Cresce l’Italia che diserta le chiese: più facile perdere la fede a 55 anni

Tra piazze sulle unioni civili, appelli alla tradizione natalizia e fede islamica la religione è da tempo al centro del dibattito politico e sociale del Paese. Ma non è detto che questa sua esposizione mediatica si trasformi poi in un rinnovato interesse degli italiani. Anzi, guardando i freddi dati la tendenza sembra tutt’altra.

L’Istat ha di recente fotografato la nostra propensione alla pratica religiosa e il quadro che ne viene fuori è quello di un Paese che viaggia verso la secolarizzazione. Non spinta come in altri Paesi europei, è vero, ma tale da mostrare un’evidente disaffezione. Le chiese sono vuote, si dice sempre. È vero come per le moschee e le sinagoghe e ora lo certifica anche la statistica.

Nel 2006 una persona su tre (esattamente il 33,4%) dichiarava di frequentare luoghi di culto almeno una volta alla settimana. La percentuale, però, oggi è scesa al 29%. E il calo è stato costante negli anni. Al contrario le persone che dichiaravano di non frequentare mai luoghi di culto sono passate dal 17,2 al 21,4%. In pratica oltre una ogni cinque. 

Il dato, messo così, mostra una tendenza generale. Ma se guardassimo più nel dettaglio, noteremmo cose interessanti. Innanzitutto i numeri risultano un po’ “drogati”. Un po’ perché nelle statistiche si tende a dichiarare quel che si vorrebbe fare e non quello che si fa davvero. Un po’ per la presenza dei bambini tra i 6 e i 13 anni che con il loro 51,9% del 2015 spingono in alto una percentuale che altrimenti sarebbe più bassa.

Il crollo della frequentazione dei luoghi di culto ha colpito ogni fascia d’età. Quella in cui si “perde” la fede per eccellenza resta tra i 20 e i 24 anni. La curva, poi, tende a risalire lentamente fino a quella che potremmo definire l’area della “scommessa di Pascal”. Ma il confronto con il 2006 ci dice che la fascia d’età più disillusa è quella tra i 55 e i 59 anni che nell’ultimo decennio ha perso il 30% dei frequentatori di luoghi di culto. Fascia che potrebbe essere estesa ai 60-64enni, dove il calo è stato del 25%. Il sociologo Franco Garelli, uno dei massimi esperti dell’argomento, spiega: «Questo fenomeno può essere dettato da due dinamiche: da una parte in quella fascia d’età molti si costruiscono una seconda vita alternativa. I figli sono grandi, la carriera è agli sgoccioli, i nuovi impegni allontanano dalla pratica religiosa. Dall’altra può essere un portato della crisi: persone uscite dal ciclo produttivo impegnate a rientrarci».

Ma sono le nuove generazioni che offrono gli spunti più interessanti. È probabile che da adulti saranno meno vicini alla fede di quanto lo sono gli adulti di oggi. Se è vero che i bambini sono ancora i frequentatori più assidui dei luoghi di culto, le famiglie sembrano sempre meno inclini a far rispettare loro impegni religiosi assidui. Oggi un bambino su dieci non frequenta più come una volta e gli adolescenti tra i 14 e i 17 anni sono calati del 17,6%. Di converso quelli che non frequentano mai sono aumentati del 57% tra i bambini e del 33% tra gli adolescenti. «È molto interessante notare come i 18enni e 19enni, che restano lo zoccolo duro dell’associazionismo cattolico, tengano (siamo intorno al 15% di frequentatori abituali, ndr) ma la loro erosione è importante» dice ancora il professor Garelli.

Guardando alla geografia, l’Italia appare molto divisa tra Nord e Sud. Se la Sicilia risulta la regione più religiosa (oltre il 37% va almeno una volta a settimana in un luogo di culto), la Liguria è quella più agnostica e atea (oltre una persona su tre non frequenta mai e solo il 18,6% lo fa con assiduità). Siamo lontani dalle percentuali della Svezia (90% si dichiara religioso e 3% praticante), ma la tendenza è ad avere una religiosità sempre più ritagliata sul personale e che non segue i precetti che non ritiene necessari.

Sul fronte delle professioni quadri, impiegati, casalinghe e pensionati sono le più religiose. Dirigenti, imprenditori, liberi professionisti, operai e studenti quelle meno.

«Chi riceve stimoli o è impegnato in lavori concettuali o manuali più impegnativi si dedica meno al trascendente» spiega Garelli. 

Raphael Zanotti (La Stampa)


Le opere di misericordia spirituale. 6. Sopportare le persone moleste

Scrive San Paolo: “Quando siamo tribolati, è per la vostra consolazione e salvezza; quando siamo confortati, è per la vostra consolazione, la quale si dimostra nel sopportare con forza le medesime sofferenze che anche noi sopportiamo” (2 Corinzi 1,6). “Vi esorto dunque io, il prigioniero nel Signore, a comportarvi in maniera degna della vocazione che avete ricevuto, con ogni umiltà, mansuetudine e pazienza, sopportandovi a vicenda con amore” (Efesini 4,1-2). Sopportare non è un atto di debolezza, ma di forza. Dio stesso ci sopporta. Sopportare è imitare la pazienza divina. Noi abbiamo dato al verbo sopportare un significato negativo.

