Business soprannaturale. I predicatori cristiani più ricchi al mondo

La povertà evangelica non è sinonimo di voto di povertà , ma per alcuni uomini di Chiesa la fede cristiana è fonte di enormi guadagni. A David Oyedepo, guida spirituale e fondatore della della Living Faith World Outreach Ministry (Nigeria) – una delle più grandi congregazioni religiose della Nigeria – il cristianesimo rende annualmente 150 milioni di dollari.

Il pastore brasiliano Silas Malafaia è l’ex leader del ramo brasiliano delle Assemblee di Dio, la più grande chiesa pentecostale del Brasile. Malafaia è costantemente coinvolto in controversie legate alla comunità gay in Brasile, di cui egli dichiara con orgoglio di essere il più grande nemico. Sostenitore di una legge che potrebbe portare a classificare l’omosessualità come una malattia in Brasile, Malafaia è anche una figura di spicco su Twitter, dove è seguito da oltre 440.000 utenti. Nel 2011 Malafaia ha guadagnato centocinquanta milioni di dollari e ha lanciato una campagna chiamata The One Million Souls Club, che mira a raccogliere cinquecento milioni dollari (un miliardo di real brasiliani) per la sua chiesa, al fine di creare un rete televisiva globale che trasmette in 137 paesi. Malafaia possiede anche una delle quattro più grandi case discografiche cristiane del Brasile e la seconda più grande casa editrice evangelica del Paese, con vendite per venticinque milioni di dollari (cinquanta milioni di real) all’anno.
In Brasile Edir Macedo è il fondatore e la guida spirituale della Universal Church of the Kingdom of God, che ha anche sedi negli Stati Uniti. La sua fortuna è stimata in 950 milioni di dollari. Macedo è stato coinvolto in scandali legati a raccolte di findi per opere di carità e riciclaggio di denaro.
Ecco la classifica dei dieci predicatori più ricchi al mondo. Il Vangelo ha fruttato loro svariati milioni di dollari. Nonostante il detto di Gesù Cristo: «Non potete servire a Dio e al denaro» (Luca 16,13) il Vangelo ha fruttato loro milioni di dollari.
1. Thomas Dexter Jakes. Vive in una residenza valutata 1,7 milioni di dollari. È stato definito il miglior predicatore d’America con una copertina sul settimanale Time del 17 settembre 2001. Scrittore, produttore e predicatore. Capo spituale della mega Chiesa non denoninazionale The Potter’s House che conta trenatamila membri a Dallas (Texas, USA). La sua fortuna è valutata in 150 milioni di dollari.
2. David Oyedepo. Predicatore nigeriano fondatore della Winners Chapel nota come Living Faith Church World Wide. É stato chiamato il pastore più ricco della Nigeria con una rendita di 150 milioni di dollari, Quattro jet privati, e residenze negli Stati Uniti e Inghilterra. Dopo la fondazione nel 1981 della Living Faith Outreach Ministry la congregazione religiosa è diventata la più grande della Nigeria.
3. Enoch Adeboye. Il pastore Adeboye guida la Redeemed Christian Church of God. Newsweek lo ha definito come una delle personalità più influenti nel 2008/2009 insieme a Barack Obama e Nicolas Sarkozy. Possiede diversi jet personali.
4. Benny Hinn. Televangelista israeliano. Toufik Benedictus Hinn, detto “Benny”, possiede circa 42 milioni di dollari. È noto per la sua “Crociata dei Miracoli”, incontro di preghiera e guarigione che che si tiene regolarmente in grandi stadi negli USA.
5. Chris Oyakhilome, è il fondatore e pastore della Christ Embassy, una congregazione protestante con sedi in Nigeria, Sud Africa, Londra, Canada e Stati Uniti. La sua casa editrice – Loveworld Publications – pubblica la rivista mensile Rhapsody of Realities che vende due milioni di copie al mese al costo di un dollaro a copia. Il pastore è proprietario anche di stazioni televisive, riviste, giornali, un albergo, una catena di fast food.
6. Creflo Augustus Dollar. Pastore afroamericano docente di Sacra Scrittura. Ha fondato la World Changers Church International in Georgia (USA). La “Chiesa internazionale di coloro che cambiano il mondo” ha anche cambiato il conto in banca di Creflo Dollar sino alla cifra di ventisette milioni di dollari. Il Vangelo gli ha anche fruttato due Rolls Royce, un jet privato, una residenza da un milione di dollari ad Atlanta, un’altra da 2,5 milioni di dollari a Demarest e una dello stesso valore a New York. Dollar ha rifiutato di rivelare il suo patrimonio, ricevendo così un voto insufficiente dall’organizzazione Ministry Watch che si occupa di trasparenza finanziaria dei predicatori cristiani americani. Dollar, un nome un programma. La sua predicazione è tutta centrata sulla teologia della prosperità.
7. Kenneth Copeland fondatore della Kenneth Copeland Ministries, la sua predicazione tele evangelica gli ha fruttato un jet prvato da 17,5 milioni di dollari e una residenza intestata alla sua chiesa del valore di sei milioni di dollari.
8. William Franklin “Billy” Graham della Southern Baptist è diventato famoso per i suoi sermoni radiofonici e televisivi che gli hanno fruttato venticinque milioni di dollari.
9.Matthew Ashimolowo è il titolare del Kingsway International Christian Centre. Ha fatto molta strada da predicatore nella Foursquare Gospel Church in Nigeria. Si è messo in proprio e ora la congregazione religiosa che ha fondato è la più grande chiesa pentecostale in Gran Bretagna. Duecentomila dollari di entrate annuali.
10.Temitope Joshua. La sua Synagogue Church Of All Nations vede ogni domenica quindicimila fedeli radunati per il culto. Può contare su entrate di quindici milioni di dollari.

Chiesa cattolica e ricchezza economica

Nella Chiesa cattolica circa un milione di fedeli sono consacrati con i tre voti di povertà, castità e obbedienza. Circa un millesimo di tutti i cattolici. Il voto di povertà implica la rinuncia a eredità e a proprietà personali. Gli istituti religiosi «sono tenuti a evitare ogni lusso, lucro eccessivo e accumulazione di beni» (decreto Perfectae caritatis (13), Concilio Vaticano II).
Non tutti i sacerdoti hanno il voto di povertà. Solo quelli che appartengono a un ordine religioso (ad esempio francescani, agostiniani, benedettini, ecc.) o a una congregazione religiosa e in generale hanno il titolo di Padre. Gli altri sacerdoti sono detti secolari (o diocesani) e hanno il titolo di Don. Vi sono delle eccezioni come ad esempio per i salesiani e i paolini (titolo Don, ma con voto di povertà della loro congregazione).

Gesù Cristo si fece povero. È la kénosi. Nel senso che «pur essendo di natura divina, non considerò un tesoro geloso la sua uguaglianza con Dio» come scrive San Paolo (Efesini 2,6). I più poveri del suo tempo erano le vedove, gli orfani e i lebbrosi. Gesù Cristo era figlio (adottivo) di un artigiano (San Giuseppe) e non era considerato tra i poveri di Nazareth. Certo, Cristo stigmatizza la ricchezza dicendo: «Guai a voi, ricchi, perché avete già la vostra consolazione» (Luca 6,24). «È più facile per un cammello passare per la cruna di un ago che per un ricco entrare nel regno di Dio!» (Luca 18,25). Mette in guardia dalla ricchezza economica che, se abbondante, può facilmente occupare il posto di Dio nel cuore della persona. Non condanna la ricchezza, ma quella resa idolo: «Non potete servire a Dio e a mammona» (Luca 16,13). Mamon per i caldei era il demone del denaro. Non fa quindi un discorso politico ma spirituale. Il discorso politico contro la ricchezza individuale e il merito personale è quello marxista. Gesù Cristo invece mette in guardia dai pericoli spirituali della ricchezza. Inoltre Gesù apprezza il costoso dono di una donna, scandalizzando Giuda Iscariota che avrebbe voluto vendere il costoso profumo del nardo versato su di lui, se fosse stato venduto per darne il ricavato ai poveri. In realtà «non perché gli importasse dei poveri, ma perché era ladro e, siccome teneva la cassa, prendeva quello che vi mettevano dentro» (Giovanni 12,5-6).

La povertà evangelica non è quindi la miseria, ma l’uso dei beni personali col distacco necessario per non farli diventare un idolo e con la generosità di prendersi cura dei bisognosi. In sostanza è l’opposto del materialismo. Paradossalmente un indigente che maledice Dio per la sua situazione non è un povero del Vangelo. Lo è chi mette la sua fiducia in Dio e fa del bene agli altri con i suoi mezzi (e il suo tempo). La povertà evangelica non è nemmeno il pauperismo, l’esaltazione della povertà. Dio si compiace del benessere dei suoi figli che gli sono grati: «perché a chiunque ha sarà dato e sarà nell’abbondanza; ma a chi non ha sarà tolto anche quello che ha» (Matteo 25,29). «Date e vi sarà dato; una buona misura, pigiata, scossa e traboccante vi sarà versata nel grembo» (Luca 6,38).

Chiesa cattolica.

Escludiamo i tesori d’arte. Voluti da papi che vivevano nel lusso e donazioni di ricchi e nobili (per lavarsi la coscienza e/o per dare gloria a Dio), rimasti un patrimonio artistico per l’umanità. Ad esempio la cappella degli Scrovegni a Padova affrescata da Giotto, è stata fatta costruire dal banchiere padovano Enrico Scrovegni per farsi perdonare il peccato di usura. Blu di lapislazzuli e oro dappertutto. L’arte è lusso solo quando sta nelle case private. Il lusso poi non è la ricchezza, ma l’esagerazione. Ha la stessa radice di lussuria, che non è l’attività sessuale, ma il suo abuso. Accanto all’appartamento papale vi è la collezione di doni ricevuti dai papi dai regnanti e governanti del mondo. Un tesoro inestimabile. La Chiesa cattolica ha dal 1929 uno stato autonomo in base ai Patti Lateranensi. Ha una zecca, un bilancio, un bunker antinucleare di settecento metri quadri sotto il cortile della biblioteca, inaugurato nel 1985 per difendere il papa e le opere d’arte in caso di attacco nucleare e una banca con due bancomat con schermata in latino che ti saluta: «Carus expectatusque venisti» e ti invita a «Inserito scidulam quaeso ut faciundam cognoscas rationem», ma il «deductio ex pecunia», il prelievo è riservato solo ai trentatremila correntisti I.O.R., così come il «rationem aexequatio» (il saldo) e il «negotium argentarium» (movimenti). Tutti i conti correnti (circa sei miliardi di euro) con interesse al cinque per cento sono (oggi) tracciabili e controllati contro il riciclaggio.

Il patrimonio immobiliare italiano appartiene al ventitré per cento alla Santa Sede. Duemila miliardi di Euro in immobili in tutto il mondo. Centomila sono le chiese in tutto il mondo, duemila i centri di accoglienza e i pensionati, 2.300 i musei e le biblioteche. Gli immobili extraterritoriali in Italia non sono soggetti a tassazione di alcun tipo come tutte le ambasciate e i consolati di Stati esteri in Italia. 2.496 chiese, monasteri, seminari, conventi, oratori, case di cura, in regime di esenzione fiscale ex extraterritorialità. Nove miliardi di euro le proprietà della Congregazione per l’Evangelizzazione dei Popoli. Solo a Roma trecento parrocchie, quaranta istituti religiosi, duecento chiese non parrocchiali, duecento case generalizie, 250 scuole cattoliche, novanta istituti religiosi, sessantacinque case di cura, cinquanta missioni, quarantatré collegi, trenta monasteri, venti case di riposo, venti seminari, diciotto ospedali, sedici conventi, tredici oratori, dieci confraternite, sei ospizi, ventimila terreni intestati a duemila e venti religiosi in tutto il mondo esistono immobili di proprietà della Santa sede con extraterritorialità ed esenzioni ed esproprio dei tributi sono relativi a 4.851 diocesi. Cinquanta prelature, undici abbazie territoriali, settantanove vicariati apostolici, quarantacinque prefetture apostoliche, undici esarcati, all’interno dei quali esistono ventiseimila parrocchie, trentamila case generalizie e santuari, 2.300 musei biblioteche, e molte scuole, ospedali, circa diecimila case di cura di riposo e 2.100 di accoglienza pensionati, oltre trecento librerie. Dal 2007 vi era l’esenzione dall’ICI (oggi IMU) per gli immobili commerciali, purché una parte dell’immobile sia adibita al culto. Le scuole paritarie sono esenti. Non esistono dazio o tasse doganali di merci in entrata in Italia dirette verso lo Stato di Città del Vaticano. A Londra i locali di Bulgari, le gioiellierie di alto livello nel New Bond Street, la banca d’affari Altium Capital, tra St James’s Square e Pall Mall appartengono al Vaticano. Il quotidiano inglese The Guardian scrive: “La ricerca in vecchi archivi, tuttavia, rivela più della verità”.  British Grolux Investments avrebbe rilevato la proprietà dell’intero portfolio nel 1999 “da due società, Grolux Estates Ltd e Cheylesmore, le cui azioni erano a sua volta detenute da una società con sede presso l’indirizzo della banca JP Morgan a New York. Il controllo finale è registrato a esercitato da una società svizzera, Profima SA” e che dai Patti Lateranensi del 1929 “Il denaro di Mussolini era drammaticamente importante per le finanze del Vaticano”.

I dipendenti della Santa Sede e dello Stato della Città del Vaticano sono esenti dall’Irpef. Il bilancio del 2010 è stato chiuso con un attivo di 10 milioni di euro (245 milioni di entrate contro 235 di uscite). L’obolo di San Pietro (donazioni libere al papa) ammontava a 67,7 milioni di dollari, devoluti in beneficienza. Nel 2011 il bilancio è stato chiuso con un passivo di 14.890.034 euro, ma l’obolo di San Pietro (fuori bilancio) è aumentato di 2 milioni di euro (69,7 milioni di euro). Il “canone” (contributo delle diocesi di tutto il mondo) è aumentato da 27,3 a 32,1 milioni di dollari. 49 milioni di euro nel 2011 provenienti dallo IOR. 91,3 milioni di euro dai musei vaticani, il complesso museale più grande al mondo visitabile con sedici euro. 1,2 miliardi di euro sono entrati dall’otto per mille nel 2011. Di questi, 235 milioni di euro sono stati impiegati in Italia per opere di carità (20%), il resto è stato utilizzato per pagare gli stipendi del clero e per le esigenze di pastorale e di edilizia del culto.

