Musica e fede

Nel 1589, con la bolla Cum pro nostri temporali munere, papa Sisto V riorganizzò il coro di S. Pietro allo scopo di ammettere castrati nelle sue fila, e nel 1599 i primi due – Pietro Paolo Folignato e Girolamo Rossini – vennero ammessi nel coro della Cappella Sistina, la cappella privata del papa (sebbene non sia da escludere che già da prima, dietro l’eufemismo di “falsettisti”, si celassero dei castrati, come Padre Soto, ammesso nel 1562). L’impiego dei castrati rimpiazzava quello delle voci bianche (che rimanevano tali solo per pochi anni) e dei falsettisti, dalle voci più deboli e meno affidabili; le donne non erano ammesse a cantare in chiesa, secondo anche quanto afferma il detto paolino mulier taceat in ecclesia («la donna taccia in chiesa») (1 Corinzi, 14,34). Nel 1700 la castrazione era un business: con il diffondersi dei cori polifonici, si aveva un sempre maggiore bisogno di voci bianche. Dato che una bolla pontificia vietava l’inserimento delle donne, si preferiva castrare i bambini (di circa otto-dieci anni) per far sì che mantenessero la capacità di cantare con voce femminile. Asportando chirurgicamente i testicoli, la mancata produzione di testosterone (che allarga laringe e faringe durante la pubertà) faceva sì che la voce mantenesse quel timbro anche da adulti. Ogni anno circa cinquemila ragazzi europei venivano castrati, soprattutto in Italia. Il medico fiorentino Antonio Santarelli, specialista in castrazioni, era tra i chirurghi meglio pagati dell’epoca. Il più celebre dei cantanti castrati è stato Carlo Broschi in arte Farinelli. L’ultimo grande castrato fu Giovanni Battista Velluti (1781-1861), che interpretò l’ultimo ruolo operistico scritto per un castrato: il ruolo di Armando ne «Il crociato in Egitto di Meyerbeer» (Venezia, 1824).

Poco dopo furono rimpiazzati come primi uomini dal nuovo tipo di tenore eroico incarnato dal francese Gilbert-Louis Duprez. Nel 1878, papa Leone XIII proibì l’ingaggio di castrati da parte della Chiesa; solo nella Cappella Sistina e in altre basiliche papali il loro impiego sopravvisse ancora per qualche anno: una foto di gruppo del coro della Sistina del 1898 mostra che all’epoca ne rimanevano sei (più il Direttore Perpetuo, il soprano Domenico Mustafà), e nel 1902 Leone XIII ribadì il suo divieto. La fine ufficiale per i castrati venne il 22 novembre 1903, quando il nuovo papa, Pio X, promulgò un motu proprio sulla musica sacra, Tra le sollecitudini, in cui si legge: «Se dunque si vogliono adoperare le voci acute dei soprani e contralti, queste dovranno essere sostenute dai fanciulli, secondo l’uso antichissimo della Chiesa». L’ultimo castrato della Sistina fu Alessandro Moreschi (1858-1922), l’unico castrato ad avere eseguito registrazioni. Su Moreschi le opinioni dei critici musicali divergono, alcuni lo considerano di livello mediocre e ritengono che le registrazioni abbiano un interesse puramente storico, come documentazione della voce di un castrato, altri lo giudicano un buon cantante, relativamente alla pratica e ai gusti del suo tempo.

