Le Beatitudini. 1. Beati i poveri in spirito, perché di essi è il regno dei cieli.

Chiariamo subito un equivoco. I poveri in spirito non sono i poveracci e il Cristianesimo non è una religione per “poveri” (in senso materiale). “Beati i poveri in spirito, perché di essi è il Regno dei Cieli” (Matteo 5,3). I poveri in spirito sono gli  uomini e le donne che mettono la loro fiducia in Dio e non nelle cose, ma non significa che sono persone in miseria. La Regina dei poveri del Vangelo è Maria di Nazareth, la quale non viveva in miseria (come i lebbrosi o le vedove, ad esempio), secondo le condizioni sociali del suo tempo. Era molto umile. L’umiltà è la semplicità del cuore, non è la povertà materiale. È questa che rende “poveri in spirito”. C’erano ragazze molto più “povere” di lei materialmente  e non sono state scelte da Dio, ma Il Signore ha scelto Maria per la sua umiltà, per la sua “povertà di spirito”, appunto.  Il denaro e le cose materiali vanno usate (per il bene) e non adorate. I poveri del Vangelo sono coloro che non sono avidi di cose e di denaro o materialisti. Gesù grida “Guai a voi ricchi perché avete già la vostra consolazione” (Luca 6,24), ma non esalta né il pauperismo (la povertà materiale in quanto tale), né la lotta (politica) di classe. Sono i ricchi che si sentono autosufficienti rispetto a Dio. Il Signore ricorda che anche i ricchi potranno salvarsi (Marco 10,27). La ricchezza, e dunque la proprietà privata, non sono stigmatizzate, anche se sceglie (solo) alcuni e dà loro il consiglio evangelico della rinuncia ai beni materiali e al matrimonio. Desiderare denaro non vuol dire essere “avidi”. “Avido” è colui che ha una dipendenza patologica insaziabile (non sono in termini materiali, ma anche affettivi). Una persona con disponibilità economica non è per forza avida e materialista.

E’ vero che Gesù disse anche: “Guai a voi ricchi. E’ più facile che un cammello passi per una cruna d’ago che un ricco entri nel Regno dei Cieli” (Luca 18,25). Qui Gesù non sta condannando la ricchezza in quanto tale, che – se  onesta – non è affatto un male, a patto che sia aperta all’aiuto di chi ha bisogno. Con la ricchezza materiale si possono aiutare molte persone e dare lavoro agli altri, ad esempio. Si può promuovere l’arte che abbonda in molte chiese e nello stesso Vaticano, come è successo nei secoli da parte di facoltosi mecenati, anche se alcuni di loro lo facevano per lavarsi la coscienza (come per Enrico Scrovegni, che fece costruire a Padova la più preziosa cappella esistente). Con l’espressione “Beati i poveri in spirito” Gesù sta mettendo in guardia dalla ricchezza che può diventare un idolo che prende il posto di Dio. Non è la ricchezza che rende una persona cattiva. Ci sono poveri cattivi e ricchi buoni. Un mendicante che bestemmia Dio dalla mattina alla sera per la sua situazione, non è affatto un “povero del Vangelo”. La ricchezza materiale semplicemente amplifica ciò che una persona è già. Gesù non dice che ogni fedele deve fare il voto di povertà. Questo voto è riservato solo agli uomini e alle donne che sentono una speciale vocazione di consacrazione a Dio, anima e corpo.

Quanto alla povertà di Gesù… Viveva in un’epoca storica totalmente diversa. Qualsiasi cosa che noi oggi abbiamo sarebbe stata considerata un lusso a quel tempo. Gesù insisteva sulla povertà interiore, la sola che può mettere Dio al primo posto. Storicamente non era così  “povero” in realtà, almeno come intendiamo oggi la povertà. A suo tempo i più poveri erano i lebbrosi e le vedove. Gesù era un maestro itinerante e veniva da una famiglia di un artigiano (Giuseppe) che non era propriamente povera. Occorre distinguere dunque ciò che è destinato al culto, ciò che è opera d’arte, e cosa è veramente la povertà del Vangelo. I poveri in spirito non sono quindi coloro che hanno necessariamente il portafoglio vuoto, ma sono certamente coloro che hanno il cuore pieno di Dio.

Giorgio Nadali