I segreti della crocifissione

Giorgio Nadali

Il supplizio della crocifissione esiste da quasi tremila anni. Le prime tracce di crocifissione risalgono al IX secolo a.C., al tempo del re assiro Salmanassar III. Una rudimentale forma di crocifissione era l’impalamento. Il condannato era infilzato da un grosso palo appuntito nello stomaco, senza toccare organi vitali e poi lasciato ad agonizzare lentamente. Nel 332 d.C Alessandro Magno fa crocifiggere duemila persone appese a pali di legno sulle coste del Mediterraneo. Il gladiatore Spartaco e i seimila schiavi ribelli da lui guidati furono crocefissi settant’anni prima della nascita di Cristo. Nel V secolo a.C. erano molto diffuse le crocifissioni.
Tuttavia la crocifissione assume celebrità solo con Gesù Cristo, nel I secolo d.C. I romani hanno affinato la tecnica della crocifissione. Storici e studiosi cercano di scoprire in che modo Gesù Cristo fu assicurato alla croce. L’arte l’ha sempre presentato con i chiodi conficcati nei palmi delle mani. In questo caso il peso del suo corpo lo avrebbe staccato dalla croce. Gli studi di Mark Benecke, patologo forense tedesco, seguono le orme di Pierre Barbet, il primo medico che nel 1950 studiò scientificamente la crocifissione di Cristo, mediante l’utilizzo di cadaveri. Le mani possono sopportare un peso dai diciotto ai ventisette chili. Una struttura con catene per simulare le braccia ha dimostrato che ogni singola mano del condannato a braccia spiegate sulla croce, sostiene tutto il peso del corpo. Quindi ogni mano non può sopportare il peso di 78 chili di un corpo di 180 centimetri, il peso e l’altezza presumibile di Gesù Cristo (in base agli studi sulla Sindone). È probabile che i romani crocifiggessero le mani in uno spazio compreso tra le ossa del polso, chiamato spazio di Destot. Il dolore è molto intenso e provoca continue scariche brucianti alla mano, perché quest’area è attraversata dal nervo mediano. Il pollice si ritrae (come si vede nell’immagine della Sindone). Inoltre in greco antico (la lingua originale del Nuovo Testamento) il termine χείρ non fa distinzione tra braccio, mano e polso. Erano presenti sia corde sia chiodi (presumibilmente lunghi dieci centimetri, in base al ritrovamento nel 1968 dell’osso detto di Yehonan, sugli antichi luoghi di crocifissione a Gerusalemme).