Stipendi del clero cattolico

Papa. Nessuno stipendio. A disposizione un fondo in euro presso lo I.O.R. (Istituto Opere di Religione – la banca del Vaticano), l’obolo di San Pietro e il fondo di 2,5 milioni di dollari – il Vicarius Christi Fund – della Confraternita dei Cavalieri di Colombo con sede a New Haven, Connecticut (USA) e Roma, presieduta dal Prof. Carl A. Anderson. Inoltre – per il papa emerito Benedetto XVI – i diritti d’autore delle opere letterarie gestite dalla Fondazione Joseph Ratzinger, inaugurata nel 2008, amministrata dagli Ratzinger Shulerkreis (Circolo degli Studenti di Ratzinger) a Monaco di Baviera (Germania) e presieduta dal professore Stephan Otto Horn. L’attuale papa Francesco ha – come religioso gesuita – il voto di povertà.
Cardinali: secondo Claudio Rendina (“La santa casta della Chiesa”, Newton & Compton, Roma, 2009, p. 241) 150.000 euro netti annuali erogati dall’Amministrazione del Patrimonio della Sede Apostolica (APSA) per i Cardinali di Curia, più l’assegno cardinalizio (nuovo nome del “rotolo cardinalizio”, la somma derivante dalle rendite del Sacro Collegio Cardinalizio). Altri parlano di cifre ben più modeste: tremila euro netti mensili.
Vescovi: 39.000 euro netti annuali più fondo spese per l’episcopato di competenza.
Preti (italiani): L’ammontare dello stipendio mensile (lordo di imposte, per dodici mensilità) è calcolato sulla base di un certo numero di punti – da 80 a 140 – ciascuno del valore di 11,82 euro. Il numero di punti attribuito a ciascun sacerdote varia a seconda dell’anzianità vocazionale e degli incarichi ricoperti.

Giorgio Nadali


La spiritualità del successo personale contro le chiese pro-sfiga

La teologia della prosperità insegna che Dio ci vuole vincenti. Sempre. Non è male chiedere a Dio benessere e prosperità, anche economica. Una dottrina in contrasto con chiese cristiane (come quella cattolica) che insegnano (solo a parole) un concetto falsato di povertà. Pauperismo cristiano minimalista. La povertà è in realtà il distacco del cuore dalle cose materiali, non la miseria e la mediocrità. “Beati i poveri in spirito”. Se un uomo o una donna hanno successo – guadagnano molto e con questo denaro danno lavoro ad altri e fanno del bene, Dio è molto felice di questo. Aspetta solo che chi ha fede Gli chieda la stessa cosa per ricolmarlo del suo favore e aprirgli porte che sono impossibili agli uomini… Inaudito? No. Fede!

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Nella foto: i Pastori Joel e Victoria Osteen di Lakewood Church, Houston. La Chiesa che punta tutto sul messaggio cristiano di gioia e prosperità materiale e spirituale: Dio ci vuole vincenti

La gente è molto timida con Dio. Qualcuno le ha insegnato a non infastidirlo troppo. A tenere un basso profilo. Si ha come il timore di una preghiera “spudorata”. Anni di educazione religiosa ci hanno abituato a domandare a Dio il minimo indispensabile. “Signore, aiutami a tirare avanti”. Non è un a preghiera sbagliata. È una preghiera che limita Dio. Per le cose ordinarie non c’è bisogno di un intervento divino. Nessuno ci ha mai insegnato a pregare in grande. Ad un grande Dio si chiedono cose grandi. Non è spudoratezza. È fede. Cosa vuol dire cose grandi? Vuol dire credere sul serio che a Dio nulla è impossibile (Luca 1,37) e credere nel suo amore che vuole donarci molto di più di quanto noi stessi osiamo sperare. Prova a pensare ad un sogno che ritieni irrealizzabile per la tua vita. Ecco, Dio vuole donarti ancora più di quello. Lo crediamo? Molti non lo credono affatto perché sono stati educati ad una fede mediocre. Pensano che ciò che hanno (e sono) sia già il massimo che Dio ha voluto per loro. Pensano che Dio non possa volere il nostro successo o – peggio ancora – che non abbia nulla a che fare con esso. Anzi, il successo personale è quasi un peccato. Meglio essere mediocri per essere bravi cristiani. Invece, è un peccato proprio credere questo. Perché l’uomo vivente è la gloria di Dio e ciò che Dio vuole donarci di grande e “impossibile” è un segno agli altri del suo amore e della sua potenza. Non si dà una grande testimonianza andando in giro a testa bassa facendo credere al mondo che la tua fede in Cristo è quella della rassegnazione e del tirare a campare. Un peccato contro lo Spirito Santo. Un peccato anche di ignoranza. La Parola di Dio dice: «cerca la gioia del Signore, esaudirà i desideri del tuo cuore» (Salmo 36,4). I desideri del tuo cuore… Anche materiali, sì, sì! Salute, successo, denaro. L’essere umano è fatto per il bello e il buono, non per il mediocre e per la miseria. A nessuno piace la miseria. Di sicuro non a un Padre per i suoi figli.

“Questo libro della legge non si allontani mai dalla tua bocca, ma meditalo, giorno e notte; abbi cura di mettere in pratica tutto ciò che vi è scritto; poiché allora riuscirai in tutte le tue imprese, allora prospererai” (Giosuè 1,8)

Non barare. Tanto Dio vede già i tuoi desideri, anche se non vuoi presentarglieli. Ora, qualcuno ti ha fatto credere che nessuno di questi desideri da presentare a Dio possa essere di natura materiale. Si confonde il benessere, anche economico con il materialismo (che è l’adorazione delle cose materiali). Invece Gesù ha incluso anche il pane quotidiano nelle richieste del Padre Nostro e il considerare la materia come impura è sconfinare in una filosofia che nulla ha a che fare col Cristianesimo. È gnosticismo. Eresia. Corpo, materia, esigenze terrene, benessere, successo, sesso, piacere e denaro non sono affatto cose “demoniache” in quanto tali, per il Cristianesimo. Sempre a patto di non confondere la fede con la bigotteria, ma Gesù aveva parecchio da ridire su quella dei “puri” Farisei del suo tempo.

Il cuore è il centro di tutto. Il Buon Samaritano era un ricco mercante generoso. E quelli che non si sono fermati a soccorerlo erano gli addetti al culto: un levita e un sacerdote del tempio giudaico.

Probabilmente la maggioranza si ricorda il detto popolare «il denaro è lo sterco del diavolo» e le dichiarazioni di Gesù contro la ricchezza: «è più facile che un cammello passi per la cruna di un ago, che un ricco entri nel regno dei cieli» (Luca 18,25), «vendi tutto quello che hai, distribuiscilo ai poveri e avrai un tesoro nei cieli; poi vieni e seguimi» (Luca 18,22). Si confonde il voto di povertà con il valore della povertà valido per ogni cristiano. In base alla visione cattolica molti si sono fatti l’idea che il Cristianesimo odii il benessere e il successo personali. Si confonde il potere con l’arroganza e il successo con la prevaricazione. In realtà Gesù mette in guardia dalla ricchezza economica che – quando è abbondante – può facilmente può prendere il primo posto nel cuore della persona e sostituirsi a Dio. Per cui si confonde il valore della povertà evangelica con la miseria o la mediocrità e si crede che Dio voglia il minimo indispensabile per noi, non il massimo possibile. La povertà è in realtà l’uso dei beni materiali con distacco in modo da non renderli un idolo. Il povero del Vangelo non è un pezzente. È la persona che sa godere dei suoi beni senza che questi prendano il posto di Dio nella sua vita. Per cui non vi è nulla di male a chiedere a Dio una casa migliore, anzi, una casa decisamente molto bella o una professione di successo. Dio può aprire delle porte che agli uomini sono impossibili. Ma il limite di tutto ciò è proprio la fede di chi prega. Se chiedi a Dio di tirare a campare sino a fine mese, questo otterrai. Il fatto è che Dio vuole e può molto di più per noi. Ma siccome non lo crediamo, non lo preghiamo neppure e di conseguenza non lo otterremo mai. E la frase d Gesù «Tutto è possibile per chi crede» (Marco 9,23) rimane una bella teoria spirituale che ben poco ha a che fare con la nostra vita concreta di ogni giorno. C’è una falsa vergona religiosa nei confronti di un Padre che – come ogni padre – vuole il massimo per ogni singolo figlio e ha desideri e progetti di abbondanza per ognuno, non certo di mediocrità. Come dire, Dio ci vuole sfigati… Per cui dico la mia preghierina banale. Fammi tirare a campare come posso. Poi vado a giocare a Superenalotto e quant’altro. Mi vergogno di chiedere a Dio il successo e il benessere. Meglio chiederlo alla dea fortuna pagana, no?

La teologia della prosperità (a volte indicata come il Vangelo della prosperità o il Vangelo della salute e del benessere) è una dottrina religiosa cristiana secondo cui Dio vuole benedire la vita dei cristiani sia in senso spirituale, sia materiale ed economico. Basata su interpretazioni della Bibbia, spesso con enfasi sul Libro di Malachia, la dottrina considera la bibbia, un contratto tra Dio e gli esseri umani: se questi hanno fede in Dio, Egli garantirà le sue promesse di sicurezza e di prosperità. Riconoscere queste promesse con fede permette a Dio di ricolmare il fedele con le sue benedizioni. I fautori insegnano che questa dottrina è un aspetto del percorso di dominio cristiano sulla società, sostenendo che la promessa di Dio di dominio in Israele si applica ai cristiani di oggi. La dottrina pone l’accento sull’importanza della crescita personale, proponendo che è  volontà di Dio che il suo popolo sia felice. L’espiazione (riconciliazione con Dio) è interpretata come alleviamento della malattia e della povertà, viste come maledizioni a causa della mancanza di fede.

Negli anni cinquanta del XX secolo la teologia della prosperità si è sviluppata negli Stati Uniti, anche se i commentatori hanno collegato le origini della sua teologia al movimento del New Thought (Nuovo Pensiero). La teologia della prosperità ha visto un’ulteriore diffusione negli anni Ottanta del XX secolo col il tele-evangelismo statunitense. Negli anni novanta e duemila, fu adottato da influenti leader del Movimento carismatico e promosso da missionari cristiani in tutto il mondo, portando a volte alla creazione di mega-chiese. Le figure prominenti nello sviluppo della teologia della prosperità sono E. W. Kenyon, Oral Roberts, A. A. Allen, Robert Tilton, T. L. Osborne, John Osteen, Kenneth Copeland, Kenneth Hagin. I principi della teologia della prosperità sono ecumenici. Nascono in ambiente protestante, ma qualunque delle cinquemila Chiese cristiane può accettarli, anche se con accenti diversi. Sono quindi validi anche per la Chiesa cristiana più grande, quella cattolica… che però a livello teorico odia la ricchezza. Poi, in pratica conosce cardinali che danno l’esempio con ricchezze da mille e una notte e un patrimonio immobiliare planetario che solo a Roma ammonta a 10 miliardi di Euro. Negli Stati Uniti le entrate annuali sono di 171 milioni di Euro di cui solo il 2,7% dedicato alla beneficenza. Nello Stato del Vaticano su 10 Euro che entrano 2 sono devoluti alla beneficenza e 6 servono a sanare i contri in rosso della curia romana.

Le Chiese in cui è insegnato il Vangelo della prosperità sono spesso non-confessionali e solitamente dirette da un unico pastore o da un leader, anche se alcuni hanno sviluppato delle reti “multi-chiesa” che hanno somiglianze in varie denominazioni. Queste chiese in genere dedicano molto tempo ad insegnare la fede in una prospettiva di discorso positivo. La fede è in sostanza positività verso la vita – dono di Dio – non rassegnazione passiva. La più grande, importante e nota in tutto il mondo è Lakewood Church di Houston, Texas (USA). Le Chiese della prosperità spesso predicano riguardo a responsabilità finanziarie del fedele verso la congregazione, anche se alcuni giornalisti e accademici hanno criticato la loro predicazione in questo settore come ingannevole. La Teologia della prosperità è stata criticata dai leader di movimenti pentecostali e carismatici, e da altre confessioni cristiane.

La teologia della prosperità insegna che i cristiani hanno diritto al benessere perché la realtà fisica e quella spirituale sono viste come una realtà inscindibile. Questo è interpretato come salute fisica e prosperità economica. Il diritto proviene dal patto tra Dio e Abramo (padre delle tre religioni monoteiste). La prosperità non è solo economica. E’ salute, soddisfazione, creatività, successo, relazioni vincenti… Gli insegnanti della dottrina si concentrano sulla realizzazione personale, promuovendo una visione positiva dello spirito e del corpo. Essi sostengono che i cristiani hanno avuto potere sopra la creazione perché sono fatti a immagine di Dio e insegnano che la fede positiva permette ai cristiani di esercitare il dominio positivo sulla realtà circostante. La povertà e la malattia sono espresse come maledizioni che possono essere eliminate da una giusta disposizione di fede. Vi sono, tuttavia, alcune chiese della prosperità che cercano un paradigma più moderato o riformato di prosperità. Kirbyjon Caldwell, pastore di una mega-chiesa metodista, supporta una teologia della vita prosperosa affermando che la prosperità è accessibile per tutti, come un percorso di lotta contro la povertà. Il problema è che nel mondo si combatte la povertà, mentre in Italia si combatte la ricchezza. E indovinate da che pulpito viene la predica?

La stessa croce di Cristo appare una sconfitta al mondo. Il Venerdì Santo è la sconfitta. Tuttavia dopo solo due giorni Cristo vince la morte. La Domenica di Pasqua è il successo della vita che vince la morte. È il successo dell’amore di Dio sul peccato dell’uomo. Dio ci vuole vincenti come lui, non ci vuole perdenti depressi e rassegnati. Molte Chiese dovrebbero riscoprire la gioia contagiosa di essere cristiani. Essere seguaci di Cristo vuol dire sì prendere la croce per seguirlo, ma non vuol dire vivere una vita depressa tantomeno una vita stoica di privazioni. Lo stoicismo non è Cristianesimo. Se sei Francesco d’Assisi e vuoi abbandonare il tuo padre ricco per piacere di più a Gesù è una tua idea, ma non è necessaria per la fede in Cristo. Potevi fare molto bene anche da ricco.

L’idea di fondo è tipicamente quella cattolica. La croce di Cristo non è sufficiente. Se voglio salvarmi devo compiere delle opere, aggiungere santi, madonne, intercessioni, purgatori, auto flagellazioni, apparizioni, reliquie, digiuni, penitenze e indulgenze, perché… Gesù Cristo non basta. Invece l’adesione a Cristo è ciò che mi salva. Punto. Non è merito mio e non posso aggiungervi nulla. La salvezza è un dono. Le opere sono l’adesione di fede. E non è poco. 

Forse è bene ricordare che Cristo godeva pienamente della vita terrena, in tutto fuorché nel peccato. Mentre secondo un papa cattolico – Gregorio Magno – «Il piacere non può essere mai senza peccato». Ovviamente l’hanno fatto santo. Cristo il primo miracolo lo fa mentre si sta divertendo a una festa di nozze con amici a Cana di Galilea, bevendo vino e probabilmente cantando e danzando. Più tardi sarà accusato malignamente di essere un “beone” e un “mangione” (Matteo 11,16-19).

