Scimmie disperate. L’uomo non discende da loro

di Giorgio Nadali

www.giorgionadali.it

Per anni sui libri di scienze generazioni intere di studenti hanno ammirato estasiati l’immagine di uno scimmione che lentamente si trasformava in un uomo. Il professore laicista sottolineava compiaciuto l’assurdità del creazionismo. Dio non ha creato l’uomo- diceva – è chiaro che la vostra vita la dovete alla lenta evoluzione di quello scimmione. Sul libro magari c’era da qualche altra parte anche il principio di Carnot. Il secondo principio della termodinamica. Scienza contro pseudo scienza antireligiosa. Proprio il principio di Carnot, formulato nel 1885 – tre anni dopo la morte di Charles Darwin – smentisce la teoria dell’evoluzione.

Le scimmie si devono rassegnare. Si possono consolare assieme ai professori che hanno fanno credere a milioni di studenti che l’orango dello zoo è il loro vero progenitore. I ricercatori avevano costruito fantastici alberi genealogici con i quali volevano dimostrare la continuità dell’evoluzione dalle scimmie antropoidi all’homo sapiens. Questo processo sarebbe durato trenta milioni di anni, ma per la scienza vera tutta questa costruzione evoluzionista è falsa. Non c’è continuità. Molti sono gli anelli mancanti. Gli antropologi sono oggi propensi a ritenere che ogni specie sia apparsa improvvisamente sulla Terra, così come appare oggi. Lo stesso Darwin non era così sicuro che l’uomo derivasse per lenta evoluzione da esseri scimmieschi primitivi.

Nella sua opera L’origine delle Specie scrive: “Se molte specie appartenenti agli spessi generi o alle stesse famiglie fossero realmente apparse improvvisamente, questo fatto sarebbe fatale alla teoria dell’evoluzione per selezione naturale”. Scavi scientifici hanno dimostrato che gli anelli mancano davvero. Le specie appaiono improvvisamente e non si evolvono più. Gli evoluzionisti moderni – meno onesti del naturalista inglese – per salvare ad ogni costo la teoria dell’evoluzione – hanno fabbricato anelli mancanti. Basti ricordare il falso pitecantropo di Giava, costruito da Eugenio Dubois e in seguito da lui stesso sconfessato. Un altro falso costruito fu il cosiddetto uomo di Pechino, costruito da Davidson Black.

E ancora il teschio di Piltdown di Charles Dawson – datato qualche milione di anni fa e ritenuto il tanto ricercato anello di congiunzione tra gli ominidi, le scimmie e l’uomo. La burla di Piltdown (1912) è forse la più famosa beffa archeologica della storia. È stato considerevole per due ragioni: l’attenzione prestata per il problema dell’evoluzione umana, e la distanza di tempo (più di 40 anni) che passò dalla sua scoperta fino all’esposizione come falso. A Joseph Weiner, un giovane professore di antropologia alla Oxford University, si deve il maggior riconoscimento per lo smascheramento dell’imbroglio.

Per 40 anni fu esposto al British Museum con grande soddisfazione degli evoluzionisti. Ma le bugie hanno le gambe corte. Nel 1953 dopo quattro anni di studi Clark e Oaklidge dell’università di Oxford riuscirono a smascherare il falso con un esame alla fluorina. Il cranio era stato costruito in laboratorio unendo la calotta cranica di un uomo, la mascella di un orangutan invecchiata con potassa di ferro, e un dente di cane. I còndili della mandibola erano stati rotti per far combaciare le cavità articolari di un cranio diverso dalla propria mascella. Triste pensare che un prete gesuita – Pierre Theilard de Chardin – sostenitore della teoria evoluzionista, fu colui che costruì il dente di cane falso da aggiungere alla messa in scena. La pubblicazione dei suoi scritti innescò immediatamente accese polemiche; poi, soprattutto a partire dagli anni sessanta, il suo pensiero cominciò a diffondersi, subì le prime accuse di panteismo che lo posero fuori dall’ortodossia cattolica.   

