Il Kama Shastra, la scienza sacra vedica del sesso

   Il Kamashastra è l’insieme dei testi sacri che riguardano il kama (amore), la sessualità e il godimento sensuale. Kama (amore) più shastra (insegnamento). Il Kamashastra, o scienza dell’erotismo, è attribuita al dio Prajapati, che l’ha trasmessa a Nandi, il toro del dio Shiva. Poi è passata a Svetaketu, a Sankha e a Babhravya. Quest’ultimo ha condensato la tradizione del Kamashastra in 150 capitoli suddivisi in sette adhikarana (sezioni) che formano la base della scuola sessuale induista. Gli adhikarana sono: principi generali, corteggiamento, unione sessuale, matrimonio, come rubare la moglie che appartiene ad altri uomini, le prostitute, le pozioni, i sortilegi, gli afrodisiaci, i mantra (preghiere), gli strumenti sessuali. I testi più importanti della Kamashastra sono il Kamasutra del monaco Vatsyayana (450 d.C.), l’Ananga-Ranga (“Teatro del dio dell’amore”) di Kalyanamalla (1460-1530 d.C.). Lo scopo di quest’ultimo non è quello di promuovere la promiscuità sessuale, ma l’armonia familiare (eccezione fatta per l’adhikarana che spiega come rubare le mogli degli altri). Altri importanti testi del Kamashastra comprendono il Kuttani-mata (“Lezioni di un ruffiano”) di Damodaragupta, il Samaya-matrika (“Il breviario della prostituta”) di Ksemendra, il Rati-rahasya (“Misteri della passione”) di Koka e il Pankasayaka (“Le cinque frecce”) di Jyotirisa (o Jyotirishvara). Esistono centinaia di testi popolari di Kamashastra nei quali le divinità indù si dilettano in varie posizioni sessuali come paradigmi per le prestazioni erotiche umane.

    «Gli uomini si dividono in tre classi: gli uomini lepre, gli uomini toro e gli uomini cavallo secondo la grandezza del loro lingam [pene]. Anche la donna, secondo la profondità della sua yoni [vagina], è una cerva, una giumenta o un’elefantessa. Da ciò segue che vi sono tre unioni uguali, cioè tra persone che si corrispondono in dimensione, e sei unioni inuguali, quando al contrario le dimensioni non si corrispondono. Si tratta dunque di nove casi in tutto: Uguali: Lepre/ Cerva, Toro/Giumenta, Cavallo/Elefantessa; Inuguali: Lepre/Giumenta, Lepre/Elefantessa, Toro/Cerva, Toro/Elefantessa, Cavallo/Cerva, Cavallo/Giumenta”. Così inizia la parte seconda del Kamasutra. Kama sta per piacere, amore, sesso, desiderio. Sutra sta per trattato. Le tre principali scienze umane indù sono le shastra: 1) Dharmashastra, la legge sociale, nota come Leggi di Manu o Manavadharmashastra. 2) La Arthashastra, la scienza politica e economica, attribuita a Kautilya. Un importante istituto universitario, il Chanakya Institute of Public Leadership basa i suoi insegnamenti proprio sulla Dharma Shastra indù per formare i suoi leader e manager. 3) Il Kamashastra, la scienza erotica. Le tre shastra rispecchiano i tre obiettivi della vita umana, i purushastra: (o trivarga): Kama (piacere sensuale, non solo sessuale), Dharma (legge morale) e Artha (Beni materiali). In sostanza sono la pietà (dharma), il profitto (artha) e il piacere (kama). Oppure “società, successo e sesso” o ancora “dovere, dominazione e desiderio».

Il Kamasutra (350 d.C.) non riguarda solo posizioni sessuali, ma anche pratiche indicazioni su come trovare un partner, commettere adulterio, mantenere il potere nel matrimonio, usare droghe e gestire cortigiane. Contiene anche dei geniali consigli di seduzione maschile, come ad esempio: «Strofinandosi con unguento tratto dalla pianta emblica myrabolans si acquista il potere di conquistare le donne a piacere» oppure: «Un osso di pavone o di iena, coperto d’oro e attaccato alla mano destra, rende simpatico un uomo», o ancora: «Mangiando polvere di nelumbrium speciosum, di loto azzurro e di mesna roxburghii, con burro chiarificato e miele, un uomo si rende piacevole». Sono presenti anche delle alternative tutte naturali al “Viagra” come: [l’uomo che vuole aumentare la sua potenza sessuale] «mescola del riso con uova di passero, poi, dopo aver fatto bollire il tutto nel latte, vi aggiunge del ghee [burro chiarificato] e del miele» oppure «latte zuccherato, radice della pianta uchchata, pepe, sciaba e liquerizia». Contiene anche pratici «consigli su come guadagnare denaro», come ad esempio: «Manterrà medici e ministri con qualche scopo». Le famose posizioni sessuali sono sessantaquattro, la maggioranza delle quali però richiede delle abilità acrobatiche.

La Kamashastra non si limita al Kamasutra, scritto da un monaco che viveva in assoluta castità, Mallanaga Vatsyayana. Altri importanti testi della scienza della passione sono: Il Ratirahasya o Kokashastra, scritto da Kokkaya (XIII sec. d.C.) dedicato al “come trarre il massimo dal sesso, goderselo e mantenere felice una donna”. Nei suoi quindici pachivede (capitoli) con ottocento versetti contiene pratici consigli sui baci, le donne straniere, sui tipi fondamentali di donne e sul “come guadagnare la fiducia di una ragazza”. Il “Rati” della parola Ratirahasya significa “fare l’amore” e occorre sempre ricordare che il ruolo della donna nel Kamashastra è sempre dominante. L’Anangaranga di Kalyanmalla (XVI sec. d.C.) contiene preoccupanti avvertimenti come «La donna di cui  i due piccoli alluci non toccano il suolo mentre cammina, perderà certamente il marito, e durante la sua vedovanza non sarà in grado di mantenere se stessa casta». Infine completano la libreria erotica del Kamashastra indù il Nagarasarvasva di Bhikshu Padamashri, il Pankasayaka di Jyotirishvara (XIV sec. d.C.) e il Ratiratnapradipika di Praudha Devaraja.

Giorgio Nadali


Vimana. Il disco volante sacro

UFO religiosi? Sì. Il vimana è un oggetto volante meccanico, descritto in diversi antichi testi induisti. Si parla dei vimana nelle guerre mitologiche descritte nei testi sacri Mahābhārata e Ramayana. Secondo i testi sacri, i vimana sono in grado sia di volare nell’aria, nello spazio e anche sott’acqua. Rimane ovviamente il mistero di come testi così antichi potessero concepire le attuali tecnologie moderne. Il Ramayana è del II secolo a.C. e il Mahābhārata è del IV secolo a.C. Negli antichissimi testi induisti – i Veda – sono citati diversi tipi di vimana, con forme e dimensioni varie, tra cui i agnihotra-vimana, (“agni = fuoco”) con due motori  e il gaja-vimana, con più di due (“gaja” = elefante).

Il Vaimanika Shastra è un manuale che spiega come pilotare un vimana e le sue caratteristiche tecniche. Sono anche descritte altre tipologie: il Martin pescatore, l’ibis, e altri animali. La parola vimana deriva da vi-mana, cioè “Luogo di cui sono state prese le misure”. La parola ha anche il significato di tempio Indù. La parola vimana dall’unione di “vi” (“uccello”) e “mana” (“abitato”). Nelle ultime scritture sono descritti altri veicoli volanti, e qualche volta sono fatti riferimenti poetici persino a veicoli terrestri. In alcune lingue moderne indiane, la parola vimana è usata per indicare un aeroplano.

Anche nel libro Buddhista Vimanavatthu («Storie di Vimana») si usa la parola “vimana”, che indica un breve testo usato come ispirazione o un sermone buddhista. Il Vaimanika Shastra scritto nel 1918 («Scienza dell’Aeronautica») è un testo che spiega come costruire le macchine volanti vimana descritte nei testi sacri, anche se le strutture descritte sono in realtà piuttosto anti aereodinamiche, tranne il rukma vimana.

La velocità della luce è di 299.792,458 km/secondo. Una scoperta dell’astronomo inglese James Bradley nel 1728. Tuttavia un testo sacro – il Vishnu purana – del I secolo a.C. già la conosceva! Nel testo in antico sanscrito nimisha significa ciò che lampeggia come il batter di ciglia e Nimisharda è utilizzato per rappresentare la luce perché viaggia “in un batter d’occhio”. L’unità di distanza è chiamata Yojana è definita nel capitolo sei del libro uno del testo antico vedico Vishnu purana come segue: 4 Gavyútis = 1 Yojana = 9,09 km. Il valore della velocità della luce sulla base del valore di 2.202 yojana in 1/2 nimesa = 2.202 per 9.09 miglia per 0.1056 secondi = 20.016,18 miglia per 0.1056 secondi = 189.547 km/secondo. Il valore si avvicina a quello della scienza moderna.

Giorgio Nadali


I miracoli indù e la scienza yogica ashta ma siddhis

Miracoli indù? Certo! E sono tanti… L’Induismo classifica i miracoli e dà esempi di miracoli nella sua mitologia e nella vita di centinaia di santi. Il siddhar è chi ha il siddhi, potere soprannaturale, che è definito da otto tipi della scienza yogica (ashta ma siddhis). Questi sono: 1) Anima: potere di ridursi alla dimensione di un atomo e di entrare nella vita microscopica. 2) Mahima: potere di divenire potente e grande come Krishna. 3) Laghima: capacità di essere leggero, ma grande nelle dimensioni. 4) Garima: capacità di essere pesante come Shiva. 5) Praapti: capacità di entrare in tutti i mondi da Brahmaloka a Pathalam.6) Prakaamyam: potere di uscire dal corpo, entrare in altri corpi e andare in cielo e godere di ciò che si vuole. 7) Ishitvam: il potere di divenire un dio come Shiva. 8) Vasithvam: potere di influenzare chiunque. Questi poteri possono essere ottenuti da chiunque si impegni e si sforzi di praticare la disciplina spirituale (sadhana).

1) Si può divenire piccolo con l’umiltà, che dà il potere chiamato anima. 2) Si può divenire mahaan, grandi, aiutando gli altri. Chi serve gli altri è un mahatma. Aiutare gli altri dà il potere mahima. Mahatma (grande) è il titolo di Gandhi. 3) Si può divenire pesanti dal peso dei propri contributi alla società Dare continui contributi alla società dà il potere garima. 4) Si può divenire leggeri eliminando il proprio ego. Questo dà il potere laghima. 5) Si può aspirare a qualsiasi cosa cercando. La ricerca dà il potere praapti. 6) Si possono realizzare i propri desideri con la volontà. Questo dà il potere praakamyam. 7) Si può divenire signore assumendosi delle responsabilità. Questo dà il potere ishitvam. 8) Si può influenzare gli altri mediante l’amore e l’interessamento. Prendersi cura di qualcuno dà il potere vashitvam.

Giorgio Nadali


I segreti del Nirvana

Nel Buddhismo il nirvana è l’estinzione (nir) di ogni desiderio (vana), lo scopo finale dell’esistenza e la liberazione finale dal dolore: «Tutto è dolore Il dolore si combatte eliminando il desiderio». In psicoanalisi il «Principio del Nirvana» è quello che esprime la tendenza a raggiungere uno stato non conflittuale di libertà dal dolore o dalle preoccupazioni. Il desiderio di uno stato di oblio come manifestazione dell’istinto di morte. Per Schopenhauer è la negazione della volontà di vivere la cui esigenza scaturisce dalla conoscenza della natura dolorosa e tragica della vita. Il mokṣa è la liberazione in questa vita (jivanmukti) o escatologica (karmamukti) dal ciclo di reincarnazioni, il samsàra.

Il funerale tradizionale taiwanese con le spogliarelliste funebri

Dentro il padiglione funebre – nella casa del defunto – è fatto il lamento funebre e i famigliari strisciano fino alla bara. Il defunto ha lascito per tempo le sue ultime volontà e disattenderle può portare mala sorte alla famiglia. Il figlio maggiore indossa le vesti cerimoniali. A Taiwan le ballerine erotiche vengono ingaggiate per eventi come matrimoni e funerali. Molti pensano che spettacoli esotici e costosi siano onorevoli e facciano felici déi, spiriti e uomini. In casa viene offerto cibo al defunto per il suo viaggio. Poi viene deposto nella bara, piena dei soldi finti chiamati jīnzhǐ.

A Taiwan il rispetto per il defunto si misura con la folla, i soldi spesi per il funerale (in genere almeno quindicimila euro) e il numero più alto possibile di decibel della musica festosa. Una banda con majorettes, sassofoni, suonatori di tamburo trasportati da carrelli motorizzati e cantanti col microfono accompagnano il feretro. È chiamato il “carro di Buddha” e apre il corteo funebre. Poi segue il grande dragone di carta con i ballerini che fanno la danza del drago. Due bande musicali interamente femminili. Vengono cantati pezzi pop. A seguire, un altro carro allegorico funebre con palcoscenico mobile e ballerine di lap dance che la per giusta somma di denaro si spogliano durante il corteo funebre e anche davanti alla lapide. Tutto per fare felice il defunto. Nella bara viene fatta un’apertura affinché il defunto possa guardare le ragazze mentre ballano al cimitero. Poi è interrata. Nella cultura buddhista la morte non è affatto qualcosa di triste.

Il Naraka, l’inferno Indù e Buddhista

Nel codice di Manu (induista) si parla non di uno, ma di ben ventuno inferni diversi, ciascuno col suo nome. Ciascun inferno ha una sua pena. È escluso che Dante Alighieri si sia ispirato al Codice di Manu nella sua descrizione delle pene infernali, ma è strano notare la somiglianza dei vari inferni buddhisti e induisti con le pene del contrappasso dantesco. È fuori discussione che l’inferno sia caldo. Questo però solo nella visione cristiana. Infatti, Gesù parla di «fuoco eterno» dell’inferno (Matteo 25,41). Il Codice di Manu parla anche di otto inferni freddi, oltre a otto inferni caldi. Nel Naraka Huhuva si battono i denti. È proprio chiamato “Il Naraka dei denti che battono”. Stranamente si parla di “stridore di denti” infernali anche nel Vangelo di Luca 13,28 e in altri sei passi evangelici.

Il Taoismo conosce un rito dei denti che battono, il K’ou-ch’ih. Il Naraka Nirarbuda è l’inferno freddo delle vesciche scoppiate. Nel Naraka Aṭaṭa i dannati hanno così freddo che non fanno altro che balbettare «at, at, at», da cui il nome: il Naraka del tremito. Il Codice di Manu descrive anche la durata della vita infernale. Non è eterna, come nella visione cristiana e islamica, ma è notevolmente lunga. L’inferno caldo Naraka Pratāpana, quello «dell’immenso calore» per intenderci, dura un numero astronomico di anni: 42.467.328 per dieci alla decima. In sostanza più anni d’inferno che del numero delle stelle nell’universo; tutti ospiti di Yama, il padrone di casa del naraka. No, non è Satana.
L’Avichi è l’inferno peggiore. I naraka freddi e caldi sono circondati da sedici inferi secondari. I dannati sono triturati, spezzettati, mangiati vivi da uccelli col becco di ferro, tagliati a pezzi dalle affilatissime foglie degli alberi infernali. Una speranza però c’è.

Il rito dell’ullambana. Letteralmente significa “salvare i defunti appesi sottosopra”. Questo rituale a favore dei defunti è praticato sia dall’Induismo, sia dal Taoismo, sia dallo Shintoismo. Il termine ullambana deriva dal sanscrito avalambana: e significa “appeso a testa in giù”. È questo il tormento dal quale si vogliono salvare i defunti. In Cina è praticato il quindicesimo giorno del settimo mese buddhista (agosto) per aiutare gli spiriti affamati (preta) mediante offerte di cibo, spesso in forma simbolica e di carta (vedi Jīnzhǐ). In Giappone lo urabon si tiene il 15 luglio e il 15 agosto.

Funerale simulato da vivi

In Corea del Sud vi è il più alto tasso di suicidi al mondo. Dai 400.000 ai 779.000 nel mondo. Dei venti Paesi con alti tassi di suicidio, diciassette appartengono all’area dei Paesi più ricchi e benestanti; lo status socioeconomico delle persone non costituisce un fattore rilevante di rischio suicida; più una persona, o uno Stato, è religiosa e minore è il suo tasso di suicidio; i protestanti presentano un tasso di suicidio più alto degli ebrei, e questi, a loro volta, più alto dei cattolici .

La Cheonan la Coffin Academy (“Accademia della bara”) offre un programma che vuole prevenire i suicidi. Il momento più importante del macabro rituale è il finto funerale in cui i partecipanti sono chiusi ognuno nella propria bara posta in una grande sala. Si scatta la foto della persona da porre con un lumino sulla bara. Viene indossato il tradizionale sudario coreano e letto l’elogio funebre di ciascuno dei partecipanti. Il coperchio della bara è chiuso con un martello dopo che il partecipante vi si è sdraiato. Per dieci minuti ognuno riflette sulla propria vita, prima che la bara sia riaperta. Nessuno dei partecipanti al rito si è poi suicidato.

Monaci buddhisti robotizzati al cimitero

Al cimitero centrale di Yokohama (Giappone) la Elevator Systems Co. di Tokyo ha installato un monaco buddhista robot del valore di 380.000 dollari. Il monaco robot inizia automaticamente alle nove di mattina a intonare le preghiere di quattro sette buddhiste, sbattendo le palpebre e aprendo la bocca in base alla registrazione su cd rom. Svolge la funzione di quattro monaci. Un altro monaco robot è installato presso il tempio buddhista Hotoku-ji, a Kakogawa (Giappone). Di solito sta fermo in meditazione, ma quando i suoi sensori sentono l’avvicinarsi di un fedele, il monaco robot creato da Yoshihiro Motooka inizia a intonare un sutra, mentre lo shumoku (pestello) che tiene nella sua mano destra batte ritmicamente il suo bel mokugyo (gong di legno buddhista). Il robot è stato creato con parti usate di altri apparecchi. Il monaco robot è rasato, tiene in mano un rosario juzu ed è inginocchiato.

Giorgio Nadali


Karni Mata Mandir. Il tempio dei ventimila sacri topi in libertà

Il tempio (mandir) Deshnoke Karni Mata si trova a 33 Km da Bikaner, in località Deshnoke, nello stato indiano del Rajastan. È dedicato alla venerazione dei topi, ritenuti la reincarnazione dei membri della casta dei Charan, cantastorie che tramandavano al popolo le storie di re ed eroi. A loro apparteneva la dea Karni Mata, che ha fondato la parte interna più sacra del tempio indù (garbh griha). Karni Mata era una mistica indù chiamata Ridhu Bai che si dedicava ai poveri, nata il 2 ottobre 1387 a Suwap (Rajastan). I topi presenti all’interno dei cancelli d’argento e della porta di marmo donata dal Maharaja Ganga Singh sono circa ventimila e sono nutriti con latte, cereali e dolci. È di buon auspicio incontrare un topo e un onore mangiare un po’ del cibo che sia entrato in contatto con la sua saliva.

In questo tempio ratti e uomini mangiano e bevono insieme. Vederne uno bianco vuol dire fortuna assicurata. I roditori distruggono in India più del 25% delle coltivazioni, ma nel Karni Mata Mandir il rapporto con i topi si è totalmente rovesciato. Mahindra Deparvuit il sommo sacerdote del tempio è stato morso più di cinquanta volte dai topi, che entrano anche nei letti e nei pantaloni. Il morso dei topi può causare la rabbia e in India ogni mezz’ora una persona muore a causa di questa malattia. Nel tempio si entra scalzi. I fedeli credono che dopo la morte si reincarneranno come topi e vivranno nel tempio di Karni Mata, riveriti da altri fedeli come loro.

Karni Mata tentò di resuscitare un ragazzo annegato, ma questi si era già reincarnato come topo. Così decise che i suoi figli sarebbero rinati come topi e solo in seguito sarebbero rinati come uomini. Nel XIV secolo i ratti fecero 75 milioni di vittime nel mondo a causa della peste. Una femmina può partorire sino a duemila topi l’anno e un solo topo può urinare e defecare sino a quaranta volte il giorno. Può essere il veicolo di qualsiasi malattia e distruggere un terzo delle coltivazioni mondiali. I devoti di questo tempio pensano invece che i topi curino le malattie invece di provocarle. In India non sono i topi, ma i cani randagi che causano il 96% dei casi di rabbia.

In seicento anni non vi è mai stato un focolaio di peste nella zona del tempio Karni Mata Mandir. Anzi, quando c’è un’epidemia i fedeli si recano al tempio dei topi per chiedere la benedizione della dea per non essere contagiati. Il motivo è semplice. Per loro questi non sono i soliti topi comuni che portano malattie e devastazione, ma sono i loro antenati reincarnatisi come topi e quindi una manifestazione della divinità. L’esteriorità del topo non conta più. Il tempio apre alle 4 del mattino, quando i sacerdoti celebrano la Mangla-Ki-Aarti offrendo il bhog (cibo votivo) ai sacri topi. Il tempio non è sporco e non vi sono cattivi odori. Le offerte di dolci, frutta, latte e cereali sono fatte prima ai topi e poi condivise come cibo sacro (prasad) tra i fedeli. In particolare bere l’acqua dei topi è considerato di buon auspicio.

Nel tempio vi sono anche numerosi gatti, che (stranamente) non attaccano i topi. Anche a questi i fedeli donano offerte in cibo dette dwar-bhent e kalash-bhent. Una rete metallica di bronzo lungo tutto il perimetro del tempio protegge i sacri topi, da quando il maharaja di Bikaner ebbe una visione in cui la dea gli chiedeva di proteggere i piccoli roditori.

OLTRE sconsiglia ai lettori non induisti di bere il latte delle ciotole dei sacri topi, durante la visita al tempio di Karni Mata.

Giorgio Nadali


Rituali estremi. 1. Nudismo sacro e mortificazione pubblica del pene. V.M. 18

ATTENZIONE! La mortificazione pubblica del pene è una pratica religiosa indù pericolosa! NON provate questa pratica, riservata a sadhu indù allenati! OLTRE non si assume alcuna responsabilità per i lettori che volessero mortificare pubblicamente il loro pene!

Sadhu significa “sant’uomo”. Sono gli asceti induisti. I Naga Baba sono i guerrieri asceti. Girano nudi (“naga”), ma non c’è nulla di erotico in tutto questo. Anche perché sono coperti della cenere bianca dei luoghi di cremazione su tutto il corpo. La nudità rappresenta l’ideale del sadhu e trasformano in potere psichico ogni pulsione sessuale. I Naga Baba fanno degli esercizi per aumentare la loro forza interiore, mortificando in pubblico il loro pene. Ad esempio con un esercizio detto chabi. Consiste nel tenere forzatamente il proprio pene in posizione abbassata. Un altro è il lingasana. Il sant’uomo si appende almeno trenta chili al pene e solleva questo peso con la sola forza del suo super prepuzio dotato di poteri sovrumani. Si tratta di un’elaborazione dell’esercizio yogico chiamato kara-lingi. Il suo scopo è di eliminare la capacità erettile dell’organo genitale e incanalare le forze sessuali in forma ascetica, trascendendola. In una parola, di aumentare la kundalini.

Una volta erano usate grosse catene, oggi delle corde con enormi mattoni appesi al pene. Non provate questo esercizio a casa se non siete dei Naga Baba, se siete circoncisi o non siete dotati di un super prepuzio. È facile vedere i Naga Baba praticare questo esercizio in pubblico durante il più grande raduno religioso del mondo: il Khumb Mela. Oltre cento milioni di fedeli in tre mesi presso il fiume sacro Gange, ogni dodici anni. Altri Naga Baba hanno fatto voto di non abbassare mai il loro braccio sinistro per dodici anni oppure di non sedersi mai. Uno di loro dorme in piedi, sorretto da corde, da dieci anni.

Il Gianismo (religione dell’India) ha due sette principali. Gli Svetambara (“vestito bianco”) rappresentano l’ala più liberale. Loro vi accompagneranno vestendo almeno un indumento. Ma quando il dovere lo impone, quelli della setta più radicale dei Digambara (“vestito di cielo”) vanno in giro nudi integrali. Questo per seguire l’esempio dello storico fondatore del Giainismo: Mahavira. (599 a.C.). Seguire il loro esempio religioso nudista vuol dire essere un perfetto nirgrantha, cioè “il nudo”. I Digambara sono solo 155.000 su quattro milioni di giainisti in India.
Anche i monaci jinakalpin, della setta Svetambara, circolano completamente nudi e usano il palmo delle mani come scodella. Questo fa parte dei voti monastici (mahavratas) che prevedono anche la castità assoluta, la proibizione di nuocere a qualsiasi essere vivente (insetti e microbi compresi), rubare e mentire. Comportarsi diversamente provocherebbe una reincarnazione, allontanando la salvezza (mokṣa).

Giorgio Nadali


Levitazione & Bilocazione. Sono possibili?

Maharishi Mahesh Yogi ha fondato nel 1975 una scuola di meditazione di volo yogico, come estensione della Meditazione Trascendentale, il quarto stadio di coscienza. Si chiama tecnica TM-Sidhi. Il volo yogico ha tre livelli. Lo stadio iniziale è saltellare su e giù seduti nella posizione del loto, il secondo stadio è lievitare, il terzo stadio è volare. Secondo Maharishi, il volo yogico è un fenomeno creato da uno specifico pensiero proveniente dal più semplice stato di coscienza, chiamato Coscienza Trascendentale. Bevam Morris, presidente della Maharishi University of Management, di Fairfield (Iowa, USA) ha organizzato il primo concorso nord americano di volo yogico nel 1986, presso il Civic Center di Washington. Ventidue praticanti della tecnica TM-Sidhi hanno partecipato in competizioni come i 25 metri a ostacoli, salto in lungo e corsa di 50 metri di volo yogico. Il concorso si è svolto ogni anno sino al 1989. Vicotria Dawson del «Wasgington Post» ha riferito che i partecipanti saltavano rimanendo seduti . Tuttavia nessuno di loro ha volato.

Nell’Induismo i poteri di levitazione del corpo sono chiamati “potere della rana” (dardura-siddhi) e sono attribuiti limitatamente ad alcuni maestri (guru) dotati di poteri spirituali: i siddha, coloro che hanno il potere (siddhi) della leggerezza (laghiman). Il maestro yoga Subbayah Pullavar nel 1936 ha levitato orizzontalmente davanti a 150 persone sospeso su di un bastone coperto da un panno. Shirdi Sai Baba era maestro della levitazione nel sonno. Nel Buddhismo questi poteri sono attribuiti storicamente allo yogi Milarepa.

Secondo il CICAP «a tutt’oggi non è mai stata dimostrata al di là di ogni dubbio l’autentica levitazione anche di un solo spillo. Nessun tavolo, medium o mediatore trascendentale si è mai sollevato di un millimetro (senza saltellare) in piena luce, sotto controllo davanti a una telecamera o, comunque, davanti a un prestigiatore competente. Gli illusionisti, naturalmente, riescono a creare l’illusione della levitazione con abili trucchi (il più spettacolare dei quali, in questo campo è quello presentato dall’americano David Copperfield)».
La bilocazione – la capacità di essere presenti contemporaneamente in due luoghi diversi – è attribuita nel Cristianesimo a Sant’Antonio, Santa Maria di Gesù da Agreda e San Padre Pio da Pietrelcina. Nessuno ha mai dimostrato di poter mostrare il doppio di se stesso nella stessa stanza dove si trovava.

Nel Cristianesimo il santo Giuseppe da Copertino (1603-1663) levitava a causa delle continue estasi mistiche e per questo era continuamente trasferito da un convento all’altro. Il potere di levitazione viene attribuito anche a San Francesco d’Assisi, Sant’Alfonso Maria de’ Liguori che predicava a Foggia sospeso nell’aria, Santa Teresa d’Avila, San Martino de Porres, ritenuto capace di teletrasporto (attraverso porte chiuse) e levitazione, Serafino di Sarov (un santo della Chiesa russo ortodossa) levitò davanti all’imperatore Alessandro I, e San Padre Pio da Pietrelcina, ritenuto capace di bilocazione e lievitazione.

Giorgio Nadali


Adorazione induista della Yoni, l’organo sessuale femminile

Nell’Induismo la Yoni è l’organo sessuale femminile. Il rito è suddiviso in tre categorie: adorazione, magia, meditazione. L’ultima è la più segreta. Il rito è considerato così importante al punto che chi lo pratica è esonerato da altre forme d’adorazione.
Il rito (chiamato anche stri puja o rahaja puja) è officiato con una donna in carne e ossa oppure con una scultura. Il più semplice stri puja è il kumari puja con una giovane di sedici anni (questo è il numero della perfezione nell’Induismo), tuttavia è richiesta la presenza di una yogini più matura al centro del rito. Nello yoni puja officiato con una statuetta di una dea oppure con una donna, sono versati cinque elementi liquidi simbolici sulla sua yoni. Sono gli elementi della cosmologia indù, rappresentati da alcuni alimenti: la terra (simboleggiata dallo yogurt), L’acqua (usata realmente), il fuoco (simboleggiato dal miele), l’aria (simboleggiata dal latte) e l’etere (simboleggiato da un qualsiasi olio commestibile). Gli elementi sono versati consecutivamente sulla yoni e poi raccolti in un vaso.
Il miscuglio (amrita), consumato poi dai partecipanti al rito, rende intimi con la dea, la quale restituisce l’offerta come dono. Sono poi recitati dei mantra, vale a dire delle preghiere davanti alla yoni, sia questa una statuetta della dea o una yoni di una donna in carne e ossa. I mantra riguardano preghiere generiche (stadio dell’adorazione), e richieste specifiche personali d’ogni tipo (stadio magico). Il rito non è osceno e l’intenzione dei fedeli indù è quella di rivolgere le loro preghiere alla sorgente e alla sede della vita, che mette in contatto il ventre materno con la realtà esterna fenomenica.
I testi tantrici raccomandavano che ogni stadio dell’unione sessuale fosse evidenziato dall’intonazione di diversi mantra, ripetuti molte volte sopra le parti del corpo interessate.
Lo scopo principale è quello di ottenere dallo yoni puja un’energia sottile chiamata yonitattva o yonipuspa (cioè “fiore della yoni”). L’adorazione della donna, delle dee, della yoni, è qui sopravvissuta dalle sue radici nel paleolitico, sino ai giorni nostri. Nella Bhagawat Gita, testo sacro della tradizione indù troviamo scritto: «balam balavatam caham kama-raga-vivarjitam dharmaviruddho bhutesu kamo ‘smi bharatarsabha» cioè: «Io sono la forza del forte, passione e desiderio. Io sono la vita sessuale, la quale non è contraria ai principi religiosi, O signore di Bharatas [Arjuna]». Lo virabhava è il rapporto sessuale di un Sadaka e della sua Shakti.

Gli adoratori della yoni non possono perdersi un pellegrinaggio al più importante tempio a lei dedicato. Il tempio Kamakhya di Guwahati (nello stato di Assam), dedicato alla dea omonima. Il garbhaghriha (la parte più interna, cuore di un tempio indù) è una caverna con una roccia a forma di yoni con una sorgente naturale d’acqua che proviene da essa. D’altra parte secondo la mitologia indù del testo sacro Kalika Purana, il tempio Kamakhya è il luogo dove Sati (nota anche come Dakshayani, la dea della felicità matrimoniale e della longevità) si ritirava per amare il dio Shiva e il luogo dove la sua yoni cadde dopo che Shiva danzò col suo cadavere. È naturale che questo tempio sia il centro della pratica del Tantra e migliaia dei suoi devoti non si perdono mai tutti gli anni lo Ambubachi Mela, il festival della yoni. L’offerta rituale (prasad) è in due forme, angodak e angabastra. Angodak è la parte fluida del corpo e angabastra significa il panno che copre il corpo. Nello specifico è una parte del panno rosso usato per coprire la roccia yoni durante i giorni delle mestruazioni. Esatto, anche la roccia yoni ha le mestruazioni.
Per par condicio ritengo doveroso indicare anche dove si trovi il più grande tempio del linga. È il santuario shintoista di Taga-Jinja, ad Uwajima, Giappone. Naturalmente c’è anche il grande festival del linga, il Kanamara Matsuri (vedi Shintoismo).

Duti puja

Nel tantrismo il duti puja è l’adorazione di una bella donna, che comprende il pancamakara. Il rito noto come pancamakara o dei “cinque essenziali” è officiato con cinque ingredienti che in sanscrito iniziano con la “m” e di cui solo i primi quattro si comprano al supermercato: grano (mudra), pesce (matsya), liquore (madya), carne (mamsa), e rapporto sessuale (maithuna). Viene anche definita come “Eucaristia Tantrica”. Lo scopo del rito è di svegliare i poteri spirituali e di soddisfarli. Sono invocate le divinità: Shiva e Shakti, Mahadeva e Mahadevi, Bhairava e Bhairavi. Le coppie cosmiche.
La coppia siede di fronte ad un fuoco. La donna alla sinistra del suo compagno. Il lato sinistro è infatti femminile, quello destro, maschile. La coppia inginocchiata unisce le mani nel tradizionale gesto di saluto namaste. Gli elementi vengono in parte versati nel fuoco e in parte imboccati alla partner, che rappresenta la divinità. Fatto questo la coppia gira intorno al fuoco tre volte e mezza, tante quante le spire della kundalini, l’energia sessuale. La donna è ritualmente elevata e purificata allo stato delle dee (Devi) mediante la meditazione e il nyasa. Il nyasa è il rituale che pone delle preghiere (mantra) o lettere sul corpo mediante il tocco o la visualizzazione, rendendolo divino e riempiendolo col potere della Shakti (il potere creativo di Shiva rappresentato dalla sua consorte). Poi ogni parte del corpo della donna viene adorata, in particolare il volto, i seni e l’organo genitale (yoni). Le sono offerti alcol, carne cotta e pesce. Il rituale culmina con il rapporto sessuale (maithuna) dell’adepto con lei. Nel coito (maithuna) la donna deve avere il controllo. L’unione è simbolica dell’unione del dio Shiva con la sua Shakti. Il maithuna rappresenta lo stato assoluto di beatitudine.

Giorgio Nadali


Rosario brucia l’incenso

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di Giorgio Nadali

L’uso dell’incenso nelle Religioni è testa a testa con l’uso dell’oggetto sacro che nel Cattolicesimo è chiamato “rosario”.

Il rosario è un oggetto di culto comune a diverse religioni. La preghiera meditativa è scandita dai grani dei rosari cattolici, ortodossi, islamici, induisti, buddhisti e degli Hare Krishna. Il rosario cattolico è una “Corona di rose” offerta alla Madonna, da cui il suo nome. Si diffonde nasce nel tardo Medio Evo grazie alle confraternite del Santo Rosario, fondate dal frate Pietro da Verona. Quello ordinario ha 50 grani, mentre la versione francescana ne ha 70. I 50 grani sono 5 decine composte da un Padre nostro, dieci Ave Maria, un Gloria al Padre. La decina termina con la “Preghiera di Fatima” o l’Eterno Riposo per i defunti. Al termine delle cinque decine si recita il “Salve Regina”. Il rosario completo è composto in realtà da quindici decine. Le prime cinque vengono recitate il lunedì e giovedì (o sabato) e meditano ciascuna i “misteri gaudiosi”, le secondo cinque il martedì e venerdì e meditano i “misteri dolorosi” della Passione di Cristo. Il mercoledì e la domenica (o sabato) si meditano i cinque “misteri gloriosi” con le ultime cinque decine. Dal 2002 è possibile aggiungere il giovedì anche altre cinque decine dei “misteri luminosi”, voluti con la lettera apostolica Rosarium Virginis Mariae del 16 ottobre 2002, da San Giovanni Paolo II. La lettera dice tra l’altro: “Il Rosario, infatti, pur caratterizzato dalla sua fisionomia mariana, è preghiera dal cuore cristologico. Nella sobrietà dei suoi elementi, concentra in sé la profondità dell’intero messaggio evangelico, di cui è quasi un compendio. In esso riecheggia la preghiera di Maria, il suo perenne Magnificat per l’opera dell’Incarnazione redentrice iniziata nel suo grembo verginale”. Il rosario ortodosso (Russia, Ucraina, Romania, Bulgaria, Bielorussia, Serbia, Grecia, ecc.) si chiama “corda da preghiera” e non ha lunghezza fissa. Di solito i grani sono 33, 50 o 100 ed è comunemente fatto di lana annodata. La corda da preghiera ortodossa è basata sulla “preghiera del cuore”, o preghiera di Gesù, basata sulla preghiera della parabola del pubblicano nel Vangelo di Luca: “Signore Gesù Cristo, Figlio di Dio, abbi misericordia di me peccatore”. Il rosario greco ortodosso si chiama komboloi. Il rosario islamico è il misbaha o tasbīḥ. È formato da 99 grani, oppure da 33 ripetuti 3 volte. Ciascun grano (fatto di legno, avorio, perla o plastica) è uno dei 99 nomi di Allah. Recitarli a memoria è la dhikr. I primi ad usarlo furono i sufi, i mistici islamici. Il rosario induista si chiama japa mala (che significa ghirlanda) o rudraksha. È fatto di semi di Elaeocarpus ganitrus. Composto da 108 grani, ciascuno è un mantra (preghiera, a volte composta anche da una sola sillaba come “OM”) o invocazione del nome di una divinità. Va usato con la mano destra e il pollice che fa passare i grani. Il mala va avvolto sul dito indice che rappresenta il proprio ego, ciò che frena la propria realizzazione personale. Il mala (rosario) buddhista è molto più antico di quello cristiano (il Buddhismo ha 2500 anni). Serve per la recitazione di mantra e di dhāraṇī (gzung-ma in tibetano), cioè di versetti rituali composti da sillabe, come il nembutsu (o nianfo), la ripetizione del nome di Amitābha, un Buddha celestiale. Infine il mala (rosario) degli Hare Krishna (organizzazione religiosa di matrice induista nata nel 1966 negli USA) viene recitato con la mano che scorre i grani del rosario racchiuso dentro un sacchetto di tela e serve per recitare il grande (maha) mantra o Vaishnava mantra composto da sedici parole.

L’incenso è simbolo di santità. I suoi fumi rappresentano le preghiere degli uomini che salgono in cielo. A Gesù bambino l’incenso fu donato dai Magi per questo motivo. Purifica l’ambiente sacro e immette nella dimensione divina. Non a caso la pianta dalla quale proviene si chiama Boswellia Sacra. È usato da diverse religioni. Cristianesimo cattolico e ortodosso, Induismo, Buddhismo, Taoismo, Shintoismo. Quello cattolico viene generalmente usato solo dal sacerdote, è in granelli che vengono posti nella navicella e poi posti con un cucchiaino dentro al turibolo insieme alla carbonella. Nel Cristianesimo ortodosso e in tutte le altre religioni l’incenso è acquistato e usato direttamente dai fedeli. Nell’Induismo, Buddhismo e Taoismo di solito viene usato dai fedeli quello in piccoli bastoncini da bruciare al tempio oppure in forma di spirali coniche (Taoismo). Nel Buddhismo e Taoismo i bastoni di incenso possono essere anche di grandi dimensioni – sino ad un metro – e costosi. Sono acquistati e lasciati bruciare presso un’immagine sacra. L’incenso è citato 124 volte nella Bibbia, di cui 4 nei Vangeli e 1 nell’Apocalisse. I cristiani ortodossi in Grecia lo comprano come le caramelle. Nel negozio scelgono il tipo desiderato e con una paletta lo mettono in un sacchetto e lo acquistano a peso. Sono grossi cristalli multicolore. Anche la chiesa russo ortodossa lo vende ai fedeli in scatolette colorate. I fedeli lo accendono personalmente in chiesa o in casa davanti alle icone… L’incenso “non combustibile” è una combinazione di ingredienti aromatici che non sono preparati o modellati in una forma particolare ed è per lo più inadatto per la combustione diretta. L’uso di questa classe di incenso richiede una sorgente separata di calore poiché generalmente questo incenso non può accendersi senza altre sostanze. Questo incenso può variare per la durata della sua combustione e per la struttura del materiale. Gli ingredienti più fini tendono a bruciare più rapidamente, mentre quello macinato grossolanamente o intero può consumarsi a poco a poco, in quanto ha meno superficie totale. Il calore è tradizionalmente fornito da carbone o brace. In Occidente, gli incensi più noti di questo tipo sono il franchincenso e la mirra, probabilmente a causa loro numerose menzioni nella Bibbia cristiana. Nel tipo intero l’incenso viene bruciato direttamente nella sua forma. In polvere o granulato. Questo incenso brucia rapidamente e fornisce un breve periodo di profumi intensi. Nella pasta di incenso il materiale in polvere o in granulato viene miscelato con un legante appiccicoso e incombustibile, come frutta secca, miele, o una resina morbida e quindi modellato in sfere o piccole pastiglie. Queste vengono lasciate maturare in un ambiente controllato in cui i profumi possono mescolarsi e unirsi. Nell’ambito della tradizione orientale cristiana ortodossa, l’incenso grezzo viene macinato in una polvere fine e poi mescolato con vari oli essenziali profumati. Gli incensi più aromatici sono la canfora borneola, il benzoino di Sumatra, l’incenso dell’Oman, il guggul, l’incenso dorato, il balsamo del Tolu, la mirra di Somalia e il sandalo indiano bianco.

Giorgio Nadali

www.giorgionadali.it


Il futuro delle Religioni

di Giorgio Nadali

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Con l’avvento dell’anno 2001 dell’era cristiana si è aperta la porta sul mistero di un nuovo millennio di storia, con le sua aspettative, angosce, speranze, previsioni. Certo non molto è cambiato per chi vive alla giornata o per quella maggioranza di noi che nella propria agenda ha scadenze entro l’anno in corso. L’odissea nello spazio non c’è stata e la fine del mondo ha deluso quei cinque milioni che l’aspettavano ansiosamente e l’avevano già segnata in rosso nelle scadenze da ricordare. Ma guardare al futuro è cercare di capire cosa ci attende anche a breve termine. L’uomo ha sempre cercato nel futuro risposte al presente. Dalle sfere di cristallo agli oroscopi online, dagli oracoli alle proiezioni della moderna statistica.

Molti cercano di prevedere i cambiamenti che ci attendono in questo decennio, altri si spingono sino ai confini del secolo e oltre. Alcuni tentano di predire il futuro delle religioni, come ad esempio il World Network of Religious Futurists, di Seattle (USA). Certamente i lettori più dotati di senso pratico si domanderanno il senso di tale preoccupazione. A loro potrebbero rispondere i lettori più attenti agli aspetti sociali. La religione è parte integrante degli usi e costumi di un popolo, e incide sulle scelte e sugli orientamenti etici della società nella quale viviamo. I lettori amanti delle statistiche si affretterebbero poi a portare i loro dati pieni di percentuali. Ci direbbero che, in base a varie proiezioni delle Nazioni Unite, il totale della popolazione mondiale crescerà sino al 2025 dai 6,25 miliardi attuali a 8,5 miliardi. Il Cristianesimo vedrà crescere il suo numero di fedeli dal 33,4% della popolazione della Terra, sino al 35,5%, mentre l’Islam passerà dal 18,5% al 20,2%. Gli agnostici diminuiranno. Dal 16,1% al 15%.  I non credenti si apriranno alla fede, almeno per quella differenza che farà calare la loro già esigua rappresentanza del 13%.  Le religioni orientali passeranno dal 3,4% al 2,7%  e le religioni tribali vedranno quasi dimezzati i loro credenti, dallo 1,5% allo 0,9% mentre Ebrei, Indù, Buddhisti e Sikh si manterranno su posizioni percentuali proporzionate a quelle attuali.

Il Cardinale Arinze, in una conferenza del 1997 presso il Center for Muslim-Christian Understanding della Georgetown University di Washington D.C, esordì ricordando che i cristiani costituiscono il 33% della popolazione mondiale. I musulmani il 18%. Ciò significa che più della metà del pianeta segue queste due grandi religioni monoteiste. E’ importante tenerne conto. Conflitti etnici tra cristiani e musulmani in Bosnia, Timor Est, Kosovo, hanno tristemente riempito pagine di quotidiani. In Italia è sorta la seconda grande moschea. Altre seguiranno, in base al trend dell’immigrazione.  La relazione tra cristiani e musulmani sarà una questione molto importante nel prossimo futuro. “E’ importante soprattutto educare le persone della propria religione ad accettare e rispettare gli altri e a cooperare per promuovere la pace. La dimensione delle relazioni tra Cristiani e Musulmani è importantissima per il secolo che sta per iniziare” –  ricordava Papa Giovanni Paolo II alla sesta assemblea della conferenza mondiale sulla religione e la pace (Roma, 3-11-1994).  I leaders religiosi devono chiaramente dimostrare di impegnarsi per la promozione della pace, proprio in forza del loro credo religioso”. Senza accordo e armonia tra le religioni è facile dunque prevedere che non ci sarà pace né vicino né lontano da noi. E la storia insegna.

 Durkheim ha scritto della capacità quasi illimitata degli uomini di apportare innovazioni in campo religioso. Nel mondo moderno tale capacità innovativa è favorita maggiormente dal facile accesso alla vasta gamma delle tradizioni religiose. In futuro, grazie alle comunicazioni che accrescono il contatto tra le culture su scala mondiale, la gente potrà conoscere meglio una serie di credenze religiose una volta considerate del tutto incompatibili tra loro e beneficerà delle pratiche che avrà trovato fuori delle proprie tradizioni religiose… La tendenza all’eclettismo potrà subire un’accelerazione. 1

La secolarizzazione è il tema dominante nel moderno assetto del futuro della religione. Secondo Webster, il termine secolare ha il significato “di chi appartiene al mondo e alle cose terrene distinguendo dalla chiesa e dagli affari religiosi”. La secolarizzazione quindi significa divenire immanenti. Più specificatamente, gli scrittori moderni usano il termine secolarizzazione per significare l’erosione della credenza nel soprannaturale – una perdita di fede nell’esistenza di forze ultraterrene.

Attraverso la secolarizzazione, le sette sono addomesticate e trasformate in chiese. La loro iniziale fede nell’ultraterreno viene ridotta e si riduce a mondanità. La secolarizzazione porta anche al collasso di organizzazioni religiose a causa della loro estrema mondanità – la loro vaga e debole concezione del soprannaturale – le lascia senza mezzi per soddisfare almeno la dimensione universale dell’impegno religioso. Quindi, la secolarizzazione è il processo auto limitante che genera revival (formazione di sette) ed innovazione (formazione di culti). La maggior parte degli studiosi, comunque, non considera l’andamento attuale della secolarizzazione come il messaggero del cambiamento religioso, ma proprio come il declino finale degli dei. Molti riconoscono che, nel passato, la secolarizzazione produceva nella nascita di nuove fedi, ma sono convinti che oggi si è inserito un nuovo fattore che ha eliminato questa equazione: la crescita della scienza è inversamente proporzionale alla crescita del sentimento religioso. La scienza dovrebbe rendere non plausibile la religione, e di conseguenza la secolarizzazione moderna non produrrà più nuove grandi religioni, bensì un’era di razionalità in cui il misticismo non può più trovare un posto significativo. Anthony F.C. Wallace, tra i più importanti antropologi della religione, diede voce alla grande maggioranza dei moderni sociologi quando scrisse:

“… L’evoluzione futura della religione è l’estinzione. La credenza in esseri e in forze soprannaturali che incidono sulla natura senza obbedire alle sue leggi si sgretolerà e diverrà un’interessante memoria storica. Con certezza, questo evento probabilmente non avverrà nella prossima generazione, il processo probabilmente avrà bisogno di diverse centinaia di anni, e ci saranno sempre individui, o occasionalmente piccoli gruppi religiosi, che risponderanno alle allucinazioni, al trance, e all’ossessione con interpretazioni soprannaturali. Ma come tratto culturale, la credenza in poteri soprannaturali è destinata a morire, in tutto il mondo, come risultato dell’aumentata adeguatezza e diffusione della conoscenza scientifica… il processo è inevitabile.”2

Chiaramente, la scienza è una nuova è potente forza culturale, e ha il suo forte impatto su molte organizzazioni religiose. Certamente, un grande elemento nella moderna secolarizzazione comporta il ritiro dalle strutture religiose da spiegazioni soprannaturali di vari fenomeni in quanto la scienza ha rivelato le cause naturali di questi fenomeni. Inoltre, l’impatto della scienza ha indubbiamente creato un periodo di eccezionalmente rapida ed estrema secolarizzazione. Oggi, molte delle importanti organizzazioni religiose della civiltà Occidentale sono così secolarizzate che, anche se si riferiscono a Dio, questi è il più distante, indistinto, impersonale ed inattivo delle entità.

Per cui, la questione è aperta. Siamo giunti all’era della fine della fede? La scienza è la base della “secolarizzazione finale” oppure lo sono le società? Oppure questa è solo una svolta drammatica del pendolo della storia? Avrà dei limiti quest’ondata di secolarizzazione? Sénaux ammoniva: “La scienza è capace di ingrandire la nostra gabbia. Solo la fede ha la chiave per aprirla”. Intendendo con questo che l’uomo non troverà mai nella scienza il senso ultimo della sua esistenza.

Ma la religione in realtà non è arrivata al capolinea della sua storia millenaria. Gli studiosi moderni hanno previsto male in quanto hanno erroneamente identificato le tradizioni religiose dominanti nella società moderna col fenomeno della religione in generale. La maggioranza degli osservatori ha notato correttamente che le principali organizzazioni Giudaico-Cristiane sono in crisi, (la pratica religiosa attiva si attesta tra il dieci e il teenta percento in Europa, ad esempio, e il ramo riformista del Giudaismo è quello predominante) ma non hanno apprezzato il vigore della religione in settori meno importanti.

La religione vivrà anche in futuro e questo è dimostrato da ciò che è e fa per l’uomo. I sociologi, e forse non solo loro, hanno letto male il futuro della religione, non solo perché desiderano ferventemente che sparisca dall’orizzonte della storia umana, ma anche perché non hanno riconosciuto il carattere dinamico delle religioni. Insistere solo sulla secolarizzazione è non vedere che questo processo è una parte di una struttura più grande. Mettendo sullo stesso piano le organizzazioni religiose con la religione stessa, gli intellettuali occidentali hanno letto la secolarizzazione di questi gruppi come la fine della religione in generale. Ma è sciocco guardare solo al tramonto senza pensare all’alba: la storia della religione non è solo declino, è anche nascita e crescita. Le sorgenti della fede oscillano costantemente nelle società, ma la religiosità nel cuore umano rimane relativamente costante.  Durkheim, notò che “non c’è società conosciuta senza religione” e sostenne che “la religione ha fatto nascere tutto ciò che è essenziale in una società”.3 Egli sostenne anche che tutte le culture sane sono unitarie, condividono un solo credo. Durkheim cercò di spiegare l’ubiquità della religione asserendo che essa soddisfa la funzione essenziale di rappresentare la società per i suoi membri, nelle forme di simboli sacri che sostengono un codice morale e un senso di unità culturale.

Per distinguere tra ideologia e religione può essere utile la definizione di James G. Frazer: “ La religione consiste di due elementi… un credo in poteri superiori all’uomo e un tentativo di propiziarseli e di rendersi a loro graditi”.4

Solo la divinità può rassicurare l’uomo che la sofferenza in questa vita sarà compensata in quella futura. Infatti, solo la divinità può garantire all’uomo una vita futura – una fuga dall’estinzione individuale. Solo la divinità può formulare un piano coerente per la vita, cioè dar senso in maniera umana all’esistenza del mondo naturale dei nostri sensi. Si può dimostrare con facilità che, sin quando l’uomo avrà questi desideri, i sistemi di pensiero che comprendono il soprannaturale avranno un grande vantaggio sui sistemi di significato solamente naturali. L’uomo per natura ha bisogno di trascendenza. Nel mio precedente libro citavo all’inizio Jung, il quale “notò che i suoi pazienti si rivolgevano a lui perché erano tutti privi di ciò che le religioni davano ai propri fedeli. Questi pazienti non miglioravano fino a quando non acquisivano un atteggiamento religioso verso la vita, nel senso di rispetto nei confronti di una realtà più grande di loro”.

Credenti e non credenti hanno bisogno di un orizzonte oltre il presente. Per i primi il futuro è l’orizzonte verso la pienezza dei tempi, quando “non vi sarà più notte e non avranno più bisogno di luce di lampada, né di luce di sole, perché il Signore Dio li illuminerà e regneranno nei secoli dei secoli” (Ap 22,5). Per gli altri – diceva Camus – il futuro è la sola trascendenza degli uomini senza Dio. Ma non c’è ragione di supporre che la diffusione della scienza (e della sua applicazione: la tecnologia) renderà gli uomini del futuro meno motivati a fuggire la morte, meno preoccupati della tragedia, meno inclini a chiedersi: “Cosa significa?” E’ vero, la scienza può sfidare alcune pretese poste dalle religioni storiche, ma non può soddisfare il bisogno primario dell’uomo, che da sempre è stata la ragione d’essere delle religioni: il senso profondo della vita umana… “Signore, da chi andremo? Tu hai parole di vita eterna”. (Gv 6,68)

Per approfondire:

Rodney Stark, William Sims Bainbridge – The Future of Religion. Secularization , revival and Cult formation – Los Angeles, University of California Press, 1985, pp. 429-431 e 2-5.

http://www.wnrf.org


1 (Cf. Peter B. Clarke – “Le grandi Religioni” De Agostini, 1995, p. 14)

2 Wallace Anthony F.C. Religion: An anthropological view, New York, Random House, 1966.

3 Durkheim Emile. The elementary forms of  the religious life. Londra, Allen and Unwin, 1915.

4 Frazer  James G. The golden bough. New York, Mcmillian, 1922