Una figura notevolmente diversa dal primo Buddha storico, Siddharta Gautama, che va a meditare sotto l’albero Bodhi, rinunciando a tutto. Insegnerà che la  vita è «tutto è dolore», dal quale si esce «eliminando qualsiasi desiderio». Troppa predicazione cristiana ha spinto l’acceleratore sulla rinuncia, sulla criminalizzazione del desiderio in quanto tale e del piacere. Secondo la fede cristiana il piacere e il desiderio non sono sinonimi di peccato. Dio non vuole l’uomo depresso e triste. Il Vangelo è gioia e Cristo dimostra che si può godere pienamente della vita, senza peccare. Dopotutto Cristo nel Vangelo dice: «Questo vi ho detto perché la mia gioia sia in voi e la vostra gioia sia piena» (Giovanni 15,11). La ricchezza economica personale (da condividere con chi ha più bisogno) è interpretata nella teologia della prosperità come una benedizione di Dio, ottenuta attraverso un fede positiva.

L’insegnamento della teologia della prosperità sul professare positivamente la propria fede deriva dalla Sacra Scrittura. La Bibbia è vista come un contratto di fede tra Dio e i credenti; Dio è fedele e giusto, così i credenti devono rispettare il loro contratto per ricevere le promesse di Dio. Questo porta a una credenza nella confessione positiva. Secondo tale dottrina i credenti possono pretendere da Dio, qualunque cosa essi desiderino semplicemente pronunciando parole di fede sulla propria vita. E questa è decisamente una grande fede! Fai come me. Prega ogni giorno Dio di ricolmarti – lo ripeto: ricolmarti – del suo favore e della sua benedizione. Prega per cose “grandi” nella tua vita, che ti sembrano impossibili.

Giorgio Nadali


I valori cristiani. 3. La verità

Al secondo posto per i valori più odiati da Satana, dopo la carità (l’amore). Non a caso il diavolo è “padre della menzogna”, come lo chiama Gesù (Giovanni 8,44). Infatti è impossibile amare nella falsità e nell’inganno. Giovanni nella sua prima lettera ci dice: “Non vi ho scritto perché non conoscete la verità, ma perché la conoscete e perché nessuna menzogna viene dalla verità” (1 Giovanni 2,21). Cristo stesso si definisce “Verità” (Giovanni 14,6) e raccomanda che “sia invece il vostro parlare sì, sì; no, no; il di più viene dal maligno” (Matteo 5,37). In sostanza, niente compromessi sulla verità, niente giri di parole o abili manipolazioni per far credere autentica e buona qualcosa che non lo è affatto. Ciò che è vero è anche buono e bello. Solo la verità rende liberi (Giovanni 8,32), come ricorda Gesù, perché “chiunque commette il peccato è schiavo del peccato” (Giovanni 8,34).

Pilato chiede «Che cos’è la verità?» e questa domanda è sempre molto attuale. Da un punto di vista filosofico la verità è ciò che corrisponde alla natura di una cosa e quindi è anche il bene. Ad esempio, se un paio di occhiali è privo di una stanghetta o di una lente non è autenticamente un paio di occhiali, è rotto, e quindi è male. Va riparato infatti. La natura di un occhiale è di avere due stanghette e due lenti integre. Per le cose è facile intuire quale sia il bene e la verità. Più difficile è per la natura umana. Ma fino ad un certo punto, se riflettiamo. Avere un braccio solo è male, ma non è certamente una colpa. Questa esiste solo quando io sono il responsabile della falsità, del male. Ad esempio: a chi piace ricevere offese? A nessuno. Va da sé che un’offesa è sempre male, perché ferisce chi la riceve e non fa onore a chi la pronuncia perché l’autocontrollo ci rende più… umani, appunto. A chi piace non essere amato da nessuno? A parte i casi psichiatrici, a nessuno. Quindi non volere amare e centrarsi solo su se stessi è male.

L’egoismo è male, non perché lo dice una religione, ma perché si oppone alle esigenze della natura umana. La psicologia conferma che la mancanza di oblatività è una forma patologica, fuori dal “normale”, (psicopatia) perché l’essere umano è un essere sociale e la mancanza di empatia (mettersi nei panni degli altri) è male. Quindi ha bisogno di amare e di essere amato, se vuole essere felice. Questa è la verità sull’uomo. È possibile andare liberamente contro questa natura, ma c’è un prezzo alto da pagare. Non è possibile infatti essere felici e andare contro la propria natura umana. Abraham Maslow ha identificato cinque bisogni naturali (posti su di una piramide immaginaria, dal più basso al più alto), che se non sono soddisfatti nel rispetto degli altri, portano alla frustrazione. È logico che la frustrazione sia sempre male e non piace a nessuno perché rende infelici.

I bisogni sono: Fisiologici (mangiare, bere, sesso, sonno); Sicurezza (morale, sociale, salute, occupazione); Appartenenza (amicizia, affetto familiare, intimità sessuale); Stima (autostima, autocontrollo, realizzazione, rispetto reciproco, stima degli altri nei nostri confronti); Autorealizzazione (moralità, spontaneità, creatività, accettazione, assenza di pregiudizi, realizzazione dei propri progetti). La verità sull’uomo e quindi ciò che è bene o male è stabilita prima di tutto dalla sua natura. Nei Comandamenti divini della religione giudaico cristiana non vi è nulla che sia contro natura. Osservarli vuol dire essere più felici ed essere più uomini o donne. A partire dal bisogno di infinito (Dio, primo Comandamento) sino ala lotta contro l’avidità che genera molti crimini (Non desiderare la roba d’altri). Gesù dice: ”c’è più gioia nel dare che nel ricevere” (cf. Atti 20,35). Non è un’affermazione valida solo per i cristiani e nemmeno solo per i credenti. Solo donando io scopro quanto valgo. A ricevere sono capaci tutti, anche gli idioti.

Nella dichiarazione universale dei diritti umani c’è molto riguardo la verità sull’uomo. Non è legata ad una dottrina religiosa, anche se nasce in una cultura (giudeo cristiana) che rispetta il diritto naturale, prima ancora dei dettami divini. La Parola di Dio si inserisce semplicemente su una natura già scritta dal Creatore nel cuore dell’uomo. Il fatto che devo amare se voglio essere felice è un Comandamento che trovo già dentro di me e vale per chiunque su questa Terra. L’articolo 1 della Dichiarazione recita: “Tutti gli esseri umani nascono liberi ed eguali in dignità e diritti. Essi sono dotati di ragione e di coscienza e devono agire gli uni verso gli altri in spirito di fratellanza”. Non dice “se vogliono”, dice “devono”. Inoltre, si parla di “fratellanza”, non di semplice “tolleranza”. È una dichiarazione laica, non religiosa, ma dice molto sulla verità scritta nel cuore umano dalla mano divina. Il male è assenza di verità e di bene. È falsità. Rende schiavo l’uomo. Ecco perché la verità lo rende libero. E soprattutto lo rende più uomo. Per un cristiano poi la fede è autentica se porta ad amare: “Figlioli, non amiamo a parole né con la lingua, ma coi fatti e nella verità” (1 Giovanni 3,18).

Giorgio Nadali


I segreti della crocifissione

Giorgio Nadali

Il supplizio della crocifissione esiste da quasi tremila anni. Le prime tracce di crocifissione risalgono al IX secolo a.C., al tempo del re assiro Salmanassar III. Una rudimentale forma di crocifissione era l’impalamento. Il condannato era infilzato da un grosso palo appuntito nello stomaco, senza toccare organi vitali e poi lasciato ad agonizzare lentamente. Nel 332 d.C Alessandro Magno fa crocifiggere duemila persone appese a pali di legno sulle coste del Mediterraneo. Il gladiatore Spartaco e i seimila schiavi ribelli da lui guidati furono crocefissi settant’anni prima della nascita di Cristo. Nel V secolo a.C. erano molto diffuse le crocifissioni.
Tuttavia la crocifissione assume celebrità solo con Gesù Cristo, nel I secolo d.C. I romani hanno affinato la tecnica della crocifissione. Storici e studiosi cercano di scoprire in che modo Gesù Cristo fu assicurato alla croce. L’arte l’ha sempre presentato con i chiodi conficcati nei palmi delle mani. In questo caso il peso del suo corpo lo avrebbe staccato dalla croce. Gli studi di Mark Benecke, patologo forense tedesco, seguono le orme di Pierre Barbet, il primo medico che nel 1950 studiò scientificamente la crocifissione di Cristo, mediante l’utilizzo di cadaveri. Le mani possono sopportare un peso dai diciotto ai ventisette chili. Una struttura con catene per simulare le braccia ha dimostrato che ogni singola mano del condannato a braccia spiegate sulla croce, sostiene tutto il peso del corpo. Quindi ogni mano non può sopportare il peso di 78 chili di un corpo di 180 centimetri, il peso e l’altezza presumibile di Gesù Cristo (in base agli studi sulla Sindone). È probabile che i romani crocifiggessero le mani in uno spazio compreso tra le ossa del polso, chiamato spazio di Destot. Il dolore è molto intenso e provoca continue scariche brucianti alla mano, perché quest’area è attraversata dal nervo mediano. Il pollice si ritrae (come si vede nell’immagine della Sindone). Inoltre in greco antico (la lingua originale del Nuovo Testamento) il termine χείρ non fa distinzione tra braccio, mano e polso. Erano presenti sia corde sia chiodi (presumibilmente lunghi dieci centimetri, in base al ritrovamento nel 1968 dell’osso detto di Yehonan, sugli antichi luoghi di crocifissione a Gerusalemme).

Il modo in cui erano inchiodati i piedi era determinante per la durata di resistenza sulla croce. Si andava da poche ore (rara, come per Gesù) sino a diversi giorni (molto frequenti). Difatti in caso di necessità i romani ponevano fine all’agonia mediante il crurifragium – la rottura delle tibie mediante una lunga mazza – fatto che fu risparmiato a Gesù perché era già morto (realizzando la profezia in Giovanni 19,36, Salmo 34,21 e Esodo 12,46). Nel caso di crocifissione dei piedi classica dell’arte sacra, la respirazione è molto difficoltosa e estremamente dolorosa perché i piedi assicurati allo stipes (il braccio verticale della croce) impediscono di bloccare le ginocchia e il condannato sostiene tutto il peso con i muscoli delle cosce, se non vuol pendere completamente dai chiodi. Ogni volta che il condannato cerca di sollevarsi per respirare, i nervi sono sollecitati ulteriormente. Il suppedaneo presente nell’arte sacra non è storicamente attendibile. I piedi erano inchiodati direttamente allo stipes. Le rappresentazioni artistiche sono state realizzate da artisti che non hanno mai assistito a una crocifissione. Il condannato cerca di sollevarsi per alleviare il dolore al nervo mediano, ma in questo modo carica la muscolatura e strofina la schiena contro lo stipes con maggiore perdita di sangue che fa andare in shock ipovolemico. Il cuore non riesce a pompare abbastanza sangue agli organi vitali. In realtà nessuna posizione consente di alleviare il dolore.
La causa finale della morte di Cristo. A causa della difficoltà respiratoria nei polmoni aumenta il biossido di carbonio e diminuisce l’ossigeno del sangue. È l’ipossia che porta al soffocamento. Inoltre le cadute di Gesù con il patibulum sulle spalle, riportate dai Vangeli hanno provocato probabilmente una lesione cardiaca. Lo sforzo del muscolo cardiaco ha provocato un aneurisma. È probabile, secondo studi, che la frequenza cardiaca sulla croce fosse di 170 battiti al minuto. Se non curato il tessuto può rompersi. Il peso del patibulum (braccio orizzontale) è stimato in quarantacinque chili. Una caduta di questo tipo corrisponde ad un urto frontale in auto a cinquanta chilometri all’ora senza l’uso della cintura di sicurezza. Lo stesso vale per i colpi di flagello. È impossibile che il condannato portasse l’intera croce, stimata in centocinquanta chili. Ad un certo momento le funzioni vitali cessano di colpo. È il dolore stesso che uccide. Tuttavia, in base ai Vangeli, risulta che Gesù fosse ancora in grado di parlare lucidamente e di essere sentito chiaramente da sotto i 2,5 metri della croce (es. Luca 23,34). Il cervello era dunque irrorato normalmente. Non fu dunque lo shock ipovolemico a ucciderlo. Chi va in shock ipovolemico perde conoscenza e non è in grado di parlare lucidamente. Non fu nemmeno l’asfissia. Riusciva infatti a parlare ad alta voce. Fu dunque lucido e cosciente sino all’ultimo momento in cui una lesione cardiaca fece cedere improvvisamente il cuore. A questo punto la frequenza cardiaca è di 180 battiti al minuto e qualcosa di simile ad un infarto fa sopraggiungere la morte. Il cuore danneggiato continua a pompare sangue, ma la sacca pericardica è sotto pressione e cede all’istante. La morte di Cristo fu per rottura del muscolo cardiaco. Il dottor David Ball ha pubblicato nel 1989 le sue conclusioni sul «Journal of the Mississippi State Medical Association» confutando un altro studio pubblicato sul «Journal of the American Medical Association» secondo cui Cristo morì per soffocamento sulla croce.
Dagli esperimenti del dottor Ball risulta che la frequenza cardiaca di una persona legata sulla croce (senza le mani e i polsi bucati dai chiodi) passa subito da settantotto a centodieci battiti al minuto. Dopo due minuti e mazzo sopraggiunge giù il dolore nelle cosce. Dopo sette minuti la frequenza passa a centosettanta battiti e le gambe hanno tremori incontrollabili. Dopo quindici minuti e venti secondi i volontari appesi ad una croce (senza chiodi) hanno riferito che il dolore a gambe e braccia diventa insopportabile. L’aria inalata è diminuita del 10%. Il dottor David Ball ha dimostrato in pubblico – durante un servizio religioso evangelico nel 2007 – utilizzando dei manichini coperti di uretano, molto simile alla pelle umana, cosa significhi una flagellazione. La dimostrazione è avvenuta presso la Hartselle’s East Highland Baptist Church (Alabama, USA). «Dal costato di Cristo uscì sangue e acqua». (Giovanni 19,34). La scienza lo conferma. Nel cuore si accumula un liquido più chiaro (definito “acqua” dai Vangeli). Perforando in quella situazione il pericardio ne esce un forte getto sotto pressione. La lancia usata per quest’operazione è chiamata “Lancia di Longino”. Il nome del centurione romano che trafisse il costato di Cristo non è presente nei Vangeli canonici, ma in quello apocrifo di Nicodemo. Secondo la tradizione si convertì, morì martire decapitato a Mantova ed è oggi il santo patrono di militari e non vedenti. Già sotto la croce riconobbe la divinità di Cristo (Marco 15,39). A lui è dedicata una statua del Bernini alla base dell’altare maggiore della basilica di San Pietro in Vaticano. La punta della sua lancia è custodita nella Schatzkammer del museo dell’Hofburg a Vienna. Durante la Seconda Guerra Mondiale i nazisti cercarono di impossessarsene perché le vengono attribuiti poteri miracolosi.
Anche i nazisti usavano la crocifissione nei campi di concentramento, con la differenza, rispetto a Cristo, che il condannato era appeso con le braccia sopra la testa, con i piedi liberi. In questo modo vi è un soffocamento molto rapido. Tuttavia nel 1943 il soldato australiano Ringer Edwards catturato dai giapponesi resistette sessantatré ore su di una croce in questo modo e sopravvisse.
La crocifissione – chiamata haritsuke – era conosciuta anche in Giappone. Fu introdotta nel periodo Sengoku (1467–1573), dopo 350 anni senza pena di morte. I guerrieri ninja (le spie del Giappone feudale) reprimettero duramente il cristianesimo giapponese sino a ridurlo nel 1640 d.C. a pochissimi fedeli. Il 2 febbraio del 1597 il samurai Toyotomi Hideyoshi ordinò la crocifissione mediante la tecnica detta hikimawashi di sei giapponesi convertiti al Cristianesimo e di venti frati francescani. La tecnica è del tutto simile a quella della crocefissione di Gesù. I condannati dovettero inoltre camminare per i mille chilometri da Kyoto e Osaka a Nagasaki per poi subire lo stesso martirio di Cristo. In realtà i condannati furono crocefissi e immediatamente dopo infilzati da sotto con una lunga lancia nella gola, per una morte molto rapida. Una chiesa sulle colline Nishizaka di Nagasaki ricorda nei suoi mosaici i primi martiri cristiani in Giappone. I giapponesi usavano anche la tecnica chiamata sakasaharitsuke con la quale il condannato veniva crocifisso a testa in giù, come vuole la tradizione riguardo al martirio di San Pietro apostolo. Molti cristiani venivano crocefissi in Giappone con la tecnica mizuharitsuke. La croce era immersa nell’acqua della bassa marea, mentre il condannato attendeva la morte all’arrivo dell’alta marea che sommergeva la sua croce.
Oggi la crocifissione è usata come metodo di esecuzione capitale in Arabia Saudita, Sudan e Birmania. Si parla di crocifissione nella sura (capitolo) 5,33 del Corano come pena per il ladro che uccide la sua vittima. In Iran è in disuso, ma teoricamente prevista. Amnesty International ha denunciato ottantotto crocifissioni nel 2002 nella regione del Darfur, in Sudan.

Giorgio Nadali, I segreti delle religioni EBOOK, Edizioni Youcanprint, Tricase, 2015, ISBN: 978-88-911-7694-3


Il segreto del predicatore più influente al mondo

 

Joel Osteen combina le più avanzate tecniche psicologiche motivazionali con la Bibbia. I suoi sermoni sono tutti incentrati sulla motivazione, l’ottimismo e il successo di chi ha fede in Gesù Cristo. Questo ha portato al pastore americano una popolarità enorme. Ogni settimana raggiunge sette milioni di telespettatori in cento Paesi diversi contendendo il primato al papa cattolico. Come fa?
Il penultimo libro di Joel Osteen ha un titolo che farebbe sorridere un teologo tradizionalista. Every day a Friday. «Ogni giorno è venerdì». Sottotitolo: How to be happier 7 days a week. «Come essere felici 7 giorni la settimana». Nel libro precedente Joel Osteen è ancora più esplicito. Titolo: It’s your time. «È il tuo momento». Sottotitolo: Activate your faith, achieve your dreams and increase in God’s favor. «Attiva la tua fede, realizza i tuoi sogni e aumenta il favore di Dio».

Qualcuno obietterebbe subito: Ma qui si intende un Dio sempre pronto ad accontentarci! In effetti, Dio è sempre pronto a ricolmarci del suo favore. Ma questo non vuol dire come e quando desideriamo noi e non significa senza difficoltà. Lo stesso Dio che apre, anzi, ci spalanca delle porte (una di queste la state leggendo in questo momento) che mai noi potremmo aprire, è lo stesso Dio che le chiude per noi. Qui è il punto. Sempre per il nostro bene e per il nostro successo. Dio vede dietro gli angoli della nostra vita. Le nostre difficoltà non capitano a noi, ma per noi. Dio ci mette al riparo da scelte sbagliate, ci stimola a salire a un livello superiore togliendoci qualcosa di vecchio. Anzi, Osteen ci invita a non accontentarci dei “6” nella nostra vita. Dio vuole i “10” per noi. Ma questo richiede molta fede. Lo stesso Gesù lo dice: «Se aveste fede come questo granello di senape potreste dire a questa montagna levati e gettati nel mare e questa vi ascolterebbe» (Luca 17,6). E ancora: Tutto è possibile per chi crede (Marco 9,23). Non c’è nulla nella teologia della prosperità che sia in contrasto con le altre Chiese cristiane. Sono queste casomai che hanno perso di visto quest’aspetto importante della vita cristiana. Dio ci vuole vincenti. Dio vuole ricolmarci del suo favore. Dio si prende cura e lavora per il nostro successo ogni giorno. Ma noi glielo permettiamo? Il lagnarsi rende difficile quello che Dio vorrebbe donarci e che ha in serbo per noi. Crederlo impossibile, peggio, ingenuo, lo rende irrealizzabile. È come se il cieco nato avesse detto dentro di sé: «perché dovrebbe aiutarmi? Questo sarebbe troppo bello perché sia vero!»

Ecco, tanti pensano questo, ma non lo dicono. E non ottengono. Inoltre «Dio sa come renderci graditi agli altri. Possono essere stati contro di noi per anni, ma quando Dio cambia le cose, loro faranno di tutto per venirti incontro. Invece di ostacolarti ti aiuteranno. Dio non permetterà a nessuno da trattenerti dal tuo destino. Possono essere più grandi, più forti e più potenti, ma Dio sa come sistemare le cose e portarti dove dovresti essere».
Nel libro It’s your time, cioè «È il tuo momento» Joel Osteen parla delle parole di fede che attivano la benedizione di Dio sulla nostra vita. Osteen scrive: Molti non ottengono perché non osano neppure sperare. «Chiedete e non ottenete perché chiedete male» dice la Bibbia (Giacomo 4,3). Invece Dio desidera ricolmarci della sua benedizione e realizzare anche i nostri sogni che ci appaiono impossibili. Tutto questo è in linea con la Parola di Dio e con la dottrina cattolica, anche se Joel è il pastore di una chiesa evangelica. Il suo messaggio insiste su come Dio ci voglia vittoriosi. È vero, Gesù ha detto anche «Chi vuol essere mio discepolo prenda la sua croce e mi segua» (Luca 9,23) ma questo non è in contrasto col fatto che Dio voglia il massimo per noi e voglia realizzare tutti i desideri del nostro cuore, anche oltre a ciò che osiamo sperare. Portare la croce non vuol dire avere una mentalità vittimistica o un atteggiamento depresso e non ha nulla a che fare con l’umiltà il non osare neppure fare presente al Signore i nostri sogni. Infatti, Gesù Cristo ha promesso: «Chiedete e vi sarà dato». (Luca 11,9).
«Lo Spirito soffia dove vuole» e non è certo limitato dal fatto che una persona sia cattolica o ortodossa o evangelica protestante! Non basta pensare alle parole di fede. Bisogna proprio dirle ad alta voce. Osteen predica, infiamma gli animi e nel capitolo che si intitola in originale Speaking Faith-Filled Words cioè «Pronunciare parole piene di fede», scrive:
«Le nostre parole possono benedire il nostro futuro oppure possono maledirlo. Talvolta ti sentirai giù. Ti senti oppresso dai problemi. Ma non insistere sul negativo. Invia le tue parole nella direzione che tu desideri che prendano! Non usare le tue parole per crogiolarti in una situazione negativa. Usale per cambiare la situazione. Lascia che le tue parole ti sollevino. Abbi il coraggio di fare delle dichiarazioni di fede che ti facciano progredire. “Sai? Questo sarà un grande giorno.

“Ho il favore di Dio. Lui dirige i miei passi. Qualsiasi cosa tocchi prospererà e avrà successo”. Quando dai voce alla tua fede, benedici il tuo futuro. Non è sufficiente pensare alla fede e alla speranza. Non basta solo crederci. Diamo vita alla nostra fede quando pronunciamo ad alta voce i nostri sogni. Le parole sono come semi. Piantali con attenzione per nutrire la tua fede, per innalzare la tua vita sempre più in alto. Quando Dio ascolta espressioni di speranza e di ottimismo dice agli Angeli: “Sentite cosa sta dicendo? Sta pronunciando parole di fede. Angeli, ho un compito per voi. Scendete e incominciate a girare quella situazione a suo favore».
La Scrittura dice che dobbiamo chiamare le cose che ancora non sono, come se già lo fossero. Puoi non sentirti bene, ma non devi insistere sui sentimenti negativi con le tue parole: “Mi fa male la schiena da anni. Sto diventando vecchio. Non penso che starò mai meglio”. Queste parole parlano di sconfitta nel tuo futuro. Girale a tuo favore. Riferisci di una vittoria: “Posso non sentirmi in forma, ma so che è solo un fatto temporaneo. Dio sta recuperando la mia salute. Sto diventando più forte, più giovane. I miei giorni migliori sono davanti a me”. Con queste parole di vittoria riceverai ciò che hai chiamato. Più parliamo del negativo, più negativi diventiamo. Se ti svegli la mattina sentendoti letargico, invece di lamentarti dovresti dichiarare: «Sono forte, sono pieno di energia. Dio sta rinnovando la mia forza. Posso fare ciò che devo oggi!» Non parlare di come ti senti quando sei giù. Parla di come vuoi essere.
La Scrittura dice: «Il redento dal Signore lo dica». Se vuoi salire di livello devi dirlo. Se vuoi superare un vizio devi dirlo. Se punti a un anno benedetto, se sei determinato a realizzare i tuoi sogni, allora dillo! Nulla accade se tu non lo dici. Nota che la Scrittura non dice: «Il redento del Signore lo pensi» o «Il redento del Signore lo creda». Certo, è importante pensare bene. È importante credere bene. Ma qualcosa di soprannaturale accade quando tu lo pronunci. Oppure: «Posso essere un po’ solo in questo momento, ma so che è solo un periodo passeggero. Dio sta portando qualcuno di grande nella mia vita. Il mio “qualcuno” perfetto sta arrivando. E un giorno saremo perfettamente felici!» Se speri di vedere il meglio di Dio per la tua vita pronuncia vittoria sulla tua vita. Se non esponi la tua visione con parole piene di fede, stai limitando ciò che Dio può fare.

Ogni giorno prima che tu esca di casa devi dire: «Padre, voglio ringraziarti per avere il tuo favore sulla mia vita oggi. Padre, grazie perché stai dirigendo i miei passi e stai facendo in modo che io sia nel posto giusto al momento giusto. Grazie perché il tuo favore mi sta portando opportunità, miglioramenti, benedicendomi affinché io possa essere una benedizione per qualcun altro». Il Salmo 90,2 dice: «Dì al Signore: “Mio rifugio e mia fortezza, mio Dio, in cui confido”». La Scrittura prosegue e dice: Egli «ti proteggerà», «ti libererà», «ti coprirà». Nota il collegamento: «Io dirò» e «Egli farà». Questo mi fa capire che se non diciamo del Signore, Egli non farà ciò che chiediamo di Lui. Trova le promesse nella Scrittura e dì del Signore. Prendi quella promessa e dì: «Dio, tu hai detto che mi vuoi in salute, hai detto che vuoi farmi prosperare. Così dico del Signore: “Tu sei Colui che mi guarisce, Tu sei Colui che provvede a me, Tu sei Colui che spiana la mia via, Tu sei il vendicatore, Tu sei la mia vittoria”». Perché la tua situazione non cambia? Dichiari il favore di Dio ogni giorno? Ti alzi tutte le mattine e dici: «Sono benedetto, cammino nella salute divina. Il favore di Dio mi sta aprendo nuove porte. Realizzerò il mio destino»? Puoi non essere benedetto in questo momento. Puoi avere problemi economici, la tua salute essere malferma, ma puoi pronunciare fede senza negare la realtà. Dio ha detto: «Che il debole dica “io sono forte”». Non ha detto «Che il debole parli della sua debolezza». Invece di dire: «Tutti sono benedetti tranne me. Non so perché gli altri hanno occasioni d’oro e io no» ti suggerisco di dichiarare a te stesso: «Sono benedetto, prospero, ho il favore di Dio, sono in buona salute, sono libero». Fai un accordo con Dio. L’altra voce può essere più forte, ma puoi coprirla. Puoi portar via il suo potere semplicemente scegliendo la voce della fede. Non parlare dei tuoi problemi; parla ai tuoi problemi.
Nella Scrittura, Zorobabele [nel libro di Esdra] un discendente del re Davide e governatore di Giuda, incontrò una grande difficoltà. Gli fu ordinato di ricostruire il tempio sul Monte Moriah dove il leggendario tempio di Salomone era stato distrutto settanta anni prima. Il compito sembrava impossibile a causa dell’opposizione dei residenti locali. Ma Zorobabele non si scoraggia. Invece sceglie di affrontare il suo compito e dice: «Chi siete grandi montagne che state contro di me? Diventerete piane, delle semplici collinette e io finirò il tempio gridando “Grazia! Grazia!” ad esso». Fai un accordo con Dio. Dì ciò che Dio dice di te. Pronunciare le sue parole è una delle cose più potenti che tu possa fare. Ricorda, non basta pensarle. Non basta crederle. Dai vita alla tua fede. Dichiarala.
In un altro punto del libro Joel ricorda che Gesù disse: «Sia fatto secondo la tua fede» (Matteo 8,13). Ciò significa che se preghi per cose piccole, riceverai cose piccole. Ma puoi imparare a pregare in modo grande e ad aspettarti cose grandi e a credere in modo grande. Dio farà grandi cose nella tua vita. La Scrittura dice nel Salmo 2,8: «Chiedi a Me e io ti darò le nazioni come tua eredità». Dio vuole che tu gli chieda cose grandi. Chiedigli per quei sogni segreti piantati nel tuo cuore. Chiedigli addirittura per ciò che non potrà mai avvenire nell’ambito naturale. Chiedigli di compiere le tue più alte speranze e sogni.
Un Dio troppo buono perché sia vero! Invece Cristo dice proprio «La tua fede ti ha salvata» (Luca 7,50) e «Donna davvero grande è la tua fede» (Matteo 15,28) a chi ha osato sperare e credere contro ogni aspettativa umana, contro ogni realismo umano che limita l’azione soprannaturale di Dio. Per l’evidenza non c’è bisogno di credere. È il messaggio della chiesa dell’ottimismo di Lakewood Church e della Teologia della prosperità.

Giorgio Nadali


Valori cristiani. 1. Perdono. Benessere dell’anima

 

«Se voi infatti perdonerete agli uomini le loro colpe, il Padre vostro celeste perdonerà anche a voi»(Matteo 6,14). «Ognuno di noi perdona in proporzione della sua capacità di amare». (François de La Rochefoucauld). La misericordia è l’amore che va oltre la giustizia. Da essa siamo stati creati ed anche salvati. La capacità di perdonare deriva dal valore principale della carità, cioè dell’amore. La persona oblativa non idealizza l’altro, ne ha un’immagine realistica, sa che l’altro può sbagliare esattamente come lui, anche se sotto diversi aspetti.Molte persone, a causa di un sentimento di colpa profondamente radicato, incontrano notevoli difficoltà a perdonare ed anche a farsi perdonare. Questi individui rifiutano inconsciamente di perdonare, sentendo che è giusto farlo. Spesso rifiutano anche Dio, perché lo vedono attraverso la lente deformante della loro mancata auto-accettazione.  Il cosiddetto “moralismo” (cioè la morale statica, schematica, amministrativa e punitiva) corrisponde infatti ad una forma nevrotica di rigidità morale. La persona“immatura” tende ad idealizzare, cioè ad assolutizzare nel proprio rigido schema mentale, sia le qualità che i difetti degli individui con i quali entra in contatto. È chiaro che identificherà l’amicizia con l’amico, l’amore con la persona amata, ma anche i difetti e gli errori con la persona che li vive.

L’equilibrio emotivo è quindi molto instabile ed esposto continuamente alla frustrazione e alla delusione.C’è una grande saggezza psicologica nell’insistenza della tradizione cristiana che il perdono proviene attraverso la Croce di Cristo. Perché in quest’uomo, ingiustamente processato, torturato e inchiodato a una croce, il cristiano vede dischiudersi le qualità del Dio che è attivo in tutto ciò che avviene. Egli vede nell’uomo crocifisso Dio che attua interamente la sua identificazione con gli uomini e con le donne, a prescindere dalla loro responsività. Se Dio arriva a tanto nel tollerare gli uomini così come sono, allora un uomo dovrebbe essere capace di tollerare se stesso…Bunyan, scrivendo sul cristiano, descrive la propria esperienza. Dopo essere stato tormentato per molti anni da un sentimento di colpa, imparò attraverso la croce a smettere di rifiutare se stesso e ad entrare nella pace del perdonato, la pace di coloro che accettano se stessi perché credono che Dio li abbia accettati… Ogni persona, per realizzare il proprio potenziale come essere umano, ha bisogno di affrontare e accettare il lato cattivo, apparentemente vergognoso, di se stesso. La realizzazione del perdono divino, se correttamente compresa, permette agli uomini di accettarsi; mette termine alla guerra civile all’interno della personalità. Questa pace interiore, questa realizzazione di potersi accettare, segue spesso la realizzazione di essere accettati dagli altri…

Oltre al fatto che molti non riescono ad accettare se stessi finché non si rendono conto di essere accettati da altri, sembra anche che non riusciamo a perdonare a meno che non ci rendiamo conto di essere perdonati. Se un uomo non può accettarsi, ed è sulla difensiva verso una parte della propria personalità, gli sarà impossibile accettare completamente gli altri. Se invece l’uomo ha trovato la pace che deriva dall’aver accettato se stesso, sarà capace e felice di accettare gli altri; non avrà più paura delle ripercussioni che tale accettazione potrebbe avere sul suo intimo. Poiché è in pace con Dio e in pace con se stesso potrà essere in pace con tutti gli uomini». Si perdona per amore verso gli altri, ma anche per amore verso se stessi. Si perdona per continuare a vivere sereni, senza rancore. Non è dimenticare il male ricevuto, ma superarlo per vivere in pienezza. Inoltre, l’incapacità di perdonare rende impossibile comprendere e rendere efficace il perdono di Dio.«Neanche io ti condanno. Và e d’ora in poi non peccare più» (Giovanni 8, 11) «La tua fede ti ha salvato» (Luca 17, 19).“Solamente chi è forte è capace di perdonare.

Il debole non sa ne perdonare ne punire”, diceva Gandhi. «Dimenticare le devastazioni del peccato, dirai, nessuno lo può; resta il rimorso, tenace, lancinante. Se la tua immaginazione ti presenta l’immagine distruttrice del passato, sappi che Dio non ne tiene conto. L’hai capito? Per vivere il Cristo in mezzo agli altri, uno dei rischi più grandi è il perdono. Perdonare e di nuovo perdonare, ecco ciò che cancella il passato e immerge nell’istante presente. Portatore del nome di Cristo, cristiano, per te ogni istante può diventare pienezza… Non si perdona per interesse, perché l’altro cambi. Sarebbe un calcolo miserabile che non ha nulla da spartire con la gratuità dell’amore. Si perdona a causa del Cristo». Così scriveva Frere Roger Schutz, fondatore della comunità ecumenica di Taizé, in Francia. Ventidue anni dopo – nel 2005 – all’età di novant’anni, fu accoltellatoil 16 agosto da una squilibrata romena durante la preghiera comune della sera nella chiesa della riconciliazione, davanti a tremila fedeli. Ai suoi funerali i suoi confratelli dissero: «Dio di bontà, noi affidiamo al tuo perdono LuminitaSolcan che, in un atto malsano, ha messo fine alla vita del nostro fratello Roger. Insieme a Cristo sulla croce, ti diciamo: Padre, perdonala, non sa quello che ha fatto (Luca 23,34). Spirito Santo, ti preghiamo per il popolo di Romania e per i giovani romeni talmente benvoluti a Taizé». L’unica via di uscita alla spirale del mistero del male è il perdono. Solo perdonando si può proseguire serenamente il cammino della vita, perché – come diceva Nelson Mandela – il perdono libera l’anima e cancella la paura.

Giorgio Nadali

 

 


Rosario brucia l’incenso

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di Giorgio Nadali

L’uso dell’incenso nelle Religioni è testa a testa con l’uso dell’oggetto sacro che nel Cattolicesimo è chiamato “rosario”.

Il rosario è un oggetto di culto comune a diverse religioni. La preghiera meditativa è scandita dai grani dei rosari cattolici, ortodossi, islamici, induisti, buddhisti e degli Hare Krishna. Il rosario cattolico è una “Corona di rose” offerta alla Madonna, da cui il suo nome. Si diffonde nasce nel tardo Medio Evo grazie alle confraternite del Santo Rosario, fondate dal frate Pietro da Verona. Quello ordinario ha 50 grani, mentre la versione francescana ne ha 70. I 50 grani sono 5 decine composte da un Padre nostro, dieci Ave Maria, un Gloria al Padre. La decina termina con la “Preghiera di Fatima” o l’Eterno Riposo per i defunti. Al termine delle cinque decine si recita il “Salve Regina”. Il rosario completo è composto in realtà da quindici decine. Le prime cinque vengono recitate il lunedì e giovedì (o sabato) e meditano ciascuna i “misteri gaudiosi”, le secondo cinque il martedì e venerdì e meditano i “misteri dolorosi” della Passione di Cristo. Il mercoledì e la domenica (o sabato) si meditano i cinque “misteri gloriosi” con le ultime cinque decine. Dal 2002 è possibile aggiungere il giovedì anche altre cinque decine dei “misteri luminosi”, voluti con la lettera apostolica Rosarium Virginis Mariae del 16 ottobre 2002, da San Giovanni Paolo II. La lettera dice tra l’altro: “Il Rosario, infatti, pur caratterizzato dalla sua fisionomia mariana, è preghiera dal cuore cristologico. Nella sobrietà dei suoi elementi, concentra in sé la profondità dell’intero messaggio evangelico, di cui è quasi un compendio. In esso riecheggia la preghiera di Maria, il suo perenne Magnificat per l’opera dell’Incarnazione redentrice iniziata nel suo grembo verginale”. Il rosario ortodosso (Russia, Ucraina, Romania, Bulgaria, Bielorussia, Serbia, Grecia, ecc.) si chiama “corda da preghiera” e non ha lunghezza fissa. Di solito i grani sono 33, 50 o 100 ed è comunemente fatto di lana annodata. La corda da preghiera ortodossa è basata sulla “preghiera del cuore”, o preghiera di Gesù, basata sulla preghiera della parabola del pubblicano nel Vangelo di Luca: “Signore Gesù Cristo, Figlio di Dio, abbi misericordia di me peccatore”. Il rosario greco ortodosso si chiama komboloi. Il rosario islamico è il misbaha o tasbīḥ. È formato da 99 grani, oppure da 33 ripetuti 3 volte. Ciascun grano (fatto di legno, avorio, perla o plastica) è uno dei 99 nomi di Allah. Recitarli a memoria è la dhikr. I primi ad usarlo furono i sufi, i mistici islamici. Il rosario induista si chiama japa mala (che significa ghirlanda) o rudraksha. È fatto di semi di Elaeocarpus ganitrus. Composto da 108 grani, ciascuno è un mantra (preghiera, a volte composta anche da una sola sillaba come “OM”) o invocazione del nome di una divinità. Va usato con la mano destra e il pollice che fa passare i grani. Il mala va avvolto sul dito indice che rappresenta il proprio ego, ciò che frena la propria realizzazione personale. Il mala (rosario) buddhista è molto più antico di quello cristiano (il Buddhismo ha 2500 anni). Serve per la recitazione di mantra e di dhāraṇī (gzung-ma in tibetano), cioè di versetti rituali composti da sillabe, come il nembutsu (o nianfo), la ripetizione del nome di Amitābha, un Buddha celestiale. Infine il mala (rosario) degli Hare Krishna (organizzazione religiosa di matrice induista nata nel 1966 negli USA) viene recitato con la mano che scorre i grani del rosario racchiuso dentro un sacchetto di tela e serve per recitare il grande (maha) mantra o Vaishnava mantra composto da sedici parole.

L’incenso è simbolo di santità. I suoi fumi rappresentano le preghiere degli uomini che salgono in cielo. A Gesù bambino l’incenso fu donato dai Magi per questo motivo. Purifica l’ambiente sacro e immette nella dimensione divina. Non a caso la pianta dalla quale proviene si chiama Boswellia Sacra. È usato da diverse religioni. Cristianesimo cattolico e ortodosso, Induismo, Buddhismo, Taoismo, Shintoismo. Quello cattolico viene generalmente usato solo dal sacerdote, è in granelli che vengono posti nella navicella e poi posti con un cucchiaino dentro al turibolo insieme alla carbonella. Nel Cristianesimo ortodosso e in tutte le altre religioni l’incenso è acquistato e usato direttamente dai fedeli. Nell’Induismo, Buddhismo e Taoismo di solito viene usato dai fedeli quello in piccoli bastoncini da bruciare al tempio oppure in forma di spirali coniche (Taoismo). Nel Buddhismo e Taoismo i bastoni di incenso possono essere anche di grandi dimensioni – sino ad un metro – e costosi. Sono acquistati e lasciati bruciare presso un’immagine sacra. L’incenso è citato 124 volte nella Bibbia, di cui 4 nei Vangeli e 1 nell’Apocalisse. I cristiani ortodossi in Grecia lo comprano come le caramelle. Nel negozio scelgono il tipo desiderato e con una paletta lo mettono in un sacchetto e lo acquistano a peso. Sono grossi cristalli multicolore. Anche la chiesa russo ortodossa lo vende ai fedeli in scatolette colorate. I fedeli lo accendono personalmente in chiesa o in casa davanti alle icone… L’incenso “non combustibile” è una combinazione di ingredienti aromatici che non sono preparati o modellati in una forma particolare ed è per lo più inadatto per la combustione diretta. L’uso di questa classe di incenso richiede una sorgente separata di calore poiché generalmente questo incenso non può accendersi senza altre sostanze. Questo incenso può variare per la durata della sua combustione e per la struttura del materiale. Gli ingredienti più fini tendono a bruciare più rapidamente, mentre quello macinato grossolanamente o intero può consumarsi a poco a poco, in quanto ha meno superficie totale. Il calore è tradizionalmente fornito da carbone o brace. In Occidente, gli incensi più noti di questo tipo sono il franchincenso e la mirra, probabilmente a causa loro numerose menzioni nella Bibbia cristiana. Nel tipo intero l’incenso viene bruciato direttamente nella sua forma. In polvere o granulato. Questo incenso brucia rapidamente e fornisce un breve periodo di profumi intensi. Nella pasta di incenso il materiale in polvere o in granulato viene miscelato con un legante appiccicoso e incombustibile, come frutta secca, miele, o una resina morbida e quindi modellato in sfere o piccole pastiglie. Queste vengono lasciate maturare in un ambiente controllato in cui i profumi possono mescolarsi e unirsi. Nell’ambito della tradizione orientale cristiana ortodossa, l’incenso grezzo viene macinato in una polvere fine e poi mescolato con vari oli essenziali profumati. Gli incensi più aromatici sono la canfora borneola, il benzoino di Sumatra, l’incenso dell’Oman, il guggul, l’incenso dorato, il balsamo del Tolu, la mirra di Somalia e il sandalo indiano bianco.

Giorgio Nadali

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Il futuro delle Religioni

di Giorgio Nadali

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Con l’avvento dell’anno 2001 dell’era cristiana si è aperta la porta sul mistero di un nuovo millennio di storia, con le sua aspettative, angosce, speranze, previsioni. Certo non molto è cambiato per chi vive alla giornata o per quella maggioranza di noi che nella propria agenda ha scadenze entro l’anno in corso. L’odissea nello spazio non c’è stata e la fine del mondo ha deluso quei cinque milioni che l’aspettavano ansiosamente e l’avevano già segnata in rosso nelle scadenze da ricordare. Ma guardare al futuro è cercare di capire cosa ci attende anche a breve termine. L’uomo ha sempre cercato nel futuro risposte al presente. Dalle sfere di cristallo agli oroscopi online, dagli oracoli alle proiezioni della moderna statistica.

Molti cercano di prevedere i cambiamenti che ci attendono in questo decennio, altri si spingono sino ai confini del secolo e oltre. Alcuni tentano di predire il futuro delle religioni, come ad esempio il World Network of Religious Futurists, di Seattle (USA). Certamente i lettori più dotati di senso pratico si domanderanno il senso di tale preoccupazione. A loro potrebbero rispondere i lettori più attenti agli aspetti sociali. La religione è parte integrante degli usi e costumi di un popolo, e incide sulle scelte e sugli orientamenti etici della società nella quale viviamo. I lettori amanti delle statistiche si affretterebbero poi a portare i loro dati pieni di percentuali. Ci direbbero che, in base a varie proiezioni delle Nazioni Unite, il totale della popolazione mondiale crescerà sino al 2025 dai 6,25 miliardi attuali a 8,5 miliardi. Il Cristianesimo vedrà crescere il suo numero di fedeli dal 33,4% della popolazione della Terra, sino al 35,5%, mentre l’Islam passerà dal 18,5% al 20,2%. Gli agnostici diminuiranno. Dal 16,1% al 15%.  I non credenti si apriranno alla fede, almeno per quella differenza che farà calare la loro già esigua rappresentanza del 13%.  Le religioni orientali passeranno dal 3,4% al 2,7%  e le religioni tribali vedranno quasi dimezzati i loro credenti, dallo 1,5% allo 0,9% mentre Ebrei, Indù, Buddhisti e Sikh si manterranno su posizioni percentuali proporzionate a quelle attuali.

Il Cardinale Arinze, in una conferenza del 1997 presso il Center for Muslim-Christian Understanding della Georgetown University di Washington D.C, esordì ricordando che i cristiani costituiscono il 33% della popolazione mondiale. I musulmani il 18%. Ciò significa che più della metà del pianeta segue queste due grandi religioni monoteiste. E’ importante tenerne conto. Conflitti etnici tra cristiani e musulmani in Bosnia, Timor Est, Kosovo, hanno tristemente riempito pagine di quotidiani. In Italia è sorta la seconda grande moschea. Altre seguiranno, in base al trend dell’immigrazione.  La relazione tra cristiani e musulmani sarà una questione molto importante nel prossimo futuro. “E’ importante soprattutto educare le persone della propria religione ad accettare e rispettare gli altri e a cooperare per promuovere la pace. La dimensione delle relazioni tra Cristiani e Musulmani è importantissima per il secolo che sta per iniziare” –  ricordava Papa Giovanni Paolo II alla sesta assemblea della conferenza mondiale sulla religione e la pace (Roma, 3-11-1994).  I leaders religiosi devono chiaramente dimostrare di impegnarsi per la promozione della pace, proprio in forza del loro credo religioso”. Senza accordo e armonia tra le religioni è facile dunque prevedere che non ci sarà pace né vicino né lontano da noi. E la storia insegna.

 Durkheim ha scritto della capacità quasi illimitata degli uomini di apportare innovazioni in campo religioso. Nel mondo moderno tale capacità innovativa è favorita maggiormente dal facile accesso alla vasta gamma delle tradizioni religiose. In futuro, grazie alle comunicazioni che accrescono il contatto tra le culture su scala mondiale, la gente potrà conoscere meglio una serie di credenze religiose una volta considerate del tutto incompatibili tra loro e beneficerà delle pratiche che avrà trovato fuori delle proprie tradizioni religiose… La tendenza all’eclettismo potrà subire un’accelerazione. 1

La secolarizzazione è il tema dominante nel moderno assetto del futuro della religione. Secondo Webster, il termine secolare ha il significato “di chi appartiene al mondo e alle cose terrene distinguendo dalla chiesa e dagli affari religiosi”. La secolarizzazione quindi significa divenire immanenti. Più specificatamente, gli scrittori moderni usano il termine secolarizzazione per significare l’erosione della credenza nel soprannaturale – una perdita di fede nell’esistenza di forze ultraterrene.

Attraverso la secolarizzazione, le sette sono addomesticate e trasformate in chiese. La loro iniziale fede nell’ultraterreno viene ridotta e si riduce a mondanità. La secolarizzazione porta anche al collasso di organizzazioni religiose a causa della loro estrema mondanità – la loro vaga e debole concezione del soprannaturale – le lascia senza mezzi per soddisfare almeno la dimensione universale dell’impegno religioso. Quindi, la secolarizzazione è il processo auto limitante che genera revival (formazione di sette) ed innovazione (formazione di culti). La maggior parte degli studiosi, comunque, non considera l’andamento attuale della secolarizzazione come il messaggero del cambiamento religioso, ma proprio come il declino finale degli dei. Molti riconoscono che, nel passato, la secolarizzazione produceva nella nascita di nuove fedi, ma sono convinti che oggi si è inserito un nuovo fattore che ha eliminato questa equazione: la crescita della scienza è inversamente proporzionale alla crescita del sentimento religioso. La scienza dovrebbe rendere non plausibile la religione, e di conseguenza la secolarizzazione moderna non produrrà più nuove grandi religioni, bensì un’era di razionalità in cui il misticismo non può più trovare un posto significativo. Anthony F.C. Wallace, tra i più importanti antropologi della religione, diede voce alla grande maggioranza dei moderni sociologi quando scrisse:

“… L’evoluzione futura della religione è l’estinzione. La credenza in esseri e in forze soprannaturali che incidono sulla natura senza obbedire alle sue leggi si sgretolerà e diverrà un’interessante memoria storica. Con certezza, questo evento probabilmente non avverrà nella prossima generazione, il processo probabilmente avrà bisogno di diverse centinaia di anni, e ci saranno sempre individui, o occasionalmente piccoli gruppi religiosi, che risponderanno alle allucinazioni, al trance, e all’ossessione con interpretazioni soprannaturali. Ma come tratto culturale, la credenza in poteri soprannaturali è destinata a morire, in tutto il mondo, come risultato dell’aumentata adeguatezza e diffusione della conoscenza scientifica… il processo è inevitabile.”2

Chiaramente, la scienza è una nuova è potente forza culturale, e ha il suo forte impatto su molte organizzazioni religiose. Certamente, un grande elemento nella moderna secolarizzazione comporta il ritiro dalle strutture religiose da spiegazioni soprannaturali di vari fenomeni in quanto la scienza ha rivelato le cause naturali di questi fenomeni. Inoltre, l’impatto della scienza ha indubbiamente creato un periodo di eccezionalmente rapida ed estrema secolarizzazione. Oggi, molte delle importanti organizzazioni religiose della civiltà Occidentale sono così secolarizzate che, anche se si riferiscono a Dio, questi è il più distante, indistinto, impersonale ed inattivo delle entità.

Per cui, la questione è aperta. Siamo giunti all’era della fine della fede? La scienza è la base della “secolarizzazione finale” oppure lo sono le società? Oppure questa è solo una svolta drammatica del pendolo della storia? Avrà dei limiti quest’ondata di secolarizzazione? Sénaux ammoniva: “La scienza è capace di ingrandire la nostra gabbia. Solo la fede ha la chiave per aprirla”. Intendendo con questo che l’uomo non troverà mai nella scienza il senso ultimo della sua esistenza.

Ma la religione in realtà non è arrivata al capolinea della sua storia millenaria. Gli studiosi moderni hanno previsto male in quanto hanno erroneamente identificato le tradizioni religiose dominanti nella società moderna col fenomeno della religione in generale. La maggioranza degli osservatori ha notato correttamente che le principali organizzazioni Giudaico-Cristiane sono in crisi, (la pratica religiosa attiva si attesta tra il dieci e il teenta percento in Europa, ad esempio, e il ramo riformista del Giudaismo è quello predominante) ma non hanno apprezzato il vigore della religione in settori meno importanti.

La religione vivrà anche in futuro e questo è dimostrato da ciò che è e fa per l’uomo. I sociologi, e forse non solo loro, hanno letto male il futuro della religione, non solo perché desiderano ferventemente che sparisca dall’orizzonte della storia umana, ma anche perché non hanno riconosciuto il carattere dinamico delle religioni. Insistere solo sulla secolarizzazione è non vedere che questo processo è una parte di una struttura più grande. Mettendo sullo stesso piano le organizzazioni religiose con la religione stessa, gli intellettuali occidentali hanno letto la secolarizzazione di questi gruppi come la fine della religione in generale. Ma è sciocco guardare solo al tramonto senza pensare all’alba: la storia della religione non è solo declino, è anche nascita e crescita. Le sorgenti della fede oscillano costantemente nelle società, ma la religiosità nel cuore umano rimane relativamente costante.  Durkheim, notò che “non c’è società conosciuta senza religione” e sostenne che “la religione ha fatto nascere tutto ciò che è essenziale in una società”.3 Egli sostenne anche che tutte le culture sane sono unitarie, condividono un solo credo. Durkheim cercò di spiegare l’ubiquità della religione asserendo che essa soddisfa la funzione essenziale di rappresentare la società per i suoi membri, nelle forme di simboli sacri che sostengono un codice morale e un senso di unità culturale.

Per distinguere tra ideologia e religione può essere utile la definizione di James G. Frazer: “ La religione consiste di due elementi… un credo in poteri superiori all’uomo e un tentativo di propiziarseli e di rendersi a loro graditi”.4

Solo la divinità può rassicurare l’uomo che la sofferenza in questa vita sarà compensata in quella futura. Infatti, solo la divinità può garantire all’uomo una vita futura – una fuga dall’estinzione individuale. Solo la divinità può formulare un piano coerente per la vita, cioè dar senso in maniera umana all’esistenza del mondo naturale dei nostri sensi. Si può dimostrare con facilità che, sin quando l’uomo avrà questi desideri, i sistemi di pensiero che comprendono il soprannaturale avranno un grande vantaggio sui sistemi di significato solamente naturali. L’uomo per natura ha bisogno di trascendenza. Nel mio precedente libro citavo all’inizio Jung, il quale “notò che i suoi pazienti si rivolgevano a lui perché erano tutti privi di ciò che le religioni davano ai propri fedeli. Questi pazienti non miglioravano fino a quando non acquisivano un atteggiamento religioso verso la vita, nel senso di rispetto nei confronti di una realtà più grande di loro”.

Credenti e non credenti hanno bisogno di un orizzonte oltre il presente. Per i primi il futuro è l’orizzonte verso la pienezza dei tempi, quando “non vi sarà più notte e non avranno più bisogno di luce di lampada, né di luce di sole, perché il Signore Dio li illuminerà e regneranno nei secoli dei secoli” (Ap 22,5). Per gli altri – diceva Camus – il futuro è la sola trascendenza degli uomini senza Dio. Ma non c’è ragione di supporre che la diffusione della scienza (e della sua applicazione: la tecnologia) renderà gli uomini del futuro meno motivati a fuggire la morte, meno preoccupati della tragedia, meno inclini a chiedersi: “Cosa significa?” E’ vero, la scienza può sfidare alcune pretese poste dalle religioni storiche, ma non può soddisfare il bisogno primario dell’uomo, che da sempre è stata la ragione d’essere delle religioni: il senso profondo della vita umana… “Signore, da chi andremo? Tu hai parole di vita eterna”. (Gv 6,68)

Per approfondire:

Rodney Stark, William Sims Bainbridge – The Future of Religion. Secularization , revival and Cult formation – Los Angeles, University of California Press, 1985, pp. 429-431 e 2-5.

http://www.wnrf.org


1 (Cf. Peter B. Clarke – “Le grandi Religioni” De Agostini, 1995, p. 14)

2 Wallace Anthony F.C. Religion: An anthropological view, New York, Random House, 1966.

3 Durkheim Emile. The elementary forms of  the religious life. Londra, Allen and Unwin, 1915.

4 Frazer  James G. The golden bough. New York, Mcmillian, 1922


Gesù e la politica

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di Giorgio Nadali

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Gesù e la politica - Giorgio Nadali

Ci hanno provato in molti. Hanno cercato di trovare un sostegno alla loro visione politica negli atteggiamenti di Gesù Cristo. La tentazione di trovare un alleato in Gesù e conquistare un notevole numero di voti dall’elettorato cristiano è sempre stato un obiettivo di diversi schieramenti ideologici.
I pastori impegnati in politica. Dal prete “no global” Don Vitaliano della Sala, noto alle cronache per il boicottaggio alla guerra nella ex Jugoslavia e la partecipazione alle manifestazioni dei No Global, compreso il G8 di Genova, sospeso per “comportamenti gravemente e pubblicamente offensivi della comunione della Chiesa. Padre Zanotelli, ex direttore di “Nigrizia”, oggi personaggio simbolo dei no global di tutto il mondo. Padre Eugenio Melandri di “Missione Oggi”, che entrò in politica e fu eletto deputato al parlamento europeo nelle liste del Partito della rifondazione comunista. A Don Gianni Baget Bozzo, al quale addirittura una rivelazione privata di Gesù, rivelò diversi anni fa di diffidare delle coalizioni di sinistra.
I teologi. Primo tra tutti Leonardo Boff, il teologo brasiliano francescano, autore della “teologia della liberazione”. Sulla giustizia sociale, «dimensione costitutiva della predicazione del vangelo» (Sinodo dei vescovi 1971 n. 6) (37-46).

Luogo proprio della lotta per la giustizia è il campo politico. La politica, «modo esigente, benché non unico, di vivere l’impegno cristiano al servizio degli altri» (Octogesima adveniens n. 46), ha il compito di «precisare i valori fondamentali di tutta la comunità, la sua concordia interna e la sua sicurezza esterna, conciliando l’uguaglianza con la libertà, l’autorità pubblica con la legittima autonomia… Definisce pure i mezzi e l’etica delle relazioni sociali. In questo senso ampio, la politica interessa la chiesa e pertanto i suoi pastori, ministri dell’unità» (Puebla n. 51). Sotto questo aspetto la chiesa deve entrare nella politica: «la chiesa critica coloro che tendono a ridurre lo spazio della fede alla vita personale e familiare, escludendo l’ordine professionale, economico, sociale e politico; come se il peccato, l’amore, l’orazione e il perdono non avessero importanza in tali settori» (Puebla n. 515). In questo campo la neutralità di fatto non si dà: «c’è una strumentalizzazione della chiesa che può provenire dai suoi stessi cristiani, sacerdoti e religiosi, quando annunciano un vangelo senza connessioni economiche, sociali, culturali e politiche. In pratica, tale mutilazione equivale a una certa collusione, benché inconsapevole, con l’ordine costituito» (Puebla n. 558) (46-48). La politica invece quale «attività destinata all’amministrazione o alla trasformazione della società mediante la conquista e l’esercizio del potere statale» è estranea alla competenza della chiesa, ed è atto proprio del laico (49). Di qui le specifiche competenze all’interno dei ministeri della chiesa (51-53). La militanza in determinati partiti è di personale responsabilità dei laici, ma nella specifica situazione dell’America latina la fede guida e giudica la militanza partitica su due punti: a) opzione fondamentale per i poveri, già fatta propria dalla pastorale delle chiese locali; b) opzione della liberazione integrale mirante alla trasformazione dell’attuale situazione in un’altra più fraterna e più giusta (53-54).