Il modo in cui erano inchiodati i piedi era determinante per la durata di resistenza sulla croce. Si andava da poche ore (rara, come per Gesù) sino a diversi giorni (molto frequenti). Difatti in caso di necessità i romani ponevano fine all’agonia mediante il crurifragium – la rottura delle tibie mediante una lunga mazza – fatto che fu risparmiato a Gesù perché era già morto (realizzando la profezia in Giovanni 19,36, Salmo 34,21 e Esodo 12,46). Nel caso di crocifissione dei piedi classica dell’arte sacra, la respirazione è molto difficoltosa e estremamente dolorosa perché i piedi assicurati allo stipes (il braccio verticale della croce) impediscono di bloccare le ginocchia e il condannato sostiene tutto il peso con i muscoli delle cosce, se non vuol pendere completamente dai chiodi. Ogni volta che il condannato cerca di sollevarsi per respirare, i nervi sono sollecitati ulteriormente. Il suppedaneo presente nell’arte sacra non è storicamente attendibile. I piedi erano inchiodati direttamente allo stipes. Le rappresentazioni artistiche sono state realizzate da artisti che non hanno mai assistito a una crocifissione. Il condannato cerca di sollevarsi per alleviare il dolore al nervo mediano, ma in questo modo carica la muscolatura e strofina la schiena contro lo stipes con maggiore perdita di sangue che fa andare in shock ipovolemico. Il cuore non riesce a pompare abbastanza sangue agli organi vitali. In realtà nessuna posizione consente di alleviare il dolore.
La causa finale della morte di Cristo. A causa della difficoltà respiratoria nei polmoni aumenta il biossido di carbonio e diminuisce l’ossigeno del sangue. È l’ipossia che porta al soffocamento. Inoltre le cadute di Gesù con il patibulum sulle spalle, riportate dai Vangeli hanno provocato probabilmente una lesione cardiaca. Lo sforzo del muscolo cardiaco ha provocato un aneurisma. È probabile, secondo studi, che la frequenza cardiaca sulla croce fosse di 170 battiti al minuto. Se non curato il tessuto può rompersi. Il peso del patibulum (braccio orizzontale) è stimato in quarantacinque chili. Una caduta di questo tipo corrisponde ad un urto frontale in auto a cinquanta chilometri all’ora senza l’uso della cintura di sicurezza. Lo stesso vale per i colpi di flagello. È impossibile che il condannato portasse l’intera croce, stimata in centocinquanta chili. Ad un certo momento le funzioni vitali cessano di colpo. È il dolore stesso che uccide. Tuttavia, in base ai Vangeli, risulta che Gesù fosse ancora in grado di parlare lucidamente e di essere sentito chiaramente da sotto i 2,5 metri della croce (es. Luca 23,34). Il cervello era dunque irrorato normalmente. Non fu dunque lo shock ipovolemico a ucciderlo. Chi va in shock ipovolemico perde conoscenza e non è in grado di parlare lucidamente. Non fu nemmeno l’asfissia. Riusciva infatti a parlare ad alta voce. Fu dunque lucido e cosciente sino all’ultimo momento in cui una lesione cardiaca fece cedere improvvisamente il cuore. A questo punto la frequenza cardiaca è di 180 battiti al minuto e qualcosa di simile ad un infarto fa sopraggiungere la morte. Il cuore danneggiato continua a pompare sangue, ma la sacca pericardica è sotto pressione e cede all’istante. La morte di Cristo fu per rottura del muscolo cardiaco. Il dottor David Ball ha pubblicato nel 1989 le sue conclusioni sul «Journal of the Mississippi State Medical Association» confutando un altro studio pubblicato sul «Journal of the American Medical Association» secondo cui Cristo morì per soffocamento sulla croce.
Dagli esperimenti del dottor Ball risulta che la frequenza cardiaca di una persona legata sulla croce (senza le mani e i polsi bucati dai chiodi) passa subito da settantotto a centodieci battiti al minuto. Dopo due minuti e mazzo sopraggiunge giù il dolore nelle cosce. Dopo sette minuti la frequenza passa a centosettanta battiti e le gambe hanno tremori incontrollabili. Dopo quindici minuti e venti secondi i volontari appesi ad una croce (senza chiodi) hanno riferito che il dolore a gambe e braccia diventa insopportabile. L’aria inalata è diminuita del 10%. Il dottor David Ball ha dimostrato in pubblico – durante un servizio religioso evangelico nel 2007 – utilizzando dei manichini coperti di uretano, molto simile alla pelle umana, cosa significhi una flagellazione. La dimostrazione è avvenuta presso la Hartselle’s East Highland Baptist Church (Alabama, USA). «Dal costato di Cristo uscì sangue e acqua». (Giovanni 19,34). La scienza lo conferma. Nel cuore si accumula un liquido più chiaro (definito “acqua” dai Vangeli). Perforando in quella situazione il pericardio ne esce un forte getto sotto pressione. La lancia usata per quest’operazione è chiamata “Lancia di Longino”. Il nome del centurione romano che trafisse il costato di Cristo non è presente nei Vangeli canonici, ma in quello apocrifo di Nicodemo. Secondo la tradizione si convertì, morì martire decapitato a Mantova ed è oggi il santo patrono di militari e non vedenti. Già sotto la croce riconobbe la divinità di Cristo (Marco 15,39). A lui è dedicata una statua del Bernini alla base dell’altare maggiore della basilica di San Pietro in Vaticano. La punta della sua lancia è custodita nella Schatzkammer del museo dell’Hofburg a Vienna. Durante la Seconda Guerra Mondiale i nazisti cercarono di impossessarsene perché le vengono attribuiti poteri miracolosi.
Anche i nazisti usavano la crocifissione nei campi di concentramento, con la differenza, rispetto a Cristo, che il condannato era appeso con le braccia sopra la testa, con i piedi liberi. In questo modo vi è un soffocamento molto rapido. Tuttavia nel 1943 il soldato australiano Ringer Edwards catturato dai giapponesi resistette sessantatré ore su di una croce in questo modo e sopravvisse.
La crocifissione – chiamata haritsuke – era conosciuta anche in Giappone. Fu introdotta nel periodo Sengoku (1467–1573), dopo 350 anni senza pena di morte. I guerrieri ninja (le spie del Giappone feudale) reprimettero duramente il cristianesimo giapponese sino a ridurlo nel 1640 d.C. a pochissimi fedeli. Il 2 febbraio del 1597 il samurai Toyotomi Hideyoshi ordinò la crocifissione mediante la tecnica detta hikimawashi di sei giapponesi convertiti al Cristianesimo e di venti frati francescani. La tecnica è del tutto simile a quella della crocefissione di Gesù. I condannati dovettero inoltre camminare per i mille chilometri da Kyoto e Osaka a Nagasaki per poi subire lo stesso martirio di Cristo. In realtà i condannati furono crocefissi e immediatamente dopo infilzati da sotto con una lunga lancia nella gola, per una morte molto rapida. Una chiesa sulle colline Nishizaka di Nagasaki ricorda nei suoi mosaici i primi martiri cristiani in Giappone. I giapponesi usavano anche la tecnica chiamata sakasaharitsuke con la quale il condannato veniva crocifisso a testa in giù, come vuole la tradizione riguardo al martirio di San Pietro apostolo. Molti cristiani venivano crocefissi in Giappone con la tecnica mizuharitsuke. La croce era immersa nell’acqua della bassa marea, mentre il condannato attendeva la morte all’arrivo dell’alta marea che sommergeva la sua croce.
Oggi la crocifissione è usata come metodo di esecuzione capitale in Arabia Saudita, Sudan e Birmania. Si parla di crocifissione nella sura (capitolo) 5,33 del Corano come pena per il ladro che uccide la sua vittima. In Iran è in disuso, ma teoricamente prevista. Amnesty International ha denunciato ottantotto crocifissioni nel 2002 nella regione del Darfur, in Sudan.

Giorgio Nadali, I segreti delle religioni EBOOK, Edizioni Youcanprint, Tricase, 2015, ISBN: 978-88-911-7694-3