I tuoi piani 2019 per la ricchezza e la povertà

Giorgio Nadali

Il tuo piano per la ricchezza (consigliato)

Assumiti la responsabilità per le tue circostanze finanziarie.

Non avere mai come obiettivo la ricchezza economica.

Cerca sempre l’eccellenza e la lealtà soprattutto quando nessuno ti vede.

Migliora ogni giorno: impegnati in un auto-miglioramento quotidiano perpetuo. Leggi per imparare, non per divertirti.

Persegui i tuoi sogni e i tuoi obiettivi. Non mettere la tua scala sul muro di qualcun altro.

Stabilisci buoni obiettivi ed evita i cattivi obiettivi: i buoni obiettivi sono legati ai tuoi sogni e alla tua visione della persona ideale che desideri diventare in futuro. I cattivi obiettivi sono obiettivi progettati per aumentare le cose che possiedi.

Non abbandonare mai i tuoi sogni e obiettivi.

Preferisci la botte piena e divorzia subito dalla moglie ubriaca.

Crea entrate automatiche.

Cambia! Non fare sempre le stesse cose. Studia nuove strategie.

Diversifica gli investimenti.

Forgia le buone abitudini ed evita le cattive abitudini: le buone abitudini ti aiutano a migliorare e ti spingono in avanti. Le cattive abitudini fanno il contrario.

Associati con persone ottimiste, felici, entusiaste e di successo e limita la tua esposizione a persone tossiche e negative.

Non giocare mai d’azzardo.

Risparmia il 20% o più delle tue entrate prima di spendere qualcosa.

Controlla i tuoi pensieri ed emozioni.

Non svelare subito mai ciò tutto ciò che pensi: controlla le parole che escono dalla tua bocca.

Non spettegolare mai.

Cerca mentori che hanno fatto ciò che vuoi fare.

Fai coaching.

Non criticare, condannare o lamentarti.

Credi fermamente in te stesso! Sii tu il tuo primo sostenitore! TUTTO è possibile per chi crede! (Mc 9,23)

Esercitati ogni giorno, in modo aerobico e anaerobico.

Mangia sano ogni giorno.

Ammira che è e chi ha più di te. Pensa prima ai sacrifici che ha fatto per arrivarci.

Modera cibo spazzatura, TV, Internet, alcolici, Facebook. Linkedin va bene.

Non sentirti mai inferiore o superiore a nessuno, oppure cerca un bravo psicologo.

Vivi per il domani: rimani soddisfatto oggi nel perseguimento dei tuoi sogni e obiettivi.

Crea una visione chiara della tua vita ideale, futura: questa diventa la tua nuova identità e i tuoi nuovi comportamenti, i tuoi pensieri e le tue abitudini diventeranno i comportamenti, i pensieri e le abitudini del futuro.

Non mentire, imbrogliare o rubare. E’ da sfigati perdenti.

Sii fedele al partner, amici, colleghi di lavoro, clienti e tutor.

Riduci al minimo il numero delle amanti di cui ti puoi fidare.

Soddisfa o supera le aspettative che gli altri hanno in te.

Adotta con coraggio rischi calcolati.

Sperimenta fino a trovare i tuoi talenti interiori e dedica il resto della tua vita a praticare e perfezionare quei talenti.

Ama quello che fai per vivere, ma non fermarti lì.

Prima di alzarti il mattino ringrazia Dio, Buddha, Allah o l’Universo perché sei certo che avrai una giornata meravigliosa.

Fornisci ad altri servizi o prodotti di valore aggiunto superiori.

Sii un sostenitore, non un denigratore.

Evita la “mentalità da sfigato” (Vedi il paragrafo del tredicesimo libro “Chi non si accontenta gode” di Giorgio Nadali)

Diventa un virtuoso in qualunque cosa tu faccia per vivere.

Cerca più fonti di reddito. Non dipendere mai da una fonte di reddito.

Non dire “come posso risparmiare?”. Pensa soprattutto a come puoi guadagnare di più.

Non dire “non ho soldi”. Dì “voglio creare liquidità”.

Abbi una visione mentale positiva, ottimista, orientata al successo.

Dormi almeno 7 ore per notte.

Stabilisci sempre obietti positivi, che non iniziano mai con un “non”.

Abbraccia gli errori e i tuoi “fallimenti”: sono i tuoi insegnanti.

Sii frugale con i tuoi soldi. I più grandi spendaccioni sono proprio quelli che guadagnano poco.

Leggi e commenta sempre tutti gli articoli di Giorgio Nadali.

Evita le spese spontanee o emotive.

Non sopravvalutare mai la tua vita. Non aumentare le tue spese al crescere del tuo reddito.

Pensaci bene prima di ordinare una nave da diporto di 70 metri, anche se ti piace il mare. Poi ti costa il 10% all’anno in manutenzione / equipaggio / docking / nafta.

Cerca la felicità negli eventi, non nelle cose.

Concentrati su un’attività alla volta: non abituarti a occuparti di più cose in una volta.

Vedi la ricchezza come buona e la povertà come cattiva.

Non ammirare chi parla solo di poveri e migranti.

Diffida da chi ti vuole povero e sfigato. Non te lo meriti.

Ricordati che la povertà buona è un fatto spirituale, mai un fatto materiale. Quindi cerca la prosperità senza essere avido.

Non preoccuparti mai di quanto guadagnano Nadali e altri. Preoccupati di un tuo piano personale di crescita e scrivilo oggi stesso nero su bianco.

Chiedi quello che vuoi alla tua vita. La vita risponde sempre.

Evita di confrontarti. Pensa ai tuoi talenti e mettili a frutto.

Non invidiare mai e poi mai chi ha successo e ricchezza onesta.

Scrivi nero su bianco o nello smartphone 10 obiettivi precisi e “ben formati” a Gennaio e tienili in evidenza.

Cerca feedback dagli altri.

Ascolta consigli sensati e poi agisci come vuoi tu secondo coscienza.

Abbi pietà degli sfigati e dei cretini. Sono inevitabili.

Pensa a creare un’attività di beneficenza o una fondazione o almeno dedica sempre un paio di ore al volontariato la settimana. Tempo, non soldi. Il tuo tempo sei tu. I tuoi soldi non sono te. Dona te stesso.

Evita di dire “Non ho tempo” o fai subito un corso di gestione del tempo (meglio se con Nadali).

Evita di lavorare 12 ore al giorno per avidità. Non ne vale la pena. Pensa a ciò e chi puoi perdere.

Regala un workshop o o un corso del Prof. Nadali ai tuoi migliori collaboratori e non dirti che è un costo elevato, ma un valore aggiunto strepitoso per la tua Azienda.

Non prendere mai decisioni per paura.

Osserva e segui le leggi e le regole: non esiste una scorciatoia per il successo.

Studia una comunicazione persuasiva.

Pensa che il lusso te lo meriti tutte le volte che non è decisamente pacchiano.

Studia e basta. Sempre. Anche se hai 90 anni.

Riduci al minimo o evita le abitudini a procrastinare. Queste sono abitudini che fanno perdere tempo e che non ti aiutano a migliorare o ad andare avanti nella vita.

Persegui con pazienza i tuoi sogni e i tuoi obiettivi: il successo richiede molto tempo.

Tratta tutti quelli che incontri con rispetto finché non provano che non se lo meritano. Se non se lo meritano non essere molto violento con loro. E’ illegale.

Non dare retta a tutte le critiche cattive che ti fanno. Spesso il problema è nella testa di chi le fa. Tu hai altro da fare.

Fai sentire sinceramente gli altri importanti.

Leggi i libri di Giorgio Nadali, soprattutto “Buoni e Vincenti. Etica e Spiritualità del successo e del denaro“.

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Il tuo piano per la povertà (sconsigliato)

Non prenderti alcuna responsabilità per le circostanze della tua vita. Incolpa tutti tranne te stesso.

Non leggere per imparare o per migliorare te stesso. Leggi per divertirti.

Usa Facebook spesso e possibilmente per scrivere idiozie demenziali.

Cerca la gratificazione immediata.

Fai promesse che poi non mantieni.

Forgia cattive abitudini.

Spendi il 100% o più di ciò che guadagni.

Per te i B.O.T. sono: Bar, Osterie, Trattorie

Per te le Obbligazioni sono le cose che devi fare di malavoglia

Per te le buone Azioni sono quelle che fanno i boy scout

Crei “liquidità” solo quando bevi tanto

Per te lo Spread è un formaggino spalmabile

Ti esalti quando ti parlano di poveri e clandestini

Rateizza per spese che non puoi permetterti subito.

Critica, condanna e lamentati. Possibilmente piagnucola.

Usa molti dovrei, ormai, però, forse, “chi, io?”.

Prendi le decisioni per paura.

Fatti un selfie davanti alla macchina o yacht altrui poi postalo su Facebook e sentiti molto felice per questo. Sono soddisfazioni!

Non cercare mentori.

Pensa sempre che chi è ricco è disonesto.

Evadi il fisco.

Credi nella fortuna cieca.

Fai 5 figli senza potertelo permettere. Tanto poi ci pensa il reddito di cittadinanza.

Abbi paura di chiedere quello che vuoi.

Porta i tuoi figli piccoli con te alle feste sino alle tre di notte.

Evita o ignora i feedback.

Non sfidare te stesso. Rimani nella tua zona di comfort.

Non controllare i tuoi pensieri e le tue emozioni.

Dì quello che ti passa per la mente. Non controllare le parole che escono dalla tua bocca.

Associati sempre a persone negative e tossiche.

Associati a persone che approvano i tuoi errori.

Sentiti superiore agli altri.

Non avere una visione chiara di chi vuoi essere e dove vuoi andare.

Non perseguire sogni e obiettivi.

Stabilisci obiettivi vaghi come “Voglio essere felice e vedere la pace nel mondo”.

Esci quando il gioco si fa duro.

Sii negativo, pessimista e cinico riguardo a tutto.

Non fidarti di nessuno.

Spettegola

Sminuisci gli altri.

Sii inaffidabile: tradisci il tuo coniuge o altri amici, colleghi, colleghi e colleghi.

Mangia in eccesso.

Bevi alcolici in eccesso.

Prendi droghe “ricreative”.

Non fare sport.

Vai allo stadio per combattere.

Compra tutto ciò che desideri acquistare immediatamente e senza pensare alle conseguenze.

Aumenta la tua spesa con l’aumentare del tuo reddito.

Vivi per l’oggi e non pianificare mai il tuo futuro.

Non soddisfare le aspettative degli altri.

Agisci per farti ammirare.

Ignora le leggi e le regole: menti, imbroglia e ruba per avere “successo”.

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Fede e denaro. Esiste un rapporto tra ricchezza o povertà personale e la fede religiosa?

di Giorgio Nadali33059443_10215948646460141_1988158292806860800_oE’ una sorta di snobismo spirituale quello delle persone che pensano di poter essere felici senza denaro. Lo diceva Albert Camus…La Svizzera ha il quarto PIL (Prodotto Interno Lordo) per persona più alto del mondo, dopo Lussermburgo, Qatar e Norvegia. Italia al 27^ posto e Stati Uniti al 10^. 85.000 dollari annuali.
Gli svizzeri hanno in media 700.000 franchi in banca.Una certa idea falsata di Cristianesimo ha abituato a disprezzare il denaro. Di parere contrario è la Teologia della Prosperità, di matrice protestante. La Teologia della prosperità insegna che i cristiani hanno diritto al benessere perché la realtà fisica e quella spirituale sono viste come una realtà inscindibili. La teologia della prosperità insegna che Dio ci vuole vincenti. Sempre.

Non è male chiedere a Dio benessere e prosperità, anche economica. Una dottrina in contrasto con chiese cristiane che insegnano (solo a parole) un concetto falsato di povertà. La povertà è in realtà il distacco del cuore dalle cose materiali, non la miseria e la mediocrità. Se un uomo o una donna hanno successo – guadagnano molto bene e con questo denaro danno lavoro ad altri e fanno del bene – Dio è molto felice di questo. Aspetta solo che chi ha fede  e Gli chieda la stessa cosa per ricolmarlo del suo favore e aprirgli porte che sono impossibili agli uomini. Il denaro è solo un mezzo che amplifica ciò che la persona è già. Con molto denaro si può dare lavoro agli altri, si possono realizzare progetti utili a milioni di persone, si possono istituire fondazioni filantropiche, centri di ricerca e univeristà, salvare giornali in crisi, istituire facoltà universitarie, oppure…

Secondo uno studio della Banca mondiale la Svizzera è il Paese più ricco. In base a un nuovo studio di un istituto di ricerca sociale americano – Pew Research Center –  c’è un rapporto tra benessere economico personale e fede religiosa.

Ricchezza e religione sarebbero inversamente proporzionali: i paesi più religiosi quelli con un più alto tasso di povertà e viceversa, mentre quelli più ricchi i più tendenti all’ateismo. Unica eccezione gli Stati Uniti d’America, dove nonostante la ricchezza elevata in termini di PIL, il 54% della popolazione afferma la grande importanza della religione nella propria vita. Nel testo sociologico “Sacro e popolare. Religione e politica nel mondo globalizzato”, gli autori Pippa Norris e Ronald Inglehart sottolineano come la partecipazione alle pratiche religiose registri tassi più alti tra persone più incerte a livello economico e che si trovano ad affrontare più problemi di salute e povertà. Nell’ipotesi generale, il declino del valore della religione, della fede e delle attività religiose dipende dal mutamento di lungo periodo della sicurezza esistenziale: con il processo e il progresso dello sviluppo umano, l’importanza della religione nella vita degli individui diminuisce gradualmente.

Ho sentito il parere di tre importanti sociologi italiani:

Roberto Cipriani. Professore ordinario di Sociologia nell’Università Roma Tre.

Silvio Scanagatta. Docente di Sociologia del mutamento culturale all’Università di Padova

Paola Di Nicola. Presidente della Associazione Italiana di Sociologia. Docente di Sociologia dei processi culturali e comunicativi all’Università di Verona.

 

Siete d’accordo con la ricerca?

Cipriani:

Non è facile essere d’accordo con la ricerca perché le informazioni sulla metodologia sono insufficienti a valutare l’affidabilità. A livello comparativo fra nazioni ci sono moti problemi di omogeneità fra i dati raccolti.

 Scanagatta:

Non mi stupisce affatto. Gli Stati Uniti hanno una cultura decisamente diversa dall’Europa. Gli Stati Uniti sono gli unici che differiscono in questa variabile che va dal massimo di senso religioso rapportato con la povertà sino al minimo di senso religioso rapportato con la ricchezza. Gli Stati Uniti essendo più ricchi dell’Europa dimostrano che uno stato più coeso il senso religioso va perfettamente d’accordo con la ricchezza conseguita.

Di Nicola:

Indubbiamente al di là di tutte le questioni teologiche la religione ha avuto sempre una funzione consolatoria nei confronti dei soggetti e spesso questa funzione consolatoria ha trovato maggiore accoglimento tra le persone che sperimentano condizioni di vita altamente problematiche. Rimane il fatto che a livello personale le religioni sono fonte di conforto. È un dato di conforto. Soprattutto le religioni rivelate (Ebraismo, Cristianesimo e Islam).

 

Esiste a vostro parere un rapporto con la condizione economica personale e la propria fede religiosa?

Scanagatta:

Certamente c’è un rapporto. Il problema è che il tentativo di alcuni di dire che più si è ricchi e meno si è religiosi è contrastante no solo con un’infinità di realtà individuali, ma anche con realtà collettive dove società unite come quella americana dimostrano che si può far convivere benissimo il senso religioso con una grande ricchezza.

Cipriani:

Non necessariamente. Ci sono persone ricche poco religiose e poveri assai religiosi ma anche il contrario. Non si può generalizzare.

Di Nicola:

Bisogna distinguere tra la fede e la religiosità, che spesso si caratterizza anche con aspetti di tipo magico e di superstizione. Se per fede si intende un credere a livello personale nell’esistenza di un’Entità di tipo trascendente io credo che questo sentimento che possa essere presente a tutti gli uomini in tutte le classi sociali. Se invece pensiamo alla religiosità, che comprende anche tutti gli aspetti del rito,  indubbiamente nelle aree del Paese in cui esiste ancora uno sviluppo non ancora pienamente maturo, spesso questi atteggiamenti continuano a persistere.

 

Secondo voi la ricchezza economica allontana dalla fede religiosa (cristiana)?

Cipriani: Molto dipende dalla socializzazione e dall’educazione ricevute, che possono impedire di pensare che la ricchezza allontani dalla fede.

Scanagatta: No, no. L’aumento economico non allontana affatto dal senso religioso. Anzi, lo fa crescere perché spesso il livello culturale rende più sensibili e attenti al senso religioso, non necessariamente più distanti.

Di Nicola: Non è facile da dire. Con l’Europa del Settecento la religione ha perso un po’ la funzione di essere la guida per la vita e la risposta a tutti i problemi. Soprattutto con l’industrializzazione e l’aumento della ricchezza disponibile sia a livello individuale sia a livello collettivo ci si rende conto che si può avere una situazione di sicurezza autonomamente, per meriti personali, senza dover necessariamente ringraziare Qualcuno…

Cosa pensate della teologia della prosperità, di origine protestante, cioè che Dio desidera il nostro benessere economico personale e agisce anche per farcelo avere?

Cipriani:

La teologia della prosperità è un espediente per recuperare adesioni rispetto alla teologia della liberazione, promettendo esiti economici positivi in caso di adesione ad una certa linea teologica e cultuale.

Scanagatta:

Secondo un’idea protestante una persona deve la sua ricchezza non solo alla grazia che Dio gli dà ma anche al senso di comunità con cui esplica questa grazia ed è quello che può spiegare una convivenza tra ricchezza e senso religioso. In Europa invece prevale l’idea per essere ricchi bisogna distruggere il sistema di valori religiosi, in America succede esattamente il contrario. Non solo. Il cattolicesimo dice che la ricchezza è una colpa, ma anche il Paesi del Nord Europa dicono che la separazione tra senso religioso e ricchezza va operata a livelli massimi, tanto è vero che sono i Paesi del Nord che non hanno voluto riconoscere le radici giudaico cristiane della società europea.

Di Nicola:

Con il protestantesimo l’uomo è diventato la misura di tutte le cose, anche la misura della sua etica, della sua moralità e della sua religiosità. Nelle prime forme del Calvinismo per un uomo l’aver successo nella vita era un segno di essere un eletto e quindi nella grazia di Dio. Poi con il Novecento questa dimensione si è molto affievolita e l’obiettivo non stato più stato di arricchirsi per avere una misura del proprio stato di grazia, ma l’obiettivo era semplicemente quello di raggiungere livelli più alti di ricchezza indipendentemente dal fatto che questo fosse un indicatore di essere nelle grazie di Dio.

 

Secondo voi c’è un rapporto tra la condizione economico sociale e la fede religiosa in Italia?

Cipriani:

La condizione economica non è una variabile indipendente che presieda in Italia all’orientamento religioso.

Scanagatta:

Certamente c’è un rapporto. Il problema è che il tentativo di alcuni di dire che più si è ricchi e meno si è religiosi è contrastante no solo con un’infinità di realtà individuali, ma anche con realtà collettive dove società unite come quella americana dimostrano che si può far convivere benissimo il senso religioso con una grande ricchezza.

Di Nicola:

Bisogna distinguere tra la fede e la religiosità, che spesso si caratterizza anche con aspetti di tipo magico e di superstizione. Se per fede si intende un credere a livello personale nell’esistenza di un’Entità di tipo trascendente io credo che questo sentimento che possa essere presente a tutti gli uomini in tutte le classi sociali. Se invece pensiamo alla religiosità, che comprende anche tutti gli aspetti del rito,  indubbiamente nelle aree del Paese in cui esiste ancora uno sviluppo non ancora pienamente maturo, spesso questi atteggiamenti continuano a persistere. La tradizione dà delle sicurezze e chi sperimenta maggiore insicurezza quotidiana spesso trova nella tradizione religiosa dei punti di riferimento.


Scoperto il rapporto tra intelligenza e ricchezza

C’è un rapporto tra intelligenza e ricchezza?

di Giorgio Nadali

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Una recente ricerca di Jonathan Wai della Duke University, negli USA  ha scoperto che c’è uno stretto rapporto tra intelligenza e ricchezza. Oggi ci sono 1542 miliardari nel mondo. Circa uno ogni cinque milioni di persone. 42 sono italiani. In costante crescita i miliardari che si sono arricchiti (onestamente) con le proprie forze. I “self-made men”, nel 1995, erano il 45% del totale, oggi siamo al 70%. Rispetto al 2016 il numero dei miliardari è cresciuto del 10% secondo lo studio di PwC e  Ubs.

Certo, non basta essere intelligenti per diventare miliardari. Tra le caratteristiche essenziali vi sono il fiuto e il talento per gli affari, la determinazione, la creatività, l’avere idee per prodotti vincenti e di largo consumo, la passione, non avere paura di rischiare, obiettivi chiari per i quali si è pronti a sacrificarsi e a non scoraggiarsi, incassando molti rifiuti prima di raggiungere il successo. Sono questi indicatori di intelligenza?

Chi parte da zero ha una grande voglia di rivincita. Qualche esempio di chi è partito da zero e ora è miliardario:. Jan Koum, amministratore delegato e co-fondatore di WhatsApp, giunto negli USA dall’Ucraina viveva di buoni pasto e spazzava pavimenti, prima di avere il patrimonio attuale di 9,7 miliardi di dollari. Leonardo Del Vecchio, imprenditore fondatore e presidente di Luxottica fu lasciato dalla madre al collegio milanese dei Martinitt per orfani e bambini abbandonati. Nel 1950, a 15 anni lavora alla fabbrica milanese Johnson di medaglie e coppe. I proprietari della fabbrica lo spingono a iscriversi ai corsi serali all’Accademia di Brera. Oggi è il secondo uomo più ricco d’Italia con 17,9 miliardi di euro di patrimonio. Tra le donne vi è Zhou Qunfei, ex operaia cinese. Oggi a 47 anni è la donna più ricca del mondo partita da zero. Ha fondato la Lens Technology e oggi dispone di un patrimonio personale di 12,3 miliardi di dollari. Oggi i miliardari danno lavoro a 27,7 milioni di persone nel mondo.

Per determinare se i ricchi sono più intelligenti, Jonathan Wai ha esaminato i punteggi dei test standard richiesti per l’ammissione a college ultra-selettivi e a scuole di specializzazione, come Harvard e Yale. Secondo Wai questi punteggi sono un indicatore ragionevole di intelligenza generale. Wai ha esaminato 2.254 persone in cinque gruppi di politici e dirigenti d’élite americani. La sua ricerca ha rilevato che circa il 45% dei miliardari, il 41% dei senatori, il 41% dei giudici federali e il 39% degli amministratori delegati hanno frequentato una scuola che richiede test con punteggi che solo l’1% degli studenti riesce a superare. I miliardari che hanno guadagnato i loro soldi dal settore degli investimenti sono stati i più propensi a frequentare una scuola d’élite, seguiti da coloro che hanno guadagnato i loro soldi nel settore tecnologico. La grande maggioranza dei più noti amministratori delegati e presidenti della Silicon Valley (il cuore del settore tecnologico digitale negli USA) ha un QI  superiore a 140.

Secondo la media mondiale del fattore di intelligenza (il QI) i Paesi più sviluppati mostrano livelli più alti, con Hong Kong al primo posto (108 di media) e l’Italia al quinto (102 di media). I ricercatori Richard Lynn e Tatu Vanhanen hanno condotto una ricerca in 80 Paesi nel mondo. Sono giunti alla conclusione che la differenza tra i guadagni dei cittadini sono correlati con la media nazionale di intelligenza (QI). Inoltre sostengono che la differenza nella media nazionale di intelligenza (QI) costituisce un importante fattore, anche se non l’unico che contribuisce alla differenza nella ricchezze nazionale e ai tassi di crescita economica.

Leggi anche il mio articolo su Vanity Fair

 


La libertà finanziaria parte dal cervello

 

Money

Puoi prendere due strade. La prima è quella delle persone comuni. Non sono forse propriamente “povere”, ma la loro strada le porta verso la dipendenza dal denaro. Se lavori tanto per guadagnare molto in modo da sostenere tutte le tue spese, puoi essere ricco, ma non sei finanziariamente libero. La libertà finanziaria è il denaro che lavora per te con entrate passive “automatiche” che non dipendono dal tuo tempo. In questo caso sei libero finanziariamente, anche se non sei propriamente ricco. La libertà finanziaria è un passo avanti rispetto alla ricchezza!

La prima strada è quella di coloro che lavorano per produrre denaro. Niente di male. Ma il denaro non li renderà liberi. Appena possono spendono e quel poco che rimane magari lo investono. Mutui da pagare, rate da onorare, acquisti superiori alle entrate. Lavora una vita intera e poi aspetta la pensione. Se hai intrapreso questo percorso torna subito indietro. Sempre che tu voglia essere finanziariamente libero. Perché, sai, il trucco c’è! È il denaro che deve lavorare per te. Non il contrario.

Come? Per prima cosa ti consiglio di non pensare a come risparmiare. Una contraddizione? No. Pensiero positivo. Pensa piuttosto a come guadagnare di più. Non lavorando di più, ma con più valore! Sei sicuro di essere pagato per quello che veramente puoi valere, se vuoi?

La seconda strada. Non chiederti cosa può fare il tuo conto in banca per te, ma cosa puoi  fare tu per il tuo conto in banca! Per guadagnare di più devi prendere in esame la possibilità di cambiare lavoro. Lo so, non è facile. Devi superare la paura di non farcela e la mentalità perdente dei “soldi, pochi maledetti e subito”. Devi abbandonare la tua “zona di comfort” e navigare verso orizzonti più ampi e sconosciuti. Insomma, mettiti in proprio. Certo, non è essenziale per essere libero finanziariamente. Quello che però è fondamentale è aumentare il tuo valore di mercato. Perché, sai, il mercato è un po’ egoista. Lui ti paga molto solo se tu vali molto. Valere molto – per il mercato – non vuol dire solo essere una brava persona. Non basta. Vuol dire fare guadagnare molto la tua azienda o i tuoi clienti. Vuol dire produrre un servizio o un prodotto che molti vogliono. Anzi, che percepiscono come importante. Non devi abbassare il prezzo. Devi farlo percepire come essenziale per quello che offri. Ci vuole intelligenza. Ci vogliono le giuste strategie. Un coach come me sarebbe felice di insegnartele. A pagamento, si intende!

Ora ti dirò qualcosa di scandaloso. La ricchezza è direttamente proporzionale all’intelligenza. La povertà è inversamente proporzionale all’intelligenza. Scandaloso per quelle ideologie e per quelle visioni religiose deformate che ti vogliono materialmente povero. E magari te dicono da un ricco pulpito! Perché i poveri li si controlla meglio. Ad ogni modo, se vuoi essere finanziariamente libero devi usare il cervello. Non seguire le pecore o le galline. Loro stanno bene insieme nel pollaio e si accontentano. No! Tu non devi accontentarti! Devi volare solo e in alto come un’aquila! Se non te la senti, ok. Ti capisco. Ma poi non invidiare chi ce l’ha fatta! Non pensare che quello abbia rubato o chissà cos’altro. Non pensare che il 30% dei 1870 miliardari  al mondo che sono partiti da zero abbiano venduto l’anima al diavolo. No, loro hanno fatto un passo coraggioso e difficile, con tanti sacrifici, tanta creatività, tanta determinazione, tante porte chiuse in faccia e… con un’idea vincente. Cerca le loro storie. Un’operaia di Hong Kong è una delle donne partite da zero diventate miliardarie. Zhou Qunfei ha messo su un giro di prostituzione? No. Ha creato molto valore. Schermi per i telefoni cellulari che usi anche tu. Si è detta “non voglio più essere una semplice operaia. Voglio di più dalla mia vita”. E l’ha fatto. Azione! Non ti dico i sacrifici! E cosa le ha portato così tanto denaro? Ha fatto qualcosa utile a moltissime persone. Parliamo anche di Bill Gates di Microsoft o di Mark Zuckenberg di Facebook?

Già ti vedo. Ecco le tue convinzioni limitanti: “Io non sono così. Loro sono dei geni. Io no!” Ma guardati! Sei il primo a non credere in te stesso! Forse è meglio per te continuare sulla strada “povera”. Ottima compagnia. Gente onesta, per carità! Continua a farti fotografare davanti a macchine di lusso o mega yacht che appartengono a qualcun altro. Sogna in modo sbagliato e pensa che tanto loro hanno rubato! Ti sentirai meglio. O forse no? Pensa in grande. Sogna in grande. Fallo. Non farti rubare i sogni dalli sfigati!

L’invidia è disastrosa. Ti allontana dal denaro. Fai un esame di coscienza con umiltà e chiediti dove hai sbagliato. Magari, è probabile, hai sbagliato a non investire abbastanza su te stesso. Per pagare le bollette hai finito per esserne schiavo per sempre.

Per prima cosa devi avere una grande ambizione. GRANDE. Devi volere di più! Non sei nato per una vita mediocre! Tira fuori le… giuste motivazioni. Dì a te stesso: Io voglio una grande prosperità. Me la merito. Con questa aiuterò tanta gente, anche soltanto a capire che “povero” non è bello! È stupido. Essere povero non vuol dire essere un mendicante. A meno che tu non abbia liberamente scelto di fare un voto religioso di povertà. Ripeto: scelto. Altrimenti essere “povero” vuol dire tirare a campare. Vuol dire investire poco, prima di tutto in te stesso. Vuol dire spendere troppo e investire male. Vuol dire lavorare per il denaro e non farlo fruttare automaticamente mentre tu ti occupi d’altro, magari crescendo sempre di più frequentando corsi di formazione, leggendo molto, creando opportunità di lavoro. Rifiuta la pigrizia mentale. Chiediti: “come posso fare per guadagnare (onestamente) di più?” Il tuo cervello si sentirà obbligato a fornirti la risposta. Non ci credi?

Sai, «Spesso la differenza tra un uomo di successo ed un fallito non è nelle migliori idee o capacità, ma nel coraggio che si ha nello scommettere sulle proprie idee, assumersi dei rischi calcolati – ed agire» come diceva Maxwell Maltz.

Sei ancora lì? Ok. Ascolta bene:

  • Crea più valore per te stesso. Trova un’idea vincente. Fai un piano finanziario personale. Investi da subito il 30% dei tuoi guadagni, anche se sono ancora piccoli.
  • Lascia l’ancora e il vittimismo. Rischia e mettiti in proprio.
  • Fai lavorare il denaro per te con almeno tre rendite automatiche al mese.

Buona libertà finanziaria. Se hai bisogno di aiuto (non di soldi) scrivimi: coach@giorgionadali.com

 

 

 


Ricchi e Buddhisti

di Giorgio Nadali

Molti pensano che il Buddismo rifiuti la ricerca delle comodità materiali e dei piaceri della vita e si occupi solo di sviluppo spirituale. Il raggiungimento del Nirvana è infatti il suo obiettivo. Tuttavia, il Buddha era molto attento sul fatto che la stabilità economica sia essenziale per il benessere e la felicità dell’uomo. D’altra parte – prima della vita monastica – era un principe che viveva nel lusso.

Nel testo sacro buddhista Anguttaranikaya A.II. (69-70) il Buddha afferma che ci sono quattro tipi di felicità derivante dalla ricchezza:

1) Atthisukha – La felicità della proprietà.

2) Anavajjasukha – La felicità derivata dalla ricchezza che si guadagna per mezzo del  giusto sostentamento, cioè non derivante dalla vendita di armi pericolose, o di macellazione di animali e  vendita di carne, di vendita di alcolici o di vendita di esseri umani (ad esempio, la schiavitù e la prostituzione) e non derivante dalla vendita di veleni.

3) Ananasukha – la felicità deriva dal non avere debiti. È la libertà finanziaria!

4) Bhogasukha – la felicità del condividere la propria ricchezza. Questo tipo di felicità è un concetto estremamente importante nel Buddhismo.

Anche se il Buddha vide che la stabilità economica come importante per la felicità dell’uomo, mise in luce anche il lato dannoso della ricchezza. Vide che i desideri e le inclinazioni naturali dell’uomo trovano nella ricchezza ampio spazio per queste propensioni. Eppure, a quanto pare, i desideri non possono mai essere pienamente soddisfatti come è indicato nel Ratthapalasutta (M.II.68) dove è scritto: “Il mondo non è mai soddisfatto ed è sempre schiavo del desiderio”. Il Dhammapada (vs. 186-187) sottolinea anche questa insaziabilità nell’uomo: “Non è da una pioggia di monete d’oro sorge la contentezza nei piaceri sensuali”.

Il Buddha ha scritto un prescrizione completa per il raggiungimento della prosperità e della felicità, senza mai deprecare il godimento sensuale dei laici. E ‘in questa sutta (aforisma) che il Buddha ha sostenuto quattro condizioni che, se soddisfatte darebbero una prosperità e felicità:

  1. Utthanasampada – risultato in stato di vigilanza. Il Buddha ha descritto questa qualità come l’abilità, la perseveranza e l’applicazione di una mente curiosa nei modi e nei mezzi con cui si è in grado di organizzare e svolgere un lavoro con successo.
  2. Arakkhasampada – realizzazione nell’attenzione.
  3. Kalyanamittata – Il godimento della compagnia di buoni amici che hanno le qualità di fede, virtù, generosità e saggezza.
  4. Samajivikata – il mantenimento di una vita equilibrata. Quest’ultima condizione richiede di non essere eccessivamente euforici o abbattuti di fronte al guadagno o alla perdita, ma di avere una buona idea del proprio reddito e delle spese per vivere secondo i propri mezzi. Ad un uomo si consiglia di non sprecare la sua ricchezza come se si scuotesse scuotere un albero di fico per ottenerne un frutto, così facendo tutti i frutti sull’albero, maturi e acerbi, cadrebbero a terra e andrebbero nei rifiuti. Si consiglia anche di non accumulare ricchezza senza goderne, morendo di fame.

Questo consiglio per quanto riguarda l’acquisizione della ricchezza materiale è seguito da quattro condizioni per il proprio benessere spirituale, che garantirebbero una rinascita felice nella prossima vita: avere le qualità di fede, (saddha) virtù, (sila) carità (dana) e saggezza (panna).

Uno sguardo attento alle due serie delle quattro condizioni che abbiamo visto, mostrano chiaramente che il principio base è che si dovrebbe mantenere un equilibrio tra il progresso materiale e quello spirituale. Dirigere la propria attenzione al proprio benessere spirituale insieme alle proprie attività quotidiane è una pausa alla sempre crescente avidità. L’avidità immobilizza e sviluppa la scontentezza. L’accumulare ricchezze fine a se stesse è condannato dal Buddha.

Quando la ricchezza non è condivisa e viene utilizzata solo per soddisfare i propri scopi egoistici,  porta al risentimento nella società. È chiaro in questa sutta il collegamento tra etica e felicità.

Inoltre la ricchezza è paragonata ad un serbatoio d’acqua con quattro punti attraverso i quali l’acqua (ricchezza) si dissipa: Dissolutezza, dipendenza da alcolici, gioco d’azzardo e compagnia di malfattori. I quattro ingressi che riforniscono di acqua (ricchezza) il serbatoio sono la pratica degli opposti di quanto è stato detto sopra, come astenersi dalla dissolutezza, dipendenza di alcolici, gioco d’azzardo e compagnia di malfattori.

Secondo la Alavakasutta (Sn. P.33), la ricchezza è acquisita dallo sforzo unito alla forza del braccio e del sudore della fronte.

Il Buddha ha inoltre osservato che l’acquisire ricchezza non dovrebbe essere scoraggiato da freddo, caldo, mosche, zanzare, vento, sole, rettili, che muoiono di fame e di sete e che si dovrebbe essere pronti a sopportare tutte queste difficoltà. L’inattività e sottrarsi alla fatica non è il modo migliore per riuscire a guadagnare prosperità.

Guadagnare ricchezza attraverso la vendita di liquori inebrianti, armi nocive, farmaci, veleni o animali da abbattere sono modi condannati dal Buddha. Rientrano nella categoria dei mezzi di sussistenza sbagliata. Il sostentamento dev’essere ottenuto attraverso mezzi leciti, senza violenza.  Buddha ha dichiarato che la ricchezza di coloro che accumulano senza danneggiare gli altri, è come quella di un’ape itinerante che raccoglie il miele senza danneggiare fiori.

Nella Dhananjanisutta  il venerabile Sariputta afferma che nessuno può sfuggire ai risultati terribili di mezzi illeciti di sostentamento, dando la ragione a chi si è impegnato ad adempiere i propri doveri. La Dhammikasutta della Nipata Sutta dice: “Lascialo doverosamente mantenere i suoi genitori e praticare un commercio onesto. Il padrone di casa che osserva questo strenuamente andrà agli dei chiamati Sayampabha“.  I Sayampabha sono deva (divinità) tra i quali sono presenti anche uomini giusti che hanno mantenuto i loro genitori e non hanno fatto commerci illeciti.

Nel Parabhavasutta del Nipata Sutta, il Buddha ha sottolineato una condotta etica per evitare la perdita della ricchezza. Sono innumerevoli i discorsi che consigliano di osservare la Pancasila – i cinque precetti, che si basano sul principio del rispetto e di attenzione per gli altri. Questi implicano che non si deve mettere a repentaglio gli interessi degli altri, che non si deve privare qualcuno di ciò che appartiene legittimamente a lui, perché è chiaro che i beni di un uomo sono alla base della sua felicità.

 


Business soprannaturale. I predicatori cristiani più ricchi al mondo

La povertà evangelica non è sinonimo di voto di povertà , ma per alcuni uomini di Chiesa la fede cristiana è fonte di enormi guadagni. A David Oyedepo, guida spirituale e fondatore della della Living Faith World Outreach Ministry (Nigeria) – una delle più grandi congregazioni religiose della Nigeria – il cristianesimo rende annualmente 150 milioni di dollari.

Il pastore brasiliano Silas Malafaia è l’ex leader del ramo brasiliano delle Assemblee di Dio, la più grande chiesa pentecostale del Brasile. Malafaia è costantemente coinvolto in controversie legate alla comunità gay in Brasile, di cui egli dichiara con orgoglio di essere il più grande nemico. Sostenitore di una legge che potrebbe portare a classificare l’omosessualità come una malattia in Brasile, Malafaia è anche una figura di spicco su Twitter, dove è seguito da oltre 440.000 utenti. Nel 2011 Malafaia ha guadagnato centocinquanta milioni di dollari e ha lanciato una campagna chiamata The One Million Souls Club, che mira a raccogliere cinquecento milioni dollari (un miliardo di real brasiliani) per la sua chiesa, al fine di creare un rete televisiva globale che trasmette in 137 paesi. Malafaia possiede anche una delle quattro più grandi case discografiche cristiane del Brasile e la seconda più grande casa editrice evangelica del Paese, con vendite per venticinque milioni di dollari (cinquanta milioni di real) all’anno.
In Brasile Edir Macedo è il fondatore e la guida spirituale della Universal Church of the Kingdom of God, che ha anche sedi negli Stati Uniti. La sua fortuna è stimata in 950 milioni di dollari. Macedo è stato coinvolto in scandali legati a raccolte di findi per opere di carità e riciclaggio di denaro.
Ecco la classifica dei dieci predicatori più ricchi al mondo. Il Vangelo ha fruttato loro svariati milioni di dollari. Nonostante il detto di Gesù Cristo: «Non potete servire a Dio e al denaro» (Luca 16,13) il Vangelo ha fruttato loro milioni di dollari.
1. Thomas Dexter Jakes. Vive in una residenza valutata 1,7 milioni di dollari. È stato definito il miglior predicatore d’America con una copertina sul settimanale Time del 17 settembre 2001. Scrittore, produttore e predicatore. Capo spituale della mega Chiesa non denoninazionale The Potter’s House che conta trenatamila membri a Dallas (Texas, USA). La sua fortuna è valutata in 150 milioni di dollari.
2. David Oyedepo. Predicatore nigeriano fondatore della Winners Chapel nota come Living Faith Church World Wide. É stato chiamato il pastore più ricco della Nigeria con una rendita di 150 milioni di dollari, Quattro jet privati, e residenze negli Stati Uniti e Inghilterra. Dopo la fondazione nel 1981 della Living Faith Outreach Ministry la congregazione religiosa è diventata la più grande della Nigeria.
3. Enoch Adeboye. Il pastore Adeboye guida la Redeemed Christian Church of God. Newsweek lo ha definito come una delle personalità più influenti nel 2008/2009 insieme a Barack Obama e Nicolas Sarkozy. Possiede diversi jet personali.
4. Benny Hinn. Televangelista israeliano. Toufik Benedictus Hinn, detto “Benny”, possiede circa 42 milioni di dollari. È noto per la sua “Crociata dei Miracoli”, incontro di preghiera e guarigione che che si tiene regolarmente in grandi stadi negli USA.
5. Chris Oyakhilome, è il fondatore e pastore della Christ Embassy, una congregazione protestante con sedi in Nigeria, Sud Africa, Londra, Canada e Stati Uniti. La sua casa editrice – Loveworld Publications – pubblica la rivista mensile Rhapsody of Realities che vende due milioni di copie al mese al costo di un dollaro a copia. Il pastore è proprietario anche di stazioni televisive, riviste, giornali, un albergo, una catena di fast food.
6. Creflo Augustus Dollar. Pastore afroamericano docente di Sacra Scrittura. Ha fondato la World Changers Church International in Georgia (USA). La “Chiesa internazionale di coloro che cambiano il mondo” ha anche cambiato il conto in banca di Creflo Dollar sino alla cifra di ventisette milioni di dollari. Il Vangelo gli ha anche fruttato due Rolls Royce, un jet privato, una residenza da un milione di dollari ad Atlanta, un’altra da 2,5 milioni di dollari a Demarest e una dello stesso valore a New York. Dollar ha rifiutato di rivelare il suo patrimonio, ricevendo così un voto insufficiente dall’organizzazione Ministry Watch che si occupa di trasparenza finanziaria dei predicatori cristiani americani. Dollar, un nome un programma. La sua predicazione è tutta centrata sulla teologia della prosperità.
7. Kenneth Copeland fondatore della Kenneth Copeland Ministries, la sua predicazione tele evangelica gli ha fruttato un jet prvato da 17,5 milioni di dollari e una residenza intestata alla sua chiesa del valore di sei milioni di dollari.
8. William Franklin “Billy” Graham della Southern Baptist è diventato famoso per i suoi sermoni radiofonici e televisivi che gli hanno fruttato venticinque milioni di dollari.
9.Matthew Ashimolowo è il titolare del Kingsway International Christian Centre. Ha fatto molta strada da predicatore nella Foursquare Gospel Church in Nigeria. Si è messo in proprio e ora la congregazione religiosa che ha fondato è la più grande chiesa pentecostale in Gran Bretagna. Duecentomila dollari di entrate annuali.
10.Temitope Joshua. La sua Synagogue Church Of All Nations vede ogni domenica quindicimila fedeli radunati per il culto. Può contare su entrate di quindici milioni di dollari.

Chiesa cattolica e ricchezza economica

Nella Chiesa cattolica circa un milione di fedeli sono consacrati con i tre voti di povertà, castità e obbedienza. Circa un millesimo di tutti i cattolici. Il voto di povertà implica la rinuncia a eredità e a proprietà personali. Gli istituti religiosi «sono tenuti a evitare ogni lusso, lucro eccessivo e accumulazione di beni» (decreto Perfectae caritatis (13), Concilio Vaticano II).
Non tutti i sacerdoti hanno il voto di povertà. Solo quelli che appartengono a un ordine religioso (ad esempio francescani, agostiniani, benedettini, ecc.) o a una congregazione religiosa e in generale hanno il titolo di Padre. Gli altri sacerdoti sono detti secolari (o diocesani) e hanno il titolo di Don. Vi sono delle eccezioni come ad esempio per i salesiani e i paolini (titolo Don, ma con voto di povertà della loro congregazione).

Gesù Cristo si fece povero. È la kénosi. Nel senso che «pur essendo di natura divina, non considerò un tesoro geloso la sua uguaglianza con Dio» come scrive San Paolo (Efesini 2,6). I più poveri del suo tempo erano le vedove, gli orfani e i lebbrosi. Gesù Cristo era figlio (adottivo) di un artigiano (San Giuseppe) e non era considerato tra i poveri di Nazareth. Certo, Cristo stigmatizza la ricchezza dicendo: «Guai a voi, ricchi, perché avete già la vostra consolazione» (Luca 6,24). «È più facile per un cammello passare per la cruna di un ago che per un ricco entrare nel regno di Dio!» (Luca 18,25). Mette in guardia dalla ricchezza economica che, se abbondante, può facilmente occupare il posto di Dio nel cuore della persona. Non condanna la ricchezza, ma quella resa idolo: «Non potete servire a Dio e a mammona» (Luca 16,13). Mamon per i caldei era il demone del denaro. Non fa quindi un discorso politico ma spirituale. Il discorso politico contro la ricchezza individuale e il merito personale è quello marxista. Gesù Cristo invece mette in guardia dai pericoli spirituali della ricchezza. Inoltre Gesù apprezza il costoso dono di una donna, scandalizzando Giuda Iscariota che avrebbe voluto vendere il costoso profumo del nardo versato su di lui, se fosse stato venduto per darne il ricavato ai poveri. In realtà «non perché gli importasse dei poveri, ma perché era ladro e, siccome teneva la cassa, prendeva quello che vi mettevano dentro» (Giovanni 12,5-6).

La povertà evangelica non è quindi la miseria, ma l’uso dei beni personali col distacco necessario per non farli diventare un idolo e con la generosità di prendersi cura dei bisognosi. In sostanza è l’opposto del materialismo. Paradossalmente un indigente che maledice Dio per la sua situazione non è un povero del Vangelo. Lo è chi mette la sua fiducia in Dio e fa del bene agli altri con i suoi mezzi (e il suo tempo). La povertà evangelica non è nemmeno il pauperismo, l’esaltazione della povertà. Dio si compiace del benessere dei suoi figli che gli sono grati: «perché a chiunque ha sarà dato e sarà nell’abbondanza; ma a chi non ha sarà tolto anche quello che ha» (Matteo 25,29). «Date e vi sarà dato; una buona misura, pigiata, scossa e traboccante vi sarà versata nel grembo» (Luca 6,38).

Chiesa cattolica.

Escludiamo i tesori d’arte. Voluti da papi che vivevano nel lusso e donazioni di ricchi e nobili (per lavarsi la coscienza e/o per dare gloria a Dio), rimasti un patrimonio artistico per l’umanità. Ad esempio la cappella degli Scrovegni a Padova affrescata da Giotto, è stata fatta costruire dal banchiere padovano Enrico Scrovegni per farsi perdonare il peccato di usura. Blu di lapislazzuli e oro dappertutto. L’arte è lusso solo quando sta nelle case private. Il lusso poi non è la ricchezza, ma l’esagerazione. Ha la stessa radice di lussuria, che non è l’attività sessuale, ma il suo abuso. Accanto all’appartamento papale vi è la collezione di doni ricevuti dai papi dai regnanti e governanti del mondo. Un tesoro inestimabile. La Chiesa cattolica ha dal 1929 uno stato autonomo in base ai Patti Lateranensi. Ha una zecca, un bilancio, un bunker antinucleare di settecento metri quadri sotto il cortile della biblioteca, inaugurato nel 1985 per difendere il papa e le opere d’arte in caso di attacco nucleare e una banca con due bancomat con schermata in latino che ti saluta: «Carus expectatusque venisti» e ti invita a «Inserito scidulam quaeso ut faciundam cognoscas rationem», ma il «deductio ex pecunia», il prelievo è riservato solo ai trentatremila correntisti I.O.R., così come il «rationem aexequatio» (il saldo) e il «negotium argentarium» (movimenti). Tutti i conti correnti (circa sei miliardi di euro) con interesse al cinque per cento sono (oggi) tracciabili e controllati contro il riciclaggio.

Il patrimonio immobiliare italiano appartiene al ventitré per cento alla Santa Sede. Duemila miliardi di Euro in immobili in tutto il mondo. Centomila sono le chiese in tutto il mondo, duemila i centri di accoglienza e i pensionati, 2.300 i musei e le biblioteche. Gli immobili extraterritoriali in Italia non sono soggetti a tassazione di alcun tipo come tutte le ambasciate e i consolati di Stati esteri in Italia. 2.496 chiese, monasteri, seminari, conventi, oratori, case di cura, in regime di esenzione fiscale ex extraterritorialità. Nove miliardi di euro le proprietà della Congregazione per l’Evangelizzazione dei Popoli. Solo a Roma trecento parrocchie, quaranta istituti religiosi, duecento chiese non parrocchiali, duecento case generalizie, 250 scuole cattoliche, novanta istituti religiosi, sessantacinque case di cura, cinquanta missioni, quarantatré collegi, trenta monasteri, venti case di riposo, venti seminari, diciotto ospedali, sedici conventi, tredici oratori, dieci confraternite, sei ospizi, ventimila terreni intestati a duemila e venti religiosi in tutto il mondo esistono immobili di proprietà della Santa sede con extraterritorialità ed esenzioni ed esproprio dei tributi sono relativi a 4.851 diocesi. Cinquanta prelature, undici abbazie territoriali, settantanove vicariati apostolici, quarantacinque prefetture apostoliche, undici esarcati, all’interno dei quali esistono ventiseimila parrocchie, trentamila case generalizie e santuari, 2.300 musei biblioteche, e molte scuole, ospedali, circa diecimila case di cura di riposo e 2.100 di accoglienza pensionati, oltre trecento librerie. Dal 2007 vi era l’esenzione dall’ICI (oggi IMU) per gli immobili commerciali, purché una parte dell’immobile sia adibita al culto. Le scuole paritarie sono esenti. Non esistono dazio o tasse doganali di merci in entrata in Italia dirette verso lo Stato di Città del Vaticano. A Londra i locali di Bulgari, le gioiellierie di alto livello nel New Bond Street, la banca d’affari Altium Capital, tra St James’s Square e Pall Mall appartengono al Vaticano. Il quotidiano inglese The Guardian scrive: “La ricerca in vecchi archivi, tuttavia, rivela più della verità”.  British Grolux Investments avrebbe rilevato la proprietà dell’intero portfolio nel 1999 “da due società, Grolux Estates Ltd e Cheylesmore, le cui azioni erano a sua volta detenute da una società con sede presso l’indirizzo della banca JP Morgan a New York. Il controllo finale è registrato a esercitato da una società svizzera, Profima SA” e che dai Patti Lateranensi del 1929 “Il denaro di Mussolini era drammaticamente importante per le finanze del Vaticano”.

I dipendenti della Santa Sede e dello Stato della Città del Vaticano sono esenti dall’Irpef. Il bilancio del 2010 è stato chiuso con un attivo di 10 milioni di euro (245 milioni di entrate contro 235 di uscite). L’obolo di San Pietro (donazioni libere al papa) ammontava a 67,7 milioni di dollari, devoluti in beneficienza. Nel 2011 il bilancio è stato chiuso con un passivo di 14.890.034 euro, ma l’obolo di San Pietro (fuori bilancio) è aumentato di 2 milioni di euro (69,7 milioni di euro). Il “canone” (contributo delle diocesi di tutto il mondo) è aumentato da 27,3 a 32,1 milioni di dollari. 49 milioni di euro nel 2011 provenienti dallo IOR. 91,3 milioni di euro dai musei vaticani, il complesso museale più grande al mondo visitabile con sedici euro. 1,2 miliardi di euro sono entrati dall’otto per mille nel 2011. Di questi, 235 milioni di euro sono stati impiegati in Italia per opere di carità (20%), il resto è stato utilizzato per pagare gli stipendi del clero e per le esigenze di pastorale e di edilizia del culto.

Stipendi del clero cattolico

Papa. Nessuno stipendio. A disposizione un fondo in euro presso lo I.O.R. (Istituto Opere di Religione – la banca del Vaticano), l’obolo di San Pietro e il fondo di 2,5 milioni di dollari – il Vicarius Christi Fund – della Confraternita dei Cavalieri di Colombo con sede a New Haven, Connecticut (USA) e Roma, presieduta dal Prof. Carl A. Anderson. Inoltre – per il papa emerito Benedetto XVI – i diritti d’autore delle opere letterarie gestite dalla Fondazione Joseph Ratzinger, inaugurata nel 2008, amministrata dagli Ratzinger Shulerkreis (Circolo degli Studenti di Ratzinger) a Monaco di Baviera (Germania) e presieduta dal professore Stephan Otto Horn. L’attuale papa Francesco ha – come religioso gesuita – il voto di povertà.
Cardinali: secondo Claudio Rendina (“La santa casta della Chiesa”, Newton & Compton, Roma, 2009, p. 241) 150.000 euro netti annuali erogati dall’Amministrazione del Patrimonio della Sede Apostolica (APSA) per i Cardinali di Curia, più l’assegno cardinalizio (nuovo nome del “rotolo cardinalizio”, la somma derivante dalle rendite del Sacro Collegio Cardinalizio). Altri parlano di cifre ben più modeste: tremila euro netti mensili.
Vescovi: 39.000 euro netti annuali più fondo spese per l’episcopato di competenza.
Preti (italiani): L’ammontare dello stipendio mensile (lordo di imposte, per dodici mensilità) è calcolato sulla base di un certo numero di punti – da 80 a 140 – ciascuno del valore di 11,82 euro. Il numero di punti attribuito a ciascun sacerdote varia a seconda dell’anzianità vocazionale e degli incarichi ricoperti.

Giorgio Nadali


La spiritualità del successo personale contro le chiese pro-sfiga

La teologia della prosperità insegna che Dio ci vuole vincenti. Sempre. Non è male chiedere a Dio benessere e prosperità, anche economica. Una dottrina in contrasto con chiese cristiane (come quella cattolica) che insegnano (solo a parole) un concetto falsato di povertà. Pauperismo cristiano minimalista. La povertà è in realtà il distacco del cuore dalle cose materiali, non la miseria e la mediocrità. “Beati i poveri in spirito”. Se un uomo o una donna hanno successo – guadagnano molto e con questo denaro danno lavoro ad altri e fanno del bene, Dio è molto felice di questo. Aspetta solo che chi ha fede Gli chieda la stessa cosa per ricolmarlo del suo favore e aprirgli porte che sono impossibili agli uomini… Inaudito? No. Fede!

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Nella foto: i Pastori Joel e Victoria Osteen di Lakewood Church, Houston. La Chiesa che punta tutto sul messaggio cristiano di gioia e prosperità materiale e spirituale: Dio ci vuole vincenti

La gente è molto timida con Dio. Qualcuno le ha insegnato a non infastidirlo troppo. A tenere un basso profilo. Si ha come il timore di una preghiera “spudorata”. Anni di educazione religiosa ci hanno abituato a domandare a Dio il minimo indispensabile. “Signore, aiutami a tirare avanti”. Non è un a preghiera sbagliata. È una preghiera che limita Dio. Per le cose ordinarie non c’è bisogno di un intervento divino. Nessuno ci ha mai insegnato a pregare in grande. Ad un grande Dio si chiedono cose grandi. Non è spudoratezza. È fede. Cosa vuol dire cose grandi? Vuol dire credere sul serio che a Dio nulla è impossibile (Luca 1,37) e credere nel suo amore che vuole donarci molto di più di quanto noi stessi osiamo sperare. Prova a pensare ad un sogno che ritieni irrealizzabile per la tua vita. Ecco, Dio vuole donarti ancora più di quello. Lo crediamo? Molti non lo credono affatto perché sono stati educati ad una fede mediocre. Pensano che ciò che hanno (e sono) sia già il massimo che Dio ha voluto per loro. Pensano che Dio non possa volere il nostro successo o – peggio ancora – che non abbia nulla a che fare con esso. Anzi, il successo personale è quasi un peccato. Meglio essere mediocri per essere bravi cristiani. Invece, è un peccato proprio credere questo. Perché l’uomo vivente è la gloria di Dio e ciò che Dio vuole donarci di grande e “impossibile” è un segno agli altri del suo amore e della sua potenza. Non si dà una grande testimonianza andando in giro a testa bassa facendo credere al mondo che la tua fede in Cristo è quella della rassegnazione e del tirare a campare. Un peccato contro lo Spirito Santo. Un peccato anche di ignoranza. La Parola di Dio dice: «cerca la gioia del Signore, esaudirà i desideri del tuo cuore» (Salmo 36,4). I desideri del tuo cuore… Anche materiali, sì, sì! Salute, successo, denaro. L’essere umano è fatto per il bello e il buono, non per il mediocre e per la miseria. A nessuno piace la miseria. Di sicuro non a un Padre per i suoi figli.

“Questo libro della legge non si allontani mai dalla tua bocca, ma meditalo, giorno e notte; abbi cura di mettere in pratica tutto ciò che vi è scritto; poiché allora riuscirai in tutte le tue imprese, allora prospererai” (Giosuè 1,8)

Non barare. Tanto Dio vede già i tuoi desideri, anche se non vuoi presentarglieli. Ora, qualcuno ti ha fatto credere che nessuno di questi desideri da presentare a Dio possa essere di natura materiale. Si confonde il benessere, anche economico con il materialismo (che è l’adorazione delle cose materiali). Invece Gesù ha incluso anche il pane quotidiano nelle richieste del Padre Nostro e il considerare la materia come impura è sconfinare in una filosofia che nulla ha a che fare col Cristianesimo. È gnosticismo. Eresia. Corpo, materia, esigenze terrene, benessere, successo, sesso, piacere e denaro non sono affatto cose “demoniache” in quanto tali, per il Cristianesimo. Sempre a patto di non confondere la fede con la bigotteria, ma Gesù aveva parecchio da ridire su quella dei “puri” Farisei del suo tempo.

Il cuore è il centro di tutto. Il Buon Samaritano era un ricco mercante generoso. E quelli che non si sono fermati a soccorerlo erano gli addetti al culto: un levita e un sacerdote del tempio giudaico.

Probabilmente la maggioranza si ricorda il detto popolare «il denaro è lo sterco del diavolo» e le dichiarazioni di Gesù contro la ricchezza: «è più facile che un cammello passi per la cruna di un ago, che un ricco entri nel regno dei cieli» (Luca 18,25), «vendi tutto quello che hai, distribuiscilo ai poveri e avrai un tesoro nei cieli; poi vieni e seguimi» (Luca 18,22). Si confonde il voto di povertà con il valore della povertà valido per ogni cristiano. In base alla visione cattolica molti si sono fatti l’idea che il Cristianesimo odii il benessere e il successo personali. Si confonde il potere con l’arroganza e il successo con la prevaricazione. In realtà Gesù mette in guardia dalla ricchezza economica che – quando è abbondante – può facilmente può prendere il primo posto nel cuore della persona e sostituirsi a Dio. Per cui si confonde il valore della povertà evangelica con la miseria o la mediocrità e si crede che Dio voglia il minimo indispensabile per noi, non il massimo possibile. La povertà è in realtà l’uso dei beni materiali con distacco in modo da non renderli un idolo. Il povero del Vangelo non è un pezzente. È la persona che sa godere dei suoi beni senza che questi prendano il posto di Dio nella sua vita. Per cui non vi è nulla di male a chiedere a Dio una casa migliore, anzi, una casa decisamente molto bella o una professione di successo. Dio può aprire delle porte che agli uomini sono impossibili. Ma il limite di tutto ciò è proprio la fede di chi prega. Se chiedi a Dio di tirare a campare sino a fine mese, questo otterrai. Il fatto è che Dio vuole e può molto di più per noi. Ma siccome non lo crediamo, non lo preghiamo neppure e di conseguenza non lo otterremo mai. E la frase d Gesù «Tutto è possibile per chi crede» (Marco 9,23) rimane una bella teoria spirituale che ben poco ha a che fare con la nostra vita concreta di ogni giorno. C’è una falsa vergona religiosa nei confronti di un Padre che – come ogni padre – vuole il massimo per ogni singolo figlio e ha desideri e progetti di abbondanza per ognuno, non certo di mediocrità. Come dire, Dio ci vuole sfigati… Per cui dico la mia preghierina banale. Fammi tirare a campare come posso. Poi vado a giocare a Superenalotto e quant’altro. Mi vergogno di chiedere a Dio il successo e il benessere. Meglio chiederlo alla dea fortuna pagana, no?

La teologia della prosperità (a volte indicata come il Vangelo della prosperità o il Vangelo della salute e del benessere) è una dottrina religiosa cristiana secondo cui Dio vuole benedire la vita dei cristiani sia in senso spirituale, sia materiale ed economico. Basata su interpretazioni della Bibbia, spesso con enfasi sul Libro di Malachia, la dottrina considera la bibbia, un contratto tra Dio e gli esseri umani: se questi hanno fede in Dio, Egli garantirà le sue promesse di sicurezza e di prosperità. Riconoscere queste promesse con fede permette a Dio di ricolmare il fedele con le sue benedizioni. I fautori insegnano che questa dottrina è un aspetto del percorso di dominio cristiano sulla società, sostenendo che la promessa di Dio di dominio in Israele si applica ai cristiani di oggi. La dottrina pone l’accento sull’importanza della crescita personale, proponendo che è  volontà di Dio che il suo popolo sia felice. L’espiazione (riconciliazione con Dio) è interpretata come alleviamento della malattia e della povertà, viste come maledizioni a causa della mancanza di fede.

Negli anni cinquanta del XX secolo la teologia della prosperità si è sviluppata negli Stati Uniti, anche se i commentatori hanno collegato le origini della sua teologia al movimento del New Thought (Nuovo Pensiero). La teologia della prosperità ha visto un’ulteriore diffusione negli anni Ottanta del XX secolo col il tele-evangelismo statunitense. Negli anni novanta e duemila, fu adottato da influenti leader del Movimento carismatico e promosso da missionari cristiani in tutto il mondo, portando a volte alla creazione di mega-chiese. Le figure prominenti nello sviluppo della teologia della prosperità sono E. W. Kenyon, Oral Roberts, A. A. Allen, Robert Tilton, T. L. Osborne, John Osteen, Kenneth Copeland, Kenneth Hagin. I principi della teologia della prosperità sono ecumenici. Nascono in ambiente protestante, ma qualunque delle cinquemila Chiese cristiane può accettarli, anche se con accenti diversi. Sono quindi validi anche per la Chiesa cristiana più grande, quella cattolica… che però a livello teorico odia la ricchezza. Poi, in pratica conosce cardinali che danno l’esempio con ricchezze da mille e una notte e un patrimonio immobiliare planetario che solo a Roma ammonta a 10 miliardi di Euro. Negli Stati Uniti le entrate annuali sono di 171 milioni di Euro di cui solo il 2,7% dedicato alla beneficenza. Nello Stato del Vaticano su 10 Euro che entrano 2 sono devoluti alla beneficenza e 6 servono a sanare i contri in rosso della curia romana.

Le Chiese in cui è insegnato il Vangelo della prosperità sono spesso non-confessionali e solitamente dirette da un unico pastore o da un leader, anche se alcuni hanno sviluppato delle reti “multi-chiesa” che hanno somiglianze in varie denominazioni. Queste chiese in genere dedicano molto tempo ad insegnare la fede in una prospettiva di discorso positivo. La fede è in sostanza positività verso la vita – dono di Dio – non rassegnazione passiva. La più grande, importante e nota in tutto il mondo è Lakewood Church di Houston, Texas (USA). Le Chiese della prosperità spesso predicano riguardo a responsabilità finanziarie del fedele verso la congregazione, anche se alcuni giornalisti e accademici hanno criticato la loro predicazione in questo settore come ingannevole. La Teologia della prosperità è stata criticata dai leader di movimenti pentecostali e carismatici, e da altre confessioni cristiane.

La teologia della prosperità insegna che i cristiani hanno diritto al benessere perché la realtà fisica e quella spirituale sono viste come una realtà inscindibile. Questo è interpretato come salute fisica e prosperità economica. Il diritto proviene dal patto tra Dio e Abramo (padre delle tre religioni monoteiste). La prosperità non è solo economica. E’ salute, soddisfazione, creatività, successo, relazioni vincenti… Gli insegnanti della dottrina si concentrano sulla realizzazione personale, promuovendo una visione positiva dello spirito e del corpo. Essi sostengono che i cristiani hanno avuto potere sopra la creazione perché sono fatti a immagine di Dio e insegnano che la fede positiva permette ai cristiani di esercitare il dominio positivo sulla realtà circostante. La povertà e la malattia sono espresse come maledizioni che possono essere eliminate da una giusta disposizione di fede. Vi sono, tuttavia, alcune chiese della prosperità che cercano un paradigma più moderato o riformato di prosperità. Kirbyjon Caldwell, pastore di una mega-chiesa metodista, supporta una teologia della vita prosperosa affermando che la prosperità è accessibile per tutti, come un percorso di lotta contro la povertà. Il problema è che nel mondo si combatte la povertà, mentre in Italia si combatte la ricchezza. E indovinate da che pulpito viene la predica?

La stessa croce di Cristo appare una sconfitta al mondo. Il Venerdì Santo è la sconfitta. Tuttavia dopo solo due giorni Cristo vince la morte. La Domenica di Pasqua è il successo della vita che vince la morte. È il successo dell’amore di Dio sul peccato dell’uomo. Dio ci vuole vincenti come lui, non ci vuole perdenti depressi e rassegnati. Molte Chiese dovrebbero riscoprire la gioia contagiosa di essere cristiani. Essere seguaci di Cristo vuol dire sì prendere la croce per seguirlo, ma non vuol dire vivere una vita depressa tantomeno una vita stoica di privazioni. Lo stoicismo non è Cristianesimo. Se sei Francesco d’Assisi e vuoi abbandonare il tuo padre ricco per piacere di più a Gesù è una tua idea, ma non è necessaria per la fede in Cristo. Potevi fare molto bene anche da ricco.

L’idea di fondo è tipicamente quella cattolica. La croce di Cristo non è sufficiente. Se voglio salvarmi devo compiere delle opere, aggiungere santi, madonne, intercessioni, purgatori, auto flagellazioni, apparizioni, reliquie, digiuni, penitenze e indulgenze, perché… Gesù Cristo non basta. Invece l’adesione a Cristo è ciò che mi salva. Punto. Non è merito mio e non posso aggiungervi nulla. La salvezza è un dono. Le opere sono l’adesione di fede. E non è poco. 

Forse è bene ricordare che Cristo godeva pienamente della vita terrena, in tutto fuorché nel peccato. Mentre secondo un papa cattolico – Gregorio Magno – «Il piacere non può essere mai senza peccato». Ovviamente l’hanno fatto santo. Cristo il primo miracolo lo fa mentre si sta divertendo a una festa di nozze con amici a Cana di Galilea, bevendo vino e probabilmente cantando e danzando. Più tardi sarà accusato malignamente di essere un “beone” e un “mangione” (Matteo 11,16-19).

Una figura notevolmente diversa dal primo Buddha storico, Siddharta Gautama, che va a meditare sotto l’albero Bodhi, rinunciando a tutto. Insegnerà che la  vita è «tutto è dolore», dal quale si esce «eliminando qualsiasi desiderio». Troppa predicazione cristiana ha spinto l’acceleratore sulla rinuncia, sulla criminalizzazione del desiderio in quanto tale e del piacere. Secondo la fede cristiana il piacere e il desiderio non sono sinonimi di peccato. Dio non vuole l’uomo depresso e triste. Il Vangelo è gioia e Cristo dimostra che si può godere pienamente della vita, senza peccare. Dopotutto Cristo nel Vangelo dice: «Questo vi ho detto perché la mia gioia sia in voi e la vostra gioia sia piena» (Giovanni 15,11). La ricchezza economica personale (da condividere con chi ha più bisogno) è interpretata nella teologia della prosperità come una benedizione di Dio, ottenuta attraverso un fede positiva.

L’insegnamento della teologia della prosperità sul professare positivamente la propria fede deriva dalla Sacra Scrittura. La Bibbia è vista come un contratto di fede tra Dio e i credenti; Dio è fedele e giusto, così i credenti devono rispettare il loro contratto per ricevere le promesse di Dio. Questo porta a una credenza nella confessione positiva. Secondo tale dottrina i credenti possono pretendere da Dio, qualunque cosa essi desiderino semplicemente pronunciando parole di fede sulla propria vita. E questa è decisamente una grande fede! Fai come me. Prega ogni giorno Dio di ricolmarti – lo ripeto: ricolmarti – del suo favore e della sua benedizione. Prega per cose “grandi” nella tua vita, che ti sembrano impossibili.

Giorgio Nadali


Religiosità: Ricchi o poveri?

Di certo Adriano Celentano non sarebbe d’accordo, ma secondo un nuovo studio di un istituto di ricerca sociale americano – Pew Research Center – c’è un rapporto tra benessere economico personale e fede religiosa. Ricchezza e religione sarebbero inversamente proporzionali: i paesi più religiosi quelli con un più alto tasso di povertà e viceversa, mentre quelli più ricchi i più tendenti all’ateismo. Unica eccezione gli Stati Uniti d’America, dove nonostante la ricchezza elevata in termini di PIL, il 54% della popolazione afferma la grande importanza della religione nella propria vita. Nel testo sociologico “Sacro e popolare. Religione e politica nel mondo globalizzato”, gli autori Pippa Norris e Ronald Inglehart sottolineano come la partecipazione alle pratiche religiose registri tassi più alti tra persone più incerte a livello economico e che si trovano ad affrontare più problemi di salute e povertà. Nell’ipotesi generale, il declino del valore della religione, della fede e delle attività religiose dipende dal mutamento di lungo periodo della sicurezza esistenziale: con il processo e il progresso dello sviluppo umano, l’importanza della religione nella vita degli individui diminuisce gradualmente.

Giorgio Nadali, il direttore del del nostro settimanale ha sentito il parere di tre importanti sociologi italiani.

Roberto Cipriani. Professore ordinario di Sociologia nell’Università Roma Tre.
Silvio Scanagatta. Docente di Sociologia del mutamento culturale all’Università di Padova
Paola Di Nicola. Presidente della Associazione Italiana di Sociologia. Docente di Sociologia dei processi culturali e comunicativi all’Università di Verona.

Siete d’accordo con la ricerca?

Cipriani:
Non è facile essere d’accordo con la ricerca perché le informazioni sulla metodologia sono insufficienti a valutare l’affidabilità. A livello comparativo fra nazioni ci sono moti problemi di omogeneità fra i dati raccolti.
Scanagatta:
Non mi stupisce affatto. Gli Stati Uniti hanno una cultura decisamente diversa dall’Europa. Gli Stati Uniti sono gli unici che differiscono in questa variabile che va dal massimo di senso religioso rapportato con la povertà sino al minimo di senso religioso rapportato con la ricchezza. Gli Stati Uniti essendo più ricchi dell’Europa dimostrano che uno stato più coeso il senso religioso va perfettamente d’accordo con la ricchezza conseguita.
Di Nicola:
Indubbiamente al di là di tutte le questioni teologiche la religione ha avuto sempre una funzione consolatoria nei confronti dei soggetti e spesso questa funzione consolatoria ha trovato maggiore accoglimento tra le persone che sperimentano condizioni di vita altamente problematiche. Rimane il fatto che a livello personale le religioni sono fonte di conforto. È un dato di conforto. Soprattutto le religioni rivelate (Ebraismo, Cristianesimo e Islam).

Esiste a vostro parere un rapporto con la condizione economica personale e la propria fede religiosa?

Scanagatta:
Certamente c’è un rapporto. Il problema è che il tentativo di alcuni di dire che più si è ricchi e meno si è religiosi è contrastante no solo con un’infinità di realtà individuali, ma anche con realtà collettive dove società unite come quella americana dimostrano che si può far convivere benissimo il senso religioso con una grande ricchezza.
Cipriani:
Non necessariamente. Ci sono persone ricche poco religiose e poveri assai religiosi ma anche il contrario. Non si può generalizzare.
Di Nicola:
Bisogna distinguere tra la fede e la religiosità, che spesso si caratterizza anche con aspetti di tipo magico e di superstizione. Se per fede si intende un credere a livello personale nell’esistenza di un’Entità di tipo trascendente io credo che questo sentimento che possa essere presente a tutti gli uomini in tutte le classi sociali. Se invece pensiamo alla religiosità, che comprende anche tutti gli aspetti del rito, indubbiamente nelle aree del Paese in cui esiste ancora uno sviluppo non ancora pienamente maturo, spesso questi atteggiamenti continuano a persistere.

Secondo voi la ricchezza economica allontana dalla fede religiosa (cristiana)?

Cipriani:
Molto dipende dalla socializzazione e dall’educazione ricevute, che possono impedire di pensare che la ricchezza allontani dalla fede.
Scanagatta: No, no. L’aumento economico non allontana affatto dal senso religioso. Anzi, lo fa crescere perché spesso il livello culturale rende più sensibili e attenti al senso religioso, non necessariamente più distanti.
Di Nicola: Non è facile da dire. Con l’Europa del Settecento la religione ha perso un po’ la funzione di essere la guida per la vita e la risposta a tutti i problemi. Soprattutto con l’industrializzazione e l’aumento della ricchezza disponibile sia a livello individuale sia a livello collettivo ci si rende conto che si può avere una situazione di sicurezza autonomamente, per meriti personali, senza dover necessariamente ringraziare Qualcuno…

Cosa pensate della teologia della prosperità, di origine protestante, cioè che Dio desidera il nostro benessere economico personale e agisce anche per farcelo avere?

Cipriani:
La teologia della prosperità è un espediente per recuperare adesioni rispetto alla teologia della liberazione, promettendo esiti economici positivi in caso di adesione ad una certa linea teologica e cultuale.
Scanagatta:
Secondo un’idea protestante una persona deve la sua ricchezza non solo alla grazia che Dio gli dà ma anche al senso di comunità con cui esplica questa grazia ed è quello che può spiegare una convivenza tra ricchezza e senso religioso. In Europa invece prevale l’idea per essere ricchi bisogna distruggere il sistema di valori religiosi, in America succede esattamente il contrario. Non solo. Il cattolicesimo dice che la ricchezza è una colpa, ma anche il Paesi del Nord Europa dicono che la separazione tra senso religioso e ricchezza va operata a livelli massimi, tanto è vero che sono i Paesi del Nord che non hanno voluto riconoscere le radici giudaico cristiane della società europea.
Di Nicola:
Con il protestantesimo l’uomo è diventato la misura di tutte le cose, anche la misura della sua etica, della sua moralità e della sua religiosità. Nelle prime forme del Calvinismo per un uomo l’aver successo nella vita era un segno di essere un eletto e quindi nella grazia di Dio. Poi con il Novecento questa dimensione si è molto affievolita e l’obiettivo non stato più stato di arricchirsi per avere una misura del proprio stato di grazia, ma l’obiettivo era semplicemente quello di raggiungere livelli più alti di ricchezza indipendentemente dal fatto che questo fosse un indicatore di essere nelle grazie di Dio.

Secondo voi c’è un rapporto tra la condizione economico sociale e la fede religiosa in Italia?

Cipriani:
La condizione economica non è una variabile indipendente che presieda in Italia all’orientamento religioso.
Scanagatta:
Certamente c’è un rapporto. Il problema è che il tentativo di alcuni di dire che più si è ricchi e meno si è religiosi è contrastante no solo con un’infinità di realtà individuali, ma anche con realtà collettive dove società unite come quella americana dimostrano che si può far convivere benissimo il senso religioso con una grande ricchezza.

Di Nicola:
Bisogna distinguere tra la fede e la religiosità, che spesso si caratterizza anche con aspetti di tipo magico e di superstizione. Se per fede si intende un credere a livello personale nell’esistenza di un’Entità di tipo trascendente io credo che questo sentimento che possa essere presente a tutti gli uomini in tutte le classi sociali. Se invece pensiamo alla religiosità, che comprende anche tutti gli aspetti del rito, indubbiamente nelle aree del Paese in cui esiste ancora uno sviluppo non ancora pienamente maturo, spesso questi atteggiamenti continuano a persistere. La tradizione dà delle sicurezze e chi sperimenta maggiore insicurezza quotidiana spesso trova nella tradizione religiosa dei punti di riferimento.

Intervista di Giorgio Nadali


Religiosi, ma poveri? Esiste un rapporto tra ricchezza o povertà personale e la fede religiosa?

di Giorgio Nadali

www.giorgionadali.it

abDi certo Adriano Celentano non sarebbe d’accordo e anche noi siamo un po’ perplessi, ma secondo un nuovo studio di un istituto di ricerca sociale americano – Pew Research Center – c’è un rapporto tra benessere economico personale e fede religiosa. Ricchezza e religione sarebbero inversamente proporzionali: i paesi più religiosi quelli con un più alto tasso di povertà e viceversa, mentre quelli più ricchi i più tendenti all’ateismo. Unica eccezione gli Stati Uniti d’America, dove nonostante la ricchezza elevata in termini di PIL, il 54% della popolazione afferma la grande importanza della religione nella propria vita. Nel testo sociologico “Sacro e popolare. Religione e politica nel mondo globalizzato”, gli autori Pippa Norris e Ronald Inglehart sottolineano come la partecipazione alle pratiche religiose registri tassi più alti tra persone più incerte a livello economico e che si trovano ad affrontare più problemi di salute e povertà. Nell’ipotesi generale, il declino del valore della religione, della fede e delle attività religiose dipende dal mutamento di lungo periodo della sicurezza esistenziale: con il processo e il progresso dello sviluppo umano, l’importanza della religione nella vita degli individui diminuisce gradualmente.
Abbiamo sentito il parere di tre importanti sociologi italiani.

Roberto Cipriani. Professore ordinario di Sociologia nell’Università Roma Tre.
Silvio Scanagatta. Docente di Sociologia del mutamento culturale all’Università di Padova
Paola Di Nicola. Presidente della Associazione Italiana di Sociologia. Docente di Sociologia dei processi culturali e comunicativi all’Università di Verona.