Sopportare qualcuno non è amarlo. Si riferisce a qualcuno che ci infastidisce con il suo atteggiamento o comportamento e di cui faremmo volentieri a meno. In realtà per sopportazione qui va proprio intesa la pazienza che la carità cristiana esprime. La parola “pazienza” è presente 40 volte in tutta la Bibbia, di cui 26 nel Nuovo Testamento. San Giacomo scrive: “Prendete, o fratelli, a modello di sopportazione e di pazienza i profeti che parlano nel nome del Signore. Ecco, noi chiamiamo beati quelli che hanno sopportato con pazienza” (Giacomo 5,10-11). Per quanto possibile bisogna evitare di reagire a tutte le piccole provocazioni che subiamo, riservando una reazione solo ai casi veramente importanti o penalmente rilevanti, contemplati dall’articolo 660 del Codice Penale che punisce le molestie in genere, lo stalking con l’articolo 612bis. Queste molestie generano grave ansia alla persona. Come cristiani abbiamo il diritto di difenderci, ma mai quello di vendicarci.

Il 28 per cento delle donne e il 10 per cento degli uomini hanno riferito in un’inchiesta del 2007 di aver subito molestie sessuali che vanno comunque sempre denunciate. In Italia il numero di vittime del mobbing – cioè le angherie sul posto di lavoro – è intorno a 1 milione e 200 mila. Sino a 5 milioni se si considerano anche le famiglie. Non esiste una legislazione italiana di difesa. Comunque diversi comportamenti che caratterizzano il mobbing rientrano già in vari articoli del codice penale italiano (abuso d’ufficio, percosse, lesione personale volontarie, ingiuria, diffamazione, minaccia, molestie). La persona equilibrata sa reagire con coraggio e pazienza alle “normali e inevitabili” piccole frustrazioni quotidiane che ci vengono dal nostro prossimo. Il cristiano ha anche una forza in più che gli proviene dalla preghiera. La mitezza è quindi la forza sotto controllo.
Le persone moleste (fuori dai casi giuridicamente penali) da sopportare sono quelle arroganti (ma qui può essere equilibrata con l’opera di misericordia di “ammonire i peccatori”), le persone che si lagnano sempre (oltre che sopportate andrebbero nei limiti del possibile allontanate, perché trascinano in basso anche noi), le persone maleducate (spesso vari problemi psicologici o non vivono i valori cristiani), le persone ipercritiche (altro problema psicologico). Sopportare è avere compassione dei difetti altrui, ricordando che è facile guardare la pagliuzza che è nell’occhio del fratello, e non accorgersi della trave nel proprio (Luca 6,41). È utile ricordare che qualsiasi cosa facciamo troveremo sempre qualcuno che avrà da ridire. Se dovessimo dare peso a tutti non vivremmo più e perderemmo di vista la missione particolare che Dio ha in serbo per ciascuno di noi. Il Mahatma Gandhi diceva che la «nonviolenza è la forza dell’anima o l’energia della divinità dentro di noi. Diventiamo simili a Dio nella misura in cui realizziamo la nonviolenza». La nonviolenza non va confusa con la debolezza, ma è la forza sotto il controllo della ragione e del cuore. L’uomo e la donna veramente forti sono miti. Sanno essere tolleranti con tutti e sopportare le piccole frustrazioni. Gesù dice: «Beati i miti, perché erediteranno la terra» (Matteo 5,5). La sopportazione è la forza stessa di Gesù che dice: «prendete il mio giogo sopra di voi e imparate da me, che sono mite e umile di cuore» (Matteo 11,29). Per sopportare occorre quindi essere umili, non deboli. Nell’Ebraismo la nonviolenza può essere espressa dal concetto di chesed. È l’amore-gentilezza come virtù fondamentale, simile alla mettā buddhista e alla “misericordia” nella vulgata della Bibbia. Ci sono alcuni che stanno, essi, nella pace e mantengono pace anche con gli altri. “Ci sono invece alcuni che non stanno in pace essi, né lasciano pace agli altri: pesanti con il prossimo, e ancor più con se stessi. Ci sono poi alcuni che stanno essi nella pace e si preoccupano di condurre alla pace gli altri. La verità è che la vera pace, in questa nostra misera vita, la dobbiamo far consistere nel saper sopportare con umiltà, piuttosto che nel non avere contrarietà. Colui che saprà meglio sopportare, conseguirà una pace più grande”. (Tommaso da Kempis).

Giorgio Nadali