I valori cristiani. 7. La preghiera

Diversamente da come si pensa, pregare non è ricordare a Dio qualcosa, ma ricordarci di Dio. Non a caso Gesù raccomanda di non sprecare molte parole come fanno i pagani: “Pregando poi, non sprecate parole come i pagani, i quali credono di venire ascoltati a forza di parole” (Matteo 6,7). Questi dovevano convincere gli déi ad ascoltarli e ancora oggi questo viene fatto con molta fede sincera in religioni come il Taoismo o lo Shintosimo. Bisogna convincere gli déi ad ascoltare e ad agire. Non è così per il Dio della Bibbia, che è Padre. La preghiera cristiana è un dialogo di amore. Dio sa già di cosa abbiamo bisogno (Matteo 6,32), ma non in generale, per l’umanità. Proprio personalmente per ciascuno di noi, per ogni periodo particolare e giorno della nostra esistenza terrena. Questa è la nostra fede. La preghiera non è quindi la recita di formule per tener buono un Dio che no ascolta o per fare intervenire un Dio distratto. Non è neppure la recita di mantra (formule di preghiera di tipo induista) ripetendole ossessivamente per entrare in uno stato di meditazione o per garantirci l’attenzione o la benevolenza divina o di Santi. Esistono in realtà rosari per la preghiera ripetitiva nel Cattolicesimo, nell’Ortodossia, nell’Islàm, nel Buddhismo, nell’Induismo.

Il pericolo è che l’orazione ripetitiva divenga meccanica, se non vi è uno spirito di preghiera. Questo significa una totale fiducia di avere già l’amore di Dio che vuole il nostro successo e la nostra felicità. Significa gratitudine, non mezzo per ottenere qualcosa o per mettersi in mostra come il fariseo della parabola evangelica: “O Dio, ti ringrazio che non sono come gli altri uomini, ladri, ingiusti, adùlteri, e neppure come questo pubblicano” (Luca 18,11). Vi sono innumerevoli modi di pregare, ma il peggiore è senz’altro quello senza cuore. Quello di una “religiosità ipomaniaca” che presenta il conto a Dio, e di una “religiosità da timore” che prega per garantirsi qualcosa. In questi casi manca la consapevolezza che siamo amati sempre, anche se non preghiamo affatto, anche se siamo ingrati. La preghiera ci aiuta ad essere grati e a rispondere a questo amore (Luca 15,11-32). Nella parabola del figliol prodigo il personaggio che rimane in collera è il fratello di colui che ha voltato le spalle al padre e se ne è andato. Nella parabola degli operai della vigna coloro che sono in collera sono gli operai che hanno lavorato tutto il giorno e ricevono la stessa paga di chi ha lavorato un’ora sola (Matteo20,12). La preghiera cristiana ha tre volti: lode, ringraziamento e domanda. Lodare Dio è essenziale perché l’amore implica il riconoscimento di quanto l’altro (e l’Altro) siano importanti per noi. Nasce dall’amore, non dalla paura. Solo chi si sente amato esattamente per come è già adesso può provare gratitudine e da questo scaturisce la preghiera di ringraziamento, di gratitudine (Luca 17,17).

Nella parabola Gesù guarisce dieci lebbrosi. Li ama tutti senza condizioni, ma solo uno torna indietro a ringraziare. L’amore è gratuito. Non implica la risposta dell’altro. Però riconoscerlo ed esserne grati dà molta più gioia. Una differenza sostanziale tra chi crede (ed è amato) e chi non crede (ed è amato allo stesso identico modo). Abbiamo già parlato di un aspetto particolare della preghiera. Forse è bene ricordarlo.

Non esiste “sfacciataggine” nella preghiera. A un Dio grande si chiedono cose grandi. Quelle piccole le possiamo fare anche da soli. Prega in grande. Chiedi cose grandi. Chiedete e vi sarà dato: “una buona misura, pigiata, scossa e traboccante vi sarà versata nel grembo” (Luca 6,38). Padre, grazie per questa meravigliosa giornata. Ricolmami della tua grazia e del tuo favore in questa giornata, al punto da farmi essere benedizione per gli altri. Che preghiera energizzante e piena di fede per iniziare così la giornata! Dio vuole il massimo per noi. Sì, anche in termini materiali. La povertà non è la miseria. Ne parleremo. Qualcuno ha insegnato a tenere un profilo basso e dimesso con Dio. Questo non è però compatibile con l’idea di rapporto Padre-figlio che ci ha trasmesso Gesù. Quale padre direbbe “non disturbarmi, riga dritto e accontentati”. Sì, forse alcuni “padri” terreni, ma certamente non Dio Padre. Difatti Gesù dice: “Quale padre tra voi, se il figlio gli chiede un pane, gli darà una pietra? O se gli chiede un pesce, gli darà al posto del pesce una serpe? O se gli chiede un uovo, gli darà uno scorpione? Se dunque voi, che siete cattivi, sapete dare cose buone ai vostri figli, quanto più il Padre vostro celeste darà lo Spirito Santo a coloro che glielo chiedono!” (Luca 11,13). Cosa significa? Prega in grande. Grande lode, grande gratitudine e grandi richieste. Niente timidezza nella preghiera. È il rapporto di amore con l’Abbà, cioè il vezzeggiativo tenero di “papà”, nella lingua aramaica, come lo chiama Gesù e ci ha insegnato a chiamarlo, ma anche soprattutto a crederlo veramente! E questo per alcuni è la cosa più difficile. Una preghiera: “Signore aumenta la nostra fede” (Luca 17,6). Interessante la risposta di Gesù: “Se aveste fede quanto un granellino di senapa, potreste dire a questo gelso: Sii sradicato e trapiantato nel mare, ed esso vi ascolterebbe”.

Giorgio Nadali