A convegno la freschezza della fede cristiana

di Giorgio Nadali

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A Saint Louis (Missouri, USA) dal 6 al 14 Novembre è in corso il grande convegno della Church of God in Christ americana. Il lato fresco, pulito, entusiasta, moderno e giovane del Cristianesimo. Quello che guadagna fedeli ogni giorno, a differenza di varie Chiese europee che segnano perdite continue e vedono nello assemblee una maggioranza di capelli bianchi e parole biascicate senza comprenderne il senso, oppressi da Chiese vecchie che spingono più alla depressione che alla gioia dei primi cristiani e che non credono al successo che viene da Dio che ci vuole vincenti. La Chiesa di Dio in Cristo, Inc. (COGIC) è un’organizzazione cristiana nella tradizione della Santità pentecostale. È la più grande denominazione pentecostale negli Stati Uniti. L’appartenenza è prevalentemente afroamericana con più di 6,5 milioni di membri. La Chiesa ha congregazioni in 63 paesi in tutto il mondo e la sua missione è “Per cercare e salvare quello che è perso”, a proposito di Chiese in crescita! E’ possibile seguire gli eventi in diretta per una boccata di fresca aria cristiana.

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Tra gli speakers dell’evento  spicca l’unico pastore bianco: Joel Osteen.

Joel Osteen è il pastore della più grande chiesa americana, la Lakewood Church di Houston, Texas. Joel è stato citato da molte fonti come la figura di ispirazione più popolare negli Stati Uniti ed è un autore più venduto del New York Times. I suoi dodici libri sono best sellers mondiali. La “tua vita migliore adesso” è stato all’elenco delle migliori liste di New York Times per un paio di settimane e insieme ai prodotti spin-off ha venduto più di 10 milioni di copie negli Stati Uniti fino ad oggi. I suoi libri hanno anche venduto milioni in tutto il mondo, inclusi un milione di copie in entrambi i Paesi Corea e Indonesia (la più grande nazione musulmana del mondo). A 2,5 milioni di copie, diventa migliore È stata la prima prima stampa per un libro non-fiction nella storia di Simon & Schuster.

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Nell’ottobre 1999, dopo la morte del padre e del fondatore di Lakewood, John Osteen, Joel è diventato il Pastore guida di Lakewood Church. Sotto la sua guida, la presenza settimanale di Lakewood è cresciuta da una media di 5.000 a 48.000, facendo di Lakewood la più grande chiesa negli Stati Uniti secondo Forbes, Outreach Magazine, Church Growth Today e l’Hartford Institute. Nel 2003, la Lakewood Church ha acquisito il Compaq Center, sede dei Houston Rockets di NBA, e ha passato i prossimi 18 mesi a rinnovare l’arena a un costo di 105 milioni di dollari. Il 15 luglio 2005, Lakewood ha tenuto il primo di sette servizi di adorazione settimanale nel nuovo auditorium di 16.000 posti e, entro l’anno, aveva aggiunto 10.000 nuovi membri e diventato una delle destinazioni dei visitatori di Houston.

Ogni settimana dalla Lakewood Church, Joel trasmette i suoi sermoni settimanali in televisione e in internet ed è diventata la figura più seguita in America. Secondo Nielsen Media, il programma settimanale di Joel è visto da più di dieci milioni di spettatori americani a settimana in televisione e viene visto a livello nazionale su affiliati di ogni grande rete televisiva di trasmissione; ABC, NBC, CBS e FOX, diverse reti di cavi di livello superiore; USA, Lifetime e ABC Family, e nelle reti migliori della TV cristiana; Daystar e T.B.N. Il programma settimanale di Joel è visto anche da milioni di persone in circa 100 nazioni in tutto il mondo e ha riempito stadi e arene internazionali in tutto il Nord America e in Europa, Africa, Australia e Israele.

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Nel 2014, Sirius / XM ha lanciato Joel Osteen Radio, un canale 24/7 (# 128) dedicato ai messaggi ispiratori di Joel e Victoria. Il canale emette oltre 500 messaggi di archivio di Joel, due spettacoli di chiamata dal vivo (uno ospitato da Joel e uno ospitato da Victoria), quattro servizi di venerazione diretta direttamente da Lakewood Church e tutti i dodici eventi di Night of Hope vivaci che si svolgono in diverse città in tutto il paese.

 Joel e Victoria hanno diverse milioni di followers su Internet.

Più di 1,2 milioni di persone guardano i servizi attraverso streaming online ogni mese, classificando JoelOsteen.com come uno dei dieci siti di streaming in tutto il mondo.
Secondo iTunes, il podcast audio e video settimanale di Joel è uno dei più popolari in tutto il mondo con una media di 6 milioni di download ogni mese.
Joel ha più di 5 milioni di seguaci su Twitter e più di 15 milioni di amici su Facebook. il suo messaggio viene visto e / o condiviso più di un miliardo di volte al mese secondo Crowd Booster Analytics e il New York Times ha citato Joel come influenzatore di base in base a quanto spesso viene citato, menzionato e condiviso da altri.
Ogni giorno più di 1,5 milioni di persone chiedono il quotidiano messaggio di ispirazione quotidiano di Joel e Victoria, “Word di oggi” che ricevono tramite e-mail sui loro telefoni, tablet e computer.

Negli ultimi dieci anni, più di due milioni di persone hanno partecipato a eventi Joel e Victoria di Night of Hope negli Stati Uniti e in tutto il mondo. Questi eventi esauriti sono tipicamente tenuti in arene da 18.000 posti, NBA, come New York’s Madison Square Garden, lo Staples Center di Los Angeles e l’O2 Arena di Londra; tuttavia, nel 2009, il primo grande evento dello stadio si è tenuto allo stadio Yankee a New York City. L’evento venduto è stato chiamato “Una Notte Storica di Speranza” per riconoscere il fatto che sia stato il primo evento non baseball mai tenuto nello stadio appena aperto. Oltre ai 45.000 partecipanti, l’evento è stato visto in più di 100 nazioni tramite la trasmissione live TBN e da più di 200.000 utenti in linea. Lo stadio Yankee Stadium è stato il primo di quello che ora è diventato un evento annuale conosciuto come “Night of Hope di America” tenuto in diversi stadi di baseball negli Stati Uniti. Dal Yankee Stadium 2009, Joel e Victoria hanno riempito Dodger Stadium a Los Angeles, US Cellular Field (Stadio White Sox) di Chicago, Nationals Park di Washington DC, Marlins Park di Miami e Yankee Stadium nel 2015 e Comerica Park di Detroit.La reputazione di Joel per l’integrità, il suo umile comportamento e il suo semplice messaggio che Dio si preoccupa profondamente per ognuno di noi e ci autorizza con tutto ciò che dobbiamo superare e riuscire a risonare con milioni di persone in tutto il mondo portando speranza e incoraggiamento a un mondo che disperatamente ha bisogno di sentire esso. Joel risiede a Houston, Texas con questa moglie, Victoria ei loro figli.

Per fortuna che c’è un lato del Cristianesimo che ha ancora la freschezza e la gioia dei primi cristiani!


I segreti della Santa Pasqua

Pasqua ebraica 2016 – 23 aprile (14 nisan 5776)

Il termine Pesach appare nella Torah”. Dio annuncia al popolo di Israele, schiavo in Egitto, che lui lo libererà, egli dice: “In questa notte io passerò attraverso l’Egitto e colpirò a morte ogni primogenito egiziano, sia fra le genti che tra il bestiame”

Prima dell’inizio della festività gli ebrei eliminano da casa ogni minima traccia di lievito e qualsiasi cibo che ne contenga (questo viene indicato con il termine chametz). Questa tradizione viene chiamata “bedikat chametz”. Durante tutto il periodo della festività non viene consumato cibo lievitato sostituendo il pane, la pasta e i dolci con le “matzot” ed altri cibi appositamente preparati.

I 15 comandamenti (miztvòt)  ebraici della Pasqua

406-56P – Si mangi l’agnello pasquale durante la notte stessa. – Es. 12:8

407-57P – Si macelli il secondo sacrificio di Pesach nel 14 di Iyar. – Num. 9:2-11

408-58P – Si mangi l’agnello di Pesach con pane azimo e erbe amare nella notte del 15 di Nisan. – Es. 12:8

409-116N – Non lasciare nulla del sacrificio di Pesach sino alla mattina successiva. – Num. 9:11

410-125N – Non mangiare il pasto di Pesach crudo o bollito. – Es. 12:9

411-123N – Non consumare il cibo pasquale al di fuori dei confini della tua casa. – Es. 12:46

412-128N – L’apostata non mangi il pasto di Pesach. – Es. 12:43

413-126N – Il lavoratore non ebreo assunto permanentemente o stagionale non ne mangi. – Es. 12:45

414-127N – Il maschio non circonciso non ne mangi. – Es. 12:48

415-121N – Non rompere alcun osso del sacrificio di Pesach. – Es. 12:46

416-122N – Non rompere alcun osso neppure dal secondo sacrificio di Pesach. – Num. 9:12

417-117N – Non lasciare avanzi del pasto di Pesach sino alla mattina successiva. – Es. 12:10

418-119N – Non lasciare avanzi del pasto di Pesach shenì (seconda occasione pasquale, a un mese lunare dalla prima) sino alla mattina successiva. – Num. 9:12

419-118N – Non lasciare nulla delle offerte festive del giorno 14 sino al giorno 16 (Nisan) – Deut. 16:4

420-53P – Visita il Tempio a Pesach, Shavuot e Sukot. – Deut. 16:16

la Pesach è una festività felice che viene solitamente trascorsa in famiglia. La prima notte, in particolare è la più importante. Durante le prime due sere si usa consumare la cena seguendo un ordine particolare di cibi e preghiere che prende il nome di seder, parola che in ebraico significa per l’appunto ordine. Durante il quale si narra l’intera storia del conflitto con il faraone , delle 10 piaghe e della fuga finale seguendo il racconto della Haggadah di Pesach. Tradizionalmente è il bimbo più piccolo della casa che chiede all’uomo più vecchio di raccontare cosa successe allora, con una semplice domanda.