Siete d’accordo con la ricerca?
Cipriani:
Non è facile essere d’accordo con la ricerca perché le informazioni sulla metodologia sono insufficienti a valutare l’affidabilità. A livello comparativo fra nazioni ci sono moti problemi di omogeneità fra i dati raccolti.
Scanagatta:
Non mi stupisce affatto. Gli Stati Uniti hanno una cultura decisamente diversa dall’Europa. Gli Stati Uniti sono gli unici che differiscono in questa variabile che va dal massimo di senso religioso rapportato con la povertà sino al minimo di senso religioso rapportato con la ricchezza. Gli Stati Uniti essendo più ricchi dell’Europa dimostrano che uno stato più coeso il senso religioso va perfettamente d’accordo con la ricchezza conseguita.
Di Nicola:
Indubbiamente al di là di tutte le questioni teologiche la religione ha avuto sempre una funzione consolatoria nei confronti dei soggetti e spesso questa funzione consolatoria ha trovato maggiore accoglimento tra le persone che sperimentano condizioni di vita altamente problematiche. Rimane il fatto che a livello personale le religioni sono fonte di conforto. È un dato di conforto. Soprattutto le religioni rivelate (Ebraismo, Cristianesimo e Islam).

Esiste a vostro parere un rapporto con la condizione economica personale e la propria fede religiosa?
Scanagatta:
Certamente c’è un rapporto. Il problema è che il tentativo di alcuni di dire che più si è ricchi e meno si è religiosi è contrastante no solo con un’infinità di realtà individuali, ma anche con realtà collettive dove società unite come quella americana dimostrano che si può far convivere benissimo il senso religioso con una grande ricchezza.
Cipriani:
Non necessariamente. Ci sono persone ricche poco religiose e poveri assai religiosi ma anche il contrario. Non si può generalizzare.
Di Nicola:
Bisogna distinguere tra la fede e la religiosità, che spesso si caratterizza anche con aspetti di tipo magico e di superstizione. Se per fede si intende un credere a livello personale nell’esistenza di un’Entità di tipo trascendente io credo che questo sentimento che possa essere presente a tutti gli uomini in tutte le classi sociali. Se invece pensiamo alla religiosità, che comprende anche tutti gli aspetti del rito, indubbiamente nelle aree del Paese in cui esiste ancora uno sviluppo non ancora pienamente maturo, spesso questi atteggiamenti continuano a persistere.

Secondo voi la ricchezza economica allontana dalla fede religiosa (cristiana)?
Cipriani: Molto dipende dalla socializzazione e dall’educazione ricevute, che possono impedire di pensare che la ricchezza allontani dalla fede.
Scanagatta: No, no. L’aumento economico non allontana affatto dal senso religioso. Anzi, lo fa crescere perché spesso il livello culturale rende più sensibili e attenti al senso religioso, non necessariamente più distanti.
Di Nicola: Non è facile da dire. Con l’Europa del Settecento la religione ha perso un po’ la funzione di essere la guida per la vita e la risposta a tutti i problemi. Soprattutto con l’industrializzazione e l’aumento della ricchezza disponibile sia a livello individuale sia a livello collettivo ci si rende conto che si può avere una situazione di sicurezza autonomamente, per meriti personali, senza dover necessariamente ringraziare Qualcuno…
Cosa pensate della teologia della prosperità, di origine protestante, cioè che Dio desidera il nostro benessere economico personale e agisce anche per farcelo avere?
Cipriani:
La teologia della prosperità è un espediente per recuperare adesioni rispetto alla teologia della liberazione, promettendo esiti economici positivi in caso di adesione ad una certa linea teologica e cultuale.
Scanagatta:
Secondo un’idea protestante una persona deve la sua ricchezza non solo alla grazia che Dio gli dà ma anche al senso di comunità con cui esplica questa grazia ed è quello che può spiegare una convivenza tra ricchezza e senso religioso. In Europa invece prevale l’idea per essere ricchi bisogna distruggere il sistema di valori religiosi, in America succede esattamente il contrario. Non solo. Il cattolicesimo dice che la ricchezza è una colpa, ma anche il Paesi del Nord Europa dicono che la separazione tra senso religioso e ricchezza va operata a livelli massimi, tanto è vero che sono i Paesi del Nord che non hanno voluto riconoscere le radici giudaico cristiane della società europea.
Di Nicola:
Con il protestantesimo l’uomo è diventato la misura di tutte le cose, anche la misura della sua etica, della sua moralità e della sua religiosità. Nelle prime forme del Calvinismo per un uomo l’aver successo nella vita era un segno di essere un eletto e quindi nella grazia di Dio. Poi con il Novecento questa dimensione si è molto affievolita e l’obiettivo non stato più stato di arricchirsi per avere una misura del proprio stato di grazia, ma l’obiettivo era semplicemente quello di raggiungere livelli più alti di ricchezza indipendentemente dal fatto che questo fosse un indicatore di essere nelle grazie di Dio.

Secondo voi c’è un rapporto tra la condizione economico sociale e la fede religiosa in Italia?
Cipriani:
La condizione economica non è una variabile indipendente che presieda in Italia all’orientamento religioso.
Scanagatta:
Certamente c’è un rapporto. Il problema è che il tentativo di alcuni di dire che più si è ricchi e meno si è religiosi è contrastante no solo con un’infinità di realtà individuali, ma anche con realtà collettive dove società unite come quella americana dimostrano che si può far convivere benissimo il senso religioso con una grande ricchezza.

Di Nicola:
Bisogna distinguere tra la fede e la religiosità, che spesso si caratterizza anche con aspetti di tipo magico e di superstizione. Se per fede si intende un credere a livello personale nell’esistenza di un’Entità di tipo trascendente io credo che questo sentimento che possa essere presente a tutti gli uomini in tutte le classi sociali. Se invece pensiamo alla religiosità, che comprende anche tutti gli aspetti del rito, indubbiamente nelle aree del Paese in cui esiste ancora uno sviluppo non ancora pienamente maturo, spesso questi atteggiamenti continuano a persistere. La tradizione dà delle sicurezze e chi sperimenta maggiore insicurezza quotidiana spesso trova nella tradizione religiosa dei punti di riferimento.

di Giorgio Nadali

www.giorgionadali.it

Pubblicato su “STOP”, Anno VI, N. 20, 22 Maggio 2015 , “Essere ricchi non vuol dire voltare le spalle a Dio e alla Religione”


Vaticano e stipendi. Papa, Vescovi, Cardinali e Preti

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di Giorgio Nadali 

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Quanto guadagna il Papa? Nessuno stipendio. A disposizione un fondo in euro presso lo I.O.R.
 (Istituo Opere di Religione- la banca del Vaticano), l’Obolo di San Pietro (vedi voce) e il fondo di
 2,5 milioni di dollari - il Vicarius Christi Fund - della Confraternita dei Cavalieri di Colombo con
sede a New Haven, Connecticut (USA) e Roma, presieduta dal Prof. Carl A. Anderson. Inoltre i diritti
d’autore delle opere letterarie gestite dalla Fondazione Joseph Ratzinger, inaugurata nel 2008, amministrata
dagli Ratzinger Shulerkreis (Circolo degli Studenti di Ratzinger) a Monaco di Baviera (Germania)
e presieduta dal Prof.  Stephan Otto Horn.  
Cardinali di Curia – 150.000 euro (1) netti annuali per l'"assegno cardinalizio" (il nuovo nome del vecchio "piatto cardinalizio") erogati dall’Amministrazione del Patrimonio della Sede Apostolica 
 per i Cardinali di Curia, più il “rotolo cardinalizio” (somma derivante dalle rendite del Sacro Collegio Cardinalizio). Altri parlano di cifre ben più modeste: 3000 euro netti mensili. 
(1) Claudio Rendina - "La santa casta della Chiesa", Roma, Newton & Compton, 2009, p. 241. 

Vescovi – 39.000 euro netti annuali più fondo spese per l’episcopato di competenza.
Preti (italiani) - L’ammontare dello stipendio mensile (lordo di imposte, per 12 mensilità) è calcolato sulla
base di un certo numero di punti - da 80 a 140 - ciascuno del valore di 11,82 euro. Il numero di punti attribuito
a ciascun sacerdote varia a seconda dell’anzianità vocazionale e degli incarichi ricoperti. Ad esempio ad un prete
appena ordinato spettano 80 punti, che moltiplicati per 11,82 euro danno 945,60 euro lordi di stipendio mensile.
Ad un vescovo alle soglie della pensione spettano 140 punti, che ancora moltiplicati per 11,82 fanno risultare 1.654,80 euro lordi.
I limiti di reddito anzidetti, equivalenti per tutti i 37.456 presbiteri italiani, rappresentano il tetto massimo di tutte le entrate a
favore dei singoli. Ogni sacerdote può contare mensilmente su: a) una quota cosiddetta “capitaria”, pari a € 0,0723 per parrocchiano;
b) una quota proveniente dalla ridistribuzione degli ex benefici parrocchiali, assorbiti dal 1989 dagli Istituti Diocesani per
 il Sostentamento del Clero; c) l’eventuale retribuzione di un’attività esterna (in tal caso, ha comunque diritto, in aggiunta,
alla sola quota capitaria di cui al punto a); d) le offerte libere dei fedeli; e) l’intervento della Cei, che
 (con l’utilizzo dei fondi provenienti dall’otto per mille dell’Irpef) integra le entrate a-b-c-d fino al raggiungimento
delle somme indicate all'inizio, che rappresentano i limiti massimi di reddito a favore dei singoli.

Lo Stato della Città del Vaticano lavorano 1894 dipendenti di cui 31 religiosi, 28 religiose, 1.558 laici e
277 laiche. Negli enti legati lla Santa Sede  prestano servizio complessivamente 2.732 persone, di cui 761
ecclesiastici, 334 religiosi (246 uomini e 88 donne), 1.637 laici (1.199 uomini e 438 donne).
I cittadini, quelli con carta d'identità vaticana, sono 524, tra i quali i circa 200 rappresentanti dello Stato
del Vaticano presso i governi di tutto il mondo. Le famiglie residenti sono 15, ma i figli perdono
automaticamente la cittadinanza vaticana a 28 anni. E ci sono infine 350 residenti non cittadini.
Nessun bambino vi è mai nato. Si diventa cittadini del Vaticano non per il fatto naturale che si nasce nel
suo territorio, ma per incorporazione, per volontà del Pontefice. I residenti, tra alti prelati, suore e
addetti ai servizi telefonici e di sorveglianza sono circa 500 (stipendio per 36 ore settimanali, da 800 a 1250 Euro).
Praticamente nulla è proprietà privata. Al 31 dicembre 2000 le persone in possesso della cittadinanza vaticana erano 524,
delle quali 49 Cardinali, 271 Ecclesiastici aventi lo status di membri delle Rappresentanze Pontificie,
63 altri Ecclesiastici, 88 componenti il Corpo della Guardia Svizzera Pontificia e 53 altri laici.

Giorgio Nadali
 www.giorgionadali.it 
http://www.ibs.it/code/9788821567841/nadali-giorgio/monaci-sugli-alberi-e.html 
http://www.edizionisanpaolo.it/varie_1/narrativa/il-pozzo-2a-serie/libro/i-monaci-sugli-alberi.aspx