo può dare da solo. Ma è importante capire che come il terrorismo odierno viene in larga parte dal fanatismo religioso, solo il confronto con i veri fondamenti della religione potranno sconfiggerlo. Molto può fare un leader spirituale. Predicando la tolleranza, o viceversa fomentando l’odio. Non esiste la parola fondamentalismo nell’Islam. E’ una parola che nasce in ambiente protestante negli Stati Uniti agli inizi del secolo scorso. Oggi i gruppi radicali islamici odiano l’Occidente perché lo vedono come minaccia e un ostacolo a quella che essi chiamano khilafah, cioè l’espansione e la progressiva islamizzazione di tutto il mondo. Un mondo diviso in due partiti”. Il partito di Dio (l’Islam) e il partito del diavolo (l’Occidente), ma anche gli stessi fratelli islamici non radicali. Certo, sono in netta minoranza rispetto ai fedeli pacifici, ma possono fare molto male. La cosa che forse più ci sconvolge è che tutto questo sangue innocente viene fatto scorrere in nome di Dio. “Se Dio vorrà, ci saranno altri attacchi” hanno scritto i terroristi di Al Qaeda nella rivendicazione dell’attentato di Madrid. In realtà simili paranoie non sono una novità. I nazisti proclamavano “Gott mit uns”: “Dio è con noi”.

Quale dunque l’atteggiamento corretto che dovremmo avere? Vale la pena ricordare che per un cristiano Dio veglia continuamente sul mondo. E’ semplice, ma rassicurante. 1Cronache 29:11 Tua, Signore, è la grandezza, la potenza, la gloria, lo splendore e la maestà, perché tutto, nei cieli e sulla terra, è tuo. Signore, tuo è il regno; tu ti innalzi sovrano su ogni cosa. 2Timoteo 1:7 Dio infatti non ci ha dato uno Spirito di timidezza, ma di forza, di amore e di saggezza. 1Maccabei 2:62 Non abbiate paura delle parole dell’empio, perché la sua gloria andrà a finire ai rifiuti e ai vermi; Matteo 10:28 E non abbiate paura di quelli che uccidono il corpo, ma non hanno potere di uccidere l’anima; temete piuttosto colui che ha il potere di far perire e l’anima e il corpo nella Geenna. 1Pietro 3:12 perché gli occhi del Signore sono sopra i giusti e le sue orecchie sono attente alle loro preghiere; ma il volto del Signore è contro coloro che fanno il male. 1Pietro 5:6-7 Umiliatevi dunque sotto la potente mano di Dio, perché vi esalti al tempo opportuno, gettando in lui ogni vostra preoccupazione, perché egli ha cura di voi.

“Ecco, grido contro la violenza, ma non ho risposta, chiedo aiuto, ma non c’è giustizia!” (Giobbe 19,7)

Perché dunque il male? Abbiamo delle colpe? Perché Dio permette simili orrori? S. Agostino scriveva: “Dio non permetterebbe il male se non fosse abbastanza potente da trarne un bene”. Ma l’obiezione di Ivan Karamazov, nel celebre romanzo di Dostojewski, resta per molti il più grande ostacolo alla fede in un Dio d’amore: ci si può fidare di Dio in un mondo dove i bambini muoiono dilaniati da bombe collocate nel suo nome? Se Dio è buono come può permettere la sofferenza degli innocenti?  Testimone della ricerca spirituale lungo i secoli, la Bibbia stessa è alle prese con questa domanda. I salmi ci presentano lo smarrimento dei fedeli di fronte alla felicità dei malvagi e all’infelicità dei giusti: “Invano dunque ho conservato puro il mio cuore e ho lavato nell’innocenza le mie mani,  poiché sono colpito tutto il giorno, e la mia pena si rinnova ogni mattina… Ma io a te, Signore, grido aiuto, e al mattino giunge a te la mia preghiera. Perché, Signore, mi respingi, perché mi nascondi il tuo volto?” (Salmi 72,13-14 ; 87,14-15). Il primo innocente che incontriamo nelle pagine della Bibbia è Abele, ingiustamente ucciso da suo fratello Caino. Nella Bibbia il sangue è la vita e questa vita annientata dalla malvagità umana ritrova paradossalmente una voce. Il suo grido giunge fino a Dio e provoca il suo intervento. Questa stessa dinamica è presente nella storia della salvezza nel racconto dell’Esodo. Quel che fa scendere Dio sulla terra non è qualche atto di prodezza o di dedizione da parte degli uomini, ma piuttosto il grido che nasce dalla  loro oppressione. Con i profeti, si fa un ulteriore passo in avanti. Essi sperimentano nella loro carne che Dio, l’Innocente per eccellenza, è rifiutato da un popolo che si crede autosufficiente. Nel Nuovo Testamento, donando la sua vita fino in fondo, Gesù condivide la sorte di tutte le vittime innocenti e così assicura che la loro pena non è stata vana. Porta lel oro sofferenze all’interno della sua relazione col Padre, e noi abbiamo la certezza che questa sofferenza non va perduta. Essa porta alla scomparsa dell’antico ordine mondiale segnato dall’ingiustizia, e all’apparizione “di nuovi cieli e di una nuova terra, dove la giustizia abiterà” (2 Pietro 3,13).

