La simbologia sessuale buddhista tibetana e gli altri simbolismi sessuali delle religioni. V.M. 18

 Lao Tzu, fondatore del Taoismo diceva: «La gentilezza delle parole crea fiducia. La gentilezza dei pensieri crea profondità. La gentilezza nel donare crea amore». Fatto sta che le religioni mondiali usano spesso il simbolismo sessuale in miti e metafore, riti e rituali, storie e sculture, come mezzo per esprimere la relazione con il trascendente.

Un simbolo chiave nel Buddhismo tibetano Vajrayanico è la figura yab-yum, una coppia di divinità maschile e femminile intenti in un’unione sessuale, la quale rappresenta la nozione basilare buddhista che la saggezza e la compassione devono congiungersi per ottenere il nirvana. I seguaci più avanzati del Buddhismo tibetano possono anche usare la “mente beata” dell’orgasmo sotto condizioni disciplinate per comprendere la verità attraverso la “mente della luce chiara”. Nell’orgasmo la mente diviene completamente assorbita e la solita mente concettuale, le apparenze che la accompagnano si sciolgono lasciando la realtà fondamentale. Qui un vento fisico, piuttosto che una scultura, un dipinto o un’immagine, fornisce un simbolismo sessuale che punta verso il trascendente. In molte tradizioni – con eccezione del Buddhismo – il simbolismo sessuale religioso è unito con il linguaggio dell’amore, collocando questi simboli nel contesto di un amore che trasforma.

Gendün Chöpel è l’intellettuale più controverso del Buddhismo tibetano, autore del «Trattato sulla passione». Questa guida sessuale rivolta ai laici combina i classici erotici indiani come il Kamasutra con la cultura buddhista Vajarayana. Chöpel sostiene l’uguaglianza sociale per le donne, la valorizzazione del piacere sessuale femminile e l’esplorazione sessuale in un’etica di sostegno dell’amore. La sua prospettiva tantrica vede l’attività sessuale comune come base per un possibile sviluppo di una straordinaria intuizione, ponendo l’accento sulla compatibilità del piacere sessuale con l’intuito spirituale. Chöpel spiega che le sessantaquattro arti dell’amore intensificano il desiderio e l’orgasmo e possono aprire una porta sull’esplorazione della natura della coscienza. Nell’orgasmo la natura chiara della mente è più percepibile e questo sottile livello di coscienza dissolve l’apparente solidità delle percezioni ordinarie, sino a che anche il desiderio stesso viene trasceso. Le evocative descrizioni delle tecniche e posizioni sessuali fatte da Chöpel sono accessibili, giocose, femministe e un adattamento istruttivo degli alti ideali buddhisti alla vita di tutti i giorni.
L’Induismo ha quattro principi fondamentali : dharma (legge morale), kama (piacere), artha (potere, beni materiali), mokṣa (liberazione dalle rinascite). I testi che si occupano del kama compresi il Kamasutra di Vatsyayana (monaco che viveva in castità assoluta, ma dotato di viva immaginazione – 300 d.C.) descrivono il piacere sessuale invocando parole come rasa (gusto estetico), bhava (atteggiamento emotivo), rati (passione), priti (amore), raga (attaccamento) e samapti (orgasmo). Un’altra parola sanscrita molto usata per descrivere il principio del piacere sessuale è bhoga (godimento) e si riferisce anche ad altri situazioni come il consumo di cibo. Il piacere va vissuto in gioventù, preferibilmente nella grhastha-asrama (vita matrimoniale) per donare la vita. Il matrimonio può essere celebrato (e non consumato) anche da bambini. Dopo aver assolto gli obblighi genitoriali è possibile abbracciare la vita ascetica celibataria (samnyasa-asrama).