L’Afikomen nascosto

Durante il seder vengono utilizzate 3 matzot che vengono tenute coperte da un panno. All’inizio della cena viene spezzata in due pezzi quella di mezzo; il pezzo più piccolo viene rimesso tra le due rimanenti, mentre il pezzo più grande viene utilizzato come Afikomen, ( l’ultimo pezzo di matzah che verrà consumata durante il pasto). Vi sono due usanze riguardo l’afikomen, entrambe con lo scopo di tenere i bambini attenti allo svolgersi della cerimonia. In entrambi i casi l’afikomen viene nascosta: nel primo caso da uno dei bambini per poi essere cercata dagli adulti: nel caso questi non la trovassero, devono pagare il bimbo per la sua restituzione. L’altra usanza prevede, invece, che a nascondere l’afikomen siano gli adulti e venga premiato il bambino che la ritrova.

Durante la cerimonia, un piatto, detto piatto del Seder è parte centrale della cena. Il piatto del seder è di solito decorato, ed ha dipinti tutti i principali simboli di Pesach. Al centro sono poste tre Matzot per ricordare la concitata e precipitosa fuga dall’Egitto. Attorno, nell’ordine, vi sono il karpas, solitamente un gambo di sedano che ricorda la corrispondenza della festività di Pesach con la primavera e la mietitura che, in epoca antica, era essa stessa occasione di festeggiamento; un piatto di maror o erbe amare che rappresenta la durezza della schiavitù; una zampa arrostita di capretto chiamata zeru’a: rappresenta l’offerta dell’agnello presso il Tempio di Gerusalemme in occasione di Pesach, Shavuot e Sukkot; un uovo sodo beitza in ricordo del lutto per la distruzione del Tempio, e infine una sorta di marmellata preparata con frutta secca, noccioline, e vino chiamato “haroset” che rappresenta la malta usata dagli ebrei durante la schiavitù per la costruzione delle città di Pit’om e Ramses. Alcuni, specie nell’uso italiano, aggiungono una seconda insalata, più dolce, come la lattuga.

La lettura dell’Haggadah inizia con un ricordo, un brano in lingua caldaica. I bambini chiedono al padre quale sia il significato di Pesach. I quattro fratelli rappresentano quattro tipi di Ebreo. Il figlio saggio rappresenta l’ebreo osservante. Il figlio malvagio rappresenta invece l’ebreo che rifiuta la sua eredità e la sua religione. Il figlio semplice si riconosce nell’ebreo completamente indifferente. Il giovane, invece, colui che non conosce della propria cultura e tradizione a sufficienza per poter prendere parte alla discussione.

Poco dopo, vi è il ricordo delle dieci piaghe inflitte da Dio all’Egitto per indurre il Faraone a lasciare liberi gli Ebrei, e un esempio di pilpul, o discussione talmudica, in cui nell’interpretazione rabbinica, le piaghe da dieci diventano quaranta, poi cinquanta, poi addirittura duecento. Più avanti, si ripete la promessa millenaria.

La Seder pasquale

Nel corso del seder vi è obbligo di bere quattro bicchieri di vino, e quindi è naturale che, oltre ad essere composto da diversi brani cantati, termini di solito con canti tradizionali. Nella tradizione italiana, i canti sono in italiano, e si ricordano Had gadià, la storia del capretto resa famosa da Angelo Branduardi in forma ridotta con il titolo La fiera dell’est, e il conteggio, cantato, da uno a tredici, dove uno è ovviamente Dio, fino a tredici attributi divini, passando per due Tavole della Legge, tre Patriarchi, Quattro Madri di Israele, cinque libri della Torah, sei libri della Mishnah, sette giorni della settimana, otto giorni della circoncisione, nove mesi di gravidanza, dieci Comandamenti, undici costellazioni e dodici tribù.

Pasqua cristiana 2016 – 27 marzo (Escluse Chiese Ortodosse)

Pasqua Ortodossa 2016 – 1 Maggio

I segreti della crocifissione e della croce

Purtroppo la crocifissione esiste ancora. La più dolorosa tortura con pena di morte mi esistita. Amnesty International ha denunciato 88 crocifissioni nel 2002 nella regione del Darfur, in Sudan. «Il 13 agosto i ribelli sono entrati nella chiesa della mia parroc¬chia ed hanno preso tante per¬sone in ostaggio. Mentre fug-givano nella foresta, ne han¬no uccise sette: li hanno croci¬fissi agli alberi» – Così ha dichiarato al Corriere della Sera il 16 ottobre 2009 Monsignor Hiiboro Kussala, vescovo del¬la diocesi di Tombura Yam¬bio, nel Sud del Sudan. Anche i nazisti usavano questa tortura nei campi di concentramento. La crocifissione era conosciuta anche in Giappone. Il 2 febbraio del 1597 il famoso samurai Toyotomi Hideyoshi ordinò la crocifissione di 6 giapponesi convertiti al Cristianesimo e di 20 frati francescani. Portati da Kyoto e Osaka a Nagasaki per subire lo stesso martirio di Cristo. Una chiesa sulle colline Nishizaka di Nagasaki ricorda nei suoi mosaici i primi martiri cristiani in Giappone.

Il braccio orizzontale della croce è il patibulum. Si suppone che Gesù Cristo abbia portato sulle spalle solo il trave orizzontale del peso di 45 chili. Il braccio verticale era già sul posto e si chiamava stipes. Inoltre è probabile che Cristo sia stato crocifisso nei polsi, non nei palmi delle mani. Sono state ritrovate rarissime ossa di persone crocifisse. Di solito i chiodo venivano riciclati e non rimaneva nulla delle tracce del supplizio. Una reliquia del legno della Santa Croce è ospitata nella cripta del Santuario di Maria Ausiliatrice a Torino. Le ossa più note di una persona crocifissa sono di Johanan ben Ha-galgol, con un chiodo conficcato nel tallone. Caso raro, lui fu ritrovato in un sarcofago nel giugno 1968 a Giv’at ha-Mivtar a nordest di Gerusalemme (Israele). Un altro osso di Johanan ben Ha-galgol dimostra che la crocifissione avveniva nel polso.

I chiodi erano lunghi 10 cm e larghi 1 cm alla capocchia. I tre chiodi (due per le mani e uno per i piedi inchiodati insieme), trovati ancora attaccati alla croce, sarebbero stati portati da Elena al figlio Costantino: secondo la leggenda uno di essi venne montato sul suo elmo da battaglia, da un altro invece fu ricavato un morso per il suo cavallo. Il terzo chiodo, secondo la tradizione, è conservato nella chiesa di Santa Croce in Gerusalemme a Roma. Il “Sacro Morso” invece, si trova nel Duomo di Milano (inserito in una grande croce di rame dorato sopra il catino absidale, ad un’altezza di 40 metri), dove il 14 settembre viene prelevato con un ascensore a 4 posti con baldacchino rosso del 1600 a forma di nuvola con angeli (“nivola”) dall’arcivescovo e portato in processione. Del chiodo montato sull’elmo si sono perse le tracce; secondo una tradizione si trova oggi nella Corona Ferrea, conservata nel Duomo di Monza. Vi è anche un quarto chiodo, dalla tradizione più dubbia, che si troverebbe nella cattedrale di Colle Val d’Elsa (SI).  (Cf. Giorgio Nadali – “I monaci sugli alberi. E centinaia di altre cose curiose su Dio, la Bibbia, il Vaticano”, Edizioni San Paolo, Cinisello Balsamo, 2010).

La Pasqua cristiana

Uova sacre

Un’antica leggenda legata a Simone il Cireneo, l’uomo forzato a portare la croce di Cristo sulla strada verso il Calvario (Mc 15,21), vuole che fosse un mercante di uova. Alla risurrezione di Cristo, Simone trovò tutte le sue uova miracolosamente colorate, in varie tinte.