Insomma niente scimmie padri degli uomini. Per tre motivi molto semplici.

Primo. In natura non esistono le variazioni naturali delle specie. Lo studio del DNA lo ha confermato. Le mutazioni naturali del DNA possono cambiare caratteristiche fisiche, ma non trasformare una specie in un’altra.  Le selezioni naturali non esistono. Perché? Semplice. Possono essere ottenute in laboratorio, ma non avvengono mai in natura. L’idea delle selezioni naturali venne in mente proprio a Darwin osservando le selezioni artificiali operati dagli allevatori sui loro animali per ottenerne di più grandi. Ma la natura non usa i metodi da laboratorio.

Secondo. Le selezioni naturali di Darwin vano contro il Principio di Carnot. Il secondo principio della termodinamica. La natura non può da se stessa evolversi in meglio. Non va dal meno al più, ma dal più al meno. Gli antropologi invocano questo principio per sostenere l’impossibilità dell’evoluzione naturale delle specie. Quindi potremmo ridurci a scimmie e non il contrario. Il principio di Carnot fu formulato 3 anni dopo la morte di Darwin, nel 1885.

Terzo. La biologia moderna ci dice che la vita non si è evoluta, ma è apparsa sulla Terra già complessa come la vediamo oggi. Ogni specie ha il suo proprio DNA. Dal DNA di una specie non  può emergere una specie diversa. Non sappiamo come dal DNA di una formica venga fuori un una  formica e dalla programmazione genetica di un uomo venga fuori un uomo. Le specie nascono già diverse e programmate. Chi ha voluto tutto questo ? Colui che Dante chiamava: L’Amor che muove il Sole  e le altre stelle. Altro che scimmia.            

 Giorgio Nadali

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4 thoughts on “Scimmie disperate. L’uomo non discende da loro

  1. Il tabù dell’evoluzionismo.
    In opposizione alla teoria evoluzionista di Charles Darwin, ed in forza alla sua teoria, vien da pensare che l’essere uomo non sia più in grado d’acquisire maggiori capacità intellettive. Forse il volume della capacità cranica potrebbe aver raggiunto un suo limite. Nessun scienziato, ora, è in grado di dimostrarlo perché si potranno osservare significative variazioni solo dopo decine di migliaia di future generazioni! Se così fosse, l’essere uomo, potrebbe aver raggiunto l’apice del suo massimo sviluppo e si appresterebbe all’inizio discendente della sua parabola, in questo caso: involutiva o di estinzione!
    Possiamo solo supporre che l’estinzione o l’affermarsi della specie uomo sul pianeta terra sarà determinata non tanto dalle risorse della sua intelligenza, derivante dal maggior volume della sua massa celebrale come la morfologia evoluzionista presume, quanto dal libero arbitrio e dalla buona volontà della nostra coscienza d’uomini. Se così fosse, per gli evoluzionisti, imbarazzerà ammettere o riconoscere il loro Tabù; l’esistenza di un’anima, in quell’ominide derivante da una scimmia, che non è mai stata da Darwin, e dalla Scienza tutta, teoricamente considerata, tantomeno proposta!

  2. Quello che viene definito come principio di Carnot nel suo articolo in realtà, non è una delle varie formulazioni del secondo principio della termodinamica, bensì il preludio, la base su cui verrà formulato. Questo principio è stato esposto con quattro differenti formulazioni, quella di Clausius, di Kelvin, quella espressa attraverso l’uso del rendimento di una macchina termica, e ultimo, ma non meno importante, attraverso l’utilizzo del concetto di entropia. Tutti gli enunciati sono stati dimostrati come equivalenti, perciò converrà trattare quello sviluppato per mezzo dell’entropia, il quale è il più generalizzato e che può, solo in apparenza, sembrare in contrasto con la teoria dell’evoluzionismo.
    Ma cos’è l’entropia?
    Si definisce come entropia la misura del disordine di un sistema.
    Prendiamo per esempio una stanza con un numero noto di oggetti : questo sarà il sistema che esamineremo.
    Nel caso in cui le nostre cose siano rintracciabili e ben disposte potremo dire che la stanza è ordinata, ovvero che conosciamo tutte le posizioni degli oggetti. D’altro canto nel momento in cui tutti gli elementi vengono disposti in modo confusionario, senza che noi sappiamo con determinatezza la loro posizione diremo che la stanza è disordinata. È importante notare che il sistema visto da fuori è il medesimo, difatti è sempre la stessa stanza con un numero dato di oggetti: matite, libri … ma è distinguibile al suo interno per l’ordine di questi.
    Questo esempio può essere trasposto su un sistema chiuso di particelle, ove la stanza rappresenta la limitatezza nello spazio e l’impossibilità di scambi con l’esterno, mentre gli oggetti le particelle.
    Come si può sfruttare il concetto di ordine o disordine in questo caso?
    Un sistema è ordinato se conosciamo informazioni sulla posizione delle particelle, se ne prendessimo uno composto solo da due particelle sarebbe ordinato se si trovassero entrambe da un lato. Infatti se prendessimo una scatola con due biglie e la dividessimo immaginariamente in due parti, avremmo più informazioni sapendo che le due biglie sono da un lato, perchè restringeremmo le loro posizioni a metà scatola.
    Il problema è che l’unico sistema davvero chiuso, ovvero senza scambi con l’esterno, è l’universo.
    Come abbiamo già detto l’entropia è la misura del disordine di un sistema e quindi dell’universo.
    Il SECONDO PRINCIPIO DELLA TERMODINAMICA dice che:
    l’entropia totale dell’universo aumenta ogni volta che avviene una trasformazione irreversibile.
    L’entropia totale dell’universo rimane costante ogni volta che avviene una trasformazione irreversibile.
    Poiché nell’universo avvengono statisticamente solo trasformazioni irreversibili, ovvero esse sono di numero assai superiore rispetto a quelle reversibili che quest’ultime possono quasi essere trascurate, cosicché l’entropia dell’universo aumenta sempre più.
    Se l’entropia aumenta allora l’universo tende al disordine.
    Ma se tutto tende al disordine, come è possibile che noi, esseri umani altamente ordinati, esistiamo?
    Questa è l’erronea argomentazione che viene portata per cercare di sfatare Darwin, attraverso il secondo principio della termodinamica.
    La risposta potrebbe sembrare abbastanza semplice, il principio è stabilito sull’universo e non intende prevedere cosa accade localmente.
    Esso non esclude che possa diminuire ad esempio l’entropia sulla terra ma afferma solo che, se ciò accadesse, si dovrebbe verificare in un’altra parte dell’universo un aumento della stessa pari o maggiore a quella accaduta sulla terra.
    Gli esseri viventi sono molto ordinati, infatti molto spesso si dice che “l’ontogenesi riassume la filogenesi”, perchè riescono da alcune cellule disordinate a crescere e diventare corpi con ordine. Naturalmente l’aumento dell’ordine, ossia la diminuzione di disordine, ha come logica conseguenza la diminuzione dell’entropia del corpo.
    Perciò è possibile che ci sia stata un’evoluzione, ovvero una diminuzione di entropia, a patto che essa sia stata controbilanciata dall’aumento della stessa grandezza fisica in un’altra parte dell’universo.
    La teoria dell’evoluzione non è in contraddizione con questa legge della fisica.
    Ritengo che sia inappropriato inserire questo argomento a sostegno della sua tesi e sarebbe corretto, per amor di verità, rimuoverla dal suo articolo.

    • Chiedo scusa ma ho commesso un errore di scrittura, nell’enunciato del secondo principio della termodinamica ho digitato due volte “irreversibile”, mentre nel secondo caso va inserito “reversibile”:
      “L’entropia totale dell’universo rimane costante ogni volta che avviene una trasformazione REVERSIBILE.”

  3. Da una recensione de L’Indice (casa editrice) al testo di Richard Dawkins:

    “Richard Dawkins è uno dei più famosi scienziati di oggi e uno dei più strenui difensori della teoria darwiniana della selezione naturale. La tesi di questo suo nuovo libro, che ha suscitato un enorme clamore nel mondo anglosassone e ha generato un dibattito accesissimo, è molto semplice: Dio non esiste e la fede in un essere superiore è illogica, sbagliata e potenzialmente mortale, come millenni di guerre di religione e la recente minaccia globale del terrorismo fondamentalista islamico dimostrano ampiamente. Agli occhi di Dawkins, ogni religione condivide lo stesso errore fondamentale, vale a dire l’illusoria credenza nell’esistenza di Dio, e, con essa, la pericolosa sicurezza di conoscere una verità indiscutibile perché sacra.”

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    “L’interesse degli scienziati per la religione, per la sua spiegazione naturale e per la sua definitiva confutazione, come onde periodiche segue corsi e ricorsi. Acceso a metà Ottocento dall’evoluzionismo scientifico, che mise in crisi il soprannaturalismo e infiammò dibattiti a non finire sull'”avvenire della scienza” e l’avvento di una futura religione dell’umanità su base scientifica che avrebbe preso ben presto il posto della religione tradizionale (leggi: confessioni cristiane), questo sacro fuoco favorì il sorgere di una scienza comparata delle religioni, che si interrogò sistematicamente sulle “origini” del fenomeno, identificando tutti quei problemi che oggi stanno al centro dei rinnovati tentativi delle neuroscienze di “spiegare” la religione. Nel corso del Novecento, una seconda ondata fu ispirata, tra le due guerre, dalle teorie quantistiche. Oggi si assiste a una terza ondata. Ma che cosa spinge nuovamente alcuni scienziati, in particolare biologi, a entrare in guerra contro la religione?
    L’inizio catastrofico del terzo millennio ha riportato l’attenzione sulla religione in modi fino a poco prima impensabili e spesso preoccupanti. L’uso terroristico della fede, il moltiplicarsi di conflitti e guerre a sfondo religioso, la minacciosa retorica scritturistica di leader politici come Bush, il pericolo che le religioni tornino a occupare lo spazio pubblico lasciato libero dalla crisi dello stato-nazione: questi e altri fattori hanno rimesso in moto uno “scontro di civiltà” all’interno delle società postsecolari, che ha riattizzato una tipica guerra ideologica tra fede oscurantista e ragione scientifica. Scrittori come Sam Harris, Christopher Hitchens e Richard Dawkins rappresentano la pattuglia avanzata di un nuovo ateismo militante entrato in guerra mortale contro la religione e le religioni. Il successo mediatico e commerciale di questa letteratura ha fatto sì che anche alla periferia dell’impero alcuni epigoni decidessero di salire su questo carro ben oliato e redditizio, trasformandolo nel carro di una laicità minacciata e difesa.
    Negli Stati Uniti, ritenuto a torto o a ragione il paese più religioso tra quelli postindustriali, questa guerra ha trovato terreno fertile nella controversia sul cosiddetto “disegno intelligente”, la variante più recente della difesa di un creazionismo impenitente, che si è cercato di imporre nelle scuole, alimentando, come ricorda Dawkins, “le guerre culturali surreali che stanno attualmente lacerando l’America”. Tutto ciò spiega la virulenza della nuova apologetica e la radicalità delle critiche che questi predicatori atei, dal pulpito del loro prestigio, impartiscono contro la religione. Lo scopo di questa guerra, come per ogni guerra che si rispetti, è l’eliminazione definitiva del nemico.
