Fede e denaro. Esiste un rapporto tra ricchezza o povertà personale e la fede religiosa?

di Giorgio Nadali33059443_10215948646460141_1988158292806860800_oE’ una sorta di snobismo spirituale quello delle persone che pensano di poter essere felici senza denaro. Lo diceva Albert Camus…La Svizzera ha il quarto PIL (Prodotto Interno Lordo) per persona più alto del mondo, dopo Lussermburgo, Qatar e Norvegia. Italia al 27^ posto e Stati Uniti al 10^. 85.000 dollari annuali.
Gli svizzeri hanno in media 700.000 franchi in banca.Una certa idea falsata di Cristianesimo ha abituato a disprezzare il denaro. Di parere contrario è la Teologia della Prosperità, di matrice protestante. La Teologia della prosperità insegna che i cristiani hanno diritto al benessere perché la realtà fisica e quella spirituale sono viste come una realtà inscindibili. La teologia della prosperità insegna che Dio ci vuole vincenti. Sempre.

Non è male chiedere a Dio benessere e prosperità, anche economica. Una dottrina in contrasto con chiese cristiane che insegnano (solo a parole) un concetto falsato di povertà. La povertà è in realtà il distacco del cuore dalle cose materiali, non la miseria e la mediocrità. Se un uomo o una donna hanno successo – guadagnano molto bene e con questo denaro danno lavoro ad altri e fanno del bene – Dio è molto felice di questo. Aspetta solo che chi ha fede  e Gli chieda la stessa cosa per ricolmarlo del suo favore e aprirgli porte che sono impossibili agli uomini. Il denaro è solo un mezzo che amplifica ciò che la persona è già. Con molto denaro si può dare lavoro agli altri, si possono realizzare progetti utili a milioni di persone, si possono istituire fondazioni filantropiche, centri di ricerca e univeristà, salvare giornali in crisi, istituire facoltà universitarie, oppure…

Secondo uno studio della Banca mondiale la Svizzera è il Paese più ricco. In base a un nuovo studio di un istituto di ricerca sociale americano – Pew Research Center –  c’è un rapporto tra benessere economico personale e fede religiosa.

Ricchezza e religione sarebbero inversamente proporzionali: i paesi più religiosi quelli con un più alto tasso di povertà e viceversa, mentre quelli più ricchi i più tendenti all’ateismo. Unica eccezione gli Stati Uniti d’America, dove nonostante la ricchezza elevata in termini di PIL, il 54% della popolazione afferma la grande importanza della religione nella propria vita. Nel testo sociologico “Sacro e popolare. Religione e politica nel mondo globalizzato”, gli autori Pippa Norris e Ronald Inglehart sottolineano come la partecipazione alle pratiche religiose registri tassi più alti tra persone più incerte a livello economico e che si trovano ad affrontare più problemi di salute e povertà. Nell’ipotesi generale, il declino del valore della religione, della fede e delle attività religiose dipende dal mutamento di lungo periodo della sicurezza esistenziale: con il processo e il progresso dello sviluppo umano, l’importanza della religione nella vita degli individui diminuisce gradualmente.

Ho sentito il parere di tre importanti sociologi italiani:

Roberto Cipriani. Professore ordinario di Sociologia nell’Università Roma Tre.

Silvio Scanagatta. Docente di Sociologia del mutamento culturale all’Università di Padova

Paola Di Nicola. Presidente della Associazione Italiana di Sociologia. Docente di Sociologia dei processi culturali e comunicativi all’Università di Verona.

 

Siete d’accordo con la ricerca?

Cipriani:

Non è facile essere d’accordo con la ricerca perché le informazioni sulla metodologia sono insufficienti a valutare l’affidabilità. A livello comparativo fra nazioni ci sono moti problemi di omogeneità fra i dati raccolti.

 Scanagatta:

Non mi stupisce affatto. Gli Stati Uniti hanno una cultura decisamente diversa dall’Europa. Gli Stati Uniti sono gli unici che differiscono in questa variabile che va dal massimo di senso religioso rapportato con la povertà sino al minimo di senso religioso rapportato con la ricchezza. Gli Stati Uniti essendo più ricchi dell’Europa dimostrano che uno stato più coeso il senso religioso va perfettamente d’accordo con la ricchezza conseguita.

