I miracoli indù e la scienza yogica ashta ma siddhis

Miracoli indù? Certo! E sono tanti… L’Induismo classifica i miracoli e dà esempi di miracoli nella sua mitologia e nella vita di centinaia di santi. Il siddhar è chi ha il siddhi, potere soprannaturale, che è definito da otto tipi della scienza yogica (ashta ma siddhis). Questi sono: 1) Anima: potere di ridursi alla dimensione di un atomo e di entrare nella vita microscopica. 2) Mahima: potere di divenire potente e grande come Krishna. 3) Laghima: capacità di essere leggero, ma grande nelle dimensioni. 4) Garima: capacità di essere pesante come Shiva. 5) Praapti: capacità di entrare in tutti i mondi da Brahmaloka a Pathalam.6) Prakaamyam: potere di uscire dal corpo, entrare in altri corpi e andare in cielo e godere di ciò che si vuole. 7) Ishitvam: il potere di divenire un dio come Shiva. 8) Vasithvam: potere di influenzare chiunque. Questi poteri possono essere ottenuti da chiunque si impegni e si sforzi di praticare la disciplina spirituale (sadhana).

1) Si può divenire piccolo con l’umiltà, che dà il potere chiamato anima. 2) Si può divenire mahaan, grandi, aiutando gli altri. Chi serve gli altri è un mahatma. Aiutare gli altri dà il potere mahima. Mahatma (grande) è il titolo di Gandhi. 3) Si può divenire pesanti dal peso dei propri contributi alla società Dare continui contributi alla società dà il potere garima. 4) Si può divenire leggeri eliminando il proprio ego. Questo dà il potere laghima. 5) Si può aspirare a qualsiasi cosa cercando. La ricerca dà il potere praapti. 6) Si possono realizzare i propri desideri con la volontà. Questo dà il potere praakamyam. 7) Si può divenire signore assumendosi delle responsabilità. Questo dà il potere ishitvam. 8) Si può influenzare gli altri mediante l’amore e l’interessamento. Prendersi cura di qualcuno dà il potere vashitvam.

Giorgio Nadali


Lo Ōryōki. Il pasto meditativo e lo “Zen della nonna”

Lo Ōryōki è una forma meditativa di consumare i pasti originatasi in Giappone che sottolinea la consapevolezza pratica della coscienza, obbedendo a un ordine rigoroso di movimenti precisi. Un set ōryōki è composto da ciotole nidificate chiamate jihatsu, di solito fatte di legno laccato e utensili racchiusi in un panno. La ciotola più grande, a volte chiamata Ciotola del Buddha o zuhatsu, simboleggia la testa del Buddha e la sua saggezza. Le altre ciotole sono progressivamente più piccole. La ciotola di plastica nera è composta di tre ciotole nidificate, due bacchette, un cucchiaio di legno, una piccola spatola di gomma, un tovagliolo grigio, e un panno di pulitura, tutti ordinatamente avvolti in un panno grigio con un ciuffo che assomiglia a un fiore di loto. Questo è lo stile formale di servire i pasti nei templi zen.

La ciotola stessa è considerata un simbolo di trasmissione da maestro ad allievo. I monaci la ricevono insieme alla veste. L’Ōryōki si è evoluto nei monasteri buddhisti in Cina e in Giappone nel corso di molti anni e fa parte della tradizione buddhista. Sia i monaci sia i laici praticano l’ōryōki per consumare pasti formali nei monasteri Zen e nei luoghi di meditazione. I maestri zen dicono che consumare i pasti con l’ōryōki sviluppa il senso di gratitudine, la consapevolezza e la comprensione di sé. Il cuoco (tenzo) è la figura più importante dopo l’abate di un monastero zen. Letteralmente tenzo significa monaco celestiale. Il suo compito è fornire una giusta alimentazione per la meditazione sesshin combinando gli ingredienti che provengono dalla questua (takuhatsu). I maggiori maestri zen erano cuochi, come ad esempio Dongshan Shouzhu. Importantissima è la kuri, la cucina del tempio zen. La dieta è rigorosamente vegetariana (shojin ryori). In monastero il menù comprende a colazione riso con verdure sotto sale (tsukemono), a pranzo e cena pasta di soia (miso).

Lo Zen della nonna

Rōba-Zen significa letteralmente “Zen della nonna”. È un metodo mite di formazione Zen in contrasto a quello che usa le maniere forti con l’allievo: il Kentsui cioè “pinze e martello da fabbro”. Un maestro può optare per lo Zen della nonna se non se la sente di maltrattare i suoi allievi, anche se il metodo duro Kentsui aiuta a trovare la vera felicità (anjin). Se poi l’allievo si attacca troppo al mondo delle apparenze per lui c’è solo un termine: viene chiamato kan-shiketsu, cioè “spatola secca di sterco”. Infatti, prima della sua invenzione, in Cina veniva usata la spatola di legno al posto della carta igienica.

Giorgio Nadali