Nel Cristianesimo ortodosso le uova sono sacre – simbolo di risurrezione. La buccia rappresenta il sepolcro di Gesù, mentre il bianco che è dentro l’uovo rappresenta la luce della risurrezione, infatti il colore della Pasqua è quello della luce, e il bianco dell’uovo è molto luminoso. La buccia rotta dell’uovo significa il sepolcro aperto con l’uscita la luce della vita nella risurrezione, rappresentata dall’albume, il bianco dell’uovo. Uova di legno sono dipinte come icone con soggetti sacri e alcune sono molto preziose. Alcune hanno la scritta X B, che in cirillico corrispondono alle lettere K e V – Christòs Vaskrìes, cioè “Cristo è risorto”. Le più preziose sono le cinquantasette uova di Pasqua che sono state realizzate per la corte dello zar di tutte le Russie ad opera del gioelliere Peter Carl Fabergé fra il1885 ed il 1917, in oro, preziosi e materiali pregiati, una per ciascun anno, all’approssimarsi della festività. Fabergé ed i suoi orafi hanno progettato e costruito il primo uovo nel 1885. L’uovo fu commissionato dallo zar Alessandro III di Russia, come sorpresa di Pasqua per la moglie Maria Fyodorovna. L’uovo Fabergè del 1915 è chiamato uovo con croce rossa e trittico, è stato regalato da Nicola II alla zarina Alexandra Fyodorovna. E’ custodito al museo d’arte di Cleveland (USA). E’ sttao realizzato in oro, argento, smalto e vetro.  La figura principale dipinta sull’uovo – alto 8,6 cm – È Gesù Cristo. Dentro l’uovo, la scena centrale è la Discesa agli Inferi, la rappresentazione Ortodossa della Risurrezione cioè Cristo che sveglia i morti dopo la Risurrezione. Santa Olga, la fondatrice del Cristianesimo in Russia è rappresentata sulla sinistra del trittico. La Santa martire Tatiana è sulla destra. Le miniature interne sono state eseguite da Adrian Prachow specializzato in icone. Il rimanenti due pannelli delle porte dele trittico sono incisi col monogramma della corona dello zarina, e l’altro con l’anno “1915.” Zar Nicholas, occupato in guerra no fu in grado di regalare personalmente l’uovo allo zarina. Quello di maggior valore è l’uovo Birch del valore di 3 milioni di dollari. E’ del 1917, custodito al museo nazionale russo a Mosca.

Nelle chiese russo ortodosse viene appeso un enorme uovo di legno laccato rosso al soffitto, durante la Pasqua e i fedeli ricevono durante la messa delle uova sode dal prete. Altre uova sono fatte benedire in chiesa nei giorni precedenti alla Pasqua, vengono colorate e poi mangiate durante la festa. La pysanka ucraina è l’uovo decorato in casa.

Sulle uova un motivo spesso presente è la chiesa. Le chiese stilizzate si possono trovare di frequente sulle pysanky dell’Ucraina occidentale, specialmete nelle regioni di  Hutsul e Bukovyna; il disegno di un setaccio disegnato all’interno simboleggia l’abilità della Chiesa di separare il bene dal male.

Vi erano superstizioni per quanto riguarda i colori e disegni sul pysanky. Un vecchio mito ucraino basato sulla saggezza di regalare a persone anziane delel pysanky dipinte con colori scuri e/o con ricchi elaborati, perché le lroro vite sono state già piene e appaganti. Similmente è appropriato regalare a persone giovani delel pysanky con predominanza di colore bianco perché la loro vita è ancora una pagina bianca. Le ragazze donano spesso pysanky con disegni di cuori al loro fidanzato. E’ stato detto tuttavia che un aragazza non dovrebbe mai donare al suo ragazzo una pysanka senza un disegno in cima o in fondo all’uovo perché questo significa che il fidanzato perderà i capelli.

Lo scopo di creare delle pysanky era quello di trasmettere bontà dalal casa ai disegni e di scacciare il male. Spiral e altri disegni vengono dpinti per intrappolare il male, e per proteggere la famiglia e la casa da pericoli e mali.

Le croci sulle uova pysanky sono molto comuni e la maggioranza di quelle dipinte non sono croci ortodosse. Le croci più comunemente presenti sulle uova sono di tipo greco (con bracci di uguale dimensione). Altri simboli religiosi adattatati sono il triangolo con un cerchio in mezzo, l’occhio di Dio e uno noto come la “mano di Dio”.

Vi è anche un museo delle uova pasquali pysanka. Costruito nel 2000 e aperto il 23 settembre dello stesso anno a Kolomyia, cittadina dell’Ucraina occidentale. Precedentemente le uova del museo erano ospitate in una chiesa della zona. Il museo espone oltre 10.000 uova pysanky. La parte centrale del museo è a forma di uovo pasquale ucraino “pysanka”. E’ unico nel suo genere. Nel 2007 è stato eletto luogo simbolo dell’Ucraina moderna.

Celebrazione

La celebrazione della Pasqua, almeno sin dal Concilio di Nicea, non coincide esattamente con l’inizio della celebrazione ebraica di Pesach. Secondo quanto si legge nel Vangelo di Giovanni e da altri particolari della Passione, sembra che il giorno della morte di Gesù sia corrisposto, per la maggioranza del popolo ebraico del tempo, a quello in cui si immolava l’agnello e si celebrava (alla sera) il primo seder di Pesach, e perciò al giorno ritenuto essere il 14 di Nissan. L’Ultima Cena consumata da Gesù e dai suoi apostoli la sera del giorno precedente, secondo le modalità proprie del seder di Pesach, la si comprende come una possibile anticipazione del rito, propria di una parte del popolo ebraico del tempo (come ad esempio gli esseni, per il cui calendario liturgico “solare” il 14 di Nissan doveva cadere sempre di martedì) o come un’anticipazione voluta da Gesù stesso, “non potendo celebrarla l’indomani se non nella sua persona sulla croce” (Giuseppe Ricciotti). Inoltre in ambito cristiano, nella celebrazione della Pasqua, si voleva dare maggiore risalto alla Risurrezione, avvenuta il “primo giorno della settimana”, cioè la domenica immediatamente successiva.

In lettere scambiate tra la Chiesa di Roma e quelle d’Asia già nel II secolo, si rintraccia una disputa indicata come pasqua quartodecimana. Le Chiese dell’Asia minore ritenevano che i cristiani dovessero celebrare la Pasqua il 14 di Nissan in tono “penitenziale”, ritenendola una tradizione risalente all’apostolo Giovanni, e dando così maggiore risalto alla Passione e morte di Gesù. La Chiesa di Roma, invece, aveva la tradizione di celebrare solennemente la Pasqua la domenica successiva al 14 di Nissan, volendo in questo modo mettere maggiormente in risalto la Risurrezione di Gesù.

Dalla “composizione” di questa disputa prese origine l’attuale struttura del Triduo Pasquale.

La tradizione quartodecimana fu seguita da alcune chiese fino a poco oltre il Concilio di Nicea, che stabilì il criterio per la determinazione della data della Pasqua cristiana: essa doveva cadere la domenica seguente il primo plenilunio successivo all’equinozio di primavera, considerato corrispondente al giorno 21 di marzo. Il plenilunio non doveva essere effettivamente osservato, ma individuato approssimativamente mediante il calcolo dell’epatta, elaborato dal monaco Dionigi il Piccolo. In questo modo si slegava la determinazione della data della Pasqua cristiana dalle osservazioni dei fenomeni astronomici (effemeridi) e dalle regole del calendario lunisolare ebraico, non ancora completamente fissate. Soltanto con Maimonide, infatti, si stabilirono regole precise (ed indipendenti dall’osservazione dei fenomeni astronomici) per quanto riguardava il ricorrere del capodanno, la durata dei mesi e l’eventuale aggiunta del tredicesimo mese (we-adar) “intercalare” all’anno ebraico (accorgimento necessario per correggerne la differenza di durata rispetto all’anno tropico).

Anche la maggior parte dei protestanti, con qualche differenza, celebra la Pasqua il giorno stabilito seguendo le regole del Concilio di Nicea, invece di farla corrispondere al 14 di Nissan. Le Chiese ortodosse ed orientali celebrano tutte la Pasqua secondo le regole stabilite a Nicea, anche se, non avendo aderito alla riforma gregoriana del calendario e del metodo di calcolo dell’ epatta (epatta “liliana”) (ad eccezione della Chiesa ortodossa finlandese), questa finisce per cadere in giorni diversi da quello calcolato dai cattolici (di rito latino) e protestanti.

In conseguenza delle regole stabilite a Nicea (e della riforma “gregoriana” del calendario giuliano e dell’epatta) insieme all’attuale forma del calendario ebraico (per opera di Maimonide), la Pasqua cristiana cade circa nello stesso periodo di Pesach, sebbene venga fatta coincidere sempre con la domenica. Nel caso in cui il primo plenilunio di primavera (calcolato sempre approssimativamente con il metodo dell’epatta) cada proprio di domenica, e che quindi, verosimilmente, coincida con il giorno 14 di Nissan, la celebrazione della Pasqua cristiana (e “gregoriana”), allo scopo di sottolineare il diverso significato, viene rimandata alla domenica successiva.

Per la Chiesa Cattolica la Pasqua supera Pesach per importanza poiché, se Pesach corrisponde al periodo della Passione e morte di Cristo, la Pasqua ne ricorda la Risurrezione. Questa ricorrenza viene infatti ricordata all’inizio del Triduo Pasquale cristiano, nella messa “in coena Domini”, il giorno del giovedì santo, così come nella lettura liturgica di brani del libro dell’esodo, in particolare quello della cena con l’agnello immolato e del passaggio degli ebrei del mar Rosso, obbligatoria nella celebrazione della Veglia Pasquale, la sera del sabato santo.

Giorgio Nadali

 

 


I Valori cristiani. 7. La speranza, benessere dell’anima

La vera morte è la morte della speranza. Scriveva Jean Josipovici, mentre San Paolo: “Siate lieti nella speranza, forti nella tribolazione, perseveranti nella preghiera” (Romani 12,12). La speranza è una delle tre virtù teologali – in sostanza fondamentali per un cristiano – insieme alla fede e alla carità. Sperare è predisporre il proprio animo per avvenimenti positivi. È quindi un esercizio di ottimismo. Chi spera ha pazienza ed è motivato ad agire per realizzare ciò che desidera. All’opposto c’è la disperazione, che è tipica dei dannati all’Inferno. Non a caso Dante scrive nella Divina Commedia: “lasciate goni speranza o voi che entrate”.

Chi spera sa che Dio in questo istante sta agendo nella sua vita personale, anche se non se ne rende conto, anche se sta provvisoriamente vivendo una situazione difficile. Un grande papa – Benedetto XVI – ha scritto un’intera enciclica sulla speranza: La Spe Salvi, cioè “nella speranza siamo stati salvati” (Romani 8,24). Il pontefice emerito ricorda che “Ogni agire serio e retto dell’uomo è speranza in atto. Lo è innanzitutto nel senso che cerchiamo così di portare avanti le nostre speranze, più piccole o più grandi: risolvere questo o quell’altro compito che per l’ulteriore cammino della nostra vita è importante; col nostro impegno dare un contributo affinché il mondo diventi un po’ più luminoso e umano e così si aprano anche le porte verso il futuro. Ma l’impegno quotidiano per la prosecuzione della nostra vita e per il futuro dell’insieme ci stanca o si muta in fanatismo, se non ci illumina la luce di quella grande speranza che non può essere distrutta neppure da insuccessi nel piccolo e dal fallimento in vicende di portata storica. Se non possiamo sperare più di quanto è effettivamente raggiungibile di volta in volta e di quanto di sperabile le autorità politiche ed economiche ci offrono, la nostra vita si riduce ben presto ad essere priva di speranza.

È importante sapere: io posso sempre ancora sperare, anche se per la mia vita o per il momento storico che sto vivendo apparentemente non ho più niente da sperare. Solo la grande speranza-certezza che, nonostante tutti i fallimenti, la mia vita personale e la storia nel suo insieme sono custodite nel potere indistruttibile dell’Amore e, grazie ad esso, hanno per esso un senso e un’importanza, solo una tale speranza può in quel caso dare ancora il coraggio di operare e di proseguire. Certo, non possiamo « costruire » il regno di Dio con le nostre forze – ciò che costruiamo rimane sempre regno dell’uomo con tutti i limiti che sono propri della natura umana. Il regno di Dio è un dono, e proprio per questo è grande e bello e costituisce la risposta alla speranza. E non possiamo – per usare la terminologia classica – « meritare » il cielo con le nostre opere. Esso è sempre più di quello che meritiamo, così come l’essere amati non è mai una cosa « meritata », ma sempre un dono. Tuttavia, con tutta la nostra consapevolezza del « plusvalore » del cielo, rimane anche sempre vero che il nostro agire non è indifferente davanti a Dio e quindi non è neppure indifferente per lo svolgimento della storia. Possiamo aprire noi stessi e il mondo all’ingresso di Dio: della verità, dell’amore, del bene. È quanto hanno fatto i santi che, come « collaboratori di Dio », hanno contribuito alla salvezza del mondo (cfr 1 Cor 3,9; 1 Ts 3,2). Possiamo liberare la nostra vita e il mondo dagli avvelenamenti e dagli inquinamenti che potrebbero distruggere il presente e il futuro. Possiamo scoprire e tenere pulite le fonti della creazione e così, insieme con la creazione che ci precede come dono, fare ciò che è giusto secondo le sue intrinseche esigenze e la sua finalità.

Ciò conserva un senso anche se, per quel che appare, non abbiamo successo o sembriamo impotenti di fronte al sopravvento di forze ostili. Così, per un verso, dal nostro operare scaturisce speranza per noi e per gli altri; allo stesso tempo, però, è la grande speranza poggiante sulle promesse di Dio che, nei momenti buoni come in quelli cattivi, ci dà coraggio e orienta il nostro agire… Agostino descrive in modo molto preciso e sempre valido la situazione essenziale dell’uomo, la situazione da cui provengono tutte le sue contraddizioni e le sue speranze. Desideriamo in qualche modo la vita stessa, quella vera, che non venga poi toccata neppure dalla morte; ma allo stesso tempo non conosciamo ciò verso cui ci sentiamo spinti. Non possiamo cessare di protenderci verso di esso e tuttavia sappiamo che tutto ciò che possiamo sperimentare o realizzare non è ciò che bramiamo. Questa « cosa » ignota è la vera « speranza » che ci spinge e il suo essere ignota è, al contempo, la causa di tutte le disperazioni come pure di tutti gli slanci positivi o distruttivi verso il mondo autentico e l’autentico uomo. La parola « vita eterna » cerca di dare un nome a questa sconosciuta realtà conosciuta.

Necessariamente è una parola insufficiente che crea confusione. « Eterno », infatti, suscita in noi l’idea dell’interminabile, e questo ci fa paura; « vita » ci fa pensare alla vita da noi conosciuta, che amiamo e non vogliamo perdere e che, tuttavia, è spesso allo stesso tempo più fatica che appagamento, cosicché mentre per un verso la desideriamo, per l’altro non la vogliamo. Possiamo soltanto cercare di uscire col nostro pensiero dalla temporalità della quale siamo prigionieri e in qualche modo presagire che l’eternità non sia un continuo susseguirsi di giorni del calendario, ma qualcosa come il momento colmo di appagamento, in cui la totalità ci abbraccia e noi abbracciamo la totalità. Sarebbe il momento dell’immergersi nell’oceano dell’infinito amore, nel quale il tempo – il prima e il dopo – non esiste più. Possiamo soltanto cercare di pensare che questo momento è la vita in senso pieno, un sempre nuovo immergersi nella vastità dell’essere, mentre siamo semplicemente sopraffatti dalla gioia. Così lo esprime Gesù nel Vangelo di Giovanni: « Vi vedrò di nuovo e il vostro cuore si rallegrerà e nessuno vi potrà togliere la vostra gioia » (16,22). Dobbiamo pensare in questa direzione, se vogliamo capire a che cosa mira la speranza cristiana, che cosa aspettiamo dalla fede, dal nostro essere con Cristo”.

Giorgio Nadali


I valori cristiani. 8. La carità

Ecco il valore più importante per un cristiano. La regina delle virtù. Tutto l’agire cristiano ruota intorno alla carità, cioè all’amore verso Dio e verso il prossimo, ma anche a quello verso se stessi (Matteo 22,39). La fede che non porta ad amare non serve a nulla. La parola carità deriva dal greco “kàris”, che significa dono, dal quale derivano anche eucaristia, cioè “rendimento di grazie” e carisma, cioè il dono ricevuto da condividere con gli altri (1 Corinzi 12, 31 e Matteo 25,14-30). La carità è quindi l’obiettivo della fede e della speranza e l’unico valore esistente anche in Paradiso, dove la fede non serve più (perché ho raggiunto e vedo Dio) e la speranza ha già raggiunto il suo Scopo.

Rimane solo l’amore. Fede e speranza sono quindi mezzi, mentre la carità è il fine, tanto che se credo e spero, ma non amo concretamente me stesso, Dio e il prossimo, credo e spero invano. Cosa significa quindi amare in concreto se stessi, Dio e gli altri? Primo: Amare se stessi vuol dire darsi come obiettivo l’eccellenza secondo le proprie possibilità. Devo cercare di migliorare sempre, imparare cose nuove a ogni età, essere il massimo di ciò che riesco ad essere, nel lavoro, nelle relazioni con gli altri, nel rapporto di fede con Dio. Esattamente l’opposto dell’accontentarsi, della mediocrità e del tirare a campare.

Chi ama se stesso vuole che la sua luce risplenda sugli altri, come chiede Gesù nel Vangelo di Matteo: (5,16) “Così risplenda la vostra luce davanti agli uomini, perché vedano le vostre opere buone e rendano gloria al vostro Padre che è nei cieli”. Niente modestia. Vivi con gratitudine l’orgoglio di essere figlio di Dio! Gli altri devono vederlo! Non vuol dire essere fanatico. Significa rendere migliori gli altri grazie al tuo contributo. Per amarti devi sempre migliorare. Per migliorare devi cambiare e spingerti sempre più in alto, per onorare Dio. “La gloria di Dio è l’uomo vivente”, scriveva Sant’Ireneo di Lione. Sei tu! Amati! Secondo: Amare Dio in concreto significa esprimere al Signore tre tipi di adorazione diretta (mentre l’amore verso il prossimo è un’adorazione indiretta, dato che gli esser umani sono immagine spirituale di Dio, Genesi 1,26). Adorazione di lode, di gratitudine e di domanda. Loda Dio in ogni circostanza, sii grato per tutto ciò che hai. Inizia e finisci la giornata con gratitudine. Chiedi al Signore sempre di più: “Chiedete quel che volete e vi sarà dato” (Giovanni 15,7). Mi sembra di essere stato chiaro! Gesù ha detto: “Chiedete e otterrete, perché la vostra gioia sia piena” (Giovanni 16,24). Prega in grande e senza timidezza per riconoscere la potenza di Dio nella tua vita e otterrai il suo favore.

L’adorazione diretta comprende poi la preghiera, il pellegrinaggio, il digiuno, la celebrazione dei sacramenti. Infine, amare il prossimo vuol dire adorare Dio in maniera indiretta, nelle sue creature umane. Le possibilità sono infinite. Ascoltare (col cuore, non solo con le orecchie), perdonare, confortare, sostenere, difendere, aiutare, consigliare, correggere (con delicatezza), insegnare, pazientare, spingere verso il successo, sopportare, non disprezzare nessuno, cercare sempre il bene in tutti, aiutare a migliorare chi incontri, comprendere, ricordando che – come dice Gesù – “se amate quelli che vi amano, quale merito ne avete?” (Matteo 5,46).

San Paolo elenca una serie di caratteristiche della carità e le dedica un bellissimo “inno”: “Se anche parlassi le lingue degli uomini e degli angeli, ma non avessi la carità, sono come un bronzo che risuona o un cembalo che tintinna” (1 Corinzi 13,1). Magari non parli le lingue degli angeli, ma se vai a Messa e reciti rosari a raffica senza poi amare concretamente il prossimo – soprattutto quello difficile da amare –sei anche tu come un bronzo che risuona. “Se avessi il dono della profezia e conoscessi tutti i misteri e tutta la scienza, e possedessi la pienezza della fede così da trasportare le montagne, ma non avessi la carità, non sono nulla” (1 Corinzi 13,2). E per essere invece qualcosa – cioè figlio di Dio – la tua carità “è paziente, è benigna la carità; non è invidiosa la carità, non si vanta, non si gonfia, non manca di rispetto, non cerca il suo interesse, non si adira, non tiene conto del male ricevuto, non gode dell’ingiustizia, ma si compiace della verità. Tutto copre, tutto crede, tutto spera, tutto sopporta” (1 Corinzi 13,4-7).

Mi piace pensare che la carità sia…il termometro della santità. Più ami e più aumenta la tua santità, che è il riflesso di Dio in te! Madre Teresa di Calcutta scriveva: “Non permettere mai che qualcuno venga a te e vada via senza essere migliore e più contento. Sìi l’espressione della bontà di Dio. Bontà sul tuo volto e nei tuoi occhi, bontà nel tuo sorriso e nel tuo saluto. Ai bambini, ai poveri a tutti coloro che soffrono nella carne e nello spirito offri sempre un sorriso gioioso. Dai a loro non solo le tue cure, ma anche il tuo cuore”. L’uomo è irragionevole, illogico, egocentrico. NON IMPORTA, AMALO. Se fai il bene, ti attribuiranno secondi fini egoistici. NON IMPORTA, FA’ IL BENE. Se realizzi i tuoi obiettivi, troverai falsi amici e veri nemici. NON IMPORTA, REALIZZALI. Il bene che fai verrà domani dimenticato. NON IMPORTA, FA’ IL BENE. L’onestà e la sincerità ti rendono vulnerabile. NON IMPORTA, SII FRANCO E ONESTO. Quello che per anni hai costruito può essere distrutto in un attimo. NON IMPORTA, COSTRUISCI. Se aiuti la gente, se ne risentirà. NON IMPORTA, AIUTALA. Dà al mondo il meglio di te, e ti prenderanno a calci. NON IMPORTA, DA’ IL MEGLIO DI TE. (Madre Teresa di Calcutta).

Giorgio Nadali


I valori cristiani. 6. La famiglia

La famiglia è la cellula base della società. La parola famiglia deriva da famulus, che il latino significa “servitore”. È quindi una comunità di amore basata sul reciproco servizio nell’amore. Il matrimonio (da mater, cioè madre in latino) fonda la famiglia tradizionale. A differenza di altre unioni e convivenze basate sull’amore reciproco, gli sposi diventano parenti, generano figli consanguinei e hanno il sostegno della grazia sacramentale. È quindi un amore che da privato diventa “pubblico” e offerto a Dio. L’istituzione matrimoniale nasce più di 5000 anni fa. Già il filosofo Aristotele (384 – 322 a. C.) scriveva: «L’amicizia tra marito e moglie è naturale: l’uomo, infatti, è per sua natura più incline a vivere in coppia che ad associarsi politicamente, in quanto la famiglia è qualcosa di anteriore e di più necessario dello Stato».

I ministri del sacramento del matrimonio cristiano sono gli stessi sposi, che sono immagine dell’amore di Cristo per la sua Chiesa. Nel 1981 il papa San Giovanni Paolo II ha scritto una lettera enciclica sulla famiglia: la Familiaris Consortio nella quale ricorda che la comunione d’amore tra Dio e gli uomini, contenuto fondamentale della Rivelazione e dell’esperienza di fede di Israele, trova una significativa espressione nell’alleanza sponsale, che si instaura tra l’uomo e la donna… Tra i compiti fondamentali della famiglia cristiana si pone il compito ecclesiale: essa, cioè, è posta al servizio dell’edificazione del Regno di Dio nella storia, mediante la partecipazione alla vita e alla missione della Chiesa… In virtù della sacramentalità del loro matrimonio, gli sposi sono vincolati l’uno all’altra nella maniera più profondamente indissolubile.

La loro reciproca appartenenza è la rappresentazione reale, per il tramite del segno sacramentale, del rapporto stesso di Cristo con la Chiesa. Gli sposi sono pertanto il richiamo permanente per la Chiesa di ciò che è accaduto sulla Croce; sono l’uno per l’altra e per i figli, testimoni della salvezza, di cui il sacramento li rende partecipi. Di questo evento di salvezza il matrimonio, come ogni sacramento è memoriale, attualizzazione e profezia: «in quanto memoriale, il sacramento dà loro la grazia e il dovere di fare memoria delle grandi opere di Dio e di darne testimonianza presso i loro figli; in quanto attualizzazione, dà loro la grazia e il dovere di mettere in opera nel presente, l’uno verso l’altra e verso i figli, le esigenze di un amore che perdona e che redime; in quanto profezia, dà loro la grazia e il dovere di vivere e di testimoniare la speranza del futuro incontro con Cristo. Come ciascuno dei sette sacramenti, anche il matrimonio è un simbolo reale dell’evento della salvezza, ma a modo proprio.

«Gli sposi vi partecipano in quanto sposi, in due, come coppia, a tal punto che l’effetto primo ed immediato del matrimonio non è la grazia soprannaturale stessa, ma il legame coniugale cristiano, una comunione a due tipicamente cristiana perché rappresenta il mistero dell’Incarnazione del Cristo e il suo mistero di Alleanza. E il contenuto della partecipazione alla vita del Cristo è anch’esso specifico: l’amore coniugale comporta una totalità in cui entrano tutte le componenti della persona – richiamo del corpo e dell’istinto, forza del sentimento e dell’affettività, aspirazione dello spirito e della volontà -; esso mira ad una unità profondamente personale, quella che, al di là dell’unione in una sola carne, conduce a non fare che un cuor solo e un’anima sola: esso esige l’indissolubilità e la fedeltà della donazione reciproca definitiva e si apre sulla fecondità.

In una parola, si tratta di caratteristiche normali di ogni amore coniugale naturale, ma con un significato nuovo che non solo le purifica e le consolida, ma le eleva al punto di farne l’espressione di valori propriamente cristiani… Nel disegno di Dio Creatore e Redentore la famiglia scopre non solo la sua «identità», ciò che essa «è», ma anche la sua «missione)», ciò che essa può e deve «fare». I compiti, che la famiglia è chiamata da Dio a svolgere nella storia, scaturiscono dal suo stesso essere e ne rappresentano lo sviluppo dinamico ed esistenziale. Ogni famiglia scopre e trova in se stessa l’appello insopprimibile, che definisce ad un tempo la sua dignità e la sua responsabilità. I compiti della famiglia cristiana sono: 1) la formazione di una comunità di persone; 2) il servizio alla vita;3) la partecipazione allo sviluppo della società; 4) la partecipazione alla vita e alla missione della Chiesa… La Chiesa difende apertamente e fortemente i diritti della famiglia dalle intollerabili usurpazioni della società e dello Stato.

In particolare, i Padri Sinodali hanno ricordato, tra gli altri, i seguenti diritti della famiglia: di esistere e di progredire come famiglia, cioè il diritto di ogni uomo, specialmente anche se povero, a fondare una famiglia e ad avere i mezzi adeguati per sostenerla; di esercitare la propria responsabilità nell’ambito della trasmissione della vita e di educare i figli; dell’intimità della vita coniugale e familiare; della stabilità del vincolo e dell’istituto matrimoniale; di credere e di professare la propria fede, e di diffonderla; di educare i figli secondo le proprie tradizioni e valori religiosi e culturali, con gli strumenti, i mezzi e le istituzioni necessarie; di ottenere la sicurezza fisica, sociale, politica, economica, specialmente dei poveri e degli infermi; il diritto all’abitazione adatta a condurre convenientemente la vita familiare; di espressione e di rappresentanza davanti alle pubbliche autorità economiche, sociali e culturali e a quelle inferiori, sia direttamente sia attraverso associazioni; di creare associazioni con altre famiglie e istituzioni, per svolgere in modo adatto e sollecito il proprio compito; di proteggere i minorenni mediante adeguate istituzioni e legislazioni da medicinali dannosi, dalla pornografia, dall’alcoolismo, ecc.; di un onesto svago che favorisca anche i valori della famiglia; il diritto degli anziani ad una vita degna e ad una morte dignitosa; il diritto di emigrare come famiglie per cercare una vita migliore… A coloro che non hanno una famiglia naturale bisogna aprire ancor più le porte della grande famiglia che è la Chiesa, la quale si concretizza a sua volta nella famiglia diocesana e parrocchiale, nelle comunità ecclesiali di base o nei movimenti apostolici. Nessuno è privo della famiglia in questo mondo: la Chiesa è casa e famiglia per tutti, specialmente per quanti sono «affaticati e oppressi».

Giorgio Nadali


Le chiese cristiane dei serpenti e degli scorpioni

ATTENZIONE! Maneggiare serpenti e scorpioni è pericoloso! OLTRE non si assume alcuna responsabilità per la morte di lettori che decidano di maneggiare con fede serpenti e scorpioni! NON provate alcuna delle pratiche religiose con i serpenti mostrate nel video!

Gesù Cristo disse: «Prenderanno in mano i serpenti e, se berranno qualche veleno, non recherà loro danno, imporranno le mani ai malati e questi guariranno». (Marco 16,18) E ancora: «Ecco, io vi ho dato il potere di camminare sopra i serpenti e gli scorpioni e sopra ogni potenza del nemico, nulla vi potrà danneggiare» (Luca 10,19). Loro lo hanno preso alla lettera. Hanno incominciato a prendere in mano serpenti velenosi. A brindare con cocktail di micidiali veleni. Ordinano costose casse di scorpioni per camminarci sopra in casa. Quelli che poi sopravvivono tentano anche di imporre le mani ai terrorizzati malati che incontrano. Loro sono gli Snake Handlers. Gruppo del pentecostalismo fondamentalista cristiano. Vivono negli USA. La Church of God with Signs Following fu fondata a Cleveland, Tennessee (USA) da George Went Hensley, morto a settantacinque anni in Florida, nel 1955. Ovviamente ad ucciderlo fu il morso di un serpente. Tutto iniziò quando George stava predicando il passo di Vangelo di Marco 16.

Si trovava nei pressi di Cleveland e un gruppo di uomini lo mise alla prova mettendogli di fronte una scatola piena di serpenti velenosi. Lui li prese in mano e continuò a predicare. La pratica si diffuse nella Church of God del Tennessee e nel 1945 ci scappò il primo morto. Nel 1948 Hensley fu arrestato. Ma i correligionari proseguirono. E crebbero. Nel 1971 i pastori Buford Peck e Jimmie Ray Williams morirono per aver assunto della stricnina durante un servizio religioso. Nel 1975 la Corte Suprema del Tennessee dovette emanare un divieto di assumere veleno e maneggiare serpenti durante le riunioni religiose. Ma i fedeli continuarono privatamente, convinti di manifestare un dono dello Spirito Santo. Queste pratiche sono infatti svolte durante un trance estatico chiamato In the Spirit. (Nello Spirito).

I casi di morsi di serpente velenoso sono effettivamente rari. Bisogna essere una vittima molto appetibile. Ma non provateci a casa. I serpenti sono abbastanza permalosi. Gli stati di Alabama, Kentucky e Tennessee hanno approvato leggi contro l’uso di serpenti velenosi e altri rettili in un luogo che mette in pericolo la vita delle persone. La legge del Kentucky cita espressamente le funzioni religiose. In Kentucky gestire un serpente è un reato punibile con una multa dai cinquanta ai duecentocinquanta dollari. La maggior parte delle pratiche di manipolazione dei serpenti, quindi, si svolgono nelle case dei fedeli, che così si risparmiano la procedura e di ottenere un permesso governativo per la chiesa. Le forze dell’ordine in genere ignorano queste pratiche religiose, a meno che non vengano chiamate a causa di una morte.

I serpenti usati nel culto devono essere trai più velenosi reperibili. L’ideale sarebbe l’ Oxyuranus microlepidotus, il serpente più velenoso del mondo, che in realtà si nutre solo di roditori. 7 volte più velenosi del serpente a sonagli del Mojave.

Nel luglio 2008, dieci persone sono state arrestate e centoventicinque serpenti velenosi sono stati sequestrati nell’ambito di un’operazione sotto copertura chiamata Twice Shy. Il pastore Gregory James Coots della Full Gospel Tabernacle è stato arrestato e settantaquattro serpenti sono stati sequestrati dalla sua casa.
Una donna del Tennessee morì nel 1995 a causa di un morso di serpente a sonagli ricevuta durante un servizio alla chiesa del Full Gospel Tabernacle. La pratica è legale nello Stato del West Virginia. La manipolazione religiosa dei serpenti è stato un reato punibile con la morte secondo la legge della Georgia del 1941, in seguito alla morte di una bambina di sette anni, a causa del morso di un serpente a sonagli. Tuttavia, la pena non fu comminata e la legge fu abrogata nel 1968. La pratica è legale tuttora nella Virginia Occidentale.
Nel 2001 vi erano circa quaranta piccole chiese dei serpenti, molte delle quali pentecostali o carismatiche. Nel 2004 vi erano quattro congregazioni dei serpenti nelle province di Alberta e British Columbia, Canada. La maggior parte, se non tutte, utilizzano la versione protestante di Re Giacomo della Bibbia (King James Version), e considerano le altre traduzioni come demoniache o false. Come i loro predecessori, credono in una interpretazione letterale della Bibbia. La maggior parte di queste Chiese sono non-confessionali, ritenendo che le denominazioni siano fatte dagli uomini e portino il marchio della Bestia dell’Apocalisse, cioè Satana. I fedeli frequentano la chiesa diverse volte alla settimana. Se lo Spirito Santo interviene, il culto può durare da novanta minuti a cinque ore, se i serpenti non si stancano prima.
Le Chiese cristiane che nel 2016 praticano settimanalmente il culto con i serpenti sono:

 Rock House Holiness Church, Sand Mountain, Georgia
 The Jesus Name Believers Holiness Church, Canton, Georgia
 Holiness Church of God in Jesus’ Name, Kingston, Tennessee
 Holiness Church Of Lord Jesus, Roopville, Indiana
 Hiway Holiness Church of God, Fort Wayne, Kentucky
 Crockett Church, Fields
 East London Holiness Church , London, Michigan
 Apostolic Church, Warren, Ohio
Full Gospel Jesus Church, Cleveland, Ohio
 Full Gospel Jesus Church, Columbus, South Carolina
 Holiness Church of God in Jesus Name, Greenville, Sud Carolina
 Holiness Church of God in Jesus Name, Greenville, Tennessee
 Holiness Church of God in Jesus Name, Carson Springs, Tennessee
 Sand Hill Church, Del Rio, Texas
 House of Prayer in Jesus Name, Morristown, West Virginia
 Church Of The Lord Jesus With Signs Following, Jolo, West Virginia
 Full Gospel Jesus Church, Micco, Florida
 Full Gospel Jesus Church, Kistler, West Virginia
Giorgio Nadali


I valori cristiani. 5. La Giustizia

Per un cristiano vi sono due pilastri riguardo la giustizia. Primo: «Se la vostra giustizia non supererà quella degli scribi e dei farisei, non entrerete nel regno dei cieli» (Matteo 5,20). Sono parole di Gesù Cristo. Per un cristiano la giustizia dev’essere come quella divina: amore. Secondo: «Il giusto vivrà mediante la fede» (Romani 1,17). La fede deve portare ad essere giusti come Dio. «Siete stati giustificati nel nome del Signore Gesù Cristo» (1 Corinzi 6, 11). «Cristo Gesù è diventato per noi sapienza, giustizia» (1 Corinzi 1, 30) «perché noi potessimo diventare giustizia di Dio» (2 Corinzi 5, 21). Se è fuori discussione il fatto che la giustizia sia Dio stesso (come del resto ogni altro suo attributo), è certo che la persona matura possegga un sano senso di giustizia. Il cristiano può essere giusto perché viene giustificato dal sacrificio redentore di Cristo. La giustizia è strettamente legata all’amore. La giustizia è posta a fondamento dell’amore. Esso non può sussistere senza giustizia.

Occorre riconoscere all’altro ciò che gli spetta di diritto, cioè ciò che gli garantisca la sua piena umanità e dignità. Nell’esperienza cristiana la persona riconosce tra questi diritti anche l’amore (che normalmente va oltre al concetto di giustizia appena accennato), per cui il cristiano non può essere giusto senza amare. Esso diviene un dovere, come risposta ad un amore totalmente gratuito, che è quello divino, in Cristo. La persona risponde all’amore gratuito di Dio con un amore gratuito al prossimo (e a Dio). La fede cristiana non trasforma l’amore in un obbligo, ma in un diritto. E ad ogni diritto corrisponde un dovere, perché esista vera giustizia. Nell’esperienza cristiana vi è da una parte il riconoscimento che solo Dio può giudicare il cuore della persona. Il giudizio viene limitato al discernimento tra bene e male, anche nei confronti dell’altro: Se il tuo fratello commette una colpa va e ammoniscilo… (Matteo 18, 12) evitando di pronunciare un giudizio assoluto sulla persona: «Non giudicare» (Matteo 7, 1).

Per l’uomo il giudizio sull’altro ha sempre una valenza emotiva così forte e condizionante da creare esclusivamente divisione e disarmonia, dato che l’uomo quando è tentato di giudicare in questo senso è sempre spinto da una situazione negativa. Ma per esercitare il senso di giustizia la persona deve soprattutto riconoscere il diritto altrui. E’ qui, forse, il contributo determinante dell’esperienza cristiana. Quali diritti io riconosco all’altro? E in forza di che cosa o di chi? Ora è precisamente l’amore quello che apre gli occhi per riconoscere la persona del prossimo. Senza la luce e l’ispirazione dell’amore non si arriva al rapporto personale della giustizia.

I diritti fondamentali, cioè i diritti universali dell’uomo, sono fondati nella dignità della persona umana; di conseguenza diventa possibile rispettarli solo sulla base di una comprensione piena di amore del prossimo nella sua qualità di persona. Pertanto una giustizia solo o prevalentemente impersonale rimane sempre imperfetta e degenera facilmente in ingiustizia… Solo la giustizia guidata e ispirata dall’amore, che ha il primato in tutto, è una giustizia viva. Per questo l’ordine sociale è da fondarsi sulla verità, realizzarsi nella giustizia, deve essere vitalizzato dall’amore. Chi segue fedelmente Cristo, cerca anzitutto il Regno di Dio, e assume così più valido e puro amore per aiutare i suoi fratelli e per realizzare le opere della giustizia. La psicologia riconosce tra i bisogni fondamentali dell’individuo quello di dare e ricevere amore.

Nel Cristianesimo vi è una visione universale dei diritti umani. L’altro va rispettato in quanto persona, non in quanto credente e tanto meno in quanto credente nella propria stessa fede religiosa. Questa universalità è presente anche nel Buddhismo, anche se la persona umana è considerata in modo diverso. La vita umana è solo apparenza.

L’esperienza cristiana ne fa un diritto, e quindi un dovere. Il giudizio sarà quindi orientato da questo fine superiore. Giudicare può significare due cose diverse: in primo luogo, esercitare la funzione mentale dell’asserzione oppure assegnare certi predicati. In secondo luogo, però, ‘giudicare’ significa pure esercitare la funzione di ‘giudice’ in riferimento all’azione di assolvere e condannare. Quest’ultimo tipo di giudizio morale si fonda sull’idea di un’autorità che trascende l’uomo e che formula giudizi su di lui. Tale autorità è privilegiata per assolvere, condannare o punire. I suoi dettami sono assoluti, perché si trova al di sopra dell’uomo, ed è dotata di una saggezza e di una forza per l’uomo inattingibili… Ma molte persone che non esercitano l’ufficio di giudice ne assumono il ruolo, pronti a condannare o ad assolvere, quando formulano giudizi morali. Il loro atteggiamento spesso contiene una buona dose di sadismo e di distruttività. Non vi è forse fenomeno che contenga tanto senso distruttivo quanto l”indignazione morale’ che consente all’invidia di estrinsecarsi sotto la maschera della virtù… Il compito principale dell’uomo nella vita è far nascere se stesso, divenire ciò che potenzialmente è. Comprendere una persona non significa condonare; significa che non la si accusa come se si fosse un Dio o un giudice posti al di sopra di lei.

Giorgio Nadali


Levitazione & Bilocazione. Sono possibili?

Maharishi Mahesh Yogi ha fondato nel 1975 una scuola di meditazione di volo yogico, come estensione della Meditazione Trascendentale, il quarto stadio di coscienza. Si chiama tecnica TM-Sidhi. Il volo yogico ha tre livelli. Lo stadio iniziale è saltellare su e giù seduti nella posizione del loto, il secondo stadio è lievitare, il terzo stadio è volare. Secondo Maharishi, il volo yogico è un fenomeno creato da uno specifico pensiero proveniente dal più semplice stato di coscienza, chiamato Coscienza Trascendentale. Bevam Morris, presidente della Maharishi University of Management, di Fairfield (Iowa, USA) ha organizzato il primo concorso nord americano di volo yogico nel 1986, presso il Civic Center di Washington. Ventidue praticanti della tecnica TM-Sidhi hanno partecipato in competizioni come i 25 metri a ostacoli, salto in lungo e corsa di 50 metri di volo yogico. Il concorso si è svolto ogni anno sino al 1989. Vicotria Dawson del «Wasgington Post» ha riferito che i partecipanti saltavano rimanendo seduti . Tuttavia nessuno di loro ha volato.

Nell’Induismo i poteri di levitazione del corpo sono chiamati “potere della rana” (dardura-siddhi) e sono attribuiti limitatamente ad alcuni maestri (guru) dotati di poteri spirituali: i siddha, coloro che hanno il potere (siddhi) della leggerezza (laghiman). Il maestro yoga Subbayah Pullavar nel 1936 ha levitato orizzontalmente davanti a 150 persone sospeso su di un bastone coperto da un panno. Shirdi Sai Baba era maestro della levitazione nel sonno. Nel Buddhismo questi poteri sono attribuiti storicamente allo yogi Milarepa.

Secondo il CICAP «a tutt’oggi non è mai stata dimostrata al di là di ogni dubbio l’autentica levitazione anche di un solo spillo. Nessun tavolo, medium o mediatore trascendentale si è mai sollevato di un millimetro (senza saltellare) in piena luce, sotto controllo davanti a una telecamera o, comunque, davanti a un prestigiatore competente. Gli illusionisti, naturalmente, riescono a creare l’illusione della levitazione con abili trucchi (il più spettacolare dei quali, in questo campo è quello presentato dall’americano David Copperfield)».
La bilocazione – la capacità di essere presenti contemporaneamente in due luoghi diversi – è attribuita nel Cristianesimo a Sant’Antonio, Santa Maria di Gesù da Agreda e San Padre Pio da Pietrelcina. Nessuno ha mai dimostrato di poter mostrare il doppio di se stesso nella stessa stanza dove si trovava.

Nel Cristianesimo il santo Giuseppe da Copertino (1603-1663) levitava a causa delle continue estasi mistiche e per questo era continuamente trasferito da un convento all’altro. Il potere di levitazione viene attribuito anche a San Francesco d’Assisi, Sant’Alfonso Maria de’ Liguori che predicava a Foggia sospeso nell’aria, Santa Teresa d’Avila, San Martino de Porres, ritenuto capace di teletrasporto (attraverso porte chiuse) e levitazione, Serafino di Sarov (un santo della Chiesa russo ortodossa) levitò davanti all’imperatore Alessandro I, e San Padre Pio da Pietrelcina, ritenuto capace di bilocazione e lievitazione.

Giorgio Nadali


I valori cristiani. 4. L’umiltà. Benessere dell’anima

Umiltà. Una parola che ci mette un po’ a disagio. Cosa significa umiltà? E’ la virtù che si oppone alla superbia. La persona umile non ha una bassa autostima. Ha piuttosto una percezione di sé equilibrata. In sostanza, non si sente né un verme inutile, ma neanche un Padre Eterno. A proposito, nella fede cristiana Dio ha dimostrato facendosi uomo di essere estremamente umile, pur essendo per definizione il massimo della potenza. L’umile quindi non è un dimesso e tantomeno un depresso. Non va in giro a testa bassa. Ma… una persona umile può avere successo? Dipende da cosa intendiamo per successo. Dio vuole sempre il successo dei suoi figli, ma per ottenerlo occorre riconoscere di avere bisogno di lui. È il contrario dell’uomo presuntuoso e autosufficiente. Nel Cristianesimo Dio sceglie l’umiltà per dimostrare la sua vicinanza e il suo amore per l’umanità. Attraverso l’umiltà di una ragazzina ebrea di quattordici anni – nella Nazareth di quasi duemila anni fa – si incarna e nasce a Betlemme in una condizione di disagio e povertà. Maria di Nazareth loda Dio dicendo: «ha guardato l’umiltà della sua serva… ha innalzato gli umili e ha disperso i superbi nei pensieri del loro cuore» (Luca 1,51).

Dunque Dio fa cose grande attraverso gli umili. Dobbiamo però chiarire che gli umili non sono i poveracci e che un poveraccio può benissimo non essere umile. L’umiltà è soprattutto una disposizione interiore, un tratto della personalità. La povertà del Vangelo non è quella materiale. Per viverlo non è necessario fare il voto di povertà. E’ però necessario mettere la propria fiducia in Dio e non nelle cose materiali. Usarle, possederle sì, ma senza avidità rendendole di fatto degli idoli. Lo stesso vale per il denaro. Dunque l’umile ritiene di ricevere da Dio la forza per realizzare i propri sogni, per essere innalzato. Gesù Cristo afferma “prendete esempio da me che sono mite e umile di cuore”. Anche qui è bene chiarire che mite non significa debole. Mitezza significa potenza sotto controllo. Il mite ha il controllo di se stesso. E’ il debole che perde le staffe facilmente. Mitezza e umiltà sono grande amiche. Improbabile riuscire ad essere umili senza essere miti, e viceversa. Arroganza e violenza sono purtroppo alleate. Non necessariamente violenza fisica. La violenza è anche morale e psicologica. Forse le più diffuse. La violenza psicologica più diffusa è la menzogna, la bugia. La violenza morale più diffusa è l’insulto, l’offesa. Quindi l’umiltà aiuta molto ad essere sinceri e a rispettare, a considerare anche l’altro e il suo valore. L’umiltà però non è un comportamento derivante dalla presa di coscienza dei propri insuccessi. Il verbo cauchaomài in greco sta a significare la fiera dignità dell’umile. Ma «Per essere grandi bisogna prima di tutto saper essere piccoli.