Di Nicola:

Indubbiamente al di là di tutte le questioni teologiche la religione ha avuto sempre una funzione consolatoria nei confronti dei soggetti e spesso questa funzione consolatoria ha trovato maggiore accoglimento tra le persone che sperimentano condizioni di vita altamente problematiche. Rimane il fatto che a livello personale le religioni sono fonte di conforto. È un dato di conforto. Soprattutto le religioni rivelate (Ebraismo, Cristianesimo e Islam).

 

Esiste a vostro parere un rapporto con la condizione economica personale e la propria fede religiosa?

Scanagatta:

Certamente c’è un rapporto. Il problema è che il tentativo di alcuni di dire che più si è ricchi e meno si è religiosi è contrastante no solo con un’infinità di realtà individuali, ma anche con realtà collettive dove società unite come quella americana dimostrano che si può far convivere benissimo il senso religioso con una grande ricchezza.

Cipriani:

Non necessariamente. Ci sono persone ricche poco religiose e poveri assai religiosi ma anche il contrario. Non si può generalizzare.

Di Nicola:

Bisogna distinguere tra la fede e la religiosità, che spesso si caratterizza anche con aspetti di tipo magico e di superstizione. Se per fede si intende un credere a livello personale nell’esistenza di un’Entità di tipo trascendente io credo che questo sentimento che possa essere presente a tutti gli uomini in tutte le classi sociali. Se invece pensiamo alla religiosità, che comprende anche tutti gli aspetti del rito,  indubbiamente nelle aree del Paese in cui esiste ancora uno sviluppo non ancora pienamente maturo, spesso questi atteggiamenti continuano a persistere.

 

Secondo voi la ricchezza economica allontana dalla fede religiosa (cristiana)?

Cipriani: Molto dipende dalla socializzazione e dall’educazione ricevute, che possono impedire di pensare che la ricchezza allontani dalla fede.

Scanagatta: No, no. L’aumento economico non allontana affatto dal senso religioso. Anzi, lo fa crescere perché spesso il livello culturale rende più sensibili e attenti al senso religioso, non necessariamente più distanti.

Di Nicola: Non è facile da dire. Con l’Europa del Settecento la religione ha perso un po’ la funzione di essere la guida per la vita e la risposta a tutti i problemi. Soprattutto con l’industrializzazione e l’aumento della ricchezza disponibile sia a livello individuale sia a livello collettivo ci si rende conto che si può avere una situazione di sicurezza autonomamente, per meriti personali, senza dover necessariamente ringraziare Qualcuno…

Cosa pensate della teologia della prosperità, di origine protestante, cioè che Dio desidera il nostro benessere economico personale e agisce anche per farcelo avere?

Cipriani:

La teologia della prosperità è un espediente per recuperare adesioni rispetto alla teologia della liberazione, promettendo esiti economici positivi in caso di adesione ad una certa linea teologica e cultuale.

Scanagatta:

Secondo un’idea protestante una persona deve la sua ricchezza non solo alla grazia che Dio gli dà ma anche al senso di comunità con cui esplica questa grazia ed è quello che può spiegare una convivenza tra ricchezza e senso religioso. In Europa invece prevale l’idea per essere ricchi bisogna distruggere il sistema di valori religiosi, in America succede esattamente il contrario. Non solo. Il cattolicesimo dice che la ricchezza è una colpa, ma anche il Paesi del Nord Europa dicono che la separazione tra senso religioso e ricchezza va operata a livelli massimi, tanto è vero che sono i Paesi del Nord che non hanno voluto riconoscere le radici giudaico cristiane della società europea.

Di Nicola:

Con il protestantesimo l’uomo è diventato la misura di tutte le cose, anche la misura della sua etica, della sua moralità e della sua religiosità. Nelle prime forme del Calvinismo per un uomo l’aver successo nella vita era un segno di essere un eletto e quindi nella grazia di Dio. Poi con il Novecento questa dimensione si è molto affievolita e l’obiettivo non stato più stato di arricchirsi per avere una misura del proprio stato di grazia, ma l’obiettivo era semplicemente quello di raggiungere livelli più alti di ricchezza indipendentemente dal fatto che questo fosse un indicatore di essere nelle grazie di Dio.

 

Secondo voi c’è un rapporto tra la condizione economico sociale e la fede religiosa in Italia?

Cipriani:

La condizione economica non è una variabile indipendente che presieda in Italia all’orientamento religioso.

