L’Io unificato e permanente di Gurdjieff

Il metodo di auto sviluppo è, come insegna Gurdjieff, il tentativo dell’individuo di liberarsi dal pesante fardello delle leggi naturali, sotto le quali siamo obbligati a vivere secondo il nostro posto e la nostra funzione che abbiamo nell’universo. (Ricordo che la legge naturale è invece fondamentale nell’educazione cattolica). Tale obiettivo viene raggiunto stimolando la lotta tra l’essenza e la personalità, affinché l’essenza si armonizzi in un Io unificato e permanente. Per seguire il lavoro di Gurdjieff non è necessario abbandonare la casa, il lavoro, la famiglia; per questo è più accessibile rispetto ad altre vie di auto realizzazione, che già da subito chiedono la rinuncia al mondo.

Per iniziare a lavorare su Sé stessi secondo il lavoro di Gurdjieff è importante riuscire a trovare un maestro e un gruppo; ricordando quello che sottolineava lo stesso Gurdjieff “colui che desidera la conoscenza, deve compiere da solo lo sforzo iniziale per trovare la sorgente di essa ed avvicinarsi usando aiuti e direzioni che sono a disposizione di tutti, ma che gli uomini regolarmente non desiderano vedere né riconoscere. La conoscenza non arriva da sola agli uomini, se loro da soli non si sforzano”.

Il lavoro di Gurdjieff rappresenta in gran misura l’attività di gruppo. Un numero specifico di allievi radunati intorno al Maestro possono formare la base di lavoro a loro reciproco vantaggio. Per questo un individuo che lavora da solo, nonostante la sua devozione al lavoro, non può avere i vantaggi dati dal gruppo. Il gruppo serve a creare condizioni favorevoli per il lavoro su Sé stessi, a generare energia, a poter creare attraverso attriti interpersonali il “fuoco” psicologico che assicura il reciproco supporto per altre diverse mete. L’entrata nel gruppo e il rapporto con il maestro, rappresentano il vero e proprio inizio del lavoro. La conoscenza si trasmette oralmente e i Maestri usano la così detta situazione del momento “ora e quì “; nonostante le esigenze che variano a seconda delle persone, è importante chiarire che nell’insegnamento di Gurdjieff esistono 3 linee di lavoro:

1° Il lavoro su sé stessi per sé stessi
2° Il lavoro con altri per altri
3° Il lavoro su Sé stessi per Sé stessi, con altri per altri,
per una Scuola che da compiti

Il primo livello di lavoro rappresenta un tentativo esteso a seguire l’antico ordine che dice “conosci te stesso”. Il lavoro in questa direzione consiste nel raccogliere informazioni sul funzionamento personale, senza nessun tentativo di cambiarsi, focalizzandosi sulla conoscenza reale di noi stessi, senza immaginazioni sulle nostre capacità, la nostra volontà e su un Io permanente. Il processo di conoscenza di se stesso evolve dalle osservazioni di abitudini corporee verso osservazioni delle reazioni emotive e dei modelli intellettuali, si possono così verificare, con il tempo, più frequentemente momenti lucidi di ricordo di Sé, che sono riflessi di un alto livello di coscienza. “Quello che noi siamo veramente e quello che fingiamo e crediamo di essere, rappresentano due parti opposte. Queste due parti opposte esistono in tutti noi senza eccezioni”.

“La cosa più difficile per l’uomo, disse Gurdjieff, è di sopportare gli atteggiamenti degli altri”. Il secondo livello di lavoro assicura specifiche condizioni nello sforzo di diventare consci del proprio comportamento nei confronti degli altri, che dà anche la possibilità di esercitare nuovi modi di stare con gli altri. Il secondo livello di lavoro, abbraccia i rapporti e l’interazione con gli altri, ma l’attenzione è ancora accentuata sui modelli di reazioni individuali, sugli altri e su contesti sociali.

Nel terzo livello di lavoro si concede e incoraggia la propria iniziativa; la crescita personale o guadagno, non rappresentano il centro dello sforzo principale. L’essenza del terzo livello di lavoro rappresenta il servizio disinteressato, perché ogni atto disinteressato supera le capacità degli esseri umani su livelli abitudinari della coscienza. Questo livello di lavoro non può intraprendere nessuna direzione né sforzo duraturo finché la personalità (almeno in certa misura) non è disarmata e il livello di coscienza migliorato.