Moreschi si ritirò ufficialmente nel 1913 e morì nel 1922. Il coinvolgimento della Chiesa Cattolica nel fenomeno dei castrati è stato a lungo fonte di polemiche, e recentemente vi sono state richieste di scuse ufficiali. In effetti, già nel 1748 papa Benedetto XIV aveva tentato di bandire i castrati dalle chiese, ma la loro popolarità all’epoca era tale che un provvedimento simile avrebbe avuto come risultato un drastico calo nella frequentazione delle chiese. «Chant» è un nuovo album di Canti Gregoriani registrato dai Monaci dell’Abbazia Cistercense di Stift Heiligenkreuz a Vienna, ritenuti attualmente i più eccelsi interpreti di questo repertorio oltre che cantori prediletti dal papa emerito Benedetto XVI. Mentre loro scalano le hit parade inglesi con un album dal titolo «Music for Paradise», Fratello Metallo, alias Frate Cesare Bonizzi – classe 1946 – si esibisce sul palco del Gods of Metal, una delle più importanti manifestazioni a livello internazionale dedicata alla musica heavy metal, al fianco di gente del calibro dei Judas Priest o Yngwie Malmsteen. Fratello Metallo è un frate Cappuccino minore al convento di Musocco (Milano) dal 1983. Nel 1990, assistendo ad un concerto dei Metallica, decise che Dio e l’heavy metal non sono inconciliabili. Ed è così che nel 2008 ha presentato, live, i brani dal suo ultimo e sedicesimo album “Misteri”. Un trio di preti che fatto successo con la musica è quello composto dagli irlandesi Padre Eugene, Padre Martin O’Hagan (suo fratello) e Padre David Delargy. Il Guinness dei Primati ha classificato un loro brano come il pezzo classico che ha venduto più velocemente in tutta la storia musicale della Gran Bretagna. Nel novembre 2009 è uscito il secondo album dei The Priests dal titolo Harmony. Erano compagni di scuola e iniziarono cantando per la prima volta insieme all’età di dodici anni. La loro passione per il canto continuò durante gli studi sacerdotali a Roma. Divenuti preti, tutti e tre incominciarono a dedicarsi ai rispettivi impegni parrocchiali senza però tralasciare il canto, che rientrava sia nella preghiera sia nel tempo libero quando si esibivano in opere, musical e cori locali. Da quando hanno firmato il contratto con la Sony Music nel 2008, The Priests hanno uno strepitoso successo a livello mondiale.[1] Il canto di chiesa più diffuso ed eseguito al mondo è Amazing Grace («Meravigliosa grazia») dell’inglese John Henry Newton (1725-1807). La musica è un canto di disperazione degli schiavi trasportati dalle navi che Newton comandava prima della sua conversione. Il brano è stato interpretato da moltissimi musicisti, tra cui KC and the Sunshine Band (anche dal vivo), Rod Stewart (sull’album «Every Picture Tells a Story») e Joan Baez. La versione più accreditata per una voce femminile è quella della regina del Soul, Aretha Franklin, registrata live in un suo album gospel chiamato proprio Amazing Grace. Il Guardiano del Faro ne ha realizzata una versione strumentale, intitolandola «Il gabbiano infelice», mentre i «Ricchi e Poveri» l’hanno incisa con un testo in italiano e il titolo «Amici miei».

Niente musica per gli Amish, la setta fondamentalista cristiana. Gli strumenti musicali sono proibiti perché sono contrari allo spirito di umiltà (glassenheit) e accendono emozioni.

Secondo la regola della kol isha non è consentito agli uomini ebrei ortodossi ascoltare il canto singolo di una voce femminile, tranne che nelle voci miste degli inni ebraici (zemirot). Il motivo che quella voce (arev) è associata alla nudità (ervah) nel Cantico dei Cantici (2,14).[2] Il dibattito è in corso tra le autorità religiose ebraiche (poskim) sul consentire l’ascolto di voci femminili registrate in cui non si conosca la donna che canta e l’uomo veda la fotografia della cantante.

Per l’Islàm è haram (proibito) lavorare come commesso in un negozio che vende strumenti musicali. È consentito vendere uno strumento per le sue parti, tale da averlo fuso, ecc. È haram vendere qualsiasi strumento musicale, perché equivale ad aiutare qualcuno a commettere il peccato di suonarlo. Strano perché proprio dai Paesi Islamici giunsero in occidente la chitarra e la viola.[3] È haram essere un musicista. Al-Baghawi ha dichiarato in una fatwa che è haram vendere tutti i tipi di strumenti musicali come mandolini, flauti, ecc Poi disse: Se le immagini vengono cancellate e gli strumenti musicali sono alterati, allora è lecito vendere le loro parti, d’argento, ferro, legno o qualsiasi altra cosa. (Sharh al-Sunnah, 8/28) Shaykh Ibn Taymiyah disse: Il Profeta ha permesso alcuni tipi di strumenti musicali in occasione di matrimoni e simili, e ha consentito alle donne a suonare il daff (tamburello) a matrimoni e in altre occasioni gioiose. In generale, si tratta di un principio ben noto della religione Islamica che il Profeta non abbia prescritto che gli uomini giusti, fedeli devoti e asceti di questa Ummah (comunità) possano radunarsi per ascoltare versi di poesia cantata con l’accompagnamento di battimani, legnetti o daffs. Non è lecito a nessuno di andare oltre i limiti dell’Islàm e seguire qualcosa di diverso da quello che è stato narrato nel Corano e nella Sunnah (tradizione). Ma il Profeta con una concessione per alcuni tipi di intrattenimento in occasione di matrimoni e simili, e ha anche ottenuto la concessione alle donne permettendo loro di battere il daff ai matrimoni e altre occasioni gioiose. Ma per quanto riguarda gli uomini, a nessuno di loro è concesso battere i daff o battere le mani, anzi è stato dimostrato al-Sahih disse: “Battere le mani è per le donne, e il Tasbeeh (usare il rosario Islamico) è per gli uomini” e ha maledetto le donne che imitano gli uomini e gli uomini che imitano le donne. Perché cantare, battere il daff e battere le mani sono azioni da donne. La Salaf (i pii antenati) chiamava un uomo che ha fatto questo un mukhannath (effeminato), e chiamavano i cantanti maschi makhaaneeth (pl. di mukhannath).