Ecco la risposta definitiva  per un cristiano, Lungi dal tollerare anche solo per un momento la sofferenza degli innocenti, nel suo Figlio, Dio beve con noi quel calice amaro e così facendo lo trasforma in una coppa di benedizione per tutti. E a coloro che credendo di lodare Allah, come terroristi nel suo nome, lasciamo le parole del Corano:

“Hai ucciso un incolpevole, senza ragione di giustizia? Hai certo commesso un’azione orribile”. (Sura XVIII,74).

Giorgio Nadali


La Rabbia Saudita e il fondamentalismo soprannaturale

L’attivista per i diritti umani Joel Richardson osserva: «I musulmani in Occidente si riferiscono all’Islàm come Religione della pace, tuttavia questa è responsabile di oltre il 90% dei conflitti mondiali. Vi sono circa quattrocento gruppi terroristici riconosciuti nel mondo.

In Arabia Saudita il culto pubblico non Islamico è proibito, col rischio di arresto, reclusione, fustigazione, deportazione, e talvolta tortura. La maggioranza dei cristiani è espatriato: è generalmente consentito il culto privato, ma alcuni sono stati arrestati, minacciati di morte e obbligati a nascondersi. Recentemente, vi è stato un aumento nel numero di arresti. La maggioranza dei cristiani sauditi deve tenere segreta la loro fede per non rischiare l’omicidio per onore – cioè qualsiasi musulmano potrebbe ucciderli senza incorrere in sanzioni legali. Almeno uno di questi è avvenuto con certezza nel 2008. 543.000 è il numero di cristiani che vivono nel Paese.

Bushra Haik è nata a Bologna. 31 anni. Famiglia siriana. Recluta via Internet terroristi per l’Isis. Vive a Riad, la capitale dell’Arabia Saudita, dove si è trasferita nel 2012.

Oltre il 90% di questi sono gruppi radicali Islamici terroristici. Oltre il 90% dei conflitti nel mondo coinvolge movimenti terroristici Islamici. L’obiettivo degli apologeti musulmani moderati è quello di evidenziare come i gruppi radicali terroristici non si comportino da veri musulmani. Non ho dubbi che molti musulmani moderati disdegnino fortemente l’atteggiamento omicida di molti gruppi terroristici, ma questi stanno portando avanti un aspetto legittimo dell’Islàm definito da testi Islamici, studiosi e rappresentanti dell’Islàm. Si comportano in modo Islamico. Si comportano come Maometto e i suoi successori. Spesso viene detto che i terroristi hanno deformato l’Islàm. A giudicare da ciò che l’Islàm realmente insegna, sono i cosiddetti moderati musulmani che mal rappresentano i veri insegnamenti dell’Islàm.

Quando guardiamo ai tassi di crescita dell’Islàm combinati con il concetto di jihad e la crescita della sua popolarità nelle sue forme più radicali, addirittura in Occidente, il concetto di un futuro dittatore islamofascista mondiale diventa una possibilità reale. Basandoci solo sulle tendenze e le statistiche non è difficile prevedere la possibilità di questa realtà in questo secolo. La Bibbia insegna che in futuro un uomo sorgerà col solo scopo di ottenere una dominazione mondiale attraverso il suo impero militare-religioso. L’Islàm ha questo stesso obiettivo inerente nella gran parte della sua dottrina. E oggi che sentiamo la chiamata al jihad ancora più forte da parte dei leader musulmani radicali in tutto il mondo, l’Islàm si muove in direzione di realizzare questo scopo».