Lo Zohar, un testo ebraico cabalistico caratterizza l’idea ebraica della sacralità del sesso suggerendo che l’Essenza Divina “riposa sul letto nuziale” quando la coppia è “unita nell’amore e santità”. Nell’Induismo un linga (pene) come il Shiva linga di marmo del famoso tempio Kandariya Mahadeva di Khajuraho (India) è collocato nel garbhagriha (luogo più interno del tempio indù) per ricordare al devoto che la completezza assoluta dell’unione dei principi maschile e femminile. Lo stesso simbolismo è usato nell’Ebraismo (Zohar) perché la Shekhinah (presenza divina) si rivela al lettore della Torah (l’amante) come fanciulla nascosta in una camera segreta del palazzo, come la garbhagriha indù. Nell’Induismo il linga (pene) che posto al centro della yoni (vagina) nello linga-yoni dei templi rappresenta l’unione del dharma (legge) con la shakti (potere) e tutta la shakti (con soddisfazione delle lettrici) è sempre femminile. Il grembo punta al Brahman (la realtà ultima) e il linga-yoni punta alla generazione della vita da Brahman e l’unione ultima in Brahman dei diversi elementi apparenti del mondo, maschile e femminile.

Nell’Islàm le houris, fanciulle che allietano i devoti maschi in paradiso hanno il nome di Dio scritto su un seno e il nome del marito sull’altro [o eventualmente sino a quattro nomi dei quattro mariti su un seno?

Anche nel Cristianesimo la simbologia sessuale non manca, soprattutto presente nel Cristianesimo medievale delle “spose mistiche” come Santa Teresa d’Avila. Bernini rappresenta nella sua Estasi di Santa Teresa l’incontro con Dio che le appare come angelo con una lancia. Tradizionali simboli fallici sono la lancia, la freccia e il serpente e nel caso di Angela da Foligno di una falce che la riempie con inestimabile sazietà.

Unito al linguaggio dell’amore il simbolismo religioso sessuale evoca anche la reciprocità della relazione, il desiderio di divenire complementari al divino, com’è evidente nella nozione ebraica di sesso sacro, nell’iconografia indù della coppia divina come Shiva e Parvati o Krishna e Radha, ma anche nella simbologia dello yin-yang taoista.
La Sahajiya, una setta tantrica del Bengala usa il coito rituale (maithuna). Lo scopo del sesso rituale di Sahajiya è di trasformare il desiderio (kama) in amore (prema) e va fatto con una parakiya, una donna non sposata o impegnata con un altro. Non vi è però eiaculazione perché il seme va diretto in altro verso la susumna nadi (canale del corpo che collega i chackra, punti vitali) al sahasrara padma dove viene goduta la beatitudine di Radha e di Krishna.

L’enorme varietà nell’uso del simbolismo sessuale è evidente, ma non è usato allo stesso modo in tutte le religioni. Nell’Induismo e nel Cristianesimo le immagini sessuali servono come puntatori verso una realtà trascendente, mentre nel Buddhismo sono strumenti per svuotare la mente e raggiungere il nirvana la “pienezza dello svuotamento”. Un aspetto importante delle tradizioni asiatiche è il posto preminente che viene dato al femminino sacro, forse in parte perché la religione induista proviene da culture agresti più orientate verso le donne. Vi è un contrasto con le culture maschili del Medio Oriente, all’interno delle quali sorse il monoteismo occidentale orientato verso i maschi, dove predomina il modello di maschio come pastore. In ogni caso, nonostante questa evidente diversità vi è un “estetico erotico” nell’utilizzo umano del mito e del simbolo, della danza e della musica, della storia e della teologia, della pittura e della scultura che puntano verso il divino.

Le immagini erotiche si sono trasferite nella vita monastica cristiana, ma anche nel Giudaismo hassidico, in una rappresentazione erotica dell’incontro tra l’umano e il divino. All’interno della tradizione cabalistica giudaica, nonostante le immagini erotiche non siano usate per rappresentare l’incontro tra umano e divino, come sostiene lo studioso Gershom Scholem, Dio viene visto come il centro della sessualità: «in Dio vi è un’unione dell’attivo e del passivo, procreazione e concepimento, da cui proviene tutta la vita e la beatitudine». Nella tradizione islamica troviamo una simile estetica erotica in Rumi, il più grande dei poeti e mistici persiani. […] Infine un’altra forma occidentale per comprendere la relazione tra umano e divino in chiave erotica si trova nel famoso testo cabalistico mistico giudaico, lo Zohar o “Libro dello Splendore”. Anche se non eroicizza direttamente la relazione tra umano e divino, lo fa indirettamente delineando la stessa Torah come l’amante del lettore devoto alla sua lettura.

Duti puja

Nel tantrismo il duti puja è l’adorazione di una bella donna, che comprende il pancamakara. Il rito noto come pancamakara o dei “cinque essenziali” è officiato con cinque ingredienti che in sanscrito iniziano con la “m” e di cui solo i primi quattro si comprano al supermercato: grano (mudra), pesce (matsya), liquore (madya), carne (mamsa), e rapporto sessuale (maithuna). Viene anche definita come “Eucaristia Tantrica”. Lo scopo del rito è di svegliare i poteri spirituali e di soddisfarli. Sono invocate le divinità: Shiva e Shakti, Mahadeva e Mahadevi, Bhairava e Bhairavi. Le coppie cosmiche.

La coppia siede di fronte ad un fuoco. La donna alla sinistra del suo compagno. Il lato sinistro è infatti femminile, quello destro, maschile. La coppia inginocchiata unisce le mani nel tradizionale gesto di saluto namaste. Gli elementi vengono in parte versati nel fuoco e in parte imboccati alla partner, che rappresenta la divinità. Fatto questo la coppia gira intorno al fuoco tre volte e mezza, tante quante le spire della kundalini, l’energia sessuale. La donna è ritualmente elevata e purificata allo stato delle dee (Devi) mediante la meditazione e il nyasa. Il nyasa è il rituale che pone delle preghiere (mantra) o lettere sul corpo mediante il tocco o la visualizzazione, rendendolo divino e riempiendolo col potere della Shakti (il potere creativo di Shiva rappresentato dalla sua consorte). Poi ogni parte del corpo della donna viene adorata, in particolare il volto, i seni e l’organo genitale (yoni). Le sono offerti alcol, carne cotta e pesce. Il rituale culmina con il rapporto sessuale (maithuna) dell’adepto con lei. Nel coito (maithuna) la donna deve avere il controllo. L’unione è simbolica dell’unione del dio Shiva con la sua Shakti. Il maithuna rappresenta lo stato assoluto di beatitudine.

In contrasto con la concezione occidentale, nella tradizione asiatica le femmine e quindi le devi sono viste come attive, immanenti e accessibili, mentre le divinità maschili tendono ad essere passive e (come in Occidente) trascendenti e non facilmente accessibili. Da ciò deriva la forma iconografica più importante dell’Induismo, il linga/yoni shivaita, è sia una forma iconografica parziale con un volto sul linga [pene], sia una forma aniconica che simboleggia l’infinito. In maniera significativa in questa immagine estetica erotica il linga si erge dalla yoni mettendo in evidenza un simbolismo generativo più profondo all’interno del simbolismo sessuale e illustra la fondamentale dottrina induista per la quale tutto il potere è femminile (ad esempio la shakti) e di conseguenza l’energia maschile non è incipiente, ma costantemente reindirizzata dall’energia femminile.

Le tradizioni cinesi condividono una visione simile dell’estetico erotico nella complementarietà dei principi maschili e femminili dello yin e yang. In questa visione è importante che tutto lo yin ha un po’ di yang e viceversa. Perciò lo yin [femminile]e lo yang [maschile] sono interdipendenti e l’ideale è di evitare la contrapposizione e ottenere un bilanciamento tra loro. Nelle tradizioni cinesi, il Taoismo aggiunge anche l’idea della Grande Madre e che la femmina ha un’inesauribile forza vitale che può dare nell’unione.
L’uso del simbolismo sessuale non significa che Dio abbia un corpo, ma deve esserci qualcosa di letterale nel simbolismo e questo implica che Dio può essere letteralmente concepito sia come personale sia come sessuato.

Giorgio Nadali

direttore@oltre.online

Giorgio Nadali, “Sessualità, Religoni e Sette. Amore e Sesso nei Culti mondiali”, Armando Editore, Roma, 1999

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