I movimenti di ginnastica ritmica e danza della fonte asiatica furono adattati da Gurdjieff per essere utilizzati nel lavoro, rappresentando una specie di meditazione in movimento capace di portare l’allievo ad un livello di trascendenza e di trasmettere una determinata specie di coscienza, offrendo il mezzo di raggiungimento di una condizione armoniosa di essere e consentendo all’allievo di osservarsi come essere dalla triplice natura e come totalità. Le forme dei movimenti sono composte da tante specie di danze e da esercizi obbligatori che tutti devono imparare. Questi movimenti sono legati alla musica che influenza e impegna il centro emotivo, con sforzo del centro intellettuale, per seguire forme prestabilite. Il funzionamento del livello istintivo motorio è di opporsi a tutte le propensioni personali effettuando gesti e posizioni insolite. I movimenti di Gurdjieff rompono il cerchio vizioso in quanto si pretendono dal danzatore movimenti innaturali e insoliti che nella vita di tutti i giorni si vedono raramente; tali movimenti rappresentano una sfida nei confronti delle usuali espressioni fisiche dando la possibilità di nascita ad una nuova libertà, cercando di combattere la meccanicità abituale di tutti i nostri movimenti dei quali il maggior numero inconsci. La persona non può rompere lo schema da sola ma con un aiuto esterno: Il Maestro.

Per far sì che tutti i centri lavorano nel modo giusto e non si ostacolino tra loro c’è bisogno di un vero sforzo fisico, solo in questo modo si crea la possibilità per l’armonia. Alcune nostre capacità possono essere espresse solo quando sottoponiamo il nostro corpo ad uno sforzo che esige una grande attenzione e un enorme consumo di energia, cioè quando gli sforzi che si fanno sono al limite dell’esaurimento, dandoci così la possibilità di accedere ad un contenitore speciale di energia: il “grande accumulatore” (Pura Coscienza). Solo da questo si può trarre l’energia per il lavoro su Sé stessi, per l’evoluzione interiore e per gli sforzi richiesti quando l’uomo intraprende la via della conoscenza. Il grande accumulatore ci dà la possibilità di fare sforzi eccezionali, impossibili allo stato normale.

Il lavoro su Sé stessi è individuale e pratico . I risultati sono in diretta armonia con la comprensione. Non si deve accettare nulla se non è dimostrato con un esame personale, la cieca fede non è in armonia con il fondamentale orientamento di questo lavoro. Per questo motivo l’insegnamento di Gurdjieff è completato con alcuni esercizi pratici dediti a portare l’attenzione su noi stessi. Uno di questi esercizi mentali può essere il cercare di essere consci di Sé stessi e concentrati su un pensiero, una parola, guardando la lancetta dei secondi, cercando di rimanere consapevoli di noi stessi, della nostra esistenza e del posto in cui siamo, eliminando tutti gli altri pensieri. Il limite della nostra consapevolezza sarà misurato con il tempo in cui saremo capaci di fare ciò. Vi sono molti altri esercizi che mettono alla prova il limite massimo di concentrazione o meglio di attenzione che ciascuno di noi può sopportare. Questo perché la nostra attenzione non è coerente e perché tutto quello che facciamo è spesso distorto dall’identificazione. Un altro esercizio può essere quello di rivivere gli eventi del giorno, esercitato regolarmente dovrebbe dare molte informazioni che arricchiscono la comprensione della meccanicità umana. Se questi allenamenti venissero praticati con coerenza può succedere che i momenti di auto osservazione comincino spontaneamente ad apparire durante il giorno.
La consapevolezza può apparire temporaneamente “ora e qui” invece che nella memoria.

Giorgio Nadali

da: Prof. Giorgio Nadali,  “Quale proposta educativa nel Cattolicesimo e nei Nuovi Movimenti Religiosi?”

Torino – Facoltà Teologica – 12 Novembre 2005
5° Corso Triennale di Formazione Ecumenica

Accademia Dushan Ki Kai Ku Kan


Occultismo tibetano: Il Tulpa, ovvero il fantasma creato dalla meditazione

Tecnicamente il tulpa è un’eggregora derivante dalla meditazione buddhista. Una eggregora è un’entità incorporea, creata attraverso speciali metodi di meditazione, i quali possono influenzare il pensiero di un gruppo di individui.

Tulpa (tibetano: སྤྲུལ་ པsprulpa; sanscrito: निर्मित nirmita e निर्माण Nirmana; costruireo “costruire”), tradotto anche come “emanazione magica“, cosa evocata e “fantasma è un concetto nel misticismo di un essere o un oggetto che viene creato attraverso la disciplina spirituale o mentale. Esso è definito nei testi buddhisti indiani come qualsiasi apparizione creato irreale, illusorio o mente. Secondo Alexandra David-Néel, i tulpa sono formazioni magiche generate da una potente concentrazione del pensiero.” E ‘un pensiero materializzato che ha preso forma fisica e di solito è considerato come sinonimo di una forma-pensiero
Un antico testo buddhista, il Samaññaphala Sutta elenca la possibilità di creare un “corpo fatto di mente” (Manomayakaya) come uno dei “frutti della vita contemplativa”. testi commentario come il Patisambhidamagga e lo stato Visuddhimagga che questo corpo fatto di mente è come Gautama Buddha e Arhat sono in grado di viaggiare in regni celesti utilizzando il continuum del flusso mentale (bodhi) ed è utilizzato anche per spiegare il miracolo di moltiplicazione del Buddha come illustrato nella Divyavadana, in cui il Buddha ha moltiplicato il suo corpo emanazione ( “nirmita”) in innumerevoli altri organismi che riempivano il cielo. Un Buddha o di altro essere realizzato è in grado di proiettare molti come “nirmiti” simultaneamente in una infinita varietà di forme, in diversi ambiti contemporaneamente.

