I segreti della Santa Pasqua

di Giorgio Nadali

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Pasqua ebraica 2015 – 5 aprile (14 nisan 5775)

Il termine Pesach appare nella
Torah”. Dio annuncia al popolo di Israele, schiavo in Egitto, che lui lo
libererà, egli dice: “In questa notte io passerò attraverso l’Egitto e
colpirò a morte ogni primogenito egiziano, sia fra le genti che tra il
bestiame”

Prima dell’inizio della
festività gli ebrei eliminano da casa ogni minima traccia di lievito e
qualsiasi cibo che ne contenga (questo viene indicato con il termine chametz).
Questa tradizione viene chiamata “bedikat chametz”. Durante tutto il
periodo della festività non viene consumato cibo lievitato sostituendo il pane,
la pasta e i dolci con le “matzot” ed altri cibi appositamente
preparati.

I 15 comandamenti (miztvòt)  ebraici della
Pasqua

406-56P – Si mangi l’agnello pasquale durante
la notte stessa. – Es. 12:8

407-57P – Si macelli il secondo sacrificio di
Pesach nel 14 di Iyar. – Num. 9:2-11

408-58P – Si mangi l’agnello di Pesach con
pane azimo e erbe amare nella notte del 15 di Nisan. – Es. 12:8

409-116N – Non lasciare nulla del sacrificio
di Pesach sino alla mattina successiva. – Num. 9:11

410-125N – Non mangiare il pasto di Pesach
crudo o bollito. – Es. 12:9

411-123N – Non consumare il cibo pasquale al
di fuori dei confini della tua casa. – Es. 12:46

412-128N – L’apostata non mangi il pasto di
Pesach. – Es. 12:43

413-126N – Il lavoratore non ebreo assunto
permanentemente o stagionale non ne mangi. – Es. 12:45

414-127N – Il maschio non circonciso non ne
mangi. – Es. 12:48

415-121N – Non rompere alcun osso del
sacrificio di Pesach. – Es. 12:46

416-122N – Non rompere alcun osso neppure dal
secondo sacrificio di Pesach. – Num. 9:12

417-117N – Non lasciare avanzi del pasto di
Pesach sino alla mattina successiva. – Es. 12:10

418-119N – Non lasciare avanzi del pasto di
Pesach shenì (seconda occasione pasquale, a un mese lunare dalla prima) sino
alla mattina successiva. – Num. 9:12

419-118N – Non lasciare nulla delle offerte
festive del giorno 14 sino al giorno 16 (Nisan) – Deut. 16:4

420-53P – Visita il Tempio a Pesach, Shavuot e
Sukot. – Deut. 16:16

La Pesach è una festività felice che viene
solitamente trascorsa in famiglia. La prima notte, in particolare è la più
importante. Durante le prime due sere si usa consumare la cena seguendo un
ordine particolare di cibi e preghiere che prende il nome di seder, parola che
in ebraico significa per l’appunto ordine. Durante il quale si narra l’intera
storia del conflitto con il faraone , delle 10 piaghe e della fuga finale
seguendo il racconto della Haggadah di Pesach. Tradizionalmente è il bimbo più
piccolo della casa che chiede all’uomo più vecchio di raccontare cosa successe
allora, con una semplice domanda.

L’Afikomen
nascosto

Durante il seder vengono utilizzate
3 matzot che vengono tenute coperte da un panno. All’inizio della cena viene
spezzata in due pezzi quella di mezzo; il pezzo più piccolo viene rimesso tra
le due rimanenti, mentre il pezzo più grande viene utilizzato come Afikomen, (
l’ultimo pezzo di matzah che verrà consumata durante il pasto). Vi sono due
usanze riguardo l’afikomen, entrambe con lo scopo di tenere i bambini attenti
allo svolgersi della cerimonia. In entrambi i casi l’afikomen viene nascosta:
nel primo caso da uno dei bambini per poi essere cercata dagli adulti: nel caso
questi non la trovassero, devono pagare il bimbo per la sua restituzione.
L’altra usanza prevede, invece, che a nascondere l’afikomen siano gli adulti e
venga premiato il bambino che la ritrova.

Durante la cerimonia, un piatto, detto piatto
del Seder è parte centrale della cena. Il piatto del seder è di solito
decorato, ed ha dipinti tutti i principali simboli di Pesach. Al centro sono
poste tre Matzot per ricordare la concitata e precipitosa fuga dall’Egitto.
Attorno, nell’ordine, vi sono il karpas, solitamente un gambo di sedano che
ricorda la corrispondenza della festività di Pesach con la primavera e la
mietitura che, in epoca antica, era essa stessa occasione di festeggiamento; un
piatto di maror o erbe amare che rappresenta la durezza della schiavitù; una
zampa arrostita di capretto chiamata zeru’a: rappresenta l’offerta dell’agnello
presso il Tempio di Gerusalemme in occasione di Pesach, Shavuot e Sukkot; un
uovo sodo beitza in ricordo del lutto per la distruzione del Tempio, e infine
una sorta di marmellata preparata con frutta secca, noccioline, e vino chiamato
“haroset” che rappresenta la malta usata dagli ebrei durante la
schiavitù per la costruzione delle città di Pit’om e Ramses. Alcuni, specie nell’uso
italiano, aggiungono una seconda insalata, più dolce, come la lattuga.

La lettura dell’Haggadah inizia con un
ricordo, un brano in lingua caldaica. I bambini chiedono al padre quale sia il
significato di Pesach. I quattro fratelli rappresentano quattro tipi di Ebreo.
Il figlio saggio rappresenta l’ebreo osservante. Il figlio malvagio rappresenta
invece l’ebreo che rifiuta la sua eredità e la sua religione. Il figlio
semplice si riconosce nell’ebreo completamente indifferente. Il giovane,
invece, colui che non conosce della propria cultura e tradizione a sufficienza
per poter prendere parte alla discussione.

Poco dopo, vi è il ricordo delle dieci piaghe
inflitte da Dio all’Egitto per indurre il Faraone a lasciare liberi gli Ebrei,
e un esempio di pilpul, o discussione talmudica, in cui nell’interpretazione
rabbinica, le piaghe da dieci diventano quaranta, poi cinquanta, poi
addirittura duecento. Più avanti, si ripete la promessa millenaria.

La
Seder pasquale

Nel corso del seder vi è obbligo di bere
quattro bicchieri di vino, e quindi è naturale che, oltre ad essere composto da
diversi brani cantati, termini di solito con canti tradizionali. Nella
tradizione italiana, i canti sono in italiano, e si ricordano Had gadià, la
storia del capretto resa famosa da Angelo Branduardi in forma ridotta con il
titolo La fiera dell’est, e il conteggio, cantato, da uno a tredici, dove uno è
ovviamente Dio, fino a tredici attributi divini, passando per due Tavole della
Legge, tre Patriarchi, Quattro Madri di Israele, cinque libri della Torah, sei
libri della Mishnah, sette giorni della settimana, otto giorni della
circoncisione, nove mesi di gravidanza, dieci Comandamenti, undici
costellazioni e dodici tribù.

Pasqua cristiana 2015 – 5 aprile

I segreti della crocifissione e della croce

Purtroppo la crocifissione
esiste ancora. La più dolorosa tortura con pena di morte mi esistita. Amnesty
International ha denunciato 88 crocifissioni nel 2002 nella regione del Darfur,
in Sudan. «Il 13 agosto i ribelli sono entrati nella chiesa della mia
parroc¬chia ed hanno preso tante per¬sone in ostaggio. Mentre fug-givano nella
foresta, ne han¬no uccise sette: li hanno croci¬fissi agli alberi» – Così ha
dichiarato al Corriere della Sera il 16 ottobre 2009 Monsignor Hiiboro Kussala,
vescovo del¬la diocesi di Tombura Yam¬bio, nel Sud del Sudan. Anche i nazisti
usavano questa tortura nei campi di concentramento. La crocifissione era
conosciuta anche in Giappone. Il 2 febbraio del 1597 il famoso samurai Toyotomi
Hideyoshi ordinò la crocifissione di 6 giapponesi convertiti al Cristianesimo e
di 20 frati francescani. Portati da Kyoto e Osaka a Nagasaki per subire lo
stesso martirio di Cristo. Una chiesa sulle colline Nishizaka di Nagasaki
ricorda nei suoi mosaici i primi martiri cristiani in Giappone.

Il braccio orizzontale della
croce è il patibulum. Si suppone che Gesù Cristo abbia portato sulle spalle
solo il trave orizzontale del peso di 45 chili. Il braccio verticale era già
sul posto e si chiamava stipes. Inoltre è probabile che Cristo sia stato crocifisso
nei polsi, non nei palmi delle mani. Sono state ritrovate rarissime ossa di
persone crocifisse. Di solito i chiodo venivano riciclati e non rimaneva nulla
delle tracce del supplizio. Una reliquia del legno della Santa Croce è ospitata
nella cripta del Santuario di Maria Ausiliatrice a Torino. Le ossa più note di
una persona crocifissa sono di Johanan ben Ha-galgol, con un chiodo conficcato
nel tallone. Caso raro, lui fu ritrovato in un sarcofago nel giugno 1968 a
Giv’at ha-Mivtar a nordest di Gerusalemme (Israele). Un altro osso di Johanan
ben Ha-galgol dimostra che la crocifissione avveniva nel polso.

I chiodi erano lunghi 10 cm e larghi 1 cm alla
capocchia. I tre chiodi (due per le mani e uno per i piedi inchiodati insieme),
trovati ancora attaccati alla croce, sarebbero stati portati da Elena al figlio
Costantino: secondo la leggenda uno di essi venne montato sul suo elmo da
battaglia, da un altro invece fu ricavato un morso per il suo cavallo. Il terzo
chiodo, secondo la tradizione, è conservato nella chiesa di Santa Croce in
Gerusalemme a Roma. Il “Sacro Morso” invece, si trova nel Duomo di
Milano (inserito in una grande croce di rame dorato sopra il catino absidale,
ad un’altezza di 40 metri), dove il 14 settembre viene prelevato con un ascensore
a 4 posti con baldacchino rosso del 1600 a forma di nuvola con angeli
(“nivola”) dall’arcivescovo e portato in processione. Del chiodo montato
sull’elmo si sono perse le tracce; secondo una tradizione si trova oggi nella
Corona Ferrea, conservata nel Duomo di Monza. Vi è anche un quarto chiodo,
dalla tradizione più dubbia, che si troverebbe nella cattedrale di Colle Val
d’Elsa (SI).  (Cf. Giorgio Nadali –
“I monaci sugli alberi. E centinaia di altre cose curiose su Dio, la
Bibbia, il Vaticano”, Edizioni San Paolo, Cinisello Balsamo, 2010).

La
Pasqua cristiana

Uova
sacre

Un’antica leggenda legata a
Simone il Cireneo, l’uomo forzato a portare la croce di Cristo sulla strada
verso il Calvario (Mc 15,21), vuole che fosse un mercante di uova. Alla
risurrezione di Cristo, Simone trovò tutte le sue uova miracolosamente
colorate, in varie tinte.

Nel Cristianesimo ortodosso le
uova sono sacre – simbolo di risurrezione. La buccia rappresenta il sepolcro di
Gesù, mentre il bianco che è dentro l’uovo rappresenta la luce della
risurrezione, infatti il colore della Pasqua è quello della luce, e il bianco
dell’uovo è molto luminoso. La buccia rotta dell’uovo significa il sepolcro
aperto con l’uscita la luce della vita nella risurrezione, rappresentata
dall’albume, il bianco dell’uovo. Uova di legno sono dipinte come icone con
soggetti sacri e alcune sono molto preziose. Alcune hanno la scritta X B, che
in cirillico corrispondono alle lettere K e V – Christòs Vaskrìes, cioè “Cristo
è risorto”. Le più preziose sono le cinquantasette uova di Pasqua che sono
state realizzate per la corte dello zar di tutte le Russie ad opera del
gioelliere Peter Carl Fabergé fra il1885 ed il 1917, in oro, preziosi e
materiali pregiati, una per ciascun anno, all’approssimarsi della festività.
Fabergé ed i suoi orafi hanno progettato e costruito il primo uovo nel 1885.
L’uovo fu commissionato dallo zar Alessandro III di Russia, come sorpresa di
Pasqua per la moglie Maria Fyodorovna. L’uovo Fabergè del 1915 è chiamato uovo
con croce rossa e trittico, è stato regalato da Nicola II alla zarina Alexandra
Fyodorovna. E’ custodito al museo d’arte di Cleveland (USA). E’ sttao
realizzato in oro, argento, smalto e vetro.
La figura principale dipinta sull’uovo – alto 8,6 cm – È Gesù Cristo.
Dentro l’uovo, la scena centrale è la Discesa agli Inferi, la rappresentazione
Ortodossa della Risurrezione cioè Cristo che sveglia i morti dopo la
Risurrezione. Santa Olga, la fondatrice del Cristianesimo in Russia è
rappresentata sulla sinistra del trittico. La Santa martire Tatiana è sulla
destra. Le miniature interne sono state eseguite da Adrian Prachow
specializzato in icone. Il rimanenti due pannelli delle porte dele trittico
sono incisi col monogramma della corona dello zarina, e l’altro con l’anno
“1915.” Zar Nicholas, occupato in guerra no fu in grado di regalare
personalmente l’uovo allo zarina. Quello di maggior valore è l’uovo Birch del
valore di 3 milioni di dollari. E’ del 1917, custodito al museo nazionale russo
a Mosca.