Purtroppo questa inquietante previsione di Richardson ha un nome ben definito nella dottrina islamica. Si chiama khilafah, il califfato mondiale. I Fratelli Musulmani sostengono l’unità pan islamica e l’implementazione della legge islamica. Il fondatore Hassan al-Banna ha scritto riguardo alla restaurazione del califfato. Lo scrittore egiziano Sayyd Qutb, ispiratore di Osama bin Laden trasformò i Fratelli Musulmani (nati originalmente come movimento pacifico fondamentalista) e ispirò i primi movimenti terroristici, tra cui Hamas in Libano. Il motto è: «Allah è il nostro scopo. Il Profeta è il nostro capo.

Il Corano è la nostra Legge. La Guerra Santa è il nostro strumento. Morire in nome di Allah è la nostra speranza più grande». Al-Qaeda, l’organizzazione terroristica fondata da Osama bin Laden ha tra gli obiettivi chiaramente dichiarati la restaurazione di un Grande Califfato Mondiale. Il defunto leader Osama Bin Laden aveva invitato i musulmani a «stabilire il giusto califfato della nostra umma [il mondo Islamico]». Un manuale riguardante le istruzioni per il Grande Califfato Mondiale e la restaurazione del Grande Califfato dell’impero Ottomano (abolito in Turchia il 3 marzo 1924) è entrato in possesso della CIA nel 1996.

Nel mondo vi sono sette Paesi teocratici. Tutti Islamici. Arabia Saudita, Iran, Pakistam ,Afghanistan, Yemen, Nigeria, Sudan. In questi Paesi qualsiasi peccato è sanzionato legalmente, sino alla pena di morte, come ad esempio l’omosessualità.

Ai non musulmani (kafirun) è proibito entrare nelle città sante di Mecca e Medina. Le immagini di quelle città sono state eseguite da fotografi e cineoperatori musulmani. Alla polizia religiosa il compito di vigilare anche su queste disposizioni. La polizia Muṭawwiʿiyyah ha recentemente anche sanzionato i regali di San Valentino. L’11 marzo 2012 ha proibito alle alunne di una scuola della Mecca di scappare dall’incendio della loro scuola perché non erano velate, non indossavano la abaya (tunica nera) e non erano accompagnate da un tutore maschio. Nell’incendio sono morte quindici alunne e cinquanta sono rimaste ferite.

Giorgio Nadali


Non solo ISIS. In aumento talebani e bigotti di casa nostra

Per trovare fanatici religiosi non bisogna guardare lontano, magari nelle terre dello cosiddetto stato islamico dell’ISIS. Sono in casa nostra, soprattutto tra i cattolici. Sono coloro che sentono di avere la verità in tasca e si permettono di giudicare gli altri. Per questi farisei moderni valgono le parole del Vangelo: «Guai anche a voi, dottori della legge, che caricate gli uomini di pesi insopportabili, e quei pesi voi non li toccate nemmeno con un dito!». L’incoerenza è di casa partendo dai vertici della chiesa. Parlano di povertà perché pensano che Dio ci voglia tutti poveri e sfigati, ma poi si scoprono ogni giorno scandali legati all’accumulo di ingenti ricchezze: aprlo di castità intendendola come sessuofobia e la pedofilia clericale dilaga. Tra i fedeli il moderno fariseo è pronto a guardare la pagliuzza nell’occhio del fratello e a non vedere la trave che è nel suo. L’opposto dell’insegnamento evangelico (Luca 6,42). Una chiesa sempre più vecchia (sia tra i vertici, sia tra i frequentatori) che dell’anziano inacidito ha tipicamente invidia di chi ha successo o che si discosta in apparenza da valori che neppure loro seguono. Come dire, la vecchietta che va a Messa e poi sparla ai quattro venti dei vicini o si sente giusta perchè si gloria di pratiche devozionali ossessive, meccaniche e ripetitive. Insomma, religiosità ipomaniaca. Non solo ISIS…