Ma Gesù, in forza del suo ministero e del suo messaggio, ha sempre evitato lo scontro politico, in particolare il messianismo politico, condiviso dalla maggioranza dei giudei del suo tempo. Costituiva un visione materialistica delle profezie dell’antico testamento e del messia. L’avvento di una teocrazia da una parte, e di un potente e misterioso rivoluzionario. Gesù rifiuta di stabilire relazioni su un piano politico e temporale e per questa ragione, per essere aperto a tutti gli uomini, fa saltare tutte le categorie ideologiche in cui avrebbero voluto (e ancora molti vogliono) imprigionarlo. Non accetta il nazionalismo degli zeloti, ma accoglie uno dei loro tra i dodici. Quello che poi, anche a causa della delusione per la sua apoliticità, lo tradirà. Respinge la visione teocratica dei farisei, ma rimane aperto ad un profondo dialogo con Nicodemo. Rifiuta di condannare l’invasione coloniale di Cesare e invita anzi a dargli il dovuto. Gesù non giustifica l’occupazione romana, ma vuole portare ad un atteggiamento positivo verso il potere politico. Non semplice sottomissione come per i sadducei e gli erodiani, ma neanche lotta violenta, come per gli zeloti e molti farisei. Chiede di rinunciare al disprezzo per Cesare e di riconoscere il suo potere affermando quindi la necessità di strutture politiche dell’esistenza terrena, da accettare e da cambiare in modo nonviolento. Sottolinea l’umiltà dei collaborazionisti pentiti, i pubblicani. Grida “Guai a voi ricchi!”, ma non esalta né il pauperismo, né la lotta di classe. Ricorda che anche i ricchi potranno salvarsi. La ricchezza, e dunque la proprietà privata, non sono stigmatizzate. Gesù ricorda che semplicemente possono diventare un ostacolo alla salvezza, nel caso divengano degli idoli.

Vediamo ora brevemente come non si possa giustificare un orientamento politico partendo da Gesù e tanto meno tirare la sua tunica da una parte.

Chi vorrebbe “portare” Gesù a sinistra

rivendica i valori dell’attenzione ai più deboli, alla solidarietà, alla giustizia sociale, dell’economia equa e solidale… In realtà la visione originaria del marxismo nega i valori religiosi. Marx ha elaborato la sua nota teoria della religione come “oppio dei popoli”.  Secondo questa teoria la religione è il prodotto di un’umanità alienata e sofferente per causa delle ingiustizie sociali, quindi se la religione è il frutto malato di una società malata, l’unico modo per sradicarla è quello di distruggere le strutture sociali che la producono, cioè abbattere la società di classe. Un’idea originaria, ma anacronistica? Proseguiamo nella storia. A giudizio di Gramsci (uno dei padri della sinistra in Italia) il comunismo era “La religione che doveva ammazzare il cristianesimo. Religione nel senso che anch’esso è una fede, che ha i suoi martiri e i suoi pratici; religione perché ha sostituito nelle coscienze al Dio trascendentale dei cattolici la fiducia nell’uomo e nelle sue energie migliori come unica realtà spirituale”. Per Togliatti Mentre con i veri cattolici il comunismo può coesistere solamente nella lotta, la sua consistenza con le religioni che accettano il relativismo dialettico può essere senz’altro pacifica. Gesù disse: “Sia invece il vostro parlare sì, sì; no, no; il di più viene dal maligno”. (Mt 5,37) Non esiste relativismo per un cristiano. «Io sono la via, la verità e la vita”. (Gv 14,6) Il relativismo è la negazione della verità. Nel cattolicesimo la difesa degli ultimi e la giustizia internazionale non provengono dalla lotta (materialista) di classe, ma dall’applicazione pratica dei valori spirituali della magna carta della morale evangelica: le otto beatitudini. Il materialismo dialettico del comunismo esclude l’orizzonte spirituale e, senza Dio, diventa utopia ideologica.

Il marxismo. Un’ideologia che ha fatto 100 milioni di morti. Quanti studenti conoscono l’holodomon? Lo sterminio di 7 milioni di ucraini da parte di Stalin? Quanti conoscono l’alleanza segreta tra Stalin e Hitler? Quanti sanno cos’era un Gulag? (Dove Lag sta per Lagerej – Lager). Quanti sanno che nazismo (nazional socialismo) e socialismo internazionale marxista sono entrambe ideologie che non accettano l’uomo? Il nazismo è basato su una falsa biologia. Una “razza” (quella ariana) contro le altre. Ideologia basata sulla superbia. Motto dei campi di concentramento: Arbeit macht mann frei – Il lavoro rende liberi. Il marxismo è basato su una falsa sociologia. Una classe sociale – i proletari – contro tutti gli altri, specialmente i borghesi. Il merito personale e la ricchezza individuale sono ciminalizzate. Un ricco è certamente un criminale. Ideologia basata sull’invidia. Motto dei campi di lavoro in Siberia: Il lavoro nobilita. Cosa c’è e cosa c’era sullo stemma di chi si rifà o si rifaceva storicamente a questa ideologia? Falce e martello. Strumenti del lavoro manuale.   

Chi vorrebbe “portare” Gesù a destra

può rivendicare la storica alleanza tra Mussolini e la Chiesa Cattolica, culminato nei Patti Lateranensi del 1929 col Concordato. Ma anche il rispetto dei valori della famiglia, contro il divorzio, e della vita, contro l’aborto e i valori specificatamente di fede. Ma va anche ricordato che, come il materialismo dialettico di Marx è ideologia antireligiosa, così anche il liberalismo economico sfrenato rimane per il cristiano una forma di paganesimo, perché Gesù disse: «Guardatevi e tenetevi lontano da ogni cupidigia, perché anche se uno è nell’abbondanza la sua vita non dipende dai suoi beni» (Lc 12,15). Non è il capitalismo in quanto tale che è in discussione. Il libero mercato è certamente più in linea con la dignità della persona umana, rispetto al marxismo, che nega la libera iniziativa economica e penalizza fortemente le qualità individuali, appiattendo tutti con l’idea di un’utopica uguaglianza sociale (non di parità della dignità umana). E’ invece da condannare la separazione tra eticità ed economia. Quando al centro dell’attività economica non c’è più l’uomo e i suoi diritti, ma solo il profitto. Quando al centro della politica non c’è la dignità umana e la sua promozione, ma il potere. Potere che per un cristiano deve sempre divenire servizio agli altri.

Giorgio Nadali

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La fortuna di essere donna in un Paese cristiano

di Giorgio Nadali

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EBRAISMO

1)    E’ un “eser”, cioè un aiuto per l’uomo (Genesi 2,18) Per amore suo l’uomo si separerà dai genitori (Genesi 2,24)

2)    Le donne hanno più fede degli uomini (Talmud)

3)    Le donne hanno più potere discernimento degli uomini (Talmud)

4)    Le donne hanno un cuore più tenero degli uomini (Talmud)

5)    Israele è stato redento dall’Egitto dalla virtù di donne israelite

6)    Su 10 misure del parlare nel mondo, le donne ne hanno prese 9 (Talmud)

7)    Un uomo senza moglie vive senza gioia, benedizione e bene (Talmud)

8)    Un uomo deve amare sua moglie come se stesso e rispettarla più di se stesso (Talmud)

9)    Un uomo deve essere attento a non dire cose che urtino la sensibilità più propensa alle lacrime, delle donne (Talmud)

10)  Secondo la halakà (la legge ebraica) le donne sono esenti dalla maggioranza dei mitzvoth (comandamenti) positivi (cioè dei doveri) e dallo studio della Torah (la Parola di Dio)

11)  Le donne devono avere figli

12)  Nell’Ebraismo ortodosso una donna non può essere presidente di una congregazione e non può essere rabbino (nell’Ebraismo riformato, specie negli Stai Uniti, sì)

13)  La donna durante il ciclo mestruale è ridda, cioè impura per 7 giorni. E’ impura anche dopo il parto. Nelle sinagoghe c’è una piscina rituale chiamata mikvah per la purificazione delle donne dopo questi eventi

14)  Nel ramo dell’Ebraismo ortodosso la donna non può indossare tallit (velo della preghiera) e teffilin (il filatterio). Non può inoltre leggere in pubblico la torah (Parola di Dio). Non può essere cantore

15)  La Bibbia contiene 3 libri che hanno il nome di donna: Ruth, Giuditta e Ester

16)  Delle 50 imposizioni di nomi biblici, circa la metà avviene ad opera di donne. In base al matriarcato, Isacco viene fatto sposare a Rebecca, la cui approvazione è necessaria.

17)  Nonostante il predominio dell’uomo, entrambe i genitori vanno onorati (Esodo 20,12)

18)  Il marito deve garantire alla moglie 3 diritti: cibo, vestiti, attività sessuale

19)  La procreazione è un dovere maschile, non femminile

20)  Il Talmud afferma che la donna è spiritualmente superiore all’uomo. Lei ha varie funzioni tra cui guidare e ispirare il marito e dargli soddisfazione sessuale

21)  Nel diritto religioso la donna non ha parità. Il divorzio dipende molto dall’uomo, ma sono ebrei solo i figli di madre ebrea. La discendenza ebraica è trasmessa dalla. Si nasce ebrei se la madre è ebrea

22)  Il maschio rimane l’elemento a cui si conferisce più importanza e a cui si presta maggiore attenzione. Una figlia viene accolta con minor gioia e la madre che l’ha partorita dovrà compiere una purificazione più lunga che se avesse dato alla luce un maschio. L’educazione delle bambine – soprattutto quella religiosa – è sommaria perché riservata agli uomini (Ebraismo Ortodosso)

23)  La donna sposata è l’elemento fondamentale della cellula familiare

24)  Nelle famiglie osservanti è la donna-moglie ad accende la candela dello Shabbath (Sabato), al tramonto del venerdì

25)  Preghiera ebraica maschile:  Benedetto tu Signore Nostro Dio Re del mondo che non mi hai fatto non ebreo. Benedetto tu Signore Nostro Dio Re del mondo che non mi hai fatto schiavo. Benedetto tu Signore Nostro Dio Re del mondo che non mi hai fatto donna. Le donne recitano solo le prime due parti e al posto della terza dicono: “Benedetto tu (o Signore Nostro Dio Re del mondo) che mi ha fatto secondo la sua volontà”. Questa è la formula del rito sefardita e ashkenazita (Ebraismo Ortodosso)

CRISTIANESIMO

1)    Gesù rompe con la tradizione del suo popolo (ebraico). Conversa con le donne (i rabbi non lo facevano). Parla anche con donne peccatrici, eretiche e pagane. Considera le stesse necessità di uomini e donne allo stesso modo.

2)    Loda la grande fede della donna: “Donna, davvero grande è la tua fede” (Matteo 15,28) dice ad una donna cananea (quindi estranea al popolo ebraico).

3)    Gesù vede il ruolo della donna anzitutto nella sua maternità, ma privilegia i vincoli maestro-discepolo, non quelli madre-figlio/a (Luca 11,27-28).

4)    Difende la donna, che nell’Ebraismo del suo tempo poteva essere ripudiata dal marito anche per una sciocchezza con un semplice foglietto chiamato libello del ripudio. Lei a quel punto era rovinata e rifiutata da tutti. Gesù afferma quindi che “chi ripudia la propria moglie e ne sposa un’altra, commette adulterio” (Matteo 19, 8). Gesù abolisce il divorzio, di cui la donna era vittima.

5)    Gesù chiama la donna “figlia di Abramo”. Un titolo che in tutto l’Antico Testamento era riservato agli uomini. (Luca 13,16).

6)    La figura più venerata – come donna – in tutte le Religioni è Maria, la Madonna. E’ venerata come “Regina degli Angeli”. La Chiesa Cattolica vede in Maria la massima espressione del genio femminile. Maria è anche il massimo dell’umiltà e della disponibilità umana a Dio.

7)    Gesù non chiama apostoli donna (almeno tra i 12), ma ha un seguito femminile di discepole: Susanna, Giovanna, Maria di Magdala (La maddalena), Maria di Giacomo.

8)    La metà dei 9900 santi canonizzati è donna

9)    4 “dottori della Chiesa” storici su 34 sono donne. Di queste Santa Caterina da Siena è Patrona d’Italia.

10)  La più giovane santa italiana è Santa Maria Goretti (morta a 14 anni)

11)  La dignità della donna si collega intimamente con l’amore che ella riceve a motivo stesso della sua femminilità e altresì con l’amore che a sua volta dona. La forza morale della donna, la sua forza spirituale si unisce con la consapevolezza che Dio le affida in modo speciale l’uomo. Naturalmente Dio affida ogni uomo a tutti e ciascuno. Tuttavia questo affidamento riguarda in modo speciale la donna. In tutto l’insegnamento di Gesù come anche nel suo comportamento, nulla si incontra che rifletta la discriminazione propria del suo tempo, della donna. Al contrario, le sue parole e le sue opere esprimono sempre il rispetto e l’onore dovuto alla donna. (Papa Giovanni Paolo II nella lettera apostolica Mulieris Dignitatem, sulla dignità della donna)

12)  Dio stesso si serve di una donna – della disponibilità e dell’umiltà di una ragazzina: Maria di Nazareth – per dare inizio al suo immenso piano di salvezza e per incarnarsi come uomo in Gesù Cristo.

ISLAM

1)    Come credente è pari all’uomo

2)    Secondo gli hadith (detti di Maometto): “Temi Allah nel rispetto delle donne”

3)    Un uomo ha più sapienza di un a donna. L’uomo è superiore alla donna, come afferma la sura 2,228  del Corano

4)    “I migliori di voi sono coloro che si comportano meglio con le loro mogli”

5)    Un musulmano non deve odiare sua moglie e se è dispiaciuto con un suo difetto (di lei), sia dilettato con una sua qualità

6)    “Più un musulmano è gentile con sua moglie, più è perfetta la sua fede”

7)    Il Corano stabilisce che l’uomo è colui che protegge e mantiene le donne

8)    La preghiera deve essere separata tra uomini e donne. Le donne stanno dietro un angolo coperto da una tenda verde all’interno della moschea

9)    Una donna non può essere imam (guida della preghiera in moschea)

10)  Il ruolo principale della donna è quello di moglie e madre

11)  Se la donna lavora, non può restare sola con un uomo sul posto di lavoro

12)  Sì alla poliginìa (un uomo può avere più mogli). No alla poliandrìa (donna con più mariti). Massimo 4 mogli solo se il musulmano può permettersi di mantenerle tutte senza fare preferenze. Non molto comune. Il Corano dice: “Sposate allora di fra le donne che vi piacciono, due, tre, quattro” (Sura 4,3)

13)  Una vedova eredita ¼ delle proprietà del marito, ma se ha figli si riduce a 1/8

14)  Il Corano considera l’amore tra marito e moglie, un segno di Dio

15)  L’infibulazione (mutilazione genitale femminile) NON è legata al Corano, ma è un fatto tradizionale e culturale in Africa.