Nelle chiese russo ortodosse viene
appeso un enorme uovo di legno laccato rosso al soffitto, durante la Pasqua e i
fedeli ricevono durante la messa delle uova sode dal prete. Altre uova sono
fatte benedire in chiesa nei giorni precedenti alla Pasqua, vengono colorate e
poi mangiate durante la festa. La pysanka ucraina è l’uovo decorato in casa.

Sulle uova un motivo spesso
presente è la chiesa. Le chiese stilizzate si possono trovare di frequente
sulle pysanky dell’Ucraina occidentale, specialmete nelle regioni di  Hutsul e Bukovyna; il disegno di un setaccio
disegnato all’interno simboleggia l’abilità della Chiesa di separare il bene
dal male.

Vi erano superstizioni per
quanto riguarda i colori e disegni sul pysanky. Un vecchio mito ucraino basato
sulla saggezza di regalare a persone anziane delel pysanky dipinte con colori
scuri e/o con ricchi elaborati, perché le lroro vite sono state già piene e
appaganti. Similmente è appropriato regalare a persone giovani delel pysanky
con predominanza di colore bianco perché la loro vita è ancora una pagina
bianca. Le ragazze donano spesso pysanky con disegni di cuori al loro
fidanzato. E’ stato detto tuttavia che un aragazza non dovrebbe mai donare al
suo ragazzo una pysanka senza un disegno in cima o in fondo all’uovo perché
questo significa che il fidanzato perderà i capelli.

Lo scopo di creare delle
pysanky era quello di trasmettere bontà dalal casa ai disegni e di scacciare il
male. Spiral e altri disegni vengono dpinti per intrappolare il male, e per
proteggere la famiglia e la casa da pericoli e mali.

Le croci sulle uova pysanky
sono molto comuni e la maggioranza di quelle dipinte non sono croci ortodosse.
Le croci più comunemente presenti sulle uova sono di tipo greco (con bracci di
uguale dimensione). Altri simboli religiosi adattatati sono il triangolo con un
cerchio in mezzo, l’occhio di Dio e uno noto come la “mano di Dio”.

Vi è anche un museo delle uova
pasquali pysanka. Costruito nel 2000 e aperto il 23 settembre dello stesso anno
a Kolomyia, cittadina dell’Ucraina occidentale. Precedentemente le uova del
museo erano ospitate in una chiesa della zona. Il museo espone oltre 10.000
uova pysanky. La parte centrale del museo è a forma di uovo pasquale ucraino
“pysanka”. E’ unico nel suo genere. Nel 2007 è stato eletto luogo simbolo
dell’Ucraina moderna.

Celebrazione

La celebrazione della Pasqua,
almeno sin dal Concilio di Nicea, non coincide esattamente con l’inizio della
celebrazione ebraica di Pesach. Secondo quanto si legge nel Vangelo di Giovanni
e da altri particolari della Passione, sembra che il giorno della morte di Gesù
sia corrisposto, per la maggioranza del popolo ebraico del tempo, a quello in
cui si immolava l’agnello e si celebrava (alla sera) il primo seder di Pesach,
e perciò al giorno ritenuto essere il 14 di Nissan. L’Ultima Cena consumata da
Gesù e dai suoi apostoli la sera del giorno precedente, secondo le modalità
proprie del seder di Pesach, la si comprende come una possibile anticipazione
del rito, propria di una parte del popolo ebraico del tempo (come ad esempio
gli esseni, per il cui calendario liturgico “solare” il 14 di Nissan
doveva cadere sempre di martedì) o come un’anticipazione voluta da Gesù stesso,
“non potendo celebrarla l’indomani se non nella sua persona sulla
croce” (Giuseppe Ricciotti). Inoltre in ambito cristiano, nella
celebrazione della Pasqua, si voleva dare maggiore risalto alla Risurrezione,
avvenuta il “primo giorno della settimana”, cioè la domenica
immediatamente successiva.

In lettere scambiate tra la Chiesa di Roma e
quelle d’Asia già nel II secolo, si rintraccia una disputa indicata come pasqua
quartodecimana. Le Chiese dell’Asia minore ritenevano che i cristiani dovessero
celebrare la Pasqua il 14 di Nissan in tono “penitenziale”,
ritenendola una tradizione risalente all’apostolo Giovanni, e dando così
maggiore risalto alla Passione e morte di Gesù. La Chiesa di Roma, invece,
aveva la tradizione di celebrare solennemente la Pasqua la domenica successiva
al 14 di Nissan, volendo in questo modo mettere maggiormente in risalto la
Risurrezione di Gesù.

Dalla “composizione” di questa
disputa prese origine l’attuale struttura del Triduo Pasquale.

La tradizione quartodecimana fu seguita da
alcune chiese fino a poco oltre il Concilio di Nicea, che stabilì il criterio
per la determinazione della data della Pasqua cristiana: essa doveva cadere la
domenica seguente il primo plenilunio successivo all’equinozio di primavera,
considerato corrispondente al giorno 21 di marzo. Il plenilunio non doveva
essere effettivamente osservato, ma individuato approssimativamente mediante il
calcolo dell’epatta, elaborato dal monaco Dionigi il Piccolo. In questo modo si
slegava la determinazione della data della Pasqua cristiana dalle osservazioni
dei fenomeni astronomici (effemeridi) e dalle regole del calendario lunisolare
ebraico, non ancora completamente fissate. Soltanto con Maimonide, infatti, si
stabilirono regole precise (ed indipendenti dall’osservazione dei fenomeni
astronomici) per quanto riguardava il ricorrere del capodanno, la durata dei
mesi e l’eventuale aggiunta del tredicesimo mese (we-adar)
“intercalare” all’anno ebraico (accorgimento necessario per
correggerne la differenza di durata rispetto all’anno tropico).

Anche la maggior parte dei
protestanti, con qualche differenza, celebra la Pasqua il giorno stabilito
seguendo le regole del Concilio di Nicea, invece di farla corrispondere al 14
di Nissan. Le Chiese ortodosse ed orientali celebrano tutte la Pasqua secondo
le regole stabilite a Nicea, anche se, non avendo aderito alla riforma
gregoriana del calendario e del metodo di calcolo dell’ epatta (epatta
“liliana”) (ad eccezione della Chiesa ortodossa finlandese), questa
finisce per cadere in giorni diversi da quello calcolato dai cattolici (di rito
latino) e protestanti.

In conseguenza delle regole stabilite a Nicea
(e della riforma “gregoriana” del calendario giuliano e dell’epatta)
insieme all’attuale forma del calendario ebraico (per opera di Maimonide), la
Pasqua cristiana cade circa nello stesso periodo di Pesach, sebbene venga fatta
coincidere sempre con la domenica. Nel caso in cui il primo plenilunio di
primavera (calcolato sempre approssimativamente con il metodo dell’epatta) cada
proprio di domenica, e che quindi, verosimilmente, coincida con il giorno 14 di
Nissan, la celebrazione della Pasqua cristiana (e “gregoriana”), allo
scopo di sottolineare il diverso significato, viene rimandata alla domenica
successiva.

Per la Chiesa Cattolica la Pasqua supera
Pesach per importanza poiché, se Pesach corrisponde al periodo della Passione e
morte di Cristo, la Pasqua ne ricorda la Risurrezione. Questa ricorrenza viene
infatti ricordata all’inizio del Triduo Pasquale cristiano, nella messa
“in coena Domini”, il giorno del giovedì santo, così come nella
lettura liturgica di brani del libro dell’esodo, in particolare quello della
cena con l’agnello immolato e del passaggio degli ebrei del mar Rosso,
obbligatoria nella celebrazione della Veglia Pasquale, la sera del sabato
santo.

Giorgio Nadali

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Giorgio Nadali “I monaci sugli alberi. E centinaia di altre cose curiose su Dio, la Bibbia,
il Vaticano”, Edizioni San Paolo, Cinisello Balsamo, 2010


Clandestini travestiti da profughi. Italia, il miglior rifugio per clandestini e terroristi

di Giorgio Nadali

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A qualcuno piace… clandestino. Non è molto chiara la differenza tra un profugo e un clandestino. Qualcuno – il Ministro dell’Interno Roberto Maroni – che aveva promesso di difendere l’Italia dall’invasione di clandestini e che sta seriamente mettendo in pericolo la sicurezza nazionale e gettando sul lastrico il turismo dell’Isola di Lampedusa. E’ scontato che di profughi non ce ne siano (o pochissimi) e che in mezzo all’invasione in corso (18.501 a oggi) – guarda caso tutti uomini con rare eccezioni – vi siano diversi male intenzionati. E quelli che non lo sono lo diventeranno presto, senza speranze e senza lavoro. Non c’è che dire. Complimenti! Certamente dovrà risponderne molto presto all’elettorato della Lega. Soprattutto se questi clandestini e terroristi arriveranno anche al Nord, come ha promesso. Cosa c’entrano i terroristi? E’ noto che il fondamentalismo terrorista ingrossi le sue fila attingendo proprio nelle sacche di povertà e disperazione.

I tunisini non sono profughi. In Tunisia non c’è la guerra. Non c’è una spaventosa crisi economica. C’è un nuovo governo democratico che non fa più nulla per arginare le partenze dei clandestini, che se ne approfittano spacciandosi – a torto – per profughi. Sanno benissimo di non esserlo, infatti nessuno chiederà asilo politico e una parte cercherà di raggiungere altri Paesi europei, dove una seria politica di immigrazione li respingerà immediatamente – da Zapatero alla Merkel – trasversalmente a tutti gli orientamenti politici. Clandestini che cavalcano l’onda approfittandosene di veri profughi e limitando le risorse che andrebbero a loro dedicate. Parassiti, insomma. C’è da scommetere che i dignitosi libici non faranno partenze in massa dal loro Paese. Si liberareranno presto dal loro infame dittatore e si  rimboccheranno le maniche. Bisogna essere stupidi o comunisti per non capire come stanno andando le cose. Nè gli uni nè gli altri meritano commenti.

Si è già sparsa la fama. In Italia conviene essere clandestini. Puoi anche lamentarti – come quel pakistano – se nel centro di accoglienza di Mineo (CT) non ti danno l’accesso a Internet. E’ di oggi la protesta esasperata dei cittadini di Lampedusa e il primo caso di criminalità sull’isola, da parte dei clandestini. Il primo… In arrivo anche il rischio di epidemie per la situazione igienica disastrosa venutasi a creare. Auguri per il turismo estivo…

Sta per esplodere un’enorme bomba di stupri, delinquenza, disagio e serio pericolo dovuto all’incapacità di chi ha tradito la promessa di difendere la sua gente.

Un blocco navale? Nemmeno a parlarne. Anzi, il Ministro Frattini ha anche promesso 2500 euro a ciascuno dei clandestini. Siamo alla follia, certo. Ma intanto chiariamo: chi è dunque un profugo di guerra? E’ una persona costretta ad abbandonare il proprio paese per motivi politici o in seguito a disgrazie naturali. Il Ministro La Russa ha dichiarato: “Non c’è neanche un tunisino a Lampedusa che sia un profugo. Sono clandestini. Cos’è cambiato? Che prima la polizia tunisina impediva la partenza. Ma ora il nuovo governo non riesce più ad arginare le partenze”.  E ancora: Nella gestione della crisi in Libia, ”l’importante e’ non confondere la questione dei profughi con quella degli immigrati clandestini”.  ”Con Maroni e tutto il governo – ha osservato il Ministro  – ci stiamo preparando ad accogliere i profughi che scappano  dalla Libia chiedendo aiuto all’Europa e anche ai Paesi extra  europei”. Diverso sara’ il comportamente dell’esecutivo nei  confronti degli immigrati clandestini ”come quelli – ha  precisato La Russa – di Lampedusa, che vengono da zone in cui  non c’e’ la guerra”. Perche’ in questo caso ”bisogna far  rispettare la legge, stipulare accordi cono paesi di origine,  accogliere gli immigrati secondo i flussi previsti e  respingere invece, nel senso di riaccompagnarli a casa, chi  e’ arrivato in italia in violazione della legge’. Quelli che invadono Lampedusa sono quindi tunisini immigrati clandestini, che presto si distribuiranno si tutto il territorio nazionale, con conseguenze disastrose.