Scanagatta:

Certamente c’è un rapporto. Il problema è che il tentativo di alcuni di dire che più si è ricchi e meno si è religiosi è contrastante no solo con un’infinità di realtà individuali, ma anche con realtà collettive dove società unite come quella americana dimostrano che si può far convivere benissimo il senso religioso con una grande ricchezza.

Di Nicola:

Bisogna distinguere tra la fede e la religiosità, che spesso si caratterizza anche con aspetti di tipo magico e di superstizione. Se per fede si intende un credere a livello personale nell’esistenza di un’Entità di tipo trascendente io credo che questo sentimento che possa essere presente a tutti gli uomini in tutte le classi sociali. Se invece pensiamo alla religiosità, che comprende anche tutti gli aspetti del rito,  indubbiamente nelle aree del Paese in cui esiste ancora uno sviluppo non ancora pienamente maturo, spesso questi atteggiamenti continuano a persistere. La tradizione dà delle sicurezze e chi sperimenta maggiore insicurezza quotidiana spesso trova nella tradizione religiosa dei punti di riferimento.


Musica e fede

Nel 1589, con la bolla Cum pro nostri temporali munere, papa Sisto V riorganizzò il coro di S. Pietro allo scopo di ammettere castrati nelle sue fila, e nel 1599 i primi due – Pietro Paolo Folignato e Girolamo Rossini – vennero ammessi nel coro della Cappella Sistina, la cappella privata del papa (sebbene non sia da escludere che già da prima, dietro l’eufemismo di “falsettisti”, si celassero dei castrati, come Padre Soto, ammesso nel 1562). L’impiego dei castrati rimpiazzava quello delle voci bianche (che rimanevano tali solo per pochi anni) e dei falsettisti, dalle voci più deboli e meno affidabili; le donne non erano ammesse a cantare in chiesa, secondo anche quanto afferma il detto paolino mulier taceat in ecclesia («la donna taccia in chiesa») (1 Corinzi, 14,34). Nel 1700 la castrazione era un business: con il diffondersi dei cori polifonici, si aveva un sempre maggiore bisogno di voci bianche. Dato che una bolla pontificia vietava l’inserimento delle donne, si preferiva castrare i bambini (di circa otto-dieci anni) per far sì che mantenessero la capacità di cantare con voce femminile. Asportando chirurgicamente i testicoli, la mancata produzione di testosterone (che allarga laringe e faringe durante la pubertà) faceva sì che la voce mantenesse quel timbro anche da adulti. Ogni anno circa cinquemila ragazzi europei venivano castrati, soprattutto in Italia. Il medico fiorentino Antonio Santarelli, specialista in castrazioni, era tra i chirurghi meglio pagati dell’epoca. Il più celebre dei cantanti castrati è stato Carlo Broschi in arte Farinelli. L’ultimo grande castrato fu Giovanni Battista Velluti (1781-1861), che interpretò l’ultimo ruolo operistico scritto per un castrato: il ruolo di Armando ne «Il crociato in Egitto di Meyerbeer» (Venezia, 1824).

Poco dopo furono rimpiazzati come primi uomini dal nuovo tipo di tenore eroico incarnato dal francese Gilbert-Louis Duprez. Nel 1878, papa Leone XIII proibì l’ingaggio di castrati da parte della Chiesa; solo nella Cappella Sistina e in altre basiliche papali il loro impiego sopravvisse ancora per qualche anno: una foto di gruppo del coro della Sistina del 1898 mostra che all’epoca ne rimanevano sei (più il Direttore Perpetuo, il soprano Domenico Mustafà), e nel 1902 Leone XIII ribadì il suo divieto. La fine ufficiale per i castrati venne il 22 novembre 1903, quando il nuovo papa, Pio X, promulgò un motu proprio sulla musica sacra, Tra le sollecitudini, in cui si legge: «Se dunque si vogliono adoperare le voci acute dei soprani e contralti, queste dovranno essere sostenute dai fanciulli, secondo l’uso antichissimo della Chiesa». L’ultimo castrato della Sistina fu Alessandro Moreschi (1858-1922), l’unico castrato ad avere eseguito registrazioni. Su Moreschi le opinioni dei critici musicali divergono, alcuni lo considerano di livello mediocre e ritengono che le registrazioni abbiano un interesse puramente storico, come documentazione della voce di un castrato, altri lo giudicano un buon cantante, relativamente alla pratica e ai gusti del suo tempo.

Moreschi si ritirò ufficialmente nel 1913 e morì nel 1922. Il coinvolgimento della Chiesa Cattolica nel fenomeno dei castrati è stