I segreti del Nirvana

Nel Buddhismo il nirvana è l’estinzione (nir) di ogni desiderio (vana), lo scopo finale dell’esistenza e la liberazione finale dal dolore: «Tutto è dolore Il dolore si combatte eliminando il desiderio». In psicoanalisi il «Principio del Nirvana» è quello che esprime la tendenza a raggiungere uno stato non conflittuale di libertà dal dolore o dalle preoccupazioni. Il desiderio di uno stato di oblio come manifestazione dell’istinto di morte. Per Schopenhauer è la negazione della volontà di vivere la cui esigenza scaturisce dalla conoscenza della natura dolorosa e tragica della vita. Il mokṣa è la liberazione in questa vita (jivanmukti) o escatologica (karmamukti) dal ciclo di reincarnazioni, il samsàra.

Il funerale tradizionale taiwanese con le spogliarelliste funebri

Dentro il padiglione funebre – nella casa del defunto – è fatto il lamento funebre e i famigliari strisciano fino alla bara. Il defunto ha lascito per tempo le sue ultime volontà e disattenderle può portare mala sorte alla famiglia. Il figlio maggiore indossa le vesti cerimoniali. A Taiwan le ballerine erotiche vengono ingaggiate per eventi come matrimoni e funerali. Molti pensano che spettacoli esotici e costosi siano onorevoli e facciano felici déi, spiriti e uomini. In casa viene offerto cibo al defunto per il suo viaggio. Poi viene deposto nella bara, piena dei soldi finti chiamati jīnzhǐ.

A Taiwan il rispetto per il defunto si misura con la folla, i soldi spesi per il funerale (in genere almeno quindicimila euro) e il numero più alto possibile di decibel della musica festosa. Una banda con majorettes, sassofoni, suonatori di tamburo trasportati da carrelli motorizzati e cantanti col microfono accompagnano il feretro. È chiamato il “carro di Buddha” e apre il corteo funebre. Poi segue il grande dragone di carta con i ballerini che fanno la danza del drago. Due bande musicali interamente femminili. Vengono cantati pezzi pop. A seguire, un altro carro allegorico funebre con palcoscenico mobile e ballerine di lap dance che la per giusta somma di denaro si spogliano durante il corteo funebre e anche davanti alla lapide. Tutto per fare felice il defunto. Nella bara viene fatta un’apertura affinché il defunto possa guardare le ragazze mentre ballano al cimitero. Poi è interrata. Nella cultura buddhista la morte non è affatto qualcosa di triste.

Il Naraka, l’inferno Indù e Buddhista

Nel codice di Manu (induista) si parla non di uno, ma di ben ventuno inferni diversi, ciascuno col suo nome. Ciascun inferno ha una sua pena. È escluso che Dante Alighieri si sia ispirato al Codice di Manu nella sua descrizione delle pene infernali, ma è strano notare la somiglianza dei vari inferni buddhisti e induisti con le pene del contrappasso dantesco. È fuori discussione che l’inferno sia caldo. Questo però solo nella visione cristiana. Infatti, Gesù parla di «fuoco eterno» dell’inferno (Matteo 25,41). Il Codice di Manu parla anche di otto inferni freddi, oltre a otto inferni caldi. Nel Naraka Huhuva si battono i denti. È proprio chiamato “Il Naraka dei denti che battono”. Stranamente si parla di “stridore di denti” infernali anche nel Vangelo di Luca 13,28 e in altri sei passi evangelici.

Il Taoismo conosce un rito dei denti che battono, il K’ou-ch’ih. Il Naraka Nirarbuda è l’inferno freddo delle vesciche scoppiate. Nel Naraka Aṭaṭa i dannati hanno così freddo che non fanno altro che balbettare «at, at, at», da cui il nome: il Naraka del tremito. Il Codice di Manu descrive anche la durata della vita infernale. Non è eterna, come nella visione cristiana e islamica, ma è notevolmente lunga. L’inferno caldo Naraka Pratāpana, quello «dell’immenso calore» per intenderci, dura un numero astronomico di anni: 42.467.328 per dieci alla decima. In sostanza più anni d’inferno che del numero delle stelle nell’universo; tutti ospiti di Yama, il padrone di casa del naraka. No, non è Satana.
L’Avichi è l’inferno peggiore. I naraka freddi e caldi sono circondati da sedici inferi secondari. I dannati sono triturati, spezzettati, mangiati vivi da uccelli col becco di ferro, tagliati a pezzi dalle affilatissime foglie degli alberi infernali. Una speranza però c’è.