La distinzione va fatta alla svelta. La sicurezza degli italiani lo esige. Poi Maroni farà i conti col popolo della Lega.  Popolo a cui notoriamente le belle parole non bastano: “Non possono essere considerati rifugiati, la grande maggioranza sono stati sistemati nei Cie, che sono saturi e l’intensità degli sbarchi sta creando disagi forti a Lampedusa”. E ieri sera sono sbarcati anche un centinaio di libici sulle coste del  Catanese. Sono arrivati con due barconi: il primo, con una cinquantina  di immigati si è incagliato sugli scogli di Riposto, il secondo, con una settantina di clandestini, è stato intercettato al largo di Catania e  fatto entrare, sotto scorta, nel porto del capoluogo etneo. “Questo – ha continuato Maroni – ci fa pensare che la situazione in Libia porterà la partenza in massa di cittadini libici e che questo rischia di essere un’emergenza”. Aspettiamo il blocco navale, caro Maroni, non i clandestini sul territorio. Poi vedremo come gestirà i 50.000 profughi – stavolta sì – libici in arrivo e dove li sistemerà… Forse nel suo “alloggio di servizio” di Roma che non si può rivelare per ragioni di sicurezza? Quella sicurezza a rischio oggi per milioni di italiani… Insomma – vox populi – Maroni, questi sbarchi ci han rotto i…

Giorgio Nadali

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150 anni dell’Unità d’Italia. 1861 e 2011. Come è cambiata la religiosità degli Italiani?

di Giorgio Nadali

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La religiosità degli Italiani nel 1861

Il motto della religiosità italiana del 1861? “Religione e
Patria. Credo perché sono italiano”. Raffaello Lambruschini a Bruxelles, nel
1843, pubblica “Del primato morale e civile degli Italiani” dedicato a Silvio
Pellico, nel quale sostiene che sebbene l’idea mazziniana di unità politica non
fosse realizzabile, esisteva, tuttavia, una razza italiana unita da vincoli di
sangue, di religione e di lingua, e che la guida di questa comunità era il
Papa. In “Fede e avvenire” Giuseppe Mazzini – uno dei quattro grandi Padri
della Patria – scrisse: «Noi cademmo come partito politico. Dobbiamo risorgere
come partito religioso. L’elemento religioso è universale, immortale:
universalizza e collega. Ogni grande rivoluzione ne serba impronta, e lo rivela
nella propria origine o nel fine che si propone. Per esso si fonda
l’associazione. Iniziatori d’un nuovo mondo, noi dobbiamo fondare l’unità
morale, il cattolicismo Umanitario». Nel 1848 lo statuto albertino prevedeva la
religione di Stato come Cattolica, Apostolica e Romana con l’articolo 1,

dapprima in vigore nel solo Regno di Sardegna e poi esteso
al nascente Regno d’Italia. (Oggi la religione di stato è prevista dalla
costituzione di quasi tutti i Paesi islamici).

Italiani attaccati al cattolicesimo

Il movimento di scristianizzazione che nel secolo XVIII
aveva infierito in Francia e nei paesi germanici, non aveva raggiunto le stesse
proporzioni in Italia. Sia che abitasse nella popolosa città del Piemonte o del
lombardo Veneto, o nei ducati più progrediti del centro, o nelle campagne
arretrate del Mezzogiorno napoletano, ovvero negli Stati della Chiesa,
l’italiano continuava ad essere attaccato sinceramente al suo cattolicesimo,
nonostante le infiltrazioni volterriane verificatesi in una parte della classe
intellettuale. La religione del popolo, pur nella sua ignoranza e nella sua
morale difettosa, era seria, ma insieme lontana dalla “rispettabilità”
protestante o dal conformismo della controriforma. Le pratiche di devozione
mantengono tutta la loro attrattiva per le masse. Molto numerose le
confraternite, alle quasi si teneva soprattutto per spirito di corpo e che
servivano per mantenere uno stretto legame tra la Chiesa e il popolo. Gli
intellettuali e la borghesia pur mantenendo una sensibilità cattolica,
auspicavano una riforma della Chiesa – soprattutto nell’Italia settentrionale e
in Toscana – e che non si tenesse più conto delle sue esigenze
nell’organizzazione della vita civile.

Dal 1848 si diffonde l’indifferenza religiosa

Dopo il 1848 lo stato complessivo della vita religiosa non è
più così positivo. Da diverse parti si segnala il diffondersi dell’indifferenza
religiosa tra il popolo. A Torino il fenomeno è notato da Don Bosco. Negli
ambienti evoluti incomincia a penetrare il razionalismo incredulo. Addirittura
un giovane prete giobertiano – Cristoforo Bonavino – con lo pseudonimo di
Ausonio Franchi, fonda nel 1854 un giornale (La Ragione) destinato a
propagandare l’idea che il razionalismo debba diventare la “religione” del XIX
secolo, sostituendosi al “cattolicesimo gesuitico”, ma anche a quello liberale
e al protestantesimo.

Progresso dell’anticlericalismo

Gli italiani danno a Pio IX e alla Chiesa la colpa
dell’insuccesso subito dal movimento nazionale nel 1848 e la crescente ostilità
che gli ambienti cattolici dirigenti mostrano verso le concezioni liberali non
fa che rafforzare il disagio. Vi è un raffreddamento tra le relazioni
borghesia-clero e progredisce l’anticlericalsimo, favorito da giornali come
L’Opinione, un tempo vicino alla Chiesa.

Fede sì. Istituzione Chiesa no

La maggioranza della gente vuole conciliare la propria
opposizione al cattolicesimo ufficiale e le tendenze politico-religiose
dominanti a Roma, con la propria fede cattolica e la pratica dei sacramenti, ma
inevitabilmente i rancori verso il papa conducono lentamente verso
l’indifferenza nei confronti della dottrina. Un aspetto che si ritroverà oggi
nel pensiero “Cristo sì, Chiesa no” dei “cattolici” lontani dalla Chiesa che
tanto avrebbe fatto inorridire S. Cipriano e quelli che come lui, ieri come
oggi pagano con la vita la loro fedeltà alla Chiesa. Nel III Secolo scrisse:
«Non può avere Dio per Padre, chi non ha la Chiesa per Madre».

Preti oziosi

La chiesa è sul punto di perdere in Italia la borghesia,
proprio nel momento in cui sta finendo di perdere, in Francia la classe
operaia. Il clero secolare, il cui reclutamento è facile e che verso il 1850
conta più di 60.000 preti sulla popolazione che non raggiunge i 25 milioni di
abitanti, è ben lontano dal dare quel che se ne potrebbe aspettare. Prima di
tutto molti preti non esercitano alcun ministero, contentandosi di amministrare
il loro patrimonio familiare o di servire da precettori e da cappellani in
qualche famiglia nobile, conservando una quasi totale libertà di movimento nei
riguardi del proprio vescovo.

e santi

Non mancano però i santi come S. Giovanni Bosco. Il suo
improvvisato patronato giovanile si trasformò presto in un’opera che con la sua
fama superò i confini italiani. S. Vincenzo Pallotti, uno dei precursori
dell’Azione Cattolica e la mistica S. Teresa di Lisieux, morta a ventiquattro
anni e una delle tre donne “dottore della Chiesa” (insieme a 30 uomini),
patrona dei malati di AIDS, aviatori, orfani, fiorai e missionari.

Spiritualità del Sacro Cuore

Nel 1861 in Italia è diffusa la devozione al Sacro Cuore,
nata negli ambienti religiosi femminili nel corso del XVIII secolo, come
tensione ad una spiritualità più affettuosa e sensibile verso il Signore,
nell’Ottocento si presenta come una diffusa religiosità popolare avvolta da un
pervadente sentimento partecipativo dell’esperienza religiosa. Questo secolo è
stato chiamato proprio il ”Secolo del Sacro Cuore”. Con il pontificato di Pio
IX questa devozione si diffonde come strumento di protesta e di difesa contro
il secolo razionalizzante, portato alla vita spensierata e godereccia. In
questo periodo storico la borghesia intellettuale, marcatamente individualista
e impregnata di cultura positivista riusciva ancora a comprendere ed era
sensibile al valore religioso di un’anima che partecipava all’opera redentiva,
votandosi all’apostolato del sacrificio.

Cattolici transigenti

La borghesia si allontanò sempre più da una Chiesa che
sembrava esigere sentimenti patriottici. Da una parte vi era il gruppo ridotto
dei cattolici transigenti che credevano possibile conciliare la fede cattolica
con i loro sentimenti italiani ed anche con un’effettiva partecipazione alla
vita pubblica, contrariamente alla parola d’ordine lanciata dall’abate Giacomo
Margotti e approvata dal Vaticano: Né eletti, né elettori.

Meno preti, più religiose e molta stampa cattolica

Nel 1850, su una popolazione che superava di poco i 23
milioni, vi erano circa 100.000 sacerdoti, con una media di un sacerdote ogni
250 abitanti con moltissimi edifici aperti al culto. Il numero delle vocazioni
religiose femminili inizia a salire e supererà quelle maschili nel 1911. Dal
1868 il clero è in forte continua diminuzione. La stampa cattolica, già viva in
Italia fin dalla Restaurazione, ebbe un forte incremento dopo il 1848, sino a
raggiungere il nel 1872, 126 periodici di cui 17 quotidiani per lo più locali.

La religiosità degli Italiani nel 2011

Non si può certo dire “non c’è più religione”, ma in 150
anni molto è cambiato. Il motto della religiosità italiana del 2011? “Credo, se
voglio e come voglio”. Oggi Il 70% degli italiani è convinto che non occorra
avere una fede religiosa per avere una morale. E’ il fenomeno della credenza
senza appartenenza. La società italiana è sempre più laica da un punto di vista
etico. Gli italiani non rinnegano la propria cristianità, ma non accettano più
quei precetti osservati solo per obbedienza. Un fai da te dei dettami morali,
insomma. Li osservo se ci credo e se mi convengono. I cattolici battezzati in
Italia sono 56.258.000 su 57.440.000 cittadini (pari al 97,94%), e fra il 33 e
il 38% della popolazione complessiva è praticante. Di questi fedeli il 10%
appartiene a movimenti laicali. 227 diocesi, 25.000 parrocchie, 48 cardinali,
500 vescovi, 38.000 sacerdoti, 22.300 religiosi, 16.740 religiose, 102.739 catechisti,
25.000 docenti di religione cattolica.

Ateismo in costante calo e donne con più fede

L’Italia rimane il Paese col minor numero di non credenti
con un calo costante negli anni. In controtendenza rispetto al altri Paesi
aumenta il numero dei praticanti nella fascia dai 18 ai 30 anni. La pratica
religiosa oggi è per lo più animata da convinzione personale, nonostante alcuni
riti importanti come il matrimonio in chiesa e il battesimo siano chiesti da
molti ancora per tradizione. I “credenti praticanti” rappresentano il
59,3% della fascia “anziana” della popolazione (oltre i
sessant’anni), il 40,5% della fascia “adulta” (tra i trentuno e i
sessant’anni), ma scendono al 28,6% nella fascia giovanile (tra i diciotto e i
trent’anni). Rispetto ad altri Paesi dove anche le donne – tradizionalmente più
religiose – si allontanano dalla religione, le italiane “non
credenti”, una minoranza forte nel 1981 (6,2%), alla fine degli anni
Novanta si sono all’incirca dimezzate (3,5%). Il settore femminile più vicino
alla Chiesa cresce di quasi dieci punti: dal 42,6% al 51,6%, diventando il
gruppo di maggioranza.

Fede critica verso l’Istituzione Chiesa

Sono soprattutto i maschi più giovani a mostrare un
atteggiamento critico verso la Chiesa. Le accuse sono quelle di incoerenza e
l’obiezione più ricorrente è quella che si può essere buoni cattolici senza
seguire le indicazioni in campo morale del Magistero – cioè dei Vescovi. Oggi
la religiosità deve fare i conti con due fattori importanti: il relativismo e
il secolarismo. Il relativismo porta a individualizzare la propria fede. La si
vive come si vuole. Il secolarismo la stacca dal contesto del vissuto
quotidiano. Il 75% dei giovani-adulti (18-49 anni) di entrambe i sessi,
ritengono che l’autonomia in campo etico possa tranquillamente legarsi ai
valori cattolici.

Fede privata e autonomia etica

L’orientamento della privatizzazione della fede interessa il
40% dei giovani uomini (18-29 anni), il 34% degli uomini adulti (30-49 anni) e
il 30% circa delle donne dai 18 ai 49 anni, rispetto al 25% degli uomini con
oltre 50 anni e al 18% delle donne della stessa età. D’altra parte, sono
soprattutto le donne mature e anziane a invitare la Chiesa a mantenere fermi i
propri principi e a riconoscere maggiormente il suo particolare ruolo religioso
nella

società. Le persone con oltre 50 anni, sia uomini che donne,
sono in particolare favorevoli alle iniziative cattoliche per affermare i
valori religiosi nella società (l’8 per mille alla Chiesa Cattolica, l’ora di
religione a scuola) e delle prescrizioni che regolano il mondo ecclesiastico,
come il celibato sacerdotale e il no al sacerdozio femminile). Tra queste
posizioni estreme si collocano poi altri due gruppi: da un lato quanti si
dichiarano religiosamente convinti e sono realmente attivi; dall’altro lato,
quanti si ritengono persone religiose o per tradizione educazione o per la
condivisione di alcune idee del cattolicesimo. Si tratta di raggruppamenti
assai numerosi, essendo il primo composto da circa il 38% della popolazione e
il secondo da circa un terzo degli italiani. Nel primo caso i soggetti condividono
le principali credenze cristiane si caratterizzano per una pratica religiosa
discontinua e per un livello medio alto di identificazione con la Chiesa; nel
secondo, si tratta di persone che affidano la loro partecipazione religiosa per
lo più ai riti di passaggio, segnate a deboli atteggiamenti di fede, per i
quali l’istanza religiosa rappresenta un principio di identificazione
culturale. Circa rapporto Chiesa-società il primo gruppo presenta posizioni
tendenzialmente più vicine al raggruppamento dei convinti attivi, mentre il
secondo mostra posizioni più disincantate e distaccate nei confronti della
Chiesa con giudizi più critici circa il modo in cui essa opera nel Paese.