L’umiltà è la base di ogni vera grandezza», come ha ricordato Papa Francesco. L’esperienza cristiana favorisce e sostiene l’umiltà. Quali effetti benefici essa può avere sull’affettività? Perché mai la persona matura dovrebbe essere umile? Lo è di fatto? «Il più grande tra voi sia vostro servo; chi invece si innalzerà sarà abbassato e chi si abbasserà sarà innalzato» (MT 23, 11) «L’orgoglio dell’uomo ne provoca l’umiliazione» (PR 29, 23). «Tutte le visioni, rivelazioni e sentimenti celesti non valgono il minimo atto di umiltà» scrive San Giovanni della Croce . Ed Edith Stein: «Nell’aridità e nel vuoto l’anima diventa umile. L’orgoglio di un tempo sparisce quando in se stessi non si trova più nulla che dia l’autorizzazione a guardare gli altri dall’alto in basso» mentre l’autore de L’imitazione di Cristo afferma: «Quando uno si umilia per i propri difetti facilmente fa tacere gli altri, e acquieta senza difficoltà coloro che si sono adirati contro di lui… Verso l’umile Dio si china; all’umile largisce tanta grazia, innalzandolo alla gloria, perché si è fatto piccolo; all’umile Dio rivela i suoi segreti, invitandolo e traendolo a sé con dolcezza». Non dobbiamo confondere psicologicamente l’umiltà con il senso di inferiorità e con l’assenza di autostima. L’umiltà è piuttosto la coscienza dei propri limiti, la conversione dai propri falsi idoli, l’accettazione di una realtà trascendente la propria esistenza.

Proprio l’affettività matura dà all’individuo la possibilità di essere umile. Questi, avendo scoperto il proprio valore e avendo raggiunto la piena accettazione di sé nell’autostima, non avrà bisogno di crearsi dei sostituti mentali al proprio senso di inadeguatezza e di insicurezza. Sostituti mentali che definiamo come «idoli», ai quali la persona si affida per surrogare la stima di se stessa, generando il sentimento di orgoglio. Quest’ultimo non ha nulla a che fare con l’autostima; è invece la causa di una mancanza di questa. L’individuo orgoglioso dipenderà dalle lodi e dall’apprezzamento altrui come condizione essenziale per autostimarsi ed accettarsi, ben lontano dal semplice bisogno fondamentale di essere amato. In realtà la persona è profondamente dipendente dalla rimozione del suo senso di inadeguatezza e dalla sua conseguente proiezione reattiva, che può dargli l’illusione di sentirsi autosufficiente e superiore. L’esperienza cristiana favorendo l’autostima elimina il falso sentimento di orgoglio (e quindi di «idolatria») sfociante nella superbia.

Incontra come modello di umiltà il Cristo «mite e umile di cuore» (Matteo 11, 29). Ridimensiona l’orizzonte terreno eliminando gli idoli, mettendo l’uomo di fronte alla realtà di creatura limitata. «Perché anche se uno è nell’abbondanza, la sua vita non dipende dai suoi beni» (Luca 12, 15), ma allo stesso stimola la consapevolezza e l’impegno alla collaborazione con Dio per realizzare il suo Regno, in un rapporto di fiducia filiale, anche nel momento della caduta e del peccato. «Coraggio, figliolo, ti sono rimessi i tuoi peccati» (Matteo 9, 2). Parole che nella Chiesa continuano a risollevare la persona che è consapevole di valere proprio perché è amata da un Dio più grande del suo cuore (1 Giovanni 3, 20). La persona si pente proprio perché si scopre amata e scoprendosi amata non ha bisogno di cercare «idoli» che compensino la sfiducia in se stessa.

Giorgio Nadali


Befana. Ovvero Perchta, divinità pagana

La Befana (come Halloween) ha un origine pagana. Era la divinità chiamata Perchta (“la splendente”), la “Signora delle bestie” che controllava la natura nella cultura germanica pre-cristiana.

In Italia, la leggenda della Befana è quella legata alla festa sacra dell’Epifania. Cosa ha a che fare il paganesimo moderno con una festa cristiana? La Befana è una strega. Secondo il folklore, la notte prima della festa dell’Epifania, all’inizio di gennaio, la Befana vola sulla sua scopa e consegna doni. Come Babbo Natale, lascia caramelle, frutta o piccoli regali nelle calze dei bambini che sono stati buoni durante tutto l’anno. D’altra parte, se un bambino non è stato buono può aspettarsi di trovare un po’ di carbone lasciato dalla Befana. Da dove arriva la Befana? Come fa una vecchia strega pagana ad essere associata con la celebrazione dell’Epifania, parola che significa “manifestazione” di Dio al mondo? Molte delle storie sulla Befana coinvolgono una donna che è alla ricerca, ma non riesce a trovare il neonato Gesù.

Secondo Jacob Grimm (1882), Perchta veniva chiamata nel X Secolo Frau Berchta, uno spirito femminile vestito di bianco. Il culto di Perchta prevedeva il dono di cibo e bavande per Frau Percht nella speranza di ricevere favori e abbodanza e fu condannato in Baviera nel Thesaurus pauperum (1468) e da Thomas Ebendorfer von Haselbach nel De decem praeceptis (1439).

In alcune leggende cristiane, si dice che la Befana sia stata visitata dai tre Re Magi, o saggi, per trovare il bambino Gesù. Si dice i Magi che le abbiano chiesto informazioni per la direzione, ma la Befana non era sicura di come trovare il neonato. Tuttavia lei li invitò a trascorrere la notte nella sua casa disordinata. Quando i Magi partirono la mattina seguente, invitarono la Befana a unirsi a loro nella loro ricerca. La Befana declinò, dicendo che aveva troppo lavoro domestico da fare, ma poi cambiò idea. La Befana cercò di trovare i Magi e il bambino, ma non vi riuscì, così ora vola sulla sua scopa e consegna doni ai bambini. Forse sta ancora cercando il bambino Gesù. In altri racconti, La Befana è una donna che ha perso i figli a causa di una grande epidemia di peste, e lei segue i Magi a Betlemme. Prima di lasciare la sua casa, confeziona alcuni regali semplici – una bambola che apparteneva a uno dei suoi figli e una veste ricavata dal suo abito da sposa. Questi semplici doni sono tutto quello che poteva dare al bambino Gesù, ma non era in grado di trovarlo. Oggi, lei vola per consegnare doni ad altri bambini ancora nella speranza di trovare Il Bambino Gesù. Alcuni studiosi credono che la storia della Befana abbia in realtà origini pre-cristiane. La tradizione dello scambio dei doni può riguardare un’usanza dell’antica Roma che si svolgeva in pieno inverno, intorno al periodo dei Saturnalia.

La Befana può anche rappresentare il passaggio dell’anno vecchio, con l’immagine di una donna anziana, per essere sostituito da un nuovo anno. Oggi molti italiani, compresi coloro che seguono la pratica della Stregheria – la stregoneria italiana neo-pagana – celebrano la Befana. Nella cultura neolitica le case dei villaggi dell’Anatolia non avevano né finestre né porte. L’unico ingresso era attraverso l’ampio tetto orizzontale. Si entrava in casa da una scala, che poi veniva ritirata per difesa. La Befana arriva nelle case attraverso il camino, un gesto che nei miti di tutto il mondo è attribuito alle figure mitiche, come ad esempio, gli spiriti degli indiani del Nord America, e soprattutto gli Nitu Natmate, spiriti ancestrali dei melanesiani della Papua Nuova Guinea, come altre figure che portano regali durante le vacanze di Natale. Una volta stabilito il legame tra la figura della Befana e gli spiriti ancestrali, la Befana si presenta durante la festa come antenata mitica che torna ogni anno.

La sua funzione principale è quella di riaffermare il legame tra la famiglia e gli antenati attraverso uno scambio di doni. I bambini ricevono doni che simboleggiano le civiltà arcaiche dove loro erano considerati i rappresentanti degli antenati, ai quali erano destinate le offerte. A volte la Befana riceve offerte di cibo. Nella drammatizzazione popolare in Toscana e altrove, la Befana è una figura mascherata che guida il corteo dei postulanti e riceve offerte da famiglie che, in genere, ricevono da lei il dono della prosperità. La figura della Befana riesce ancora a mescolare Cristianesimo e paganesimo nella cultura popolare italiana. Nel Lazio i bambini ricevono i doni dalla Befana, non da Gesù Bambino, il protagonista della festa! Nella tradizione mitica la Befana arriva volando su una scopa, o anche su un asino. Questo testimonia la sua associazione con le piante e gli animali, che nell’antichità pagana avevano un valore sacro come rappresentanti delle divinità. Nella mitologia il ramo ospita lo spirito dell’antenato, ed è per questo che ha assunto la funzione magica del volo e potrebbe avere un ruolo di evocazione e di allontanamento dallo spirito.

I Magi portarono al Bambino Gesù tre cofanetti contenenti doni simbolici della regalità di Cristo: dei piccoli lingotti d’oro (potenza), i grani dell’incenso (usato in diverse religioni per simboleggiare la santità dei suoi fumi che salgono al cielo come le preghiere degli uomini) e… profeticamente l’olio della mirra (sacrificio) perché con la mirra si ungevano i defunti, Cristo compreso (Giovanni 19,39). Anche se è un dono un po’ particolare da fare ad un neonato!

Giorgio Nadali