Fede e genetica. Il “Gene di Dio” VMAT2

La Teoria del gene di Dio ipotizza uno specifico gene chiamato VMAT2 che predispone gli esseri umani verso esperienze mistiche e spirituali . L’idea è stata postulata dal genetista Dean Hamer, direttore dell’unità di genetica presso il National Cancer Institute e autore di un libro del 2006.
A pagina sei del suo libro Hamer si chiede: «Perché la spiritualità è una forza così potente e universale? Perché così tante persone credono in cose che non possono vedere, annusare, assaggiare, ascoltare o toccare? Perché persone di tutte i tipi, nel mondo, al di là del loro credo religioso o del particolare dio che venerano, danno importanza alla spiritualità come o più del piacere, del potere e della salute? Ritengo che la risposta sia, almeno in parte, cablata nei nostri geni. La spiritualità è una delle nostre eredità basilari umane. È di fatto un istinto». La teoria è basata su una combinazione di studi genetici, neurobiologici e psicologici del comportamento. Gli argomenti principali dell’ipotesi sono: (1) la spiritualità può essere misurata mediante misurazioni psicometriche; (2) l’orientamento personale alla spiritualità è parzialmente ereditabile; (3) parte di questa ereditabilità può essere attribuita al gene VMAT2; (4) questo gene agisce alterando i livelli di monoamine; e (5) gli individui spirituali sono favoriti dalla selezione naturale perché sono dotati di un innato senso di ottimismo, questi ultimi producenti effetti positivi a livello fisico o psicologico.

Un certo numero di scienziati e ricercatori è critico verso questa ipotesi; Carl Zimmer, scrivendo sulla rivista «Scientific American», si chiede perché «Hamer volle far pubblicare il libro prima di esporre i suoi risultati in una rivista scientifica credibile». Nel suo libro, Hamer scrive: «proprio perché la spiritualità è in parte genetica, non significa che sia automatica. Secondo questa ipotesi, il gene di Dio (VMAT2) è una disposizione fisiologica che produce le sensazioni associate da alcuni con esperienze mistiche, tra cui la presenza di Dio, o più precisamente la spiritualità come stato d’animo (cioè non codifica o causare la fede in Dio stesso, nonostante il “Gene di Dio”)».

Basata sulla ricerca dello psicologo Robert Cloninger, questa tendenza verso la spiritualità è quantificata mediante la scala di auto-trascendenza, che è composta di tre sottoinsiemi: “dimenticanza di sé” (come la tendenza a diventare totalmente assorbito in alcune attività, come ad esempio la lettura); “identificazione del transpersonale” (un sentimento di connessione a un universo più grande); e “misticismo” (un’apertura a credere in cose non letteralmente provabili, come le esperienze sensitive). Cloninger suggerisce che prese nel loro insieme, queste misurazioni sono un modo ragionevole per quantificare (rendere misurabile) come “spirituale” una persona. Walter Houston, cappellano del Mansfield College di Oxford ha osservato: “Il credo religioso non è solo correlato alla costituzione di una persona; è legato alla società, alla tradizione, al carattere.

Avere un gene che può fare tutto questo mi sembra abbastanza improbabile”. Hamer ha risposto che l’esistenza di un tale gene non sarebbe incompatibile con l’esistenza di un Dio personale: «I credenti possono indicare l’esistenza di geni di Dio come un segno in più dell’ingegno del creatore — un modo intelligente per aiutare gli esseri umani nel riconoscere e abbracciare una presenza divina». Hamer ha evidenziato più volte nel suo libro, «questo libro riguarda il fatto se i “geni di Dio” esistano, non sul fatto che Dio esista». Nel 1996 lo scienziato (ateo) premio Nobel (1962) Francis Crick ha scoperto che il libero arbitrio non esiste. Le azioni umane sarebbero tutte predeterminate. Il ricercatore Jonathan Schooler ha condotto degli esperimenti su vari soggetti scoprendo che coloro che erano stati convinti dell’assenza di libertà personale di scelta, assumevano comportamenti immorali rispetto a quelli che erano certi di poter scegliere. Ciò dimostra che eliminando il libero arbitrio crollerebbero i sistemi religiosi e il concetto di peccato, ma anche la società ordinata, che si trasformerebbe in una giungla spietata e invivibile.

Giorgio Nadali


I valori cristiani. 6. La famiglia

La famiglia è la cellula base della società. La parola famiglia deriva da famulus, che il latino significa “servitore”. È quindi una comunità di amore basata sul reciproco servizio nell’amore. Il matrimonio (da mater, cioè madre in latino) fonda la famiglia tradizionale. A differenza di altre unioni e convivenze basate sull’amore reciproco, gli sposi diventano parenti, generano figli consanguinei e hanno il sostegno della grazia sacramentale. È quindi un amore che da privato diventa “pubblico” e offerto a Dio. L’istituzione matrimoniale nasce più di 5000 anni fa. Già il filosofo Aristotele (384 – 322 a. C.) scriveva: «L’amicizia tra marito e moglie è naturale: l’uomo, infatti, è per sua natura più incline a vivere in coppia che ad associarsi politicamente, in quanto la famiglia è qualcosa di anteriore e di più necessario dello Stato».

I ministri del sacramento del matrimonio cristiano sono gli stessi sposi, che sono immagine dell’amore di Cristo per la sua Chiesa. Nel 1981 il papa San Giovanni Paolo II ha scritto una lettera enciclica sulla famiglia: la Familiaris Consortio nella quale ricorda che la comunione d’amore tra Dio e gli uomini, contenuto fondamentale della Rivelazione e dell’esperienza di fede di Israele, trova una significativa espressione nell’alleanza sponsale, che si instaura tra l’uomo e la donna… Tra i compiti fondamentali della famiglia cristiana si pone il compito ecclesiale: essa, cioè, è posta al servizio dell’edificazione del Regno di Dio nella storia, mediante la partecipazione alla vita e alla missione della Chiesa… In virtù della sacramentalità del loro matrimonio, gli sposi sono vincolati l’uno all’altra nella maniera più profondamente indissolubile.

La loro reciproca appartenenza è la rappresentazione reale, per il tramite del segno sacramentale, del rapporto stesso di Cristo con la Chiesa. Gli sposi sono pertanto il richiamo permanente per la Chiesa di ciò che è accaduto sulla Croce; sono l’uno per l’altra e per i figli, testimoni della salvezza, di cui il sacramento li rende partecipi. Di questo evento di salvezza il matrimonio, come ogni sacramento è memoriale, attualizzazione e profezia: «in quanto memoriale, il sacramento dà loro la grazia e il dovere di fare memoria delle grandi opere di Dio e di darne testimonianza presso i loro figli; in quanto attualizzazione, dà loro la grazia e il dovere di mettere in opera nel presente, l’uno verso l’altra e verso i figli, le esigenze di un amore che perdona e che redime; in quanto profezia, dà loro la grazia e il dovere di vivere e di testimoniare la speranza del futuro incontro con Cristo. Come ciascuno dei sette sacramenti, anche il matrimonio è un simbolo reale dell’evento della salvezza, ma a modo proprio.

«Gli sposi vi partecipano in quanto sposi, in due, come coppia, a tal punto che l’effetto primo ed immediato del matrimonio non è la grazia soprannaturale stessa, ma il legame coniugale cristiano, una comunione a due tipicamente cristiana perché rappresenta il mistero dell’Incarnazione del Cristo e il suo mistero di Alleanza. E il contenuto della partecipazione alla vita del Cristo è anch’esso specifico: l’amore coniugale comporta una totalità in cui entrano tutte le componenti della persona – richiamo del corpo e dell’istinto, forza del sentimento e dell’affettività, aspirazione dello spirito e della volontà -; esso mira ad una unità profondamente personale, quella che, al di là dell’unione in una sola carne, conduce a non fare che un cuor solo e un’anima sola: esso esige l’indissolubilità e la fedeltà della donazione reciproca definitiva e si apre sulla fecondità.

In una parola, si tratta di caratteristiche normali di ogni amore coniugale naturale, ma con un significato nuovo che non solo le purifica e le consolida, ma le eleva al punto di farne l’espressione di valori propriamente cristiani… Nel disegno di Dio Creatore e Redentore la famiglia scopre non solo la sua «identità», ciò che essa «è», ma anche la sua «missione)», ciò che essa può e deve «fare». I compiti, che la famiglia è chiamata da Dio a svolgere nella storia, scaturiscono dal suo stesso essere e ne rappresentano lo sviluppo dinamico ed esistenziale. Ogni famiglia scopre e trova in se stessa l’appello insopprimibile, che definisce ad un tempo la sua dignità e la sua responsabilità. I compiti della famiglia cristiana sono: 1) la formazione di una comunità di persone; 2) il servizio alla vita;3) la partecipazione allo sviluppo della società; 4) la partecipazione alla vita e alla missione della Chiesa… La Chiesa difende apertamente e fortemente i diritti della famiglia dalle intollerabili usurpazioni della società e dello Stato.

In particolare, i Padri Sinodali hanno ricordato, tra gli altri, i seguenti diritti della famiglia: di esistere e di progredire come famiglia, cioè il diritto di ogni uomo, specialmente anche se povero, a fondare una famiglia e ad avere i mezzi adeguati per sostenerla; di esercitare la propria responsabilità nell’ambito della trasmissione della vita e di educare i figli; dell’intimità della vita coniugale e familiare; della stabilità del vincolo e dell’istituto matrimoniale; di credere e di professare la propria fede, e di diffonderla; di educare i figli secondo le proprie tradizioni e valori religiosi e culturali, con gli strumenti, i mezzi e le istituzioni necessarie; di ottenere la sicurezza fisica, sociale, politica, economica, specialmente dei poveri e degli infermi; il diritto all’abitazione adatta a condurre convenientemente la vita familiare; di espressione e di rappresentanza davanti alle pubbliche autorità economiche, sociali e culturali e a quelle inferiori, sia direttamente sia attraverso associazioni; di creare associazioni con altre famiglie e istituzioni, per svolgere in modo adatto e sollecito il proprio compito; di proteggere i minorenni mediante adeguate istituzioni e legislazioni da medicinali dannosi, dalla pornografia, dall’alcoolismo, ecc.; di un onesto svago che favorisca anche i valori della famiglia; il diritto degli anziani ad una vita degna e ad una morte dignitosa; il diritto di emigrare come famiglie per cercare una vita migliore… A coloro che non hanno una famiglia naturale bisogna aprire ancor più le porte della grande famiglia che è la Chiesa, la quale si concretizza a sua volta nella famiglia diocesana e parrocchiale, nelle comunità ecclesiali di base o nei movimenti apostolici. Nessuno è privo della famiglia in questo mondo: la Chiesa è casa e famiglia per tutti, specialmente per quanti sono «affaticati e oppressi».

Giorgio Nadali