16)  Un uomo può picchiare la moglie se teme la sua ribellione (Sura 4,34 del Corano). La ribellione è la nushuz. Il Corano dice: “Quanto a quelle di cui temete atti di disobbedienza, ammoni tele, poi lasciatele sole nei loro letti, poi battetele” (Sura 4,34)

17)  La Sura 24,31 del Corano richiede che la donna si veli i capelli. La nazione più rigida è l’Iran. La più libera è la Tunisia (velo non necessario). Si va dall’hijab (velo semplice tipo foulard) al Niqab (velo nero integrale con fessura che lasciano intravedere solo gli occhi e con sportellino per mangiare. Va indossato solo in pubblico. Arabia Saudita, Yemen, Bahrain, Kuwait, Qatar, Onam, Emirati Arabi Uniti, Pakistan. Dalla pubertà (14 anni in su). Il Chador è invece il velo totale ma fa intravedere l’ovale del volto. Il Burqa è il velo totale con un retina per vedere. Non si vedono nemmeno gli occhi. Si usa solo in Afghanistan. La polizia religiosa islamica è chiamata muttawia o muttaween. E’ il comitato per l’imposizione della virtù e l’interdizione del vizio. Opera in Iran contro le donne non velate bene.

18)  Il paradiso islamico prevede 40 vergini (dette huri) pronte ad allietare i defunti uomini

19)  Le donne hanno la metà dei diritti degli uomini nelle testimonianze pubbliche (sura 2,282) e nelle eredità (sura 4,11)

20)   L’Islam considera la moglie come possesso (sura 3,14 del Corano)

21)  Maometto insegna che le donne sono mancanti di intelligenza e religione: “Io non ho mai visto qualcuno più deficiente di intelligenza e religione delle donne” (Al Bukhari 2,541)

22)  Maometto insegna che le donne sono di cattivo auspicio: “Dopo di me non lascio alcuna afflizione che sia più nociva agli uomini delle donne” (Al Bukhari vol. 7,33). Maometto ebbe 11 mogli.

23)   Un uomo può divorziare da sua moglie per mezzo di una dichiarazione pubblica, mentre la moglie non possiede tale diritto “Il ripudio vi è concesso due volte” (Sura 2,229)

24)  I bambini vanno educati secondo la religione del padre musulmano. Se lui divorzia da lei, egli otterrebbe la custodia dei bambini, e lei non rivedrebbe più i figli.

25)  La donna è proprietà del marito e deve sottostare a 6 regole della qiwamah, cioè custodia. 1) Non può ricevere estranei, regali, proprietà, senza il permesso del marito 2) Il marito può limitare i movimenti della moglie 3) La moglie non può contestare il marito 4) La moglie non può contestare al marito il diritto al concubinato (avere amanti) 5) Con il matrimonio accetta le regole della qiwamah 6) la moglie deve sottostare al diritto del marito di rivendicare in ogni caso la paternità

26)  Secondo Maometto la maggioranza dei dannati all’inferno sono donne

27)  Con la regola detta “djabr” il padre può far sposare la figlia con chi vuole lui (ma questo non è nel Corano)

28)  La donna come credente è pari all’uomo

29)  I musulmani venerano Maria e credono nella sua eccellenza e verginità, testimoniata nella Sura XIX del Corano, senza però considerarla Madre di Dio. Nel Corano la figura di Maria (Maryam) è preminente su tutte le figure altre femminili e viene ricordata più volte, oltre alla presenza nel capitolo 19 a lei intitolato; è anche l’unica donna citata nel Corano con un nome proprio. I musulmani la chiamano Sayyida, che significa Signora, Padrona” e corrisponde al termine cristiano “Madonna” (Mea Domina – Mia Signora)

30) “Gli uomini sono preposti alle donne, perché Allah ha elevato alcuni di loro [esseri umani] su altri, e per il fatto che essi spendono [per esse] dei propri beni. Le [donne] probe sono dunque devote, salvaguardano in assenza [dei propri mariti, i loro diritti e la propria castità], per ciò che Allah ha preservato [per esse]. E quelle di cui temete la ribellione, ebbene, [prima] consigliatele, [e se ciò non dovesse rivelarsi efficace] abbandonatele nei [loro] letti, [e se anche questo non dovesse essere sufficiente] battetele. Se poi vi obbediscono, non cercate, contro di esse, [alcuna] via [per opprimerle]. In verità, Allah è sublime, grande”.

31) Picchiare la moglie è un evento presente in tutte le culture, ma solo nell’Islam è santificato da una autorizzazione di Dio. Amnesty International riporta che “secondo l’Istituto di Scienze Mediche del Pakistan, oltre il 90% delle donne sposate riferiscono di essere state prese a calci, schiaffeggiate, picchiate, o sottoposte ad abusi sessuali quando i mariti non erano soddisfatti della loro cucina o della pulizia della casa, o quando si dimostravano ‘incapaci’ di rimanere incinte o avevano partorito una femmina invece di un maschio”. In Tunisia picchiare la moglie viene sanzionato con 5 anni di carcere.

32) La Sharia (Legge Islamica) stabilisce che nei matrimoni misti “i bambini seguiranno la migliore tra le due religioni dei genitori”, la quale, nel tuo caso, sarebbe considerata l’Islam. Il Corano afferma che l’Islam è l’unica vera religione: “La religione presso Dio è l’Islam.” (Sura 3:19). Dei non-musulmani non possono essere tutori di musulmani: “O voi che credete! Non preferite prender per patroni gli infedeli piuttosto che i credenti.” (Sura 4:144). Se la moglie sopravvive al marito musulmano e le sue proprietà si trovassero in un paese islamico, la legge islamica verrebbe applicata. La moglie che non si è convertita all’Islam non eredita nulla, mentre la moglie che si è convertita all’Islam eredità molto poco. Secondo il Corano una moglie non eredita tutto il patrimonio di suo marito. Se il marito morisse non lasciando eredi, lei percepirebbe un quarto del suo patrimonio, e i suoi genitori, i fratelli, gli zii etc. percepirebbero il resto. Se il marito deceduto lasciasse eredi allora la moglie percepirebbe un ottavo e i figli il resto, un figlio maschio eredita il doppio di una femmina: “Ed esse (mogli) avranno a loro volta un quarto di tutto quel che voi morendo lascerete, se non avete figli; ché se li avrete, ad esse spetterà un ottavo, dopo che siano stati pagati eventuali lasciti o debiti.” (Sura 4:12).

INDUISMO

 1)    La  dottrina religione sostiene che non si è veramente adulti senza un figlio maschio

2)    La donna indù è tenuta a 3 obbedienze: a) al padre b) al marito c) ai propri figli

3)    Nella sterminata campagna indiana – in centinaia di villaggi – è molto diffuso l’infanticidio femminile eseguito allattando la neonata con un seno cosparso di veleno

4)    Secondo i Rig Veda (scritture sacre indù): “Un figlio deve sempre servire sua madre anche se lei è una fuori casta”

5)    Il professore è equivalente a dieci insegnanti, il padre è equivalente a cento professori, la madre è molto più di un migliaio di padri, nell’onore” (Rig Veda)

6)    “Tutti i peccati sono espiabili, ma chi ha maledetto la madre non sarà mai liberato” (dal ciclo di reincarnazioni detto samsàra)

7)    “Un padre fuori casta può essere perdonato, ma non la madre. Lei non è mai una fuori casta per il figlio”

8)    Esistono migliaia di divinità femminili

9)    Secondo il Mahatma Gandhi “Le donne costituiscono la metà migliore dell’umanità”

10)   Nei testi sacri la donna è pari all’uomo

11)  Nel 1829 venne abolita la pratica della “sati”. Una vedova si immolava da viva sulla pira funeraria del marito a simbolo del suo essere priva del suo valore in sé, senza il marito. Questa pratica è ancora in uso in forma clandestina nell’India rurale. E’ segno di amore immortale e purifica la coppia dai peccati accumulati

12)   Le vedove e le divorziate possono risposarsi, ma vanno incontro a disapprovazione sociale e pesanti obblighi economici. Il divorzio (manusamhita) è lecito se il marito è diventato un asceta, un fuori casta, è disperso, è un impotente, è un traditore.

13)  Le vedove devono vestire un sari bianco (lutto) e rinunciare a ornamenti, compreso il punto rosso (bindi) sulla fronte, segno di buon auspicio. Le vedove devono dedicarsi solo a obblighi religiosi.

14)  La dote rappresenta ancora il lato più tragico della condizione femminile indiana. Il matrimonio ha conservato il carattere di affare economico. Esiste una specie di “borsa” dei potenziali mariti: più elevato è il loro grado sociale, più elevata è la dote richiesta. Spesso, dopo il matrimonio, la famiglia del marito esige altri beni, ma quella dello sposo è ormai dissanguata. La sposa allora viene bruciata solitamente dal marito della suocera, anche se poi gli assassini dichiarano che la donna è morta ustionata accidentalmente mentre era in cucina. Tra il 1975 e il 1978 sono state uccise in questo modo 5425 donne in tutta l’india.

15)   Sita, la moglie del dio Rama è l’ideale femminile, anche se un po’ in declino. Sempre obbediente e pronta a soddisfare i desideri del suo signore

16)  Nell’induismo nepalese la Kumari è una dea bambina in carne e ossa. E’ nata nel 2006 a Kathmandu (Nepal). Abita in una casa-tempio a lei dedicato a Kathmandu, servita e riverita come dea. Protegge la monarchia nepalese e la nazione. Ha venti milioni di seguaci indù e buddhisti. E’ l’incarnazione della dea Taleju. Ma solo sino alle prime mestruazioni, segno di umanità. Taleju da quel momento si cerca un’altra bambina in cui incarnarsi (avatara). La Kumari – così viene chiamata – deve avere le “32 perfezioni”. Non deve avere difetti fisici, dev’essere bella, non vede avere mai avuto perdite di sangue, ferite o cicatrici. La Kumari non può piangere, mostrarsi disinteressata o irrequieta, e non deve muoversi durante i riti. Questi gesti sono causa di grandi e gravi sciagure per il Nepal. Non è facile diventare la dea bambina. Tra le 32 caratteristiche che deve avere ci sono anche: organo sessuale non sporgente, una bella ombra, ciglia come quelle di una mucca, guance come quelle di un leone, lingua piccola, cosce di daino e corpo come un albero di banano. I Kumarimi, col loro capo – il Chitaidar – si occupano di ogni necessità e desiderio della Kumari e devono istruirla sui suoi obblighi cerimoniali. Dal 2008 la Kumari è Matina Shakya, 6 anni. Non può ricevere cure da un medico e non deve mai perdere sangue se non vuole essere detronizzata perché  significa che la Dea Taleju ha abbandonato il corpo mortale. La Kumari viene scelta tra le caste più alte delle famiglie buddhiste Newar residenti a Kathmandu da almeno tre generazioni.

BUDDHISMO

 1)    Secondo il canone Pali delle scritture sacre buddhiste, un essere si reincarna donna se ha fatto qualcosa di grave nella vita precedente. Esiste il detto: “Ho ottenuto un corpo di donna perché ho commesso il male in una passata esistenza”

2)    Il Buddha storico (il principe indiano Siddartha Gautama) diceva: “Io non conosco, o monaci, altra forma che sia così attraente, così eccitante, così inebriante, così avvincente, così seducente così contraria alla vita serena, come proprio la forma della donna. A causa della sua forma, gli esseri sono avvinti, attratti e arsi nel fuoco della brama e della passione e gemono a lungo sotto l’incendio della forma femminile. Io non conosco, o monaci, altra voce, altro odore, altro sapore, altro contatto che sia così attraente, così eccitante, così inebriante, così avvincente, così seducente, così contrario alla vita serena, come proprio la voce, l’odore, il sapore, il contatto della donna. A causa della voce, dell’odore, del sapore, del contatto della donna gli esseri sono vinti, attratti e arsi nel fuoco della brama e della passione, e gemono al lungo sotto l’incanto del contatto femminile. Che la donna si muova o stia, che sieda o giaccia, che rida o parli, che canti o pianga, che sia vestita o nuda; persino come cadavere la donna avvince il cuore dell’uomo”

3)    Buddha non condanna la donna in sé, ma la donna come fonte di piacere. Condanna il sesso maschile e femminile e quindi anche il potere di seduzione della donna, non perché lo consideri impuro, contaminante o osceno, ma perché lo ritiene la radice principale di quell’attaccamento alla vita che, attraverso le generazioni, perpetua la condizione di essere nel mondo e vincola di conseguenza l’individuo al suo dolore, alla sua cieca ignoranza, al ciclo di reincarnazioni. Nel buddhismo, tutto è dolore e il dolore si combatte e eliminando i desideri

4)    Secondo le scritture sacre buddhiste la donna può giungere all’illuminazione, ma non può esserci un Buddha donna (secondo la Bahudhātuka-sutta). Però nell’iconografia tantrica del ramo Vajrayana vi sono Buddha femminili come la Vajrayogini.

5)    La donna può essere monaca buddhista. La prima fu Mahapajapati Gotami, zia e matrigna di Siddartha Gautama.

6)    Nel Buddhismo tibetano è prevista la poliandrìa adèlfica, in cui una donna si sposa con un uomo e tutti i componenti maschili della famiglia del marito

 CONFUCIANESIMO

1)    Confucio diceva: “Non è conveniente avere a che fare con le donne e con le persone di bassa condizione. Se si dimostra loro troppa amicizia, diventano turbolente; se le si tiene a distanza, sono piene di risentimento”

2)    La dottrina confuciana, innalzata a ideologia di stato, unica ufficiale e obbligatoria, ha imposto alle donne solo doveri. Ha tollerato l’uccisione delle neonate e tramandato nei secoli il detto: “Se una donna no ha nessuna qualità, questa è la sua virtù”

3)    Confucio diceva: “Picchia tua moglie una volta al giorno. Tu non sai perché, ma lei sì”.

4)     Il catechismo della moglie perfetta è il libro “I precetti delle donne”, scritto nel I Secolo dalla Dama Pan. Nel manuale è detto che il primo dovere della donna dev’essere quello di restare assolutamente sottomessa al marito e di applicare tutto il suo ingegno per piacergli mettendo in pratica quotidianamente questi 3 doveri: A) Essere umile, compiacente, rispettosa e piena di riverenza. Porsi dietro agli altri Non parlare dei propri meriti e non discutere e difendere le proprie mancanze. Sopportare i rimproveri e le mancanze di riguardo. Agire in ogni circostanza con circospezione. Questo comportamento dimostra la sottomissione della donna. B) Alzarsi presto, coricarsi tardi. Non sottrarsi alla fatica dal’alba al tramonto. Non discutere dei propri affari privati. Metter lo stesso impegno nei compiti difficili e facili. Essere pulita e ordinata. Questo si chiama essere donna diligente. C) Comportarsi opportunamente, rispettando le forme, nel servire il marito. Essere serena e padrona di se stessa, evitando gli scherzi e il riso. Dedicarsi con ogni cura da offrire agli antenati. Questo si chiama essere degna di continuare la discendenza del marito.

 Giorgio Nadali

www.giorgionadali.com