Tenuta della fede cattolica

La grande maggioranza degli italiani continua a definirsi
cattolica, e a credere in Gesù Cristo e del tutto o almeno in parte negli
insegnamenti della Chiesa cattolica. In particolare, dichiara di appartenere
alla religione cattolica l’88% della popolazione, mentre più della metà si
identifica nella figura di Cristo e nelle indicazioni della Chiesa e un altro
30% crede in Gesù Cristo e solo parzialmente nella Chiesa. Anche in un clima
più realistico e differenziato come quello del 2011 prevale dunque nel nostro
paese una certa qual uniformità a religiosa. In questo quadro, comunque, solo
una ridotta minoranza di soggetti (7-8%) che non crede in Dio o risulta in
ricerca o indifferente al problema religioso; mentre altre e esigue minoranze
sono rappresentate da quanti credono di non essere o realtà superiore pur senza
appartenere a una specifica a religione (6,4%) e da quanti appartengono a
confessioni o gruppi movimenti religiosi diversi da quella cattolica (2-3%).

Fede “etnico-religiosa”

Nella società italiana di oggi non si registra un aumento
del numero dei soggetti che prescindono da un riferimento religioso o
caratterizzati da posizioni di ricerca, per contro, risulta allargata la
tendenza a riconoscersi nell’espressione della fede prevalente nel nostro
contesto, anche se ciò non depone per una generalizzata accettazione del
modello ufficiale di religiosità. Nel nostro Paese inoltre non risulta
particolarmente estesa nemmeno la quota di soggetti che maturano un’idea di Dio
scollegata da un’appartenenza religiosa specifica; questo fenomeno che va sotto
il nome di “credenza senza appartenenza” risulta in aumento in alcuni Paesi del
centro-nord Europa. Nel 2011 emerge una contraddizione singolare in Italia,
riscontrabile comunque anche nella maggior parte dei paesi occidentali, a
dominanza sia cattolica sia protestante; seppur di poco, quanti dichiarano di
appartenere a una religione (in questo caso il cattolicesimo) risultano più
numerosi di quanti credono in Gesù Cristo, nel Dio della tradizione cristiana;
per una certa quota di persone, dunque,

l’appartenenza religiosa acquista – anche a livello
esplicito – un carattere più etnico-culturale che religioso.

Le tappe più importanti

1860 – Unificazione dell’Italia. 19 gennaio. Enciclica
Nullis Certe Verbis di Pio IX in difesa dello Stato della Chiesa

1861 – 17 marzo. Proclamazione del Regno d’Italia

1865 – il frate agostiniano Gregor Mendel scopre i caratteri
ereditari. E’ il padre della moderna genetica

1867 – 19 giugno. Nasce a Bologna la Società della gioventù
cattolica italiana (Oggi Azione Cattolica Italiana). Fondata da Mario Fani e
Giovanni Acquaderni. Tra i precetti vi è un diffuso impegno alla carità verso i
più deboli e i più poveri.

1868 – 30 gennaio. Non expedit (non conviene). Proibizione
ai cattolici di partecipare alla vita politica

1869 – 8 dicembre. Apertura del Concilio Vaticano I

1870 – 20 settembre. Fine dello Stato Pontificio (1118 anni,
dal 752) e del potere temporale della Chiesa Cattolica

1871 – 13 maggio. Il governo italiano promulga la legge
delle guarentigie, per regolare i rapporti tra Regno d’Italia e Santa Sede.

1874 – 12 giugno. Primo congresso dei cattolici italiani a
Venezia

1875 – Anno Santo

1878 – 7 febbraio. Muore Pio IX. 20 febbraio. Elezione di
Leone XIII

1888 – 31 gennaio. Muore S. Giovanni Bosco. Enorme opera
educativa fondata su tre parole: ragione, religione, amorevolezza.

1891 – 15 maggio. Leone XIII scrive la prima enciclica
sociale (Rerum novarum) sulla questione operaia.

1896 – 31 agosto. Nasce la Federazione universitaria
cattolica italiana

1901 – 18 gennaio. Enciclica Graves de communi sulla
democrazia cristiana: Leone XIII insiste sull’obbligo dei cattolici di
astenersi dal partecipare alla vita politica sinché non sarà risolta la
questione romana.

1900 – Anno Santo

1903 – 20 luglio. Muore Leone XIII. 4 agosto. Elezione di S.
Pio X

1904 – 11 giugno. Enciclica Il fermo proposito di S. Pio X
dedicata all’”azione cattolica” in

Italia. Prime deroghe al non expedit.

1906 – Febbraio. Nascono l’Unione popolare, l’Unione
elettorale e l’Unione economico sociale dei cattolici italiani

1907 – 8 settembre. Enciclica Pascendi dominici gregis.
Condanna del modernismo come sintesi di ogni eresia.

1910 – 1 settembre. S. Pio X impone al clero il giuramento
antimodernista contro il modernismo teologico che affermava – tra l’altro – che
la Rivelazione non è Parola di Dio

1912 – 12 ottobre. Pubblicato il catechismo di S. Pio X

1914 – 20 agosto. Muore Pio X. 3 settembre. Eletto Benedetto
XV. 1 novembre. Enciclica Ad beatissimi, che condanna la guerra

1919 – 18 gennaio. Fondazione del Partito Popolare italiano
ad opera di Don Luigi Sturzo. 12 novembre. Decaduto il Non expedit.

1922 – 22 gennaio. Muore Benedetto XV. 6 febbraio, elezione
di Pio XI

1925 – Anno Santo

1927 – Il prete gesuita belga Georges Lemaitre pubblica la
teoria del Big Bang, basata sulla relatività generale

1929 – 11 febbraio. Patti lateranensi tra Italia e Santa
Sede sottoscritti dal Cardinal Gasparri e Benito Mussolini. Proclamazione di
indipendenza dello Stato della Città del Vaticano. 31 dicembre. Enciclica
Divini illius magistri sull’educazione cristiana della gioventù.

1931 – 15 maggio. Enciclica Quadragesimo Anno sulla
questione sociale. 29 giugno. Enciclica Non abbiamo bisogno, che condanna lo
stato totalitario

1937 – 14 marzo. Enciclica Mit brennender sorge contro il
nazismo. 19 marzo. Enciclica Divini Redemptoris contro il comunismo ateo.

1938 – 3 agosto. Il governo introduce le leggi razziali. La
Chiesa prende le distanze

1939 – 10 febbraio. Muore Pio XI. 2 marzo. Eletto Pio XII

1948 – il beato Don Carlo Gnocchi fonda la Fondazione Pro
Infanzia Mutilata

1949 – 15 luglio. Decreto di scomunica dei comunisti da
parte del Sant’Uffizio

1950 – Anno Santo. 1 novembre. Pio XII promulga il dogma
dell’Assunzione di Maria Vergine in Cielo

1958 – 9 ottobre. Muore Pio XII. 28 ottobre. Eletto Giovanni
XXIII

1962 – 11 ottobre. Apertura del Concilio Vaticano II

1963 – 3 giugno. Muore Giovanni XXIII. 21 giugno. Eletto
Paolo VI

1965 – 7 marzo. Prima Messa celebrata nella lingua italiana.
2 dicembre. Abolizione del Sant’Uffizio (trasformato in Congregazione per la
Dottrina della Fede) e dell’indice dei libri proibiti

1967 – 26 marzo. Enciclica Popolorum progressio sullo
sviluppo del Terzo Mondo

1968- 25 luglio. Enciclica Humanae vitae sulla regolazione
delle nascite

1974 – 12, 13 maggio – Referendum sul divorzio. Vince il
fronte divorzista (59,1%)

1975 – Anno Santo

1978 – 6 agosto. Muore Paolo VI. 26 agosto. Eletto Giovanni
Paolo I. 28 settembre. Muore Giovanni Paolo I. 16 ottobre. Eletto Giovanni
Paolo II

1981 – 17 maggio. Referendum sulla modifica della legge
sull’aborto proposta dal Movimento per la Vita. Vince il fronte abortista

1983 – Anno Santo straordinario dai 1950 anni dalla
redenzione.

1984 – 18 febbraio. Revisione del Concordato tra Stato
Italiano e Santa Sede

1986- 13 aprile. Giovanni Paolo I è il primo papa ad entrare
in una sinagoga ebraica. 27 ottobre. Incontro di tutte le Religioni ad Assisi,
voluto d Giovanni Paolo II. 30 dicembre. Enciclica Sollicitudo rei socialis
sullo sviluppo e la solidarietà interazionale

1988 – 15 agosto. Enciclica Mulieris dignitatem sulla
dignità ella donna

1993 – 6 agosto. Enciclica Veritatis splendor sulla verità
morale

1994 – 18 gennaio. Scompare la Democrazia Cristiana travolta
dallo scandalo di “Mani pulite”

1995 – 25 marzo. Enciclica Evangelium vitae
sull’inviolabilità della vita umana

1997 – 5 settembre. Muore Madre Teresa di Calcutta

2000 – Anno Santo. 26° Giubileo

2005 – 2 aprile. Muore Giovanni Paolo II. 19 aprile. Eletto
Benedetto XVI, 265° papa.

2009 – 29 giugno. Enciclica Caritas in veritate sulla crisi
economica, povertà, occupazione. 237° enciclica dal 1861

2011 – 1 maggio. Beatificazione di Papa Giovanni Paolo II

2011 – 27 ottobre. Quarto incontro di tutte le Religioni ad
Assisi con Benedetto XVI

Giorgio Nadali

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Fede e capelli

di Giorgio Nadali

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La tonsura è presente in varie religioni. Nell’Islam i pellegrini che si recano alla Mecca si radono il capo in segno di purezza e di rifiuto della vanità. Nel buddhismo la tonsura è una parte del rito di pabbajja  per diventare un monaco. Questa tonsura viene rinnovata spesso per mantenere il viso rasato e la cute del cuoio capelluto completamente calva. Alcuni monaci buddhisti cinesi hanno 6, 9 o 12 punti neri nella parte superiore dello scalpo, come risultato della combustione del cuoio capelluto con la punta di un bastone di incenso fumante. Nell’Induismo, il concetto alla base è che i capelli costituiscono una simbolica offerta agli dèi. In India – a Tirumala – c’è il tempio Tirumala Venkateswara nei pressi di Tirupati, dedicato  al dio Venkateswara, dove i pellegrini si radono a zero. Il tempio raccoglie una tonnellata di capelli al giorno, poi venduti per 6 milioni di dollari all’anno. Questo rappresenta un vero e proprio sacrificio di bellezza e in cambio ricevono benedizioni in proporzione al loro sacrificio. Il taglio di capelli (in sanscrito cuda karma, cuda karana) è uno dei tradizionali riti di passaggio detti samskara, eseguiti per i bambini: “secondo l’insegnamento dei testi rivelati, il Kudakarman (tonsura) deve essere eseguita, per ragioni di merito spirituale, da tutti gli uomini nati due volte nel primo o nel terzo anno.” In alcune tradizioni la testa è completamente rasata mentre in altri è lasciato un piccolo ciuffo di capelli chiamato sikha. Le vedove si radono a zero dopo la morte del marito e non è raro vedere tonsure sulla testa di un bambino dopo la morte di un genitore (di solito il padre).

Oggi nel Cristianesimo  Ortodosso e nelle chiese orientali cattoliche di rito bizantino, ci sono tre tipi di tonsura: battesimale, monastica e clericale. In tutti e tre i casi (per bambini e adulti) consiste dal taglio di quattro ciocche di capelli in forma di croce: nella parte anteriore della testa mentre il celebrante dice “nel nome del Padre”, nella parte posteriore della testa, mentre pronuncia le parole” e del Figlio” e su entrambi i lati della testa mentre dice “e dello Spirito Santo”.  In tutti i casi, è consentito far crescere i capelli nella parte posteriore del capo. La tonsura, come tale, non è adottata come acconciatura.

Negli Atti degli Apostoli 18,18:  “Paolo si trattenne ancora parecchi giorni, poi prese congedo dai fratelli e s’imbarcò diretto in Siria, in compagnia di Priscilla e Aquila. A Cencre si era fatto tagliare i capelli a causa di un voto che aveva fatto”.

Paolo, forse per mostrare ai Giudei che rispettava le usanze ebraiche, aveva fatto il voto temporaneo di “nazireato” per cui doveva astenersi dal vino, non tagliarsi i capelli finché non avesse offerto il sacrificio a Gerusalemme.

Nel rito occidentale della Chiesa cattolica, la “prima tonsura” fu, nel Medioevo, il rito per inserire un uomo nel clero. La tonsura era un prerequisito per ricevere gli ordini minori e maggiori. Lasciare la tonsura equivaleva ad abbandonare lo stato clericale e nel 1917 il codice di diritto canonico dichiarava che ogni chierico degli ordini minori che non avesse ripreso la tonsura entro un mese dopo essere avvertito dal suo vescovo, avrebbe perso lo stato clericale.

Nel corso del tempo, l’aspetto della tonsura variò, e si arrivò ad una tonsura non monastica per il clero. Consisteva in un simbolico taglio a forma di croce di un ciuffo e di una piccola area circolare totalmente rasata sulla nuca, a seconda degli ordini religiosi. Quest’area non doveva però essere inferiore alla dimensione di un’ostia per l’Eucaristia. I Paesi non  cattolici avevano eccezioni a questa regola, soprattutto nel mondo anglofono. In Inghilterra e in America, ad esempio, il punto rasato è stato soppresso, probabilmente a causa delle persecuzioni che sarebbero potute derivare dall’essere parte del clero cattolico, ma la cerimonia del taglio dei capelli nella prima tonsura clericale è sempre stato richiesto.

Oltre a questa generale tonsura clericale, alcuni ordini monastici di rito occidentale, ad esempio certosini e trappisti, usano una versione molto completa della tonsura, rasando la testa completamente calva e mantenendo solo un anello stretto di capelli corti, talvolta chiamato “la corona monastica”, dal momento dell’ingresso in noviziato monastico per tutti i monaci, se destinati al servizio come sacerdoti o fratelli. Alcuni ordini monastici e singoli monasteri mantengono la tradizione di una tonsura monastica.

La forma più completa di tonsura clericale portò ad indossare uno zucchetto per tenere la testa calda. Lo zucchetto è indossato ancora oggi dal Papa (bianco), dai cardinali (rosso) e dai vescovi (viola-fucsia) sia durante sia al di fuori delle cerimonie religiose. I sacerdoti possono indossare un semplice zucchetto nero, solo di fuori dei servizi religiosi, anche se non è mai usato tranne da alcuni monaci.

La consuetudine di rasare completamente il capo fu in uso nell’antichità cristiana dapprima presso i monaci e passò quindi anche ai chierici.

Con la lettera apostolica in forma di motu proprio Ministeria Quaedam “con la quale nella Chiesa Latina viene rinnovata la disciplina riguardante la prima tonsura, gli ordini minori e il suddiaconato”- del 15 agosto 1972 – papa Paolo VI abolì il rito della prima tonsura:

 “I. La Prima Tonsura non viene più conferita; l’ingresso nello stato clericale è annesso al diaconato. II. Quelli che finora erano chiamati Ordini minori, per l’avvenire dovranno essere detti «ministeri». III. I ministeri possono essere affidati anche ai laici, di modo che non siano più considerati come riservati ai candidati al sacramento dell’Ordine”.

Da quel momento, tuttavia, alcuni istituti sono stati autorizzati a utilizzare la prima tonsura clericale, come ad esempio la fraternità sacerdotale di San Pietro (1988), l’Istituto di Cristo Sacerdote e Re  (1990) e l’amministrazione apostolica personale San Giovanni Maria Vianney, (2001).

Giorgio Nadali

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La giustizia ingiusta

di Giorgio Nadali

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Chi commette un’ingiustizia è sempre più infelice di quello che la subisce – osservava Platone. A quanti italiani basta questa consolazione? Non c’è che l’imbarazzo della scelta. 10 anni di galera per 97 coltellate alla madre e al fratellino. A 320 all’ora in autostrada? Ritiro della patente e una multa. Cosa sarebbe accaduto a questi personaggi se fossero cittadini statunitensi nel loro Paese? Quanti cittadini in Italia sentono invece che la giustizia è troppo spesso ingiustizia? Secondo Die Presse l’Italia ricopre il 151esimo posto nella classifica internazionale sull’efficienza dei sistemi di giustizia del mondo. “Non possiamo andare avanti così. Il sistema giustizia in Italia è peggiore di quello di molti altri paesi africani come l’Angola, il Gabon, la Guinea e il São Tomé” ha detto Vincenzo Carbone, primo presidente della Cassazione. Pene troppo miti nel Bel Paese. Pene non scontate sino in fondo. Un male epocale mai guarito. Giudici che non rispondono penalmente dei loro errori. Giudici che non rispondono alla sete di giustizia dei citttadini. L’unico istituto giuridico veramente equo ed efficiente rimane – dal 1991 – il Giudice di Pace, che è un giudice professionale non togato.

A proposito.  Dall’ergastolo alla pena di morte nel primo caso. 10 anni di reclusione nel secondo. Sono le pene negli Stati Uniti per gli stessi crimini. Giustizia, integrità, servizio – c’è scritto sullo stemma dell’United States Marshal (il braccio armato della corte federale americana).

Qui questi valori sono spesso latitanti. Grandi esempi morali dalla giustizia italiana. Che fortuna delinquere in Italia!   

Giorgio Nadali

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Giudici senza senno e Stato laico

di Giorgio Nadali

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Credeva di ottenere un risultato eclatante. Aveva studiato giurisprudenza, ma non sapeva la differenza tra laicità dello Stato e laicismo. Era laicista. Non sapeva che in tutti i luoghi statali il crocefisso è simbolo dell’identità nazionale e della nostra cultura, come aveva ricordato un vero laico (non laicista) – l’ex Presidente Ciampi. Era stato a Roma, ma non aveva notato che sul Palazzo più statale che esista – il Palazzo del Quirinale – c’è sulla “Torre dei venti” un grande crocefisso accanto alle bandiere della Repubblica Italiana e del Quirinale. Sì, faceva il “giudice”, ma giudicò male, per cui dal 2005 si rifiutò di tenere udienze in aule dotate di crocefisso sopra la scritta “La legge è uguale per tutti”. Faceva il giudice. Era laicista. Oggi fa il disoccupato.

Luigi Tosti è stato rimosso tre giorni fa dall’ordine giudiziario. Già condannato in sede penale a 7 mesi di reclusione, fu poi assolto; , il giudice Tosti è stato rimosso dal suo compito dopo che s’era presentato al procedimento attuato a suo carico senza la consulenza di  alcun legale. Per il Csm il giudice anti-crocifisso, come era ormai noto “è venuto meno al dovere fondamentale di svolgimento della funzione e ha compromesso la credibilità personale ed il prestigio dell’istituzione giudiziaria“. Luigi Tosti, nel 2005, si era rifiutato di condurre 15 udienze nel suo ruolo di giudice della corte del tribunale di Camerino. Il motivo: nell’aula dove doveva svolgere il suo lavoro c’era un crocifisso e lui aveva richiesto fosse tolto. 

L’ex vice presidente del Csm, Nicola Mancino spiega che “con l’intenzione di risolvere una questione di principio, il giudice Luigi Tosti s’era rifiutato di tenere udienza anche dopo che il Presidente del Tribunale gli aveva messo a disposizione un’aula senza il Crocifisso, con ciò venendo meno all’obbligo deontologico e ai doveri assunti in qualità di magistrato che gli impongono di prestare servizio”. Il Presidente del Csm (Giorgio Napolitano) vive invece in una grande casa con un enorme crocefisso.

 “Il Csm non è né la Corte Costituzionale né la Corte Europea – rimarca Mancino – non doveva risolvere, e in effetti non ha risolto la questione della legittimità o meno di tenere il Crocifisso in un’aula giudiziaria. Il dottor Tosti è stato giudicato per essersi rifiutato di tenere comunque udienza fino a quando in tutti i Tribunali d’Italia non fossero stati rimossi i crocifissi“.

Il crocefisso c’è ancora e rimarrà in tutte le aule di giustizia, negli ospedali statali, nelle carceri, in molte stazioni di Pubblica Sicurezza. Hanno tolto invece Tosti. Un giudice laicista non fa onore ad uno Stato laico. Forse un giorno Tosti avrà un malore e si rifiuterà di salire su un’autoambulanza. Hanno tutte infatti il simbolo del soccorso e della salvezza: la croce cristiana. Tosti non si è mai lamentato dei 59 giorni di festa cattolici che si è goduto in un anno. Oggi ne avrà molti di più per meditare sul suo becero laicismo.

 “Rende stolti i consiglieri della terra, priva i giudici di senno” (Giobbe 12,17)

Giorgio Nadali

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Moralismo politico e bunga bunga

di Giorgio Nadali

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«La ferocia dei moralisti è superata soltanto dalla loro profonda stupidità.»  Lo diceva Filippo Turati. C’è qualcuno che può credere che un uomo come Silvio Berlusconi possa essere così sprovveduto da farsi ricattare da una ragazzina? Può darsi. Ma alla maggior parte degli italiani interessano i risultati politici, il programma di gorverno, le riforme. Quanto di ciò che un uomo politico fa nel privato conta? Quanti politici possono scagliare la prima pietra? L’onore della prima pietra della lapidazione veniva dato al più onorevole della comunità. Scandali più o meno costruiti per scalzare l’avversario politico. Dal sexgate di Bill Clinton con Monica Lewinsky del 1995 con tentativo di impeachment dei Repubblicani. Lo scandalo si sgonfiò nel 1998 con l’ammissione di colpa di Clinton in diretta tv.

Il mese scorso il presidente israeliano Moshe Katzav è stato incriminato dallo Stato di  Israele di ripetuti abusi sessuali e in un caso di stupro. Le accuse riguardano sia il periodo in cui era Ministro del Turismo dal 1988 al 1999, sia quando era presidente. Decisiva la testimonianza di alcune sue collaboratrici.

Certo, non un’ipotesi di reato come questa: “Chiunque induce alla prostituzione una persona di età inferiore agli anni diciotto ovvero ne favorisce o sfrutta la prostituzione è punito con la reclusione da sei a dodici anni e con la multa da euro 15.493 a euro 154.937. Salvo che il fatto costituisca più grave reato, chiunque compie atti sessuali con un minore di età compresa tra i quattordici e i diciotto anni, in cambio di denaro o di altra utilità economica, è punito con la reclusione da sei mesi a tre anni e con la multa non inferiore a euro 5.164. Nel caso in cui il fatto di cui al secondo comma sia commesso nei confronti di persona che non abbia compiuto gli anni sedici, si applica la pena della reclusione da due a cinque anni. Se l’autore del fatto di cui al secondo comma è persona minore di anni diciotto si applica la pena della reclusione o della multa, ridotta da un terzo a due terzi”. Difficile che Berlusconi – laureatosi in legge nel 1961 – non lo sappia.

Dunque, moralismo ipocrita a orologeria, in larga parte proveniente dagli eredi di un’ideologia nemica della libertà e dell’uomo. Molto strano…

Tutta da dimostrare l’induzione alla prostituzione. Il sesso con minorenni invece non è reato, a meno che sia:

  • con minori di 14 anni, quando il fatto è compiuto da persona maggiorenne (ovvero, che ha compiuto gli anni 18);
  • con minori di 13 anni, in qualsiasi caso, anche tra partner entrambi minorenni;
  • con minori di 16 anni, quando il fatto è compiuto da persona maggiorenne cui il minore è affidato per ragioni di cura, istruzione, educazione, vigilanza o custodia o che abbia con esso una relazione di convivenza;
  • con minori di 18 anni, quando il fatto è compiuto dal genitore (sia biologico che adottivo), dall’ascendente o dal tutore del minore, o da altra persona che convive con una delle precedenti figure.
  • Qualcuno potrebbe anche sapere molto bene (e credere) che sedici anni fa, ad una sua amica di Sofia (Bulgaria) – allora ventenne – è stato offerto del denaro in cambio di una notte di sesso con  Berlusconi, ma a questo qualcuno interessa solo il suo programma di governo e che il federalismo venga presto approvato. Il gossip è altra cosa… E molti di più sono preoccupati che in un Paese come il nostro l’intercettazione e la violazione della privacy sia abuso e abitudine.

    A noi interessano i grandi risultati ottenuti del Governo contro la criminalità e la mafia, la lotta contro l’immigrazione clandestina, la riforma dell’Università, il federalismo… Se il Premier va a p…. non è un problema. Se ci va il Paese sì.

    La vita privata di Berlusconi non è un pericolo per la democrazia. La “giustizia” usata a fini politici sì.  E allora, bunga bunga Presidente! Si diverta, ma sia più prudente.

    Giorgio Nadali

    www.giorgionadali.it

    Verbali della Procura di Milano


    Cristianofobìa

     di Giorgio Nadali

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    Nel 311 Galerio emanò l’Editto di tolleranza dei Cristiani che accordava la liceità del culto, poi confermata da Costantino nel 313. Cos’è cmbiato? Oggi 50 Paesi – un quarto del Mondo – perseguitano il Cristianesimo. L’unica Religione universale che considera tutti fratelli. Non così l’Ebraismo. Fratello è l’ebreo. Tu non ebreo sei un gohim. Non così l’Islam. Tu non musulmano sei un kafir. Non così l’Induismo – la religione più antica tuttora esistente – Sei sei di un’altra casta non vali nulla. Non così il Buddhismo. La tua vita è solo apparenza… E allora?  La fratellanza universale, proveniente dal Cristianesimo si paga con la cristianfobìa, anche in Italia presente con il laicismo anticlericale, beceramente intollerante e irriverente alla fede cristiano cattolica e all’Istituzione ecclesiale. In altri 50 Paesi del mondo 10 milioni di cristiani pagano un alto prezzo alla loro fede.  Si va dal rifiuto di un posto di lavoro, alla negazione di diffusione di materiale cristiano, sino agli omicidi.

    L’ espressione cristianofobia e’ stata introdotta per la prima volta nel 2003, in una Risoluzione del Terzo Comitato della 58a Assemblea Generale dell ONU. In tale circostanza, il termine venne associato alla islamofobia ed allo antisemitismo e, da allora, e’ comparso in vari Documenti ONU e di altri Organismi internazionali, senza tuttavia essere mai stato definito. Tutto considerato, mi pare che esso consista in un insieme di comportamenti, raggruppabili in 3 ambiti:

    – la erronea educazione, o addirittura la disinformazione sui cristiani e sulla loro religione, specie attraverso i media;
    – la intolleranza e la discriminazione subita dai cittadini cristiani segnatamente a causa della legislazione o di provvedimenti amministrativi rispetto a quanti professano altre religioni o non ne seguono alcuna;
    – le violenze e la persecuzione.

    Ecco i 50 Paesi dove la libertà religiosa cristiana subisce forti
    persecuizioni e limitazioni. Il più vicino geograficamente all’Italia è
    l’Algeria, seguita da Libia e Turchia (Paesi islamici). 9 di questi
    Paesi sono mete turistiche di italiani: Egitto, Maldive, India, Cuba,
    Emirati Arbiti Uniti, Turchia, Marocco, Tunisia e Cina. L’unico Paese
    europeo è la Bielorussia. L’unico nel continente americano è Cuba. 37 su
    50 sono Paesi islamici. Uno è un Paese di tradizione cristiano ortodossa
    (la Bielorussia). La persecuzione di crstiani più grave vicina
    all’Italia avviene in Algeria.

    1) Corea del Nord 2) Arabia Saudita (nel Paese non esistono chiese. E’
    consentito solo il culto islamico) 3) Iran 4) Afghanistan 5) Somalia 6)
    Maldive 7) Yemen 8 ) Laos 9) Eritrea 10) Uzbekistan 11) Buthan 12) Cina
    13) Pakistan 14) Turkmenistan 15) Comore 16) Iraq 17) Qatar 18)
    Mauritania 19) Algeria 20) Cecenia 21) Egitto 22) India 23) Vietnam 24)
    Birmania 25) Libia 26) Nigeria 27) Azerbaijan 28) Oman 29) Brunei 30)
    Sudan del Nord 31) Zanzibar 32) Kuwait 33) Cuba 34) Taijilistan 35)
    Emirati Arabi Uniti 36) Sri Lanka 37) Giordania 38) Gibuti 39) Turchia
    40) Marocco 41) Indonesia 42) Territori Palestinesi 43) Bangladesh 44)
    Bielorussia 45) Etiopia 46) Siria 47) Tunisia 48) Bahrein 49) Kenya
    (Nord-Est) 50) Kazakistan
    I cristiani del Maghreb, dell’Africa subsahariana, del Medio e dell’Estremo Oriente sono perseguitati, muoiono o scompaiono in una lenta emorragia, vittime del crescente anticristianesimo.
    La cristianofobia è multiforme e si nutre di motivazioni tra loro assai diverse: tuttavia, ogni anno fa parecchie centinaia o addirittura migliaia di morti. In alcuni casi essa è frutto dell’adozione di una politica ispirata a idee di «pulizia» etnica e religiosa il cui scopo è cacciare dalla culla del cristianesimo le popolazioni cristiane, ostinatamente fedeli al credo dei loro antenati.
    Il nostro silenzio in proposito ricorda altri silenzi di sinistra memoria, e nel giro di due o tre decenni provocherà forse nuovi imbarazzati appelli al pentimento e dichiarazioni di rimpianto per non aver voluto far affiorare una verità che doveva essere resa nota a tutti.
    Nel corso di anni di ricerche mi è capitato di incontrare, in Occidente, numerosi cristiani, cresciuti in famiglie cristiane, benché non praticanti, i quali non erano minimamente turbati dagli attacchi contro i loro fratelli. Sembrava che quelle persone fossero affette da cecità o amnesia. E quando ho presentato il dossier da me raccolto, quando ho tirato fuori fotografie e ritagli di giornali citando statistiche, bilanci e rapporti, mi sono trovato di fronte al rifiuto, talvolta cortese, di ascoltare quanto avevo da dire. Non ero credibile e, soprattutto, non ero «moderno».
    Agli occhi dei miei interlocutori avevo il grande torto di predicare per la mia parrocchia, i cui valori sono rigettati e condannati senza appello.
    Dapprincipio ho ingenuamente ritenuto che la colpa di questa situazione fosse da addebitare all’ignoranza. Ma essa non basta a spiegare tutto, anzi. Combattere l’antisemitismo e il razzismo, battaglie alle quali mi dedico con forza da decenni, non richiede necessariamente una conoscenza approfondita della letteratura rabbinica o della storia dello schiavismo. Non c’è alcun bisogno di avere un’empatia particolare con colui che soffre a causa della propria origine, vittima di una giustizia negata, per aver voglia di prendere le sue difese denunciando a gran voce il silenzio e l’oblio che circondano la sua condizione. Sono in ballo la dignità e i diritti umani.
    Una delle ragioni del silenzio e dell’oblio che circondano le minoranze cristiane è da ricercare nella loro progressiva emarginazione e nella continua perdita di peso politico e demografico da cui sono afflitte.
    I cristiani d’Oriente sono emigrati o stanno emigrando in massa; sono sempre meno numerosi e in mancanza di meglio sostengono i regimi al potere (ritenendoli preferibili all’avvento di regimi fondamentalisti); in pratica non hanno più alcun ruolo politico nei paesi in cui risiedono.
    In più, devono fare i conti con un circolo vizioso: sono emarginati in quanto cristiani, e, in quanto emarginati, di loro si parla sempre meno.
    Il loro isolamento è aggravato dal fatto che le persecuzioni contro i cristiani non sono generalmente menzionate nelle denunce delle violazioni dei diritti umani, per una ragione molto semplice: perlomeno in Occidente i cristiani faticano ad associare al cristianesimo il concetto di minoranza.
    La difesa dei diritti dell’uomo si è sviluppata a partire dalla lotta per la protezione delle minoranze religiose o etniche un tempo soggette a persecuzioni. Gli ebrei, i neri o i musulmani in Europa e in America rientrano in questo schema. La mobilitazione in loro favore è resa ancora più incisiva dal senso di colpa prodotto dal coinvolgimento delle Chiese cristiane nello sviluppo dell’antisemitismo, nello schiavismo e nel colonialismo (portatore di una visione umiliante per i musulmani).
    In Occidente prendere le difese dei cristiani equivale a schierarsi dalla parte della maggioranza.
    Il sempre più scristianizzato Occidente fa fatica a concepire che i cristiani possano essere perseguitati in quanto cristiani, perché essere tali, secondo uno slogan semplicistico che si sente ripetere spesso, significa stare dalla parte del potere.
    Occorre combattere la gravissima disinformazione che affligge l’opinione pubblica occidentale a proposito della situazione dei cristiani nel mondo e in particolare nelle regioni dove essi sono minoritari, come nel Maghreb, nell’Africa subsahariana, in Medio Oriente e in Estremo Oriente.
    L’esistenza dei cristiani orientali è poco nota. Coloro che non la ignorano ne danno spesso una valutazione troppo riduttiva, che tende a fare delle comunità cristiane d’Oriente una sorta di appendice del cristianesimo occidentale, o la conseguenza dell’espansione coloniale. In altre parole, i cristiani d’Oriente non sono considerati autoctoni, ma un elemento importato.
    Si dimentica che il cristianesimo è nato in Oriente dove si è sviluppato ben prima che l’Europa diventasse quasi completamente cristiana.
    Secondo il punto di vista occidentale, le persecuzioni a cui sono sottoposti i cristiani in quei luoghi lontani colpirebbero il cristianesimo non in quanto tale, ma nella sua qualità di emanazione dell’Occidente. Inoltre, poiché in Occidente il cristianesimo è maggioritario, non può aspirare allo status di minoranza in Oriente.
    Questo ragionamento sortisce l’effetto di negare implicitamente la sofferenza delle minoranze cristiane e di frenare la mobilitazione in loro favore. Al tempo stesso, iniziative a sostegno delle popolazioni cristiane d’Oriente sono scoraggiate, in quanto potenzialmente controproducenti: trasformare i cristiani orientali in «protetti» dell’Occidente potrebbe esporli a rischi ancora più gravi.
    Tuttavia, questa preoccupazione deve forse esonerarci dall’intervenire, dal momento che proprio noi parliamo di «dovere di ingerenza»? E l’indifferenza non apre forse la via all’oscurantismo?
    Le guerre di religione o i fenomeni religiosi ci sembrano appartenere a una lontana preistoria: da ciò deriva la radicale incapacità, da parte dell’Occidente, di affrontare la questione in tutti i suoi aspetti.
    Per esempio, nella nostra società, la difesa dei cristiani di altre parti del mondo è spesso vista come un tentativo di favorire il ritorno del religioso o di imporre i principi cristiani, che non sono più considerati valori fondamentali; ne consegue che coloro che si preoccupano della sorte delle minoranze cristiane sono guardati con gran sospetto: nella migliore delle ipotesi sono etichettati come ultraconservatori.
    Nel silenzio cristiano si deve scorgere altresì l’effetto di una svalutazione implicita e sistematica del cristianesimo, largamente incoraggiata da un laicismo ottuso e aggressivo, che spesso si manifesta nel modo in cui i media trattano le vicende che coinvolgono i cristiani.
    Tra fine novembre e i primi di dicembre del 2008 due avvenimenti legati alle tensioni interreligiose hanno fatto parlare di sé attirando l’interesse dei grandi media internazionali in modo assai diseguale: ci riferiamo al massacro compiuto a Mumbai da un gruppo di mujaheddin, che hanno ucciso 172 persone e ne hanno ferite circa 300, e alle sommosse anticristiane verificatesi in Nigeria, dove alcuni gruppi musulmani locali hanno attaccato i cristiani, uccidendone più di 300, saccheggiando i loro beni e devastando le loro chiese. Nel 2004 si erano scatenate violenze simili, che avevano lasciato sul terreno i cadaveri di oltre 700 cristiani.
    I fatti di Mumbai hanno occupato le prime pagine di quotidiani e telegiornali, mentre l’altro episodio è stato appena menzionato, sebbene l’ammontare delle vittime fosse assai più elevato e le distruzioni nettamente più gravi.
    Questo trattamento differenziato da parte dell’informazione è emblematico della difficoltà di sensibilizzare l’opinione pubblica, persino la più accorta, riguardo alle persecuzioni che colpiscono i cristiani in numerose regioni del mondo.
    Si usano due pesi e due misure; se qualcuno protesta, viene accusato di essere a favore della censura, contro la libertà di informazione e di essere un bigotto e un baciapile.
    Ho avuto occasione di sperimentare personalmente questo disprezzo a Parigi, nell’agosto del 1997, in occasione della Giornata mondiale della gioventù, che aveva riunito giovani giunti da ogni parte del globo.
    Prima della manifestazione la grande stampa internazionale aveva pressoché ignorato l’evento. Se n’erano occupati soltanto alcuni editorialisti, i quali avevano previsto che quel tentativo di «irreggimentare» e «manipolare» la gioventù si sarebbe risolto in un insuccesso. Durante la manifestazione un certo numero di giornalisti si è limitato a sottolineare i gravi disagi al traffico cittadino causati del raduno.
    Nessuno si interrogava sulle motivazioni che animavano i partecipanti, né sul significato profondo di quel ritorno al religioso.
    Di fronte a un giornalista che mi intervistava rivolgendomi domande sarcastiche sull’avvenimento, ho abbozzato una provocazione, domandandogli a mia volta quale fosse la sua reazione di fronte al pellegrinaggio islamico canonico alla Mecca (Hajj). Il mio interlocutore mi ha guardato stupito, come se le mie parole facessero di me un emulo degli antichi inquisitori.
    Ho quindi capito quanto sia difficile perorare la causa dei cristiani che soffrono nel mondo e quanto essere cristiano, agli occhi di molti, rappresenti un’intollerabile mancanza di buon gusto, per non dire un handicap che sarebbe meglio tentare di nascondere.
    Come si può chiedere all’opinione pubblica di mobilitarsi in favore dei cristiani d’Oriente, d’Africa, del Maghreb ecc., se il cristianesimo è la sola religione sottoposta a una sistematica denigrazione che si prefigge di snaturane lo spirito e il messaggio?
    La Francia è forse l’unico paese occidentale in cui è buona norma stigmatizzare coloro che si dichiarano credenti, e di conseguenza anche le Chiese ufficiali alle quali li lega la fede.
    Questo atteggiamento è evidente ogniqualvolta è tirata in ballo la laïcité, principio legislativo che gode di un consenso quasi unanime e di cui nessuna associazione religiosa ufficialmente costituita chiede l’abolizione. Anche i cristiani d’Oriente si richiamano alla laicità. Inchieste e sondaggi hanno dimostrato che i cattolici francesi, praticanti compresi, erano favorevoli alla legge del 1905, la quale è ormai sul punto di diventare quasi un testo sacro, almeno a giudicare dagli strepiti che provengono da certi ambienti dell’integralismo laicista quando si affronta l’argomento. La legge del 1905 è probabilmente il solo documento mai votato a Palazzo Borbone che sia considerato scolpito nella pietra. Chiunque osi suggerire l’idea di una sua revisione si attira l’accusa di minacciare le fondamenta stesse della République.
    Nella loro miopia, i campioni della ragione, del libero esame e della critica rifiutano ostinatamente di applicare queste virtù alla propria causa. Chi commette il sacrilegio di non pensarla come loro è regolarmente denunciato come un novello inquisitore!
    I conflitti politici sono resi ancor più aspri dal fatto che per lungo tempo hanno riguardato la religione: il castello contro il municipio, il curato contro il maestro pubblico ecc. L’adesione alla Repubblica della quasi totalità dei cristiani ha semplicemente cambiato i termini del confronto, spostandolo sul terreno della scuola: di qui le grandi crisi provocate, nel corso del XX secolo, dai progetti di riforma delle leggi che regolano i rapporti tra lo Stato e l’insegnamento confessionale. Mentre le manifestazioni del 1° maggio mostravano segni di logoramento, quelle a favore della scuola laica o confessionale del 1984 hanno richiamato in piazza centinaia di migliaia di persone.
    Sembra quasi che la Repubblica sia costantemente minacciata dalle oscure trame dei bigotti. Provate a parlare di «laicità positiva» e scatenerete immediatamente una bufera difficilmente comprensibile per gli osservatori stranieri, che si stupiscono nel vedere quanto facilmente noi francesi ci crogioliamo in vecchie questioni «fratricide».
    Gli anticlericali di un tempo hanno lasciato il posto ai nuovi professionisti dell’anticristianesimo, intolleranti e irrispettosi delle credenze di coloro che hanno la sfortuna di non pensarla come loro. La società francese continua a essere impregnata del tanfo di un anticlericalismo primario che si ripresenta ogniqualvolta si discute a proposito di laicità.
    Se vi azzardate a far notare la cosa sarete etichettati come «baciapile», e vi sarà quasi certamente sbattuto in faccia l’affare delle vignette danesi sul profeta Maometto.
    Peraltro, le prime vittime di quelle caricature non sono stati gli anticlericali e i laicisti d’Europa ma i cristiani del Pakistan e della Nigeria, che hanno pagato con la vita l’«errore» dell’Occidente, il quale tanto per cambiare non ha mosso un dito.

    da “Cristianofobia. La nuova persecuzione”, di René Guitton – Lindau Editore, Torino, 2010

    DOVE:

    Arabia Saudita: Probito qualsiasi culto che non sia quello islamico. Unico Paese al mondo senza luoghi di culto di altre Religioni

    Corea del Sud: 404.000 cristiani. I cristiani soffrono forti
    persecuzioni. Il solo culto consentito è quello del “Beneamato Leader”
    Kim Jong-il e di suo padre Kim II-Sung. I cristiani sono visti come
    minaccia per cui un numero semre in aumento è stato condannato ai lavoro
    forzati nei campi e ad esecuzioni capitali segrete.

    Cina: 21 milioni di cristiani. Esistono grandi squilibri nella libertà
    religiosa, con maggiore libertà per le chiese registrate e per I
    cristiani delle città, mentre quelli nelle areee rurali e delle chiese
    non registrate (di gradimento al regime) vengono arrestati.

    Algeria: Il governo regola la pratica religiosa cristiana. La metà delle
    52 chiese evangeliche ha dovuto chiudere. 10 cristiani arrestati per
    avere venduto copie della Bibbia. Quasi tutti i cristiani sono ex
    musulmani.

    Egitto: 8,3 milioni di cristiani. Nonostante il cristianesimo sia
    presente sin dal primo secolo, le chiese evangeliche in particolare sono
    sotto pressione dal governo. Vi è discriminazione di cristiani sul posto
    di lavoro e i musulmani spesso usano la shar’ia — legge isalmica — per
    discriminare i cristiani. I convertiti al cristianesimo subiscono
    pressioni per tornare all’Islam. Alcuni sono minaciati di morte.

    Bielorussia: 9 milioni di cristiani (96%). La chiesa ortodossa gode di
    privilegi. Le altre denominazioni cristiane vengono molestate e multate
    dalle autorità. Tutte le Chiese devono registrarsi e questo richide anni
    di burocrazia. Le proprietà ecclesiastiche vengonbo vandalizzate e la
    distribuzione di stampa cristiana è ristretta dalla legge. La Chiesa
    cattolica attende ancora la restituzione dei beni confiscati nel periodo
    sovietico, in modo particolare chiese e luoghi di culto.

    Giorgio Nadali

    www.giorgionadali.it


    La chiesa anti shopping e il vero spirito del Natale

    di Giorgio Nadali

    www.giorgionadali.it

    Il suo vero nome è Church of Life After Shopping (“Chiesa della Vita dopo lo Shopping”). Al di là del folklore il messaggio è serio. Comprate meno e regalate di più. La Chiesa è nata nel 1996 e la sua principale attività è quella di organizzare cori gospel cristiani nei grandi centri commerciali per avvertire la gente che il consumismo sfrenato è contro il volere di Dio.

    Vestiti in tunica rossa costoro viaggiano da un capo all’altro degli Stati Uniti d’America con un pullman che sulle fiancate ha la scritta Church of Stop Shopping Gospel Choir. In questi giorni sono impegnati nel ricordare che lo spirito del Natale non sta nel consumismo dello shopping.

    Organizzano manifestazioni antishopping, specialmente sotto Natale per farne comprendere il vero spirito cristiano. Hanno fatto incursione nel più grande centro commerciale più visitato del mondo – il Mall of America di Twin Cities nel Minnesota, alla sede centrale della catena dei magazzini Wal-Mart e a Disneyland in California.

    L’ultima loro iniziativa è un tour in Gran Bretagna dal titolo 2009 UK Shopocalypse Tour (Tour 2009 contro l’Apocalisse dello shopping) dove l’ossigenato pastore newyorkese Bill Talen e i suoi hanno cercato di riportare i forsennati dello shopping all’ovile dei valori evangelici. http://www.revbilly.com

    Nel giugno 2009 la BBC titolava: A mission to the World to stop shopping (Una missione nel mondo per fermare lo shopping). Il pastore è soprattutto contro le grandi catene commerciali e per ridurre gli sprechi dei consumatori che dovrebbero invece puntare sul consumo locale.

    Lo fa al suono di cori gospel. Come Giovanni qualcuno direbbe: «Maestro, abbiamo visto uno che scacciava i demòni nel tuo nome e glielo abbiamo vietato, perché non era dei nostri» (Mc 9,38). Gesù risponderebbe: «Chi non è contro di noi è per noi» (Mc 9,40).

    S. Leone Magno – Omelie sul Santo Natale

    «Oggi, dilettissimi, è nato il nostro Salvatore: rallegriamoci! Non è bene che vi sia tristezza nel giorno in cui si nasce alla vita, che, avendo distrutto il timore della morte, ci presenta la gioiosa promessa dell’eternità. Nessuno è escluso dal prendere parte a questa gioia, perché il motivo del gaudio è unico e a tutti comune: il nostro Signore, distruttore del peccato e della morte, è venuto per liberare tutti, senza eccezione, non avendo trovato alcuno libero dal peccato.

    Esulti il santo, perché si avvicina al premio. Gioisca il peccatore, perché è invitato al perdono. Si rianimi il pagano, perché è chiamato alla vita. Il Figlio di Dio, nella pienezza dei tempi che il disegno divino, profondo e imperscrutabile, aveva prefisso, ha assunto la natura del genere umano per riconciliarla al suo Creatore, affinché il diavolo, autore della morte, fosse sconfitto, mediante la morte con cui prima aveva vinto. In questo duello, combattuto per noi, principio supremo fu la giustizia nella più alta espressione. Il Signore onnipotente, infatti, non nella maestà che gli appartiene, ma nella umiltà nostra ha lottato contro il crudele nemico. Egli ha opposto al nemico la nostra stessa condizione, la nostra stessa natura, che in lui era bensì partecipe della nostra mortalità, ma esente da qualsiasi peccato.

    Dunque il Verbo di Dio, Dio egli stesso e Figlio di Dio, che «era in principio presso Dio, per mezzo del quale tutto è stato fatto e senza del quale neppure una delle cose create è stata fatta», per liberare l’uomo dalla morte eterna si è fatto uomo. Egli si è abbassato ad assumere la nostra umile condizione senza diminuire la sua maestà. E’ rimasto quel che era e ha preso ciò che non era, unendo la reale natura di servo a quella natura per la quale è uguale al Padre. Ha congiunto ambedue le nature in modo tate che la glorificazione non ha assorbito la natura inferiore, né l’assunzione ha sminuito la natura superiore. Perciò le proprietà dell’una e dell’altra natura sono rimaste integre, benché convergano in una unica persona. In questa maniera l’umiltà viene accolta dalla maestà, la debolezza dalla potenza, la mortalità dalla eternità. Per pagare il debito, proprio della nostra condizione, la natura inviolabile si è unita alla natura che è soggetta ai patimenti, il vero Dio si è congiunto in modo armonioso al vero uomo. Or questo era necessario alle nostre infermità, perché avvenisse che l’unico e identico Mediatore di Dio e degli uomini da una parte potesse morire e dall’altra potesse risorgere. Pertanto si deve affermare che a ragione il parto del Salvatore non corruppe in alcun modo la verginale integrità; anzi il dare alla luce la Verità fu la salvaguardia del suo pudore. Tale natività, dilettissimi, si addiceva a Cristo, «virtù di Dio e sapienza di Dio»; con essa egli è uguale a noi quanto all’umanità, è superiore a noi quanto alla divinità. Se non fosse vero Dio non porterebbe la salvezza, se non fosse vero uomo non ci sarebbe di esempio. Perciò dagli angeli esultanti si canta nella nascita del Signore: «Gloria a Dio nel più alto dei cieli» e viene annunciata «la pace in terra agli uomini di buona volontà» .

    Giorgio Nadali

    www.giorgionadali.it


    Vita, rimani qui con me. L’uomo si distrugge con la scienza senza umanita’.

    di Giorgio Nadali

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    L’embrione «È un essere vivente non un cumulo di materiale biologico». Lo ha ribadito Benedetto XVI a San Pietro nell’omelia della celebrazione di apertura dell’Avvento, che ha voluto fosse preceduta quest’anno da una Veglia di preghiera per la vita nascente. «Riguardo all’embrione nel grembo materno, la scienza stessa – ha detto il Papa – ne mette in evidenza l’autonomia capace d’interazione con la madre. Non si tratta di un cumulo di materiale biologico, ma di un nuovo essere vivente, un nuovo individuo della specie umana». «Purtroppo, anche dopo la nascita, la vita dei bambini continua ad essere esposta all’abbandono, alla fame, alla miseria, alla malattia, agli abusi, alla violenza, allo sfruttamento».

    “L’uomo si distrugge con la scienza senza umanita'” – diceva Gandhi.  E’ il cuore della bioetica. Quella riflessione etica sulle scoperte scientifiche e sulle relative applicazioni tecnologiche, che ci salva dall’autodistruzione. E’ lo studio sistematico della condotta umana nell’area delle scienze della vita e della cura della salute, quando tale condotta viene esaminata alla luce dei valori e dei princìpi morali. Già, ma quali princìpi? 

    • La scienza è buona solo se difende, protegge, sviluppa, aiuta la vita umana, dal concepimento alla morte naturale.
    • L’uomo è persona dal concepimento alla morte naturale. La vita umana è un valore assoluto. Non dipende da opinioni, non dipende dal fatto che sia stata voluta o no. Qualsiasi vita umana vale sempre e comunque. Contro questo principio ci sono solo ingiustizie e barbarie.
    • L’uomo è sempre soggetto e mai oggetto. La vita umana non può mai essere usata. Non esistono vite meno importanti di altre. Agisci sempre in modo da trattare l’umanità sempre come fine e mai come mezzo (Kant).
    • L’uomo deve sempre preservare la sua vita e quella degli altri.
    • Il vero progresso scientifico deve difendere la vita e migliorarla. Non esiste vero progresso contro la dignità della persona umana.
    • L’uomo è persona anche quando non può comunicare o non può mostrare la sua intelligenza (perché è in coma o è malato di mente o è ancora un embrione o perché è semplicemente un deficiente). Va comunque sempre rispettato. L’intelligenza è una condizione necessaria ma non sufficiente per essere persona (gli animali sono intelligenti, ma non sono persone). La vita è un diritto. Allora esiste sempre il dovere corrispondente di rispettarla e difenderla. 

    Lo scientismo tecnologico è quella visione che dà una fiducia esagerata alla scienza, senza alcuna riflessione etica.  Confonde il progresso con
    la scienza. Innanzi tutto il progresso non è solo un fatto legato alla
    scienza e alla tecnica. Qualsiasi miglioramento della condizione
    della vita umana, grazie all’arte, alla musica, alla politica, alla
    sociologia, alla filosofia, agli sforzi per la pace e la giustizia
    grazie alla religione, alla diplomazia, ecc. costituiscono
    un progresso per l’umanità. In campo scientifico e tecnico
    è progresso (da “pro”-“gradum” = “andare avanti”) solo ciò
    che difende e migliora la vita dell’uomo e la rispetta nella sua dignità.
    Non può essere considerato progresso ciò che danneggia la vita umana. Un cattivo utilizzo della scienza, contro la vita, non è un progresso, e diventa di fatto una violenza tecnologica (abuso delle forze per un fine sbagliato). Lo scientismo tecnologico si illude che ogni problema umano possa essere risolto in chiave
    tecnologica (dalle cose e non dai valori), dimenticando che l’uomo ha
    bisogno di significato profondi. nel suo agire (risposte di senso, che la scienza non può dare). In filosofia, lo scientismo è una concezione epistemologica secondo la quale la conoscenza scientifica deve essere il fondamento di tutta la conoscenza in qualunque dominio, anche in etica e in politica. Il termine scientismo è usato spesso in senso dispregiativo, per criticare un dogmatico eccesso di fiducia nel metodo scientifico o negli scienziati. Si vuole criticare così la mancanza di consapevolezza del fatto, supportato dallo studio delle grandi rivoluzioni scientifiche, che l’intero approccio epistemologico della scienza, i suoi metodi, i contenuti e lo stesso paradigma dominante in una data epoca storica sono soggetti a continue variazioni, e non possono essere fissati una volta per tutte. In sintesi, i termini del problema bioetico consistono nell’unire il “si può fare?” di tipo tecnico, (nel senso: “abbiamo le conoscenze scientifiche e tecniche per realizzare qualcosa?”) con il “si può fare?” di tipo etico, cioè:  “E’ giusto farlo?” Tra il potere e il dovere sta il ponte dell’etica. Ma quali valori danno le risposte? 

    La visione “Radicale Nichilista” ha come metro di giudizio solo la libertà individuale. Tutto ciò che si può fare è anche giusto farlo. Aborto libero, eutanasia libera, fecondazione assistita libera e senza limiti etici, e così via. 

    La visione “Sociologico Utilitarista” ha come metro di giudizio l’opinione dominante della massa e la propria utilità. Se un bambino concepito non è ritenuto un essere vivente, una persona, dalla maggioranza, allora non lo è. Se mi è utile abortire, allora lo faccio. 

    La visione “Scientista” ha come metro di giudizio la scienza. Tutto ciò che la scienza scopre e che la tecnica applica è giusto e automaticamente è un progresso. Nessuna riflessione etica sui suoi utilizzi. 

    La visione “Personalista” ha come metro di giudizio la vita e la dignità dell’uomo (valore della persona umana in quanto tale che non dipende da origini, pensieri , comportamenti, ecc. ma dalla legge naturale. Un essere umana ha la dignità umana per il solo fatto di essere una persona umana. Ogni vita umana vale sempre e comunque). E’ lecito solo e tutto ciò che difende, guarisce, protegge, sviluppa, promuove e rispetta la vita umana dal concepimento alla morte naturale. Questa visione è quella ufficiale cattolica, ma è trasversale a credi politici e religiosi. La vita non può esssre ridotta a ideologie e credi. 

    E’ un valore universale. Infatti il giuramento che ogni medico in ogni università statale, compie nel giorno della laurea, si basa su questo principio:  “Consapevole dell’importanza e della solennità dell’atto che compio e dell’impegno che assumo,  GIURO:  di esercitare la medicina in libertà e indipendenza di giudizio e di comportamento; di perseguire come scopi esclusivi la difesa della vita, la tutela della salute fisica e psichica dell’uomo e il sollievo della sofferenza, cui ispirerò con responsabilità e costante impegno scientifico, culturale e sociale, ogni mio atto professionale; di non compiere mai atti idonei a provocare deliberatamente la morte di un paziente; di attenermi nella mia attività ai principi etici della solidarietà umana, contro i quali, nel rispetto della vita e della persona non utilizzerò mai le mie conoscenze; di prestare la mia opera con diligenza, perizia e prudenza secondo scienza e coscienza ed osservando le norme deontologiche che regolano l’esercizio della medicina e quelle giuridiche che non risultino in contrasto con gli scopi della mia professione; di affidare la mia reputazione esclusivamente alle mie capacità professionali ed alle mie doti morali; di evitare, anche al di fuori dell’esercizio professionale, ogni atto e comportamento che possano ledere il prestigio e la dignità della professione; di rispettare i colleghi anche in caso di contrasto di opinioni; di curare tutti i miei pazienti con eguale scrupolo e impegno indipendentemente dai sentimenti che essi mi ispirano e prescindendo da ogni differenza di razza, religione, nazionalità, condizione sociale e ideologia politica; di prestare assistenza d’urgenza a qualsiasi infermo che ne abbisogni e di mettermi, in caso di pubblica calamità, a disposizione dell’Autorità competente; di rispettare e facilitare in ogni caso il diritto del malato alla libera scelta del suo medico tenuto conto che il rapporto tra medico e paziente è fondato sulla fiducia e in ogni caso sul reciproco rispetto; di osservare il segreto su tutto ciò che mi è confidato, che vedo o che ho veduto, inteso o intuito nell’esercizio della mia professione o in ragione del mio stato”.

    Senza la difesa della vita. Di ogni vita, l’uomo ha solo la possibilità di distruggersi in sette modi “L’uomo si distrugge con la politica senza principi.  L’uomo si distrugge con la ricchezza senza lavoro. L’uomo si distrugge con l’intelligenza senza carattere. L’uomo si distrugge con gli affari senza morale. L’uomo si distrugge con la scienza senza umanità.
    L’uomo si distrugge con la religiosità esteriore senza fede. L’uomo si distrugge con la carità senza il sacrificio di sé”. (Gandhi) Strano che chi usa la sua immagine per le sue lotte politiche, ritenga che la scienza non debba avere limiti morali e che un bambino possa essere ucciso con l’aborto. La tradizione della Chiesa ha sempre ritenuto che la vita umana deve essere protetta e favorita fin dal suo inizio, come nelle diverse tappe del suo sviluppo. Opponendosi ai costumi del mondo greco-romano, la Chiesa dei primi secoli ha insistito sulla distanza che, su questo punto, separa da essi i costumi cristiani. Nella Didachè è detto chiaramente: «Tu non ucciderai con l’aborto il frutto del grembo e non farai perire il bimbo già nato».  Atenagora sottolinea che i cristiani considerano come omicide le donne che usano medicine per abortire; egli condanna chi assassina i bimbi, anche quelli che vivono ancora nel grembo della loro madre, dove si ritiene che essi «sono già l’oggetto delle cure della Provvidenza divina». Tertulliano non ha forse tenuto sempre il medesimo linguaggio; tuttavia egli afferma chiaramente questo principio essenziale: «È un omicidio anticipato impedire di nascere; poco importa che si sopprima l’anima già nata o che la si faccia scomparire sul nascere. È già un uomo colui che lo sarà». Ma . il rispetto della vita umana non si impone solo ai cristiani: è sufficiente la ragione a esigerlo basandosi sull’analisi di ciò che è e deve essere una persona. Dotato di natura ragionevole, l’uomo è un soggetto personale, capace di riflettere su se stesso, di decidere dei propri atti, e quindi del proprio destino; egli è libero. È, di conseguenza, padrone di sé, o piuttosto, poiché egli si realizza nel tempo, ha i mezzi per diventarlo: questo è il suo compito. Creata immediatamente da Dio, la sua anima è spirituale, e quindi immortale. Egli è inoltre aperto a Dio e non troverà il suo compimento che in lui. Ma egli vive nella comunità dei suoi simili, si nutre della comunicazione interpersonale con essi, nell’indispensabile ambiente sociale. Di fronte alla società e agli altri uomini, ogni persona umana possiede se stessa, possiede la propria vita, i suoi diversi beni, per diritto; la qual cosa esige da tutti, nei suoi riguardi, una stretta giustizia.

    EUTANASIA

    1) La vita umana ha un valore assoluto. Vale dunque sempre e comunque. Voluta o non voluta. Sana o malata. Colpevole o innocente. In stato cosciente o in stato vegetativo. Concepita e non ancora nata o già nata…

    2) Nessun medico può dare la morte. Ha giurato di aiutare la vita. Questo il giuramento moderno di Ippocrate, fatto il giorno della Laurea:

    “Consapevole dell’ importanza e della solennità dell’ atto che compio e dell’ impegno che assumo, giuro: di esercitare la medicina in libertà e indipendenza di giudizio e di comportamento; di perseguire come scopi esclusivi la difesa della vita, la tutela della salute fisica e psichica dell’ uomo e il sollievo della sofferenza, cui ispirerò con responsabilità e costante impegno scientifico, culturale e sociale, ogni mio atto professionale; di non compiere mai atti idonei a provocare deliberatamente la morte di un paziente; di attenermi alla mia attività ai principi etici della solidarietà umana, contro i quali, nel rispetto della vita e della persona, non utilizzerò mai le mie conoscenze; di prestare la mia opera con diligenza, perizia, e prudenza secondo scienza e coscienza ed osservando le norme deontologiche che regolano l’esercizio della medicina e quelle giuridiche che non risultino in contrasto con gli scopi della mia professione; di affidare la mia reputazione esclusivamente alla mia capacità professionale ed alle mie doti morali; di evitare, anche al di fuori dell’ esercizio professionale, ogni atto e comportamento che possano ledere il prestigio e la dignità della professione. Di rispettare i colleghi anche in caso di contrasto di opinioni; di curare tutti i miei pazienti con eguale scrupolo e impegno indipendentemente dai sentimenti che essi mi ispirano e prescindendo da ogni differenza di razza, religione, nazionalità condizione sociale e ideologia politica; di prestare assistenza d’ urgenza a qualsiasi infermo che ne abbisogni e di mettermi, in caso di pubblica calamità a disposizione dell’Autorità competente; di rispettare e facilitare in ogni caso il diritto del malato alla libera scelta del suo medico, tenuto conto che il rapporto tra medico e paziente è fondato sulla fiducia e in ogni caso sul reciproco rispetto; di osservare il segreto su tutto ciò che mi è confidato, che vedo o che ho veduto, inteso o intuito nell’ esercizio della mia professione o in ragione del mio stato; di astenermi dall’ “accanimento” diagnostico e terapeutico”.

    3) Non esiste il diritto di morire, ma solo quello di vivere. Ad ogni diritto corrisponde un dovere.  Diritto alla vita – Dovere di rispettare ogni vita.  Gli unici che hano diritti senza avere doveri sono: Il bambino non ancora nato, ma già concepito.  Il bambino non ancora in grado di distinguere il bene e male. Il disabile mentale.

    4) Il malato può voler morire, ma non va preso sul serio (come d’altra parte non si asseconda nessun aspirante suicida, che iene sempre bloccato se possibile). Va invece  confortato e aiutato.

    5) Si può togliere il dolore senza togliere la vita. La terapia del dolore è utilizzata soprattutto durante le ultime fasi di una malattia terminale.

    6) L’eutanasia si presta a gravi abusi sociali. (Chi può pagare resta in vita e il povero può essere eliminato facilmente, oppure si ouò chiederla per un parente incosciente per ereditare da lui).

    7) Una società giusta non elimina i suoi deboli. Malati, disabili, anziani, bambini concepiti e non ancora nati. Era il nazismo che eliminava sistematicamente i disabili.

    Il programma eugenetico nazista Aktion T4 fu anche chiamato «programma eutanasia», espressione che venne utilizzata allora da molti di coloro che erano coinvolti in quest’operazione, ma non può essere considerata a tutti gli effetti eutanasia: non prevedeva infatti il consenso dei pazienti, ma la soppressione contro la loro volontà. Il programma non era poi motivato da preoccupazione per il benessere dell’ammalato, come il desiderio di liberarlo dalla sofferenza, l’Aktion T4 veniva invece portato avanti principalmente a scopo eugenetico, per migliorare l’«igiene razziale» secondo l’ottica dell’ideologia nazista allora imperante. Mirava inoltre a diminuire le spese sanitarie ed assistenziali statali, considerando che le priorità economiche erano rivolte ad altre voci come il riarmo militare. Il programma fu definito dai contemporanei come una «eutanasia sociale». A fronte di una grande opposizione interna il programma fu ufficialmente abbandonato nell’estate del 1941.

    8 ) Lo stato vegetativo in medicina è solo “persistente”. Non esiste quello “permanente”.

    9) Solo la morte celebrale è quella che può essere certificata da un medico.  La morte cerebrale è un criterio per ottenere la diagnosi di morte. La morte ha inizio con la cessazione irreversibile di tre funzioni
    Cardiocircolatoria: morte clinica. Respiratoria: morte reale. Nervosa: morte legale.Nella legge 644/75 del 2 dicembre 1975 si dice testualmente che « l’accertamento della morte deve essere effettuato,
    mediante il rilievo continuo dell’elettrocardiogramma protratto per non meno di venti minuti primi »  Si parla quindi di cardiogramma, poiché viene da sé che un encefalo non ossigenato per venti minuti muore.

    10) Non si può suicidarsi nè chiedere di essere uccisi. La società sostiene la vita, non la morte.

    11) Il valore della vita non dipende dalla salute.

    12) In Italia vi sono 3360 casi di stato vegetativo persistente.

    13) Il mondo rifiuta l’eutanasia. Su 194 stati nel mondo, solo 14  la consentono, di cui 9 in Europa. Austria, Belgio, Danimarca, Germania, Lussemburgo, Olanda, Regno Unito, Svezia e Svizzera. In nessuno di questi è consentita l’eutanasia di un paziente che non sia cosciente e consenziente e che non abbia manifestato per scritto la sua volontà.

    14) A Bologna esiste una struttura pubblica e gratuita per questi casi: la Casa dei Risvegli Luca de Nigris. www.casadeirisvegli.it

    Solo il nazismo selezionava e discriminava la vita umana in base alla razza e alla salute. Il marxismo lo fa tuttora (23 dittature in corso) in base alle classi sociali. Totalitarismi appunto. Ma la vita umana vale sempre e comunque.

    Tu da che parte stai? Vita o morte? 

    Giorgio Nadali

    www.giorgionadali.it