Sigmund Freud considerava la religione una nevrosi collettiva. Una nevrosi è un «disturbo psichico senza causa organica, i cui sintomi i cui sintomi sono interpretati dalla psicoanalisi come espressione simbolica di un conflitto che ha le sue radici nella storia del soggetto e che costituisce un compromesso tra il desiderio e la difesa». Su posizioni diametralmente opposte si pone Carl Gustav Jung che chiama «Sé il rappresentante psicologico dell’immagine di Dio e concepisce il Sé come principio ordinatore della personalità che ne presiede il senso e la configurazione». Nel fanatismo religioso «le pratiche religiose non sono un mezzo per entrare in rapporto con Dio, ma soltanto una fuga nel comportamento gregario per evadere dall’isolamento, un ripiego difensivo per il bisogno di uno pseudo contatto reintegrativo quale surrogato di un rapporto affettivo autentico che non si è potuto realizzare. La ricerca dell’accettazione da parte della divinità è cioè un tentativo per compensare la non accettazione da parte degli uomini». Occorre chiarire. Non per dare la caccia al fanatico o per dare etichette offensive, ma per saper cogliere la differenza tra una fede che porta giovamento a sé e agli altri che s’incontrano, da una religiosità malata, che fa ripiegare su se stessi e non porta alcun giovamento agli altri, se non addirittura dei danni, come nel caso del fondamentalismo violento. La necessità di capire porta a non temere l’altro e a non discriminarlo.

Chi è il fanatico religioso?

Due sono gli aspetti del fanatismo religioso. Il primo è quello psicologico. Nel fanatismo religioso manca l’umiltà. Ci si sente migliore degli altri (di chi non crede o di non ha la nostra stessa fede). Si rivendica una “linea diretta” con Dio. È una religiosità segnata da eccessiva ambizione morale, dal desiderio assoluto di convertire gli altri. Non è quindi la fede, ma un conflitto psicologico che ha risvolti nella credenza religiosa. Tuttavia occorre avere un criterio oggettivo per non cadere nei pregiudizi. Ciò che per alcuni sembra fanatismo religioso ad altri è semplicemente l’espressione di una fede profonda. Si chiama religiosità ipomaniaca. In altri casi vi è un indottrinamento di correnti religiose che porta a un progressivo cambiamento verso una personalità rigida, in cui il testo sacro diventa la norma assoluta per il proprio vissuto e per quello degli altri. Perciò si entra nella logica ideologica, uscendo da quella spirituale. O con noi o contro di noi. E chi non è con noi o va convertito oppure – nei casi di fanatismo estremista – va eleminato. Mancano quindi l’umiltà e la tolleranza che costituiscono i più grandi deterrenti al fanatismo religioso. Da un punto di vista sociale non si può essere umili e anche fanatici religiosi. Il fanatico religioso si sente protagonista, anche se è chiuso nella cella di un monastero. Certe forme di annullamento di sé e di mortificazione personale non hanno nulla a che fare con l’umiltà. La penitenza, almeno nell’esperienza cristiana, è il riconoscimento dell’amore di Dio. Non si fa penitenza per farsi amare, ma per amore. Se manca l’umiltà il fanatico religioso può pagare decime e digiunare due volte la settimana inutilmente (Luca 18,9-14). La mancanza di umiltà e di gioia portano al fanatismo religioso. «Questo vi ho detto perché la mia gioia sia in voi e la vostra gioia sia piena» (Giovanni 15,11).
La “tristizìa” era un vizio capitale nel Medio Evo cristiano. Chi è gioioso e gode della vita con umiltà, non può essere un fanatico religioso. Un secondo aspetto è quello ideologico e sociale. Ci si “ammala” di fanatismo religioso quando si entra in contatto o addirittura si viene educati in una corrente di pensiero fondamentalista (cristiana, Islamica, ebraica, induista, ecc.) che non tollera in confronto con la diversità dottrinale e morale dell’altro. In questa visione l’altro non è un diverso, uno che mi è antipatico e nemmeno un semplice avversario. È un nemico. Quello del fanatismo religioso (la religiosità ipomaniaca) non è una fede che nasce dall’amore, ma dall’ideologia o da un Io malato, in termini psicanalitici. «Risulta chiaro così che la fede non è intransigente, ma cresce nella convivenza che rispetta l’altro. Il credente non è arrogante; al contrario, la verità lo fa umile, sapendo che, più che possederla noi, è essa che ci abbraccia e ci possiede. Lungi dall’irrigidirci, la sicurezza della fede ci mette in cammino, e rende possibile la testimonianza e il dialogo con tutti».
Nelle moschee afghane invece i bambini imparano sistematicamente ad odiare: «Dio dice che non possiamo mai essere amici degli infedeli. Cosa sanno della nostra religione? Non potremo mai essere amici». In Pakistan il 70% degli studenti impara a odiare cristiani, indù ed ebrei. «L’induismo è basato su ingiustizia e crudeltà» è scritto in un testo scolastico. In un altro è scritto: «Tutti i Paesi cristiani si sono uniti contro I musulmani e hanno inviato grandi eserciti per attaccare la città santa di Gerusalemme. Le guerre sono causate dai cristiani perché il papa, un capo dei cristiani, ha indetto un concilio di guerra. In questo ha detto che Gesù Cristo ha sanzionato la guerra contro i musulmani».