Il rito dell’ullambana. Letteralmente significa “salvare i defunti appesi sottosopra”. Questo rituale a favore dei defunti è praticato sia dall’Induismo, sia dal Taoismo, sia dallo Shintoismo. Il termine ullambana deriva dal sanscrito avalambana: e significa “appeso a testa in giù”. È questo il tormento dal quale si vogliono salvare i defunti. In Cina è praticato il quindicesimo giorno del settimo mese buddhista (agosto) per aiutare gli spiriti affamati (preta) mediante offerte di cibo, spesso in forma simbolica e di carta (vedi Jīnzhǐ). In Giappone lo urabon si tiene il 15 luglio e il 15 agosto.

Funerale simulato da vivi

In Corea del Sud vi è il più alto tasso di suicidi al mondo. Dai 400.000 ai 779.000 nel mondo. Dei venti Paesi con alti tassi di suicidio, diciassette appartengono all’area dei Paesi più ricchi e benestanti; lo status socioeconomico delle persone non costituisce un fattore rilevante di rischio suicida; più una persona, o uno Stato, è religiosa e minore è il suo tasso di suicidio; i protestanti presentano un tasso di suicidio più alto degli ebrei, e questi, a loro volta, più alto dei cattolici .

La Cheonan la Coffin Academy (“Accademia della bara”) offre un programma che vuole prevenire i suicidi. Il momento più importante del macabro rituale è il finto funerale in cui i partecipanti sono chiusi ognuno nella propria bara posta in una grande sala. Si scatta la foto della persona da porre con un lumino sulla bara. Viene indossato il tradizionale sudario coreano e letto l’elogio funebre di ciascuno dei partecipanti. Il coperchio della bara è chiuso con un martello dopo che il partecipante vi si è sdraiato. Per dieci minuti ognuno riflette sulla propria vita, prima che la bara sia riaperta. Nessuno dei partecipanti al rito si è poi suicidato.

Monaci buddhisti robotizzati al cimitero

Al cimitero centrale di Yokohama (Giappone) la Elevator Systems Co. di Tokyo ha installato un monaco buddhista robot del valore di 380.000 dollari. Il monaco robot inizia automaticamente alle nove di mattina a intonare le preghiere di quattro sette buddhiste, sbattendo le palpebre e aprendo la bocca in base alla registrazione su cd rom. Svolge la funzione di quattro monaci. Un altro monaco robot è installato presso il tempio buddhista Hotoku-ji, a Kakogawa (Giappone). Di solito sta fermo in meditazione, ma quando i suoi sensori sentono l’avvicinarsi di un fedele, il monaco robot creato da Yoshihiro Motooka inizia a intonare un sutra, mentre lo shumoku (pestello) che tiene nella sua mano destra batte ritmicamente il suo bel mokugyo (gong di legno buddhista). Il robot è stato creato con parti usate di altri apparecchi. Il monaco robot è rasato, tiene in mano un rosario juzu ed è inginocchiato.

Giorgio Nadali


Khajuraho. Il complesso dei templi erotici, patrimonio UNESCO

Il complesso dei templi di Khajuraho, nello stato indiano dello Madhya Pradesh fu costruito tra il 950 e il 1050 d.C.. Il nome Khajuraho deriva dal khajur, la palma da dattero, molto diffusa nella zona, ma la sua attrazione principale non è costituita dai dolci frutti. È il complesso religioso più erotico esistente al mondo. I suoi murali e le sue statue rappresentano un tributo alla vita nell’era dei re Chandela Rajput, quando furono costruiti.

Il più grande dei venti templi meglio conservati del complesso è il Kandarya Mahadeva – dedicato al dio Shiva – alto trentuno metri. Nella sua parte più sacra è conservato un grosso lingam (pene) di pietra, simbolo appunto del dio Shiva. Anche il tempio Matangeshwara, appena fuori dell’area occidentale, è dedicato a Shiva e la sua attrazione principale è un lingam (pene di Shiva) alto due metri e quaranta centimetri.

Il lingam è sempre presente in tutti i templi indù – non solo a Khajuraho – e si erge al di fuori della sua base, costituita dalla yoni, (vulva) la sua shakti (potenza). Questa rappresentazione di pietra di forma fallica è chiamata shivalingam. Questo perché nell’induismo il sesso è sacro. Da esso viene la vita. Il santuario è ornato con divinità maschili e femminili e apsaras (fanciulle celestiali) tutte impegnate nelle più disparate attività erotiche esplicite.

Anche se solo il dieci per cento delle sculture dei templi di Khajuraho sono erotiche, si vede del sesso orale, sesso di gruppo, autoerotismo e anche l’unione sessuale tra un uomo e un cavallo. Le attività erotiche rappresentate sono legate al Tantra, una dottrina spirituale antica di quaranta secoli, tanto quanto la religione più antica al mondo ancora esistente, l’induismo. Nel Tantra vi è la ricerca dell’unione spirituale e il distacco dai legami terreni anche attraverso pratiche sessuali. Il sesso ha quindi un significato molto diverso dalla visione occidentale, almeno tanto quanto la distanza tra la genitalità materialista e l’erotismo spirituale.

Il Mahatma Gandhi voleva fare distruggere il complesso, circondato dai grandi giardini, ma il governo si oppose. Rimasero in stato di abbandono sino al XVIII secolo. Poi furono restaurati per la prima volta dagli inglesi nel 1838 e infine nel 2009. Oggi un aeroporto certamente sovradimensionato rispetto alle dimensioni del paesino indiano, accoglie milioni di visitatori attratti dalle rappresentazioni in bassorilievo del Kamasutra (il testo sacro del III sec d.C. scritto da Vatsyayana, un monaco che viveva in castità assoluta). Dal 1986 l’UNESCO li ha dichiarati patrimonio storico dell’umanità.

Giorgio Nadali


Le opere di misericordia. 4. Consolare gli afflitti

“Beati gli afflitti, perché saranno consolati”. È la seconda beatitudine che proclama Gesù (Matteo 5,4). La consolazione viene da Dio perché, come recita il Salmo 33 ”il Signore è vicino a chi ha il cuore ferito egli salva gli spiriti affranti”. “Sia benedetto Dio, Padre del Signore nostro Gesù Cristo, Padre misericordioso e Dio di ogni consolazione, il quale ci consola in ogni nostra tribolazione perché possiamo anche noi consolare quelli che si trovano in qualsiasi genere di afflizione con la consolazione con cui siamo consolati noi stessi da Dio”. (2 Corinzi 1,3-4). Consolare è un atto di grande carità. San Paolo scrive a Filemone: “la tua carità è stata per me motivo di grande gioia e consolazione” (Filemone 7). Le occasioni di mettere in pratica questa grande opera di misericordia sono infinite. “Voi sarete afflitti, ma la vostra afflizione si cambierà in gioia”, promette Gesù (Giovanni 16,20). Abbiamo un Consolatore che opera per mezzo nostro, lo Spirito santo.

Possiamo consolare con le parole, la preghiera, il consiglio, con una presenza silenziosa e naturalmente con le opere di misericordia corporale. Il modo migliore è ovviamente quello di donare noi stessi, cioè il nostro tempo. È un modo più profondo e personale che donare denaro e cose materiali. Basta alle volte una parola di speranza, soprattutto basata sulla Parola con la P maiuscola, cioè quella dii Dio. Chiunque può essere afflitto per moltissimi motivi, soprattutto in questi tempi di crisi. Va distinta l’afflizione dalla malattia psicologica e dalla depressione. Dobbiamo comprendere che in forza del nostro battesimo siamo tutti testimoni della speranza che è in noi (1Pietro 3,15) e operatori dell’amore di Dio. Consolare gli afflitti che Dio pone sul nostro cammino di vita è quindi un dovere per chiunque si definisca cristiano. Oggi si sta diffondendo anche il coaching spirituale, una nuova professione laica riconosciuta per legge dallo Stato italiano. Ma per consolare una persona basta poco. Come diceva Madre Teresa di Calcutta “non sapremo mai quanto bene può fare un semplice sorriso”.

Papa Francesco scrive nella sua enciclica Deus caritas est (Dio è amore): “L’amore — caritas — sarà sempre necessario, anche nella società più giusta. Non c’è nessun ordinamento statale giusto che possa rendere superfluo il servizio dell’amore. Chi vuole sbarazzarsi dell’amore si dispone a sbarazzarsi dell’uomo in quanto uomo. Ci sarà sempre sofferenza che necessita di consolazione e di aiuto. Sempre ci sarà solitudine. Sempre ci saranno anche situazioni di necessità materiale nelle quali è indispensabile un aiuto nella linea di un concreto amore per il prossimo. Lo Stato che vuole provvedere a tutto, che assorbe tutto in sé, diventa in definitiva un’istanza burocratica che non può assicurare l’essenziale di cui l’uomo sofferente — ogni uomo — ha bisogno: l’amorevole dedizione personale. Non uno Stato che regoli e domini tutto è ciò che ci occorre, ma invece uno Stato che generosamente riconosca e sostenga, nella linea del principio di sussidiarietà, le iniziative che sorgono dalle diverse forze sociali e uniscono spontaneità e vicinanza agli uomini bisognosi di aiuto. La Chiesa è una di queste forze vive: in essa pulsa la dinamica dell’amore suscitato dallo Spirito di Cristo.

Questo amore non offre agli uomini solamente un aiuto materiale, ma anche ristoro e cura dell’anima, un aiuto spesso più necessario del sostegno materiale. L’affermazione secondo la quale le strutture giuste renderebbero superflue le opere di carità di fatto nasconde una concezione materialistica dell’uomo: il pregiudizio secondo cui l’uomo vivrebbe « di solo pane » (Mt 4, 4; cfr Dt 8, 3) — convinzione che umilia l’uomo e disconosce proprio ciò che è più specificamente umano […] La carità, inoltre, non deve essere un mezzo in funzione di ciò che oggi viene indicato come proselitismo. L’amore è gratuito; non viene esercitato per raggiungere altri scopi. Ma questo non significa che l’azione caritativa debba, per così dire, lasciare Dio e Cristo da parte. È in gioco sempre tutto l’uomo. Spesso è proprio l’assenza di Dio la radice più profonda della sofferenza. Chi esercita la carità in nome della Chiesa non cercherà mai di imporre agli altri la fede della Chiesa”.

Donare un sorriso rende felice il cuore. Arricchisce chi lo riceve senza impoverire chi lo dona. Non dura che un istante, ma il suo ricordo rimane a lungo. Nessuno è così ricco da poterne far a meno nè così povero da non poterlo donare. Il sorriso crea gioia in famiglia, dà sostegno nel lavoro ed è segno tangibile di amicizia. Un sorriso dona sollievo a chi è stanco, rinnova il coraggio nelle prove e nella tristezza è medicina. E se poi incontri chi non te lo offre, sii generoso e porgigli il tuo: nessuno ha tanto bisogno di un sorriso come colui che non sa darlo. (P. John Faber)

Giorgio Nadali


Recensioni. Cinema. Left behind. La profezia

Anche se il film si conclude con la citazione del Vangelo di Marco (13,32) a tutto schermo su fondo nero: “Quanto poi a quel giorno o a quell’ora, nessuno li conosce” il film si ispira chiaramente al “Ratto salvifico” di cui abbiamo parlato in uno scorso articolo. Questa dottrina è legata alla profezia di San Paolo nella Prima Lettera ai Tessalonicesi: “Quindi noi, i vivi, i superstiti, saremo rapiti insieme con loro tra le nuvole, per andare incontro al Signore nell’aria, e così saremo sempre con il Signore” (1 Ts 4,17).

Un film ben fatto che fa riflettere sul destino finale degli “eletti”.

Nell’escatologia cristiana (visione sulla fine dei Tempi) il rapimento si riferisce alla convinzione che sia prima, o contemporaneamente, la seconda venuta di Gesù Cristo sulla terra, i credenti che sono morti risorgeranno e i credenti che sono ancora vivi saranno rapiti con loro nelle nuvole, a incontrare il Signore nell’aria. Il concetto ha la sua base a varie interpretazioni del libro biblico di prima lettera ai Tessalonicesi e come si riferisce a interpretazioni di vari altri passi biblici, come ad esempio 1 Tessalonicesi, Vangelo di Matteo, prima lettera ai Corinzi e il libro dell’Apocalisse.

Il significato esatto, i tempi e l’impatto della manifestazione sono contestati tra i cristiani e il termine è usato in almeno due sensi. Dal punto di vista pre-tribolazione, un gruppo di persone sarà lasciato indietro sulla terra dopo un altro gruppo lascia letteralmente “a incontrare il Signore nell’aria.” Questo è oggi l’uso più comune del termine, soprattutto tra i fondamentalisti cristiani negli Stati Uniti. L’altro, l‘uso precedente del termine “Rapimento” è semplicemente come sinonimo di resurrezione finale in generale, senza una convinzione che un gruppo di persone sarà lasciato sulla terra per il periodo prolungato della Tribolazione dopo gli eventi del 1 Tessalonicesi 4:17. Questa distinzione è importante in quanto alcuni tipi di cristianesimo non si riferiscono mai al “Rapimento” nella dottrina, ma utilizzano il senso più vecchio e più generale della parola “rapimento” in riferimento a ciò che accadrà durante la risurrezione finale.

Ci sono molti punti di vista tra i cristiani per quanto riguarda i tempi del ritorno di Cristo (se intende verificare in un evento o due), e vari punti di vista per quanto riguarda la destinazione del raduno celeste descritto in 1 Tessalonicesi 4. I cattolici, i cristiani ortodossi, luterani e riformati credono in un rapimento solo nel senso di una risurrezione finale generale, quando Cristo ritorna una sola volta. Non credono che un gruppo di persone sarà lasciato sulla terra per un periodo prolungato Tribolazione dopo gli eventi di 1 Tessalonicesi 4:17.

Gli autori in genere sostengono che il rapimento pre-tribolazione dottrina ha avuto origine nel XVIII secolo, con i predicatori puritani come Cotton Mather, ed è stato poi reso popolare nel 1830 da John Darby.  Altri, tra cui Grant Jeffrey, sostengono che un documento precedente di Efrem o pseudo-Efrem sosteneva un rapimento pre-tribolazione.

Il rapimento pre-tribolazione in teologia è stato reso popolare ampiamente nel 1830 da John Nelson Darby e dai Fratelli di Plymouth, e ulteriormente reso popolare negli Stati Uniti nei primi anni del XX Secolo dalla larga diffusione della Bibbia Scofield.

Giorgio Nadali

 

Trama

Chloe torna a casa per fare una sorpresa al padre (Rayford) che compie gli anni ma questi, pilota di una compagnia aerea, decide di lavorare per stare insieme alla sua amante (un’assistente di volo). Chole allora si reca all’aeroporto per salutare il padre e per caso stringe amicizia con Buck, che sta per prendere lo stesso volo di Rayford. Durante il volo, e mentre Chloe è in compagnia del fratello più piccolo Raymie, milioni di persone in tutto il mondo scompaiono all’improvviso senza lasciare traccia. Scoppia il caos generale, i veicoli sbandano e molte persone si trasformano in criminali. Anche nell’aereo il comandante e tanta altra gente sono scomparsi. Tra gli scomparsi ci sono anche Raymie e la mamma, così che Chloe (pensando di aver perso anche suo padre in seguito ad uno schianto) valuta il suicidio. Fortunatamente però riesce a mettersi in contatto suo padre e con Buck, i quali sono convinti che si sia verificato il Rapimento della Chiesa descritto nella Bibbia.