    L’illusione di Dio è un bell’esempio di questo scientismo ateo militante, che rifiuta ogni teoria del doppio binario o magistero (a Dio e cioè alla teologia quel che è di Dio e a Cesare e cioè alla scienza quel che le compete), deride “la miseria dell’agnosticismo” incapace di prendere posizione nello scontro, invita il lettore, preda della follia della fede o semplicemente dubbioso, a convertirsi al vangelo della selezione naturale e, particolare non trascurabile, è in grado, come nel caso di Dawkins, di produrre un libro scritto in modo talmente avvincente da trasformarlo in un bestseller, facendo dell’autore un protagonista dello star system internazionale (il “Time” gli ha dedicato una copertina).
    Per portare a termine il suo “progetto intelligente”, Dawkins ha tutte le carte in regola. A partire da Il gene egoista del 1976, grazie a una prosa lucida e accattivante, l’autore è riuscito ad avvicinare il grande pubblico al suo originale modo di interpretare la teoria darwiniana della selezione naturale. In quest’ultimo libro si dà per compito di attaccare alla radice la religione: non solo le religioni istituzionali, a cominciare naturalmente dalle chiese cristiane, ma la religione tout court, considerata come un virus mentale, “un asse portante del male nel mondo”; non solo quella degli estremisti, fondamentalisti e fanatici, ma ancor prima quella “moderata”, che ne svela l’impostura. Conclusione pedagogico-moralistica: educare un bambino in una tradizione religiosa è colpa peggiore della pedofilia.
    Dopo aver criticato nei capitoli iniziali le prove tradizionali dell’esistenza di Dio e ricordato la sua teoria sulle radici evolutive, e non religiose, dell’etica, nella pars construens del libro Dawkins propone una sua lettura delle origini della religione, in ultima analisi un prodotto secondario psicologico. Lasciando ad altri più competente di me in materia la valutazione degli argomenti filosofici e scientifici portati da Dawkins, mi limito a qualche considerazione sulla pars destruens del libro.
    Dawkins pesca a piene mani, consapevole o meno, in un arsenale di critiche plurisecolare, utilizzandolo in modo spesso caustico ed efficace, con esempi studiati ad arte, senza però che la sostanza muti: nulla di nuovo se non un elenco di crimini, che nel frattempo si è allungato, e il rivestimento scientifico, che rimanda alla fine a una classica origine psicologica infantile e deviante. Classico anche l’attacco alla teologia: “In diciotto secoli non ha fatto un passo”; i teologi “non hanno nulla da dire in merito a nulla”. Il tono liquidatorio non può nascondere la debolezza dell’argomento: da Agostino a Barth tutta una tradizione culturale è gettata, con boria e sprezzo degni della superficialità e del vuoto culturale che tradiscono, nel cestino. Più in generale, quel che colpisce uno storico è l’assenza della storia: al posto delle religioni come fatti di civiltà e cultura subentra una astorica fede “molto, molto pericolosa”.
    Nella prefazione alla seconda edizione del libro Dawkins si difende da una serie di accuse, tra cui quella di essere, nella sua battaglia contro il fondamentalismo religioso, anch’egli caduto in questa trappola. Quel che meno convince nella sua risposta è il fatto che permane la radicalità della contrapposizione, che alimenta il clima da crociata: tertium non datur. Sommessamente, vorrei difendere la posizione di chi permane nel dubbio. Certo, in un conflitto di questo tipo vi è poco spazio per dubitare: e trovarsi in uno spazio aperto, in cima a un crinale dove soffiano e si incontrano e si scontrano gli opposti venti del fideismo e dello scientismo non è piacevole, né è una posizione nella quale si possa resistere a lungo. Eppure si tratta di un luogo cruciale della modernità: se si vuole veramente comprendere la complessità del confronto occorre non rinunciarvi.”

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