Talebani di casa nostra

Razza di vipere. Sepolcri imbiancati. Così li chiamava Cristo. Insomma, stiamo parlando dei Farisei. Quelli della nota setta contemporanea di Gesù Cristo si facevano chiamare farishà, “i puri”. A volte ritornano. E poiché oggi il corrispondente moderno di “fariseo” è “talebano”, qualche collega giornalista ha già rinominato “talebani cattolici” i fanatici religiosi che appartengono alla più grande Chiesa cristiana.

I talebani – quelli veri – sono gli studenti coranici che ideologicamente vogliono fondere la legge Islamica (sharia) con il codice d’onore (pashtunwali) del popolo Pashtun (Afghanistan e Pakistan). Tālib significa studente. Noto è il loro radicalismo estremo. Vietano musica, film, televisione, e l’istruzione per le donne. Le finestre delle case vanno oscurate perché nessuno possa vedere donne al loro interno. Il popolo Pashtun conta cinquanta milioni di persone e i talebani estendono violentemente quest’autorità anche alla popolazione afghana, a stragrande maggioranza non Pashtun. Il loro regime è rimasto in carica ufficialmente dal 1996 al 2001, ma dal 2004 a oggi gli insorti continuano a imporre la loro visione radicale alle popolazioni locali, contrastati solo dalle forze militari alleate, compresa quella italiana. Nessun regime al mondo è stato così violento contro le donne come quello talebano. Virtualmente tutte le donne erano confinate in casa e la polizia religiosa talebana vigilava su questa disposizione fucilando in piazza con un colpo alla nuca i trasgressori (e soprattutto le trasgreditrici). Inoltre i divieti comprendono: carne di maiale, parabole satellitari, danzare, applaudire, aquiloni, bambole e pupazzi, smalto per le unghie, cinema, strumenti musicali, scacchi, alcol, fuochi d’artificio, statue, fotografie e qualsiasi cosa legata al sesso. Divieto di lavoro, educazione e sport per tutte le donne. I talebani sono stati criticati perché molte delle loro regole non sono presenti nel Corano e nella sharia, la legge Islamica. I talebani sono dei salafi-takfir. Giudicano cioè chi è un vero musulmano oppure un musulmano apostata infedele (kafir). In realtà l’unica autorità Islamica che potrebbe farlo è un ulema. Dal 2010 l’ONU ha chiesto di eliminare i nomi dei capi talebani dalla lista dei terroristi. E all’ONU ha parlato nel luglio 2013 Malala Yousafzai, nata nel 1997. La più giovane candidata al Premio Nobel per la pace. Malala era stata ferita gravemente con colpi di arma da fuoco alla testa dai talebani nell’ottobre 2012 a Mingora (Pakistan) su un pullman scolastico perché ritenuta simbolo dell’oscenità degli infedeli. La sua colpa: desiderare per sé e per le donne il diritto all’istruzione e per aver denunciato su di un blog le atrocità commesse dei talebani nella valle dello Swat, liberata solo nel 2009.

I “talebani cattolici” sono invece dei fanatici religiosi che, credendo di fare un gran servizio alla già disastrata immagine della Chiesa, se la prendono anche loro con le donne. È noto il fatto di cronaca del parroco di Lerici (SP) del Natale 2012. Un bel volantino affisso sul portone di una chiesa. Nessuna tesi di luterana memoria per invitare la Chiesa a essere più evangelica. No, solo una tesi per allontanare ancora di più coloro che di essa non vogliono più sapere. Eccola. Le donne sono colpevoli della violenza che nel 2012 ha mandato al cimitero un centinaio di loro e all’ospedale diverse centinaia. Il femminicidio è causato dalle loro provocazioni. Il fariseo più famoso della storia – San Paolo – ha sì detto «nelle assemblee la donna taccia» (1 Corinzi 14,34), ma anche detto «non vi è più giudeo, né greco, né uomo né donna», e secondo i biblisti la prima frase è stata aggiunta. L’Apostolo delle genti, che sempre difendeva le donne, non ne avrebbe colpa. Non tutti hanno la presenza di spirito per comprendere che il fanatismo si annida ovunque, anche tra gli atei. Ad esempio, un conto è essere ateo, un altro è essere laicista o anticlericale.

Questi individui non sono fanatici perché sono cattolici. Sono fanatici perché soffrono di una “religiosità ipomaniaca”. E per disgrazia della chiesa, sono pure cattolici. Non rappresentano nessuno se non il loro disturbo. La religiosità ipomaniaca è quella – nelle religioni – di chi si sente detentore della verità e rivendica una linea diretta con Dio, al quale deve sempre dimostrare quanto sia un vero credente migliore degli altri… Suona familiare? No? È la parabola del fariseo e del pubblicano, che Gesù racconta nel Vangelo di Matteo. Nella parabola chi andò a casa giustificato? Il superbo fariseo che osservava tutte le prescrizioni della Legge di Mosè e presentava il conto a Dio, oppure l’umile pubblicano che si batteva il petto in fondo al tempio? Moralismo, non morale. Morale rabbinica, non morale paolina. La morale rabbinica non tiene conto della vittima; è interessata più alla legge che alla persona. La morale paolina (del fariseo convertito San Paolo) è attenta ai valori e alla persona, prima ancora delle norme morali. Ergersi a difensori della morale, mancando gravemente di attenzione a chi è vittima della violenza è tipico del fanatismo religioso. La donna si cerca la violenza perché è provocante. A tanto non è arrivato neanche Siddartha Gautama (il primo Buddha storico e fondatore del Buddhismo). Pochi sanno che scrisse: «Io non conosco, o monaci, altra forma che sia così attraente, così eccitante, così inebriante, così avvincente, così seducente così contraria alla vita serena, come proprio la forma della donna».
Controverse sono varie affermazioni del direttore di Radio Maria, Padre Livio Fanzaga. Eccone alcune: «Chi ci salva dalla cattiveria? Non certamente la scienza!» (Radio Maria, 2 luglio 2010), «La laicità è la moglie del demonio». (Commento alla stampa del giorno, Radio Maria, 2 ottobre 2008), «Il nuovo presidente della RAI è un giornalista di Repubblica… Se vuoi togliere il diavolo di torno accendi Radio Maria 24 ore al giorno». (Commento alla stampa del giorno, Radio Maria, 24 marzo 2009). Sui docenti dell’Università la Sapienza di Roma: «Se tu vai lì con quella gente lì e li spruzzi di acqua santa, esce fuori il fuoco… fumano! Se li spruzzi di acqua santa fumano, quella gente lì fuma! Fuori va il fumo, capito? Come avviene negli esorcismi più tremendi». Sui non credenti: «Io gli atei li avrei fatti tutti a fette! […] Passavo in questa via di atei e pensavo: se fossi il Padre Eterno li sterminerei tutti!-Ahahahah».

All’opposto di quest’atteggiamento talebano vi è quello di papa Francesco che ha voluto incontrare il non credente direttore di «Repubblica» Eugenio Scalfari il 24 settembre 2013. Il pontefice ha preso personalmente un appuntamento col giornalista e ha voluto intavolare un dialogo con un significativo rappresentante di quella parte dell’opinione pubblica più lontana e critica verso la Chiesa cattolica.

Claudio Rendina – ha scritto: «Il presbitero scolopio Livio Fanzaga, direttore di Radio Maria, all’indomani del terremoto abbattutosi in Abruzzo il 6 aprile 2009 si è sentito in dovere di annunciare dai microfoni dell’emittente radiofonica cattolica di Como che quell’evento sismico non è altro che “una manifestazione della volontà divina mirata”. La spiegazione, nella sua banalità, è peraltro una indicazione esatta del rapporto che la Chiesa ha con la scienza». Naturalmente non è questo il rapporto (contemporaneo) della chiesa cattolica con la scienza, e tantomeno – per fortuna – il rapporto della «volontà divina mirata» con i disastri naturali. Ma come giustificare simili affermazioni ad un non credente?

Se non fossimo gentiluomini verrebbe proprio da dire ai talebani nostrani: «Mai i cazzi vostri mai, eh?». Noblesse oblige!

Giorgio Nadali