Il filosofo buddhista Vasubandhu definisce come come siddhi o nimrita, poteri psichici sviluppati attraverso la disciplina buddhista, la disciplina di concentrazione e di saggezza (samadhi) nel suo lavoro seminariale sulla filosofia buddista, la Abhidharmakosa. Bodhisattvabhumi di Asanga definisce Nirmana come illusione magica e “in fondo, qualcosa senza una base”. 
La scuola Madhyamaka della filosofia vede tutta la realtà come vuoto di essenza, tutta la realtà è vista come una forma di nirmita o illusione magica.

Tulpa è un concetto disciplina spirituale e gli insegnamenti del buddismo tibetano e Bon. Il termine “pensiero” è usato già nel 1927 in traduzione Evans-Wentz ‘del Libro tibetano dei morti. John Myrdhin Reynolds in una nota alla sua traduzione in inglese della storia della vita di Garab Dorje definisce un tulpa come “un’emanazione o una manifestazione.”
Dato che
l’uso tibetano del concetto di tulpa è descritto nel libro magico dell’uso delle forme di pensiero, lo studente doveva dedurre che il tulpa fosse solo un’allucinazione. Se invece avesse creduto che il tulpa fosse una divinità vera, “L’allievo che crede questo è considerato un fallimento – ed è destinato atrascorrere il resto della sua vita in un’allucinazione scomoda”.
l termine è usato nelle opere di Alexandra David-Néel, un’esploratrice franco-belga, spiritualista e buddhista, che ha osservato queste pratiche nel XX Secolo il Tibet. David-Néel ha scritto che “un Bodhisattva compleo è in grado di effettuare dieci tipi di creazioni magiche. Il potere di produrre formazioni magiche, tulku o tulpas meno duraturo e materializzati, non, però, appartengono esclusivamente a tali esseri esaltati mistiche. Qualsiasi umana, divina o demoniaca essere possono essere pervaso di essa. L’unica differenza deriva dal grado di potere, e questo dipende dalla forza della concentrazione e la qualità della mente stessa“.

David-Néel ha scritto anche della capacità di un tulpa di sviluppare una mente propria:Una volta che il tulpa è dotato di sufficiente vitalità per essere in grado di riprodurre la parte di un essere reale, tende a liberarsi dal controllo del suo creatore. Questo, dicono gli occultisti tibetani, accade quasi meccanicamente, proprio come il bambino, quando il suo corpo è completato e in grado di vivere a parte, lascia grembo di sua madre “.  David-Néel ha affermato di aver creato un tulpa a immagine di un jolly . Frate Tuck-come monaco che in seguito sviluppato una vita propria e ha dovuto essere distrutti.  David-Néel ha sollevato la possibilità che la sua esperienza sia stata illusoria: “forse ho creato la mia allucinazione.”
OLTRE non si assume alcuna responsabilità per i lettori non lama tantrici che dovessero creare dei tulpa con la meditazione.
Giorgio Nadali

Specchi sacri

Lo specchio, forse per le suggestioni esercitate dall’oggetto in sé, ha un ruolo di rilievo in molti sistemi filosofici e religiosi, dove funge ora da emblema di saggezza, ora da strumento dell’esperienza mistica, ora da tramite di teofanie. Gli sciamani siberani ad esempio hanno avuto l’abitudine di appendere agli abiti specchi metallici a simboleggiare, in analogia con alcuni aspetti della mitologia giapponese, il sole e la luna.

Rientra nel discorso il ruolo, ora metaforico e simbolico ora magico e religioso, che allo specchio è stato variamente attribuito in Cina da parte di quel complesso di speculazioni filosofiche, pratiche ascetiche e fideismi misticheggianti cui generalmente assegniamo il nome di Taoismo. La nitidezza di un miraglio su cui la polvere non facci apresa costituisce una metafora della purezza immacolata della speculazione filosofica e troviamo anche l’invito a considerare l’oggetto il modello ideale dell’attività psichica del saggio: l’uso della mente dell’uomo perfetto rassomiglia a uno specchio, privo di intenzioni e desideri, riflette e non trattiene padroneggiando quindi le cose senza riceverne danno. Nella letteratura mitologica giapponese troviamo il ruolo di chiaroveggenza e onniscenza legato allo specchio. Nel misticismo taoista allo specchio è associata la spada, magicamente efficace per scacciare spiriti malevoli e calamità, assieme ad altri amuleti.