Lo suizen è una pratica Zen per raggiungere la realizzazione personale attraverso il suonare un flauto dritto di bambù chiamato shakuhachi. I taoisti usano uno strumento musicale chiamato “Pesce di legno” (muyu) per scandire la recitazione delle scritture. È usato insieme alla campana invertita (qing) perché la parola cinese “campana” ha lo stesso suono di “sveglia” e il termine “pesce di legno” ha lo stesso suono di “illuminazione”. Ecco perché il testo sacro «I segreti essenziali dell’Altissimo» dice che «Il pesce di legno e la campana pura svegliano l’universo». Nell’Ebraismo le melodie di preghiera – note come nusah– differiscono da comunità a comunità. Gli  Askenazim (ebrei di discendenza europea orientale) utilizzano una musica di preghiera molto differente rispetto ai Sefarditi (ebrei di origine spagnola). E anche all’interno di tali categorie di ashkenaziti e sefarditi, si possono trovare numerose varianti geografiche di nusah. L’utilizzo corretto di nusah garantisce permette a un ebreo di dormire per vent’anni e identificare il servizio che l’ha svegliato solo da suoi motivi musicali.

Nel Buddhismo tibetano il dungchen è un lungo corno suonato in genere da una coppia di monaci. Produce un suono molto basso caratteristico. I monaci buddhisti tibetani riescono a emettere un suono polifonico di più voci proveniente da un solo individuo, mettendo in risonanza le loro corde vocali con una tecnica chiamata fonazione ventricolare o canto difonico. Il canto buddhista tibetano è un sotto genere del canto mediante la gola. Diverse cerimonie usano questo tipo di canto. I diversi tipi di canto difonico tibetano sono il gyuke, con tono molto basso, lo dzoke e il gyer. Una tipica orchestra rituale buddhista tibetana comprende gli strumenti gyaling (il corno corto) dungchen (il corno lungo), kangling, lo strumento a fiato derivato da un femore o da una tibia umane oppure di legno. È meglio però il femore di un criminale o di una persona deceduta di morte violenta. Il suo suono serve per allontanare i demoni in rituali tantrici e ha lo stesso valore della recitazione dei mantra. Il kangling è usato solo nei rituali chöd[4] (che devono essere celebrati all’aperto) insieme al tamburello damaru chöd e alla campanella. Nel chöd tantrico chi suona il kangling motivato dalla compassione, lo fa come gesto di coraggio, per chiamare gli spiriti affamati e I demoni affinché essi possano soddisfare la loro fame e quindi lenire le sofferenze. Viene anche suonato per tagliare il proprio ego. Sì, ho scritto tagliare. Esiste anche uno speciale oggetto rituale per “tagliare” ritualmente il proprio ego. Si tratta della mezzaluna kartìka. Altri strumenti comprendono il dungkar (conchiglia), drillbu (campanelle), silnyen (cimbali verticali), e soprattutto il canto. Insieme la musica crea uno stato mentale per invitare o chiamare le divinità.

[1] Cfr.  G. NADALI, I monaci sugli alberi. E centinaia di altre cose curiose su Dio, la Bibbia, il Vaticano, Edizioni San Paolo, Cinisello Balsamo, 2010

[2] O mia colomba, che stai nelle fenditure della roccia, nei nascondigli dei dirupi, mostrami il tuo viso, fammi sentire la tua voce.

[3] G. MANDEL KHAN, Islàm, Mondadori Electa, Milano, 2006, p. 264

[4] È’ una scuola di pensiero buddhista tibetana centrata sul «tagliare il prorio ego». Usa oggetti rituali come la tromba kangling di osso umano, un tamburo damaru più grande di quello induista, pugnali rituali phurba e la kartika, pugnale ricurbo a mezzaluna per tagliare l’egoismo. Va usato insieme alla ciotola derivata da un teschio umano piena del nettare della saggezza.

Giorgio Nadali