Miracolo della mistica. Il sufismo guarisce Karen

Un grave incidente di surf nel 2015. Karen Cavenaugh è in coma e al suo risveglio riceve una terrbile notizia: “Non  camminerai più”. Ma Karen non si dà per vinta. Ricorda una poesia letta 20 anni prima. E’ di  Jalāl al-Dīn Rūmī (1207-1273), il mistico persiano fondatore dell’ordine Mevlevi dei Dervisci rotanti, del misticismo Sufi. La poesia che ricorda Karen dice:

“Ho vissuto sull’orlo della follia volendo conoscere l’intelletto, bussando alla sua porta. Si apre, infatti. Ho bussato dall’interno”.

Così, Karen inizia a frequentare le lezioni di un maestro Sufi il cui insegnamento è centrato sulla mistica del ruotare vorticosamente su se stessi. Anche se Karen non è più in grado di ruotare il suo corpo, inizia a meditare  e a visualizzare il suo corpo che ruota. Poi, accade qualcosa di incredibile.

“Immediatamente, c’è stato un momento in cui ho sentito alcun dolore “, dice Karen . “Ho detto a mio marito:  so quello che devo fare. Voglio entrare nell’ordine dei Dervisci rotanti. Non sento più dolore”

Dopo diverse settimane , Karen dimostra a tutti i medici che si sono sbagliati: inizia a camminare di nuovo. E infine è anche in grado di ruotare. Si reca dalla sua casa negli Stati Uniti a Konya (Turchia) e riceve l’ordinazione dei Dervisci.

I Dervisci dell’Ordine dei Mevlevi appartengono a confraternite Islamiche (turuq) che raggiungono l’estasi mistica (jadhb) con una danza turbinante. Vivono in povertà similmente ai monaci cristiani.

La loro danza mistica è una forma di meditazione attiva che tra i Sufi (mistici) islamici. La danza è all’interno di una cerimonia religiosa di adorazione, la sema. L’obiettivo è il raggiungimento della sorgente di ogni perfezione, la kemal. Ascoltando la musica, i Dervisci rotanti abbandonano i propri desideri e il proprio ego focalizzandosi in Dio roteando il proprio corpo in cerchi continui, imitazione dell’orbita dei pianeti del sistema solare attorno al sole. Nel 2005 l’UNESCO ha proclamato la cerimonia sema dei Dervisci Mevlevi della Turchia, uno dei Patrimoni orali e immateriali dell’umanità. L’Ordine è stato fondato nel 1273 a Konya, da dove si è diffuso in tutto l’impero ottomano. Oggi i Mevlevi si trovano in comunità della Turchia in tutto il mondo e soprattutto a Konya e Istanbul.

Durante la danza mistica viene eseguito il repertorio musicale detto ayin. Lo ayin si basa su quattro sezioni strumentali e vocali con ritmi ciclici contrastanti. Ci sono un flautista (neyzen), un suonatore di tamburo e uno di cembalo. I danzatori si preparano con 1.001 giorni di esercitazione in clausura (mevlevihane) dover apprendono l’etica, i codici di comportamento, la vita di preghiera, la poesia e la danza. Dopo la preparazione sono membri dell’ordine, ma possono combinare vita la civile con quella spirituale.
Dopo un digiuno di diverse ore, i Dervisci rotanti iniziano la loro danza circolare su se stessi, partendo dal loro piede sinistro, usando il destro per guidare il proprio corpo attorno al piede sinistro. Gli occhi devono rimanere aperti.

Nel simbolismo del rito sema il copricapo del semazen rappresenta la tomba dell’ego, la sua gonna larga, chiamata tennure, rappresenta il sudario mortuario dell’ego. Quando si toglie il suo mantello nero (hurka) significa che è rinato spiritualmente alla verità. All’inizio del rituale sema, lo semazen tiene le sue braccia incrociate perché vuole significare il numero uno, l’unicità di Dio. Mentre gira vorticosamente, il danzatore tiene le braccia aperte con il braccio destro che punta verso il cielo, pronto a ricevere il favore divino. La sua mano sinistra punta verso terra. Lo semazen convoglia i doni spirituali di Dio verso i presenti che assistono alla sema. Roteando il suo corpo da destra a sinistra il semazen abbraccia tutta l’umanità con amore. Tra gli altri rituali dervisci vi è la dhikr, la recita di preghiere per raggiungere il trance estatico. L’impeto della danza circolare dei Dervisci è dato dal piede destro. Questo rito rappresenta il massimo del misticismo islamico dei Sufi.

Il sufismo è un processo per raggiungere la vicinanza con Dio attraverso l’amore, mediante la purificazione del proprio ego.
Ogni ordine di Mevlevi ha una sua danza particolare che può variare nei singoli Paesi Islamici. Invece della sama, la pratica devozionale della dhikr della confraternita islamica (tariqa) Qadiri Rifai, esegue la rotazione Sufi aggiungendovi l’uso di strumenti musicali, l’ingerimento di scorpioni vivi, vetro e carboni ardenti , la chiaroveggenza, la punzonatura di parti del corpo con spilloni e la levitazione del corpo.

I Sufi credono nella ghaiba, (“assenza”). È lo stato in cui la persona nonostante sia stata tolta da Dio dall’apparenza visibile sulla Terra, sia ancora viva e rimanga in maniera invisibile nel mondo. L’esempio è l’Imām invisibile (al- Mahdī). La ghaiba è anche uno stadio spirituale sūfī sul percorso verso la fanā, l’assenza da sé e presenza (ḥaḍra) solo a Dio. Il sufismo è un via verso Dio attraverso l’amore. In Iran il termine dei Sufi per amore è ‘Ishq, una parola che deriva da ‘ashaqah, un tipo di vite. Quando questa vite si attorciglia a un albero, questo muore. Anche l’amore per le realtà terrene asciuga e ingiallisce l’albero del corpo. Ma l’amore spirituale fa seccare la radice del proprio egoismo. Il risultato finale della muhabbah (gentilezza) è ‘Ishq (amore). Questo è più puro della muhabbah e non tutta la gentilezza porta a ‘Ishq.

Giorgio Nadali

(foto dell’autore, Il Cairo)


Levitazione & Bilocazione. Sono possibili?

Maharishi Mahesh Yogi ha fondato nel 1975 una scuola di meditazione di volo yogico, come estensione della Meditazione Trascendentale, il quarto stadio di coscienza. Si chiama tecnica TM-Sidhi. Il volo yogico ha tre livelli. Lo stadio iniziale è saltellare su e giù seduti nella posizione del loto, il secondo stadio è lievitare, il terzo stadio è volare. Secondo Maharishi, il volo yogico è un fenomeno creato da uno specifico pensiero proveniente dal più semplice stato di coscienza, chiamato Coscienza Trascendentale. Bevam Morris, presidente della Maharishi University of Management, di Fairfield (Iowa, USA) ha organizzato il primo concorso nord americano di volo yogico nel 1986, presso il Civic Center di Washington. Ventidue praticanti della tecnica TM-Sidhi hanno partecipato in competizioni come i 25 metri a ostacoli, salto in lungo e corsa di 50 metri di volo yogico. Il concorso si è svolto ogni anno sino al 1989. Vicotria Dawson del «Wasgington Post» ha riferito che i partecipanti saltavano rimanendo seduti . Tuttavia nessuno di loro ha volato.

Nell’Induismo i poteri di levitazione del corpo sono chiamati “potere della rana” (dardura-siddhi) e sono attribuiti limitatamente ad alcuni maestri (guru) dotati di poteri spirituali: i siddha, coloro che hanno il potere (siddhi) della leggerezza (laghiman). Il maestro yoga Subbayah Pullavar nel 1936 ha levitato orizzontalmente davanti a 150 persone sospeso su di un bastone coperto da un panno. Shirdi Sai Baba era maestro della levitazione nel sonno. Nel Buddhismo questi poteri sono attribuiti storicamente allo yogi Milarepa.

Secondo il CICAP «a tutt’oggi non è mai stata dimostrata al di là di ogni dubbio l’autentica levitazione anche di un solo spillo. Nessun tavolo, medium o mediatore trascendentale si è mai sollevato di un millimetro (senza saltellare) in piena luce, sotto controllo davanti a una telecamera o, comunque, davanti a un prestigiatore competente. Gli illusionisti, naturalmente, riescono a creare l’illusione della levitazione con abili trucchi (il più spettacolare dei quali, in questo campo è quello presentato dall’americano David Copperfield)».
La bilocazione – la capacità di essere presenti contemporaneamente in due luoghi diversi – è attribuita nel Cristianesimo a Sant’Antonio, Santa Maria di Gesù da Agreda e San Padre Pio da Pietrelcina. Nessuno ha mai dimostrato di poter mostrare il doppio di se stesso nella stessa stanza dove si trovava.

Nel Cristianesimo il santo Giuseppe da Copertino (1603-1663) levitava a causa delle continue estasi mistiche e per questo era continuamente trasferito da un convento all’altro. Il potere di levitazione viene attribuito anche a San Francesco d’Assisi, Sant’Alfonso Maria de’ Liguori che predicava a Foggia sospeso nell’aria, Santa Teresa d’Avila, San Martino de Porres, ritenuto capace di teletrasporto (attraverso porte chiuse) e levitazione, Serafino di Sarov (un santo della Chiesa russo ortodossa) levitò davanti all’imperatore Alessandro I, e San Padre Pio da Pietrelcina, ritenuto capace di bilocazione e lievitazione.

Giorgio Nadali


Dybbuk. Il demone in scatola

 

     Il dybbuk è, nel misticismo ebraico, l’anima senza pace di un defunto, che prende possesso del corpo di un uomo o di una donna. Il suo nome deriva dall’ebraico “attaccamento”. È forse questa l’accusa che è rivolta a Gesù, quando coloro che l’ascoltavano dissero: «Ha un demonio» (Giovanni 10,20). Come anima di un morto o semplicemente come spirito maligno, il dybbuk, può attaccare un corpo vivente e possederlo a causa di un peccato segreto, facendo di lui o lei un dybbukin (posseduto). Questo causa una possessione diabolica che lo fa parlare attraverso il posseduto. Il dybbuk deve completare dentro la persona che possiede ciò che non è riuscito a fare durante la vita terrena. Per farlo uscire dalla persona in cui dimora, vi sono delle complesse procedure che si trovano nei testi cabalistici e queste possono essere messe in atto solo da esperti chassidici. Il giudaismo non conosce comunque il concetto di inferno o di dannazione eterna. Il dybbuk è legato alla credenza nello ibbur (“impregnamento”), una forma limitata di trasmigrazione dell’anima. Lo ibbur è la nascita in una persona buona di un’anima giusta. Per estensione, uno spirito malvagio può passare da una persona all’altra. Il giudaismo tradizionale non insiste sulla realtà dell’oltretomba né sulla trasmigrazione dell’anima. La Cabala afferma invece il concetto di reincarnazione chiamata gilgul. Il dybbuk è uno spirito maligno nello chassidismo ebraico. Il termine apparve per la prima volta nelle comunità ebraiche in Polonia e Germania nel xvii secolo d.C.

     Il dybbuk può nascondersi in una scatola di legno chiamata kufsat dybbuk. Se è aperta, il dybbuk prenderà possesso del malcapitato. Da questa credenza chassidica è stato tratto un film[1] del 2012, tratto da una storia vera[2], The Possession, in cui il dybbuk è il dèmone femminile ebraico Abyzou, detta “la ladra di bambini”. Un precedente film che ha per protagonista un dybbuk è The Unborn, del 2009.

Nel 2004 una kusfat dybbuk è stata venduta sul sito di aste eBay per 280 dollari da Iosif Nietzke[3] a un acquirente di San Louis (usa). La scatola di legno, oltre al presunto dybbuk, conteneva due ciocche di capelli, una tavoletta di marmo, un calice, un bocciolo di rosa essiccato, due penny e una candela. Sia il primo possessore, Kevin Mannis, sia l’ultimo acquirente sperimentarono strani fenomeni come guasti elettrici, bruciatura di lampadine, guasti al computer e problemi di salute, come urticaria e perdita di capelli. Jason Haxton, direttore del museo di medicina osteopatica di Kirksville, ha seguito l’ultimo proprietario Nietzke e ha sperimentato gli stessi fenomeni. Chiese aiuto ai rabbini chassidici per richiudere il dybbuk al suo interno, riuscendovi, e nascose la scatola in una località segreta.

     Nella tradizione chassidica solo un potente rabbino che può operare miracoli, noto come ba’al shem (il signore del nome), può espellere anche il più malvagio dei dybbuk mediante un esorcismo. In ogni caso il rituale per espellere un dybbuk prevede oggi che siano presenti nove uomini ebrei più il rabbino. La celebrazione del rito prevede di spaventare il dybbuk e poi di dialogare con esso nel tentativo di fargli comprendere che deve andarsene. Il gruppo dei dieci circonda il posseduto e recita ripetutamente i versetti del Salmo 91[4]. Il rabbino suona uno shofar (il corno di ariete rituale giudaico) in un modo particolare. Questo spaventa sia il dybbuk, sia la persona posseduta, provocando la separazione dei due. Fatto ciò, il rabbino dialoga con il dybbuk per capire se ha intenzione di possedere diabolicamente un essere umano. Infine il gruppo prega per il posseduto. Talvolta è necessario che il dybbuk faccia i suoi comodi prima che decida di andarsene. La maggioranza degli ebrei non crede più alla presenza dei dybbuk, tranne la comunità chassidica, che celebra ancora i rituali esorcistici sui dybbuk.  

Giorgio Nadali

[1] The Possession, di Ole Bornedal, scritto da Juliet Snowdel e Stiles White, 2012.

[2] La scatola di legno kusfat dybbuk portata in America da una sopravvissuta all’Olocausto. La scatola non è stata aperta per sessant’anni e proveniva dal ghetto di Varsavia. Il 10 novembre 1938 un gruppo di donne del ghetto di Lodz vi intrappolarono un dybbuk.

[3] A jinx in a box?, «Los Angeles Times», 25/07/2004.

[4] Salmo 91,10: «Ecco, i tuoi nemici, o Signore, ecco, i tuoi nemici periranno, saranno dispersi tutti i malfattori».