Nello Shintoismo i fedeli per farsi ascoltare dai kami (le divinità) usano il kagami (che si pronuncia kagàmi, non kàgami…) il termine giapponese dello specchio sacro. Gli specchi kagami sono fatti di rame, argento, ferro o vetro e possono avere forme diverse, rotonde, quadrate, elittiche o con otto petali come il kagami hakkōkyō, con otto archi come il kagami hachiryō. Insieme alle spade e i gioielli, agli specchi è stato attribuito un significato religioso profondo e usato in rituali sin dall’antichità, in base alle sue misteriose capacità di riflettere ogni cosa. Lo specchio sacro di bronzo (yata no kagami) è tuttora presente anche nelle insegne imperiali del Giappone (sanshu no jingi).

kagami

Lo specchio sacro è da sempre usato negli antichi rituali mitamashiro. I kami (le divinità) abitano volentieri negli specchi e di conseguenza il kagami è riverito come oggetto di culto (shintai) all’interno dei santuari shintoisti. Con lo sviluppo nel tardo periodo Heian (Fujiwara) della religione che combina kami e buddha (shinbutsu shūgō) si sviluppò anche la pratica di disegnare kami o figure buddhiste a loro associate sugli specchi, conle immagini note come mishōtai. Queste immagini vengono collocate nei santuari shintoisti come oggetti di culto e dedicati ai santuari dai fedeli (sankeisha)

All’interno di rituali volti alla personale affiliazione (kechien) con le divinità. Gli specchi kagami vengono anche dedicati ai santuari come tesoro degli stessi, ma anche gettati nell’acqua come parte di rituali di divinazione dei kami dell’acqua (suijin), e come utensili nelle cerimonie di inaugurazione dei lavori per la costruzione degli edifici. Lo jôtôsai è infatti il rito per gli déi architetti. È un rituale effettuato dai carpentieri shintoisti (in Giappone) durante la costruzione di un edificio. I muratori adorano gli déi dell’architettura e pregano per il completamento del loro lavoro senza problemi. Il rituale ha inizio quando tecnicamente i pilastri di colmo del tetto vengono eretti e collocati.

Nello stato di New York – a Wappingers Falls – esiste la Cappella degli Specchi Sacri (Chapel of Sacred Mirrors) creata da Alex Grey.

Giorgio Nadali

 


Il monaco oracolo di stato tibetano posseduto dallo spirito Dorje Drakden

L’Oracolo Nechung (“piccola dimora”), o Sungi Gyelpoi Tsenkar, la “Fortezza del Demone dell’Oracolo reale” si chiama in realtà Thubten Ngodup (nato nel 1958) e di professione fa l’attuale XVII oracolo vivente (sku rten-pa) del popolo tibetano dal 1987. È l’oracolo di stato del Tibet. Questo signore è un monaco tibetano dell’ordine Nyingma che viene quasi ogni giorno posseduto dallo spirito Dorje Drakden, personificazione di Pehar (il demone protettore dei Gelukpa, i “berretti gialli”) che parla attraverso di lui. Prima dell’esilio a Dharamsala (India) nel marzo 1959, gli oracoli vivevano nel monastero Drepung a Lhasa (capitale tibetana).

Quando è consultato come oracolo Thubten Ngodup (discendente del noto lama tantrico Nga-dak Nyang-relwa) indossa il suo casco pesante quindici chili (che serve a proteggerlo dalla violenza della possessione dello spirito Dorje Drakden che gli dà una forza sovrumana e lo fa contorcere con gli occhi sbarrati e la bava alla bocca) e il suo bel costume di broccato pesante trentacinque chili. Sul petto indossa uno specchio con una cornice di ametiste e turchesi.

Lui emette il suo verdetto mentre getta dei semi in segno di benedizione verso i presenti. Il suo oracolo viene quindi registrato dai monaci e interpretato. 5.623.300 tibetani contano sui suoi oracoli per il loro futuro, e fintanto che sarà posseduto dallo spirito Dorje Drakden Thubten Ngodup non li deluderà.
Il monaco oracolo ha creato un dissidio tra i tibetani esprimendosi contro il culto del “Possessore della Forza del Vajra”, più nota come divinità tantrica Dorje Shugden (Rdo rje shugs-ldan). Il XIV e attuale Dalai Lama (premio Nobel per la pace 1989), nel 1975 ha bandito il culto di Dorje Shugden ritenendolo invece un demone violento, contro la volontà dei tibetani che continuano ad adorarlo.

Giorgio Nadali


Damanhur. Il tempio dell’Uomo

Damanhur si trova in Piemonte, a Baldissero Canavese, in Valchiusella, valle prealpina tra le più belle del Piemonte, ai confini con il Parco del Gran Paradiso, a 45 Km da Torino. 15 Km da Ivrea. Il Tempio dell’Uomo, la grande costruzione ipogea (sotterranea), dichiarata opera d’arte dalla Soprintendenza alle Belle Arti, è un edificio realizzato interamente a mano in 16 anni di lavoro. La Sala degli Specchi, la Sala dell’Acqua, la Sala della Terra, il Labirinto e la Sala dei Metalli. Il Tempio, è un viaggio iniziatico, la riproduzione ritualizzata delle stanze interiori di ogni essere umano: percorrerne le sale e i corridoi è un pellegrinaggio spirituale aperto a tutti i credi e a tutte le convinzioni. Il Tempio dell’Uomo porta questo nome perché è dedicato alla celebrazione della creatività e della spiritualità in tutte le sue forme. “Costruito nel cuore della montagna, è una città sotterranea dove arte e bellezza diventano un mezzo di comunicazione con il Divino. Le stanze sono collegate tra loro in diversi livelli in un percorso che è legato al viaggio che ogni essere umano compie dalla nascita alla morte e ancora alla rinascita”. Il nome Damanhur significa “città della luce”, deriva da un’antica città egizia consacrata al dio Horus. La comunità è ispirata ai principi della New Age. Per esprimere la loro unione alla natura, gli abitanti della comunità autosufficiente di Damanhur, si sono dati dei nomi di animali (Usignolo, Corvo, Ariete, ecc.). Damanhur ha una costituzione, dei ministeri (agricoltura, commercio, cultura, esteri, finanze), una università (Damanhur University), una bandiera, dei servizi sanitari, culturali, scolastici e una propria moneta, il credito. Oggi i residenti della federazione di Damanhur sono 500. Altri 400 vivono nelle vicinanze del Tempio dell’Uomo. Ogni anno conta più di cinquantamila visitatori.

Damanhur è una Federazione di Comunità e di Regioni basata sull’applicazione pratica di una filosofia spirituale. E’ stata costituita nel 1977, con una organizzazione politica e sociale adeguata nel corso degli anni. Il Tempio dell’Uomo, la grande costruzione ipogea (sotterranea), dichiarata opera d’arte dalla Soprintendenza alle Belle Arti, è un edificio realizzato interamente a mano in 16 anni di lavoro. Damnahur è stata fondata 1970 dal terapeuta torinese Oberto Airaudi, convintissimo di avere scoperto il posto dove «meglio si incrociano le linee sincroniche dell’energia cosmica», si estende su 12 comuni e ha per capitale Baldissero Canavese, è dotata di scuole proprie, dall’asilo alle medie, e batte persino moneta, il Credito, parificato d’autorità a un Euro. Un piccolo Stato nello Stato.

Damanhur ha scuole interne per ragazzi fino a 13 anni. Materie come musica, teatro, informatica e diverse lingue straniere completano il curriculum ufficiale, in accordo con i programmi della scuola italiana. I metodi d’insegnamento damanhuriano combinano l’idea delle classi tradizionali con viaggi frequenti per sperimentare direttamente gli argomenti di studio.
La scuola familiare di Damanhur è giunta al suo 19° anno di vita. Ha iniziato le attività con i piccoli della materna, poi ha aggiunto la scuola elementare, fino a comprendere sia la scuola nido che la scuola media. Oggi frequentano la scuola circa 70 allievi, di nazionalità ed età diverse.
Nel tempo, la scuola di Damanhur ha più volte rinnovato la struttura e l’organizzazione del modello scolastico, sperimentando soluzioni diverse per un insegnamento globale, una cultura che valorizzi le diversità e che sia formativa dal punto di vista della crescita spirituale di ognuno.

Dal maggio del 1999 la Scuola familiare è entrata a far parte dei progetti dell’Associazione Damanhur Education

Il sogno condiviso da tutti i genitori ed insegnanti a Damanhur è di realizzare una scuola nuova e innovativa, che sia il seme e la culla di un’umanità risvegliata e armonicamente ricongiunta alla vita. La formazione dei ragazzi nasce dalla loro partecipazione viva e diretta alle attività che la scuola propone loro, quindi dalla qualità delle relazioni che ognuno impara a sostenere con la realtà fatta di materia, idee e sentimenti. La scuola damanhuriana tende a realizzare una formazione globale: intellettiva, culturale, spirituale, affettiva e sensibile.

l’Associazione Damanhur Education propone alle scuole interessate ed ai singoli l’esperienza acquisita in vari ambiti, soprattutto per quanto riguarda la conoscenza e il rispetto dell’ambiente. Le attività dei ‘Temponauti’ sono curate da professionisti che collaborano con la Damanhur Education nel campo dell’animazione e dell’educazione per giovani ed adulti. La Damanhur University organizza corsi di scienze psichiche, facoltà paranormali, medicine naturali, ecologia, esoterismo.


Un corso di Miracoli

“A Course in Miracles” appartiene all’area dei Nuovi Culti di matrice spiritistica/New Age. Nell’ottobre del 1965 Helen Schucman, docente associato di psicologia clinica alla Columbia University di New York, iniziò a ricevere messaggi attraverso il channelling, da un interlocutore che si sarebbe poi identificato come Gesù Cristo.

Nei dieci anni seguenti la voce ha dettato con voce inaudibile i tre volumi, 1188 pagine, del libro conosciuto come “A Course in Miracles” cioè “Un Corso di Miracoli”. Un testo dichiaratamente neo-gnostico popolare nel New Age, considerata quest’ultima dalla Chiesa Cattolica come neo-gnosticismo e quindi in contrasto con la sua dottrina. 2200 sono i gruppi gruppi nel mondo

Per capire la loro visione ricordo brevemente che con il termine “gnosticismo” si intende un movimento di pensiero, centrato sul concetto di conoscenza, che si sviluppò entro i confini dell’Impero Romano durante il secondo e il terzo secolo dopo Cristo. Con il termine “gnosi” si intende un insieme di tendenze universali di pensiero che trovano il loro denominatore comune nel concetto di conoscenza. Il manicheismo, il mandeismo, la cabbala possono essere considerate forme di gnosi. Se il termine “gnosticismo” riveste una connotazione storica precisa, il termine “gnosi” ne è invece privo. Nello gnosticismo cristiano il salvatore è Gesù Cristo, che porta agli uomini il messaggio divino. Egli è sceso in forma umana per non essere notato dai detentori del potere prima del tempo, ma non era veramente uomo, e quindi non ha preso su di sé la sofferenza e la morte. La questione se già la gnosi precristiana conoscesse la figura di un redentore non può essere risolta con certezza. Poiché il richiamo alla liberazione può essere trasmesso in vari modi, il mito gnostico è fondamentalmente aperto ad ammettere anche la figura di un salvatore: non necessariamente una figura celeste, poiché l’annuncio liberatore può verificarsi anche senza mediazione.

“Un corso nei miracoli è un sistema spirituale di autodidattica che insegna che la via per l’amore e la pace universale è quello di annullare il senso di colpa attraverso il perdono. Questo perdono è per gli altri come per se stessi. Il Corso crede che solo l’amore sia reale e che qualsiasi cosa di negativo sia un’illusione della propria mente, mondo compreso. Il mondo che vediamo è solo un frammento della propria immaginazione e rendersi conto di ciò conduce all’ultima verità: il Paradiso. Il Corso, in opposizione alla dottrina biblica, insegna che l’ego (non Dio) abbia creato il mondo. Il mondo che vediamo è illusorio e Dio non sa che esista. Il Corso mette l’accento sul fatto che non sia l’unica via da seguire, perché “alla fine, tutte conducono a Dio”

“A Course in Miracles” ha pubblicato in inglese un manuale per insegnanti, per aiutarli a migliorare l’apprendimento degli alunni. Inizia descrivendo le caratteristiche dell’insegnante di Dio: onestà, fiducia, tolleranza, gentilezza, gioia, arrendevolezza, generosità, pazienza, fede e mente aperta. Il manuale è scritto sotto forma di domande che uno studente potrebbe porre.

Ad esempio: Chi è un insegnante di Dio? La risposta è la seguente. Un insegnante di Dio è chiunque decida di esserlo. La sua qualifica consiste solo in questo. In qualche modo ha scelto di non seguire i propri interessi in contrasto con quelli di altri. Quando un alunno e un insegnante entrano in contatto inizia una relazione educativa. L’insegnante non è quello che realmente conduce l’educazione. La relazione è divina perché Dio ha promesso di mandare il suo Spirito in tutte le relazioni sante. Nella situazione di insegnamento-apprendimento, ognuno impara che dare e ricevere sono la stessa cosa… L’insegnante di Dio non usa livelli di apprendimento. Ogni lezione di apprendimento-insegnamento implica una diversa relazione al principio, nonostante il fine ultimo sia lo stesso. Fare della relazione una relazione santa in cui entrambi possano guardare al Figlio di Dio senza peccato. .. Chiunque è un insegnante? La tendenza del manuale è di sostenere che ognuno è un insegnante, ma la grande maggioranza consiste in “insegnanti” del curriculum di questo mondo, insegnanti dell’ego. Molto pochi sono gli insegnanti di Dio. Come insegnare? Con le nostre parole, azioni o pensieri? Secondo “A Course in Miracles” noi insegnamo con tutti e tre. Ma ciò che realmente costituisce l’insegnamento è il sistema di pensiero che sta dietro le nostre parole, azioni, e pensieri. Il manuale sostiene che il vero contenuto che si insegna è “ciò che pensi, ciò che sei e ciò che ritieni costituisca la relazione degli altri con te. Per questa ragione, le nostre parole divengono strumenti effettivi di insegnamento per Dio, quando sono sostenute dalla nostra vita, quando “diamo un esempio delle parole in noi”. Quando ci qualifichiamo come insegnanti di Dio? Il manuale riferisce la seguente idea: Diveniamo insegnanti di Dio quando siamo pronti ad insegnare realmente, con i nostri pensieri, parole, e azioni, il sistema di pensiero di Dio. In altre parole, diventiamo un insegnante di Dio quando abbiamo raggiunto un certo posto sulla scala spirituale. Gli insegnanti “generici” di Dio – tutti gli insegnanti di Dio – compresi coloro che insegnano percorsi diversi da “ A Course in Miracles” – raggiungono questo stadio quando sono in grado di fare una singola scelta deliberata in cui non vedono il loro interesse come separato dall’interesse di un’altra persona. Questa non è una scelta che la gente fa abitualmente.

Giorgio Nadali


Sessualità & Religioni. 3. Magia rossa d’amore nel Buddhismo tantrico

Vuoi trovare un’amante passionale e fedele? I rituali di magia rossa del Buddhismo

tantrico Vajravana ti aiutano a trovare una yaksini. Grazie alla dea Kurukulla.

Provare per credere…

 

La magia amorosa buddhista consiste in metodi per sedurre un amante mediante rituali. Il Buddhismo, una tradizione nota per i suoi ideali di rinuncia e libertà dal desiderio, crea un posto per questo tipo di magia nel corso del suo sviluppo storico. Attraverso i secoli, i religiosi buddhisti hanno adottato e adattato tecniche rituali e magiche dall’ampio retroterra culturale nel quale si muovevano.
Perennemente in evidenza vi sono i rituali di guarigione, protezione, e abbondanza materiale. La magia d’amore è stata più lenta nell’entrare nel repertorio Buddhista. C’è una chiara evidenza che i primi laici buddhisti che portavano offerte ai santuari dell’albero (Bodhi) per ottenere un coniuge o della prole, ma non erano menzionati rituali specifici per ottenere un amante. Questi rituali sono apparsi nelle prime fonti attorno al VII secolo d.C. ottenendo uno spazio permanente da allora in poi. La magia d’amore appare nel contesto buddhista primariamente nel movimento tantrico, noto anche come Buddhismo Vajrayana, che ha guadagnato spazio nel VII secolo e si è diffuso dall’India all’Himalaya e all’Asia occidentale e meridionale.
La tradizione tantrica ha adottato come uno dei suoi obiettivi l’ottenimento di poteri magici (rddhi) e della perfezione spirituale (siddhi). Di conseguenza, le tecniche magiche hanno proliferato nell’ambiente tantrico. Un altro progresso nel paradigma tantrico è stato il suo miglioramento verso le pratiche laiche. I praticanti laici, sia celibi sia sposati, non erano obbligati ad adottare il celibato, lo stile di vita monastico per seguire seriamente le discipline yogiche e le arti magiche. La combinazione di uno spostamento dal celibato e l’apertura alla magia hanno creato le condizioni in cui la magia d’amore ha potuto prosperare.
Molti riti buddhisti di magia d’amore si trovano in associazione con la dea Kurukulla. La sua iconografia riflette questa specializzazione, nonostante essa si trovi anche in altre pratiche. La dea è rossa – il simbolo della passione e del desiderio nell’immaginario dell’Asia meridionale. Gli attributi che la identificano sono l’arco e le frecce ornate di fiori che la dea mostra nel suo paio di mani centrali (dato che non ne ha solo due). L’arco e la freccia hanno un’associazione antica con l’equitazione d’amore nella cultura indiana e compaiono nei sortilegi d’amore descritti nell’Atharva Veda (primo millennio a.C.). Kamadeva, il cupido indù, ha un arco con una freccia che usa per incitare il desiderio romantico e sessuale. Il possesso di Kurukulla di arco e freccia incrementa il suo ruolo di dea buddhista dell’amore.
Karakulla usa spesso una ghirlanda di fiori rossi e un pungolo per elefante per realizzare la sua arte magica. Dopo che le sue frecce hanno infiammato di desiderio il suo obiettivo, il suo cappio floreale lo avvolge con la passione e il suo gancio lo trascina verso l’amante. I riti della dea Karakulla prevedono diverse procedure magiche. Il colore rosso predomina nell’armamentario dei rituali per magnificare il potere di incanto e di attrazione. Il celebrante indossa indumenti e fiori rossi, usa un rosario rosso di legno di sandalo e celebra su un terreno rosso o sotto un albero a’soka con fioritura rossa.
L’oggetto sacro del cerimoniale, preferibilmente di rame, dev’essere coperto da un panno rosso e dei fiori rossi. Il diagramma rituale dev’essere disegnato con polvere rossa vermiglio oppure col sangue del celebrante, su di un panno rosso oppure su un tessuto tinto di rosso con sangue mestruale. I talismani devono essere legati da un filo rosso tessuto da una donna. Un elemento cruciale è l’invocazione di Karakulla mediante la recita di mantra (incantesimi). Il celebrante identifica poi l’oggetto di desiderio chiamandolo per nome o semplicemente col pensiero e s’immagina Karakulla che agisce per risvegliare l’ardore e l’affetto del soggetto. Un metodo comune è quello di immaginare la dea che scocca la sua freccia nel cuore dell’amante desiderato per poi portarlo al celebrante in uno stato d’innamoramento passionale. In visualizzazioni più complesse la dea distribuisce sciami di feroci api nere per intossicare ulteriormente il soggetto di passione e renderlo indifeso verso la seduzione. L’uso dei rituali è lasciato alla discrezione del celebrante.
Possono essere usati per trovare un amante, riconciliare un coniuge o ottenere un partner tantrico – immaginate gli intrighi che possono svilupparsi come quelli di una moglie virtuosa strappata dal suo letto coniugale o di un uomo comune spinto tra le braccia di una regina. Le arti della magia d’amore hanno fornito agli autori indiani molte trame coinvolgenti e i cercatori d’incantesimi di seduzione si sono mossi nel loro territorio letterario. Una caratteristica interessante della magia d’amore buddhista è di essere usata non solo per ottenere un amante umano.
Un amante può essere cercato tra diverse classi di spiriti e di esseri celestiali e divini. Questo riflette una credenza ampia induista che gli esseri non umani possano avere relazioni e rapporti sessuali con i mortali. Un tipo di essere soprannaturale che è molto presente nella magia d’amore buddhista è la yaksini, che è la parola sanscrita per uno spirito femminile della natura che risiede negli alberi, negli stagni e nei pozzi terreni e abita in un regno meraviglioso nel cielo. Alcune yaksini sono predatrici e pericolose, ma quelle di disposizione più benevolente sono ricercate come amanti e invocate per servire in questo ruolo mediante un rituale tantrico noto come yaksini-sadhana. Questa categoria di amore magico utilizza mantra, offerte e procedure rituali elaborate condotte in segreto o col favore della notte per invocare una yaksini.
Una volta invocato, lo spirito femminile apparirà di fronte al fedele in forma corporea e diverrà la sua consorte, o “moglie”. Una moglie yaksini sarà molto bella e adotterà qualsiasi forma desideri il fedele. La yaksini ha poteri magici e può realizzare ogni suo desiderio. Dotata del potere di volare, la yaksini porterà il fedele sulla sua schiena o su di un carro celestiale e insieme scorrazzeranno nella notte attraversando la terra e il cielo stellato. Una yaksini può visitare il suo sposo mortale sulla terra, giungendo ogni notte e lasciandolo la mattina, oppure trasportandolo nella sua casa celeste dove il fedele può consumare il nettare dell’immortalità e vivere con lei per migliaia di anni. Il piacere erotico è garantito. Le fanciulle soprannaturali hanno la passione del fare l’amore e possono dedicarsi all’unione sessuale per giorni e addirittura per anni portando una beatitudine inimmaginabile con il loro tocco. Avere una yaksini come amante consente al fedele tantrico di vivere fuori dai confini della società tradizionale e rimanere libero dalle responsabilità che una moglie umana comporta, ma allo stesso tempo avere una compagna, una moglie spirituale che può mettere in pratica i poteri magici e i godimenti soprannaturali che il fedele cerca .
I testi buddhisti Subahupariprccha Tantra (VII sec. d.C.) e Manjusrimulakalpa Tantra (VIII Sec. d.C.) contengono descrizioni dello yaksini sadhana il rituale per evocare uno spirito femminile mediante un mantra. Un rituale condotto per la gratificazione sessuale. Il testo specifica che la yaksini può assumere la forma desiderata dall’adepto e può soddisfare la sua libidine per tutta la notte. Entrambi i testi specificano che la yaksini può assumere la forma di un parente femmina, come la madre.

Giorgio Nadali

foto dell’autore, Hong Kong

(tratto da: Giorgio Nadali, “I segreti delle Religioni”, Youcanprint, Tricase, 2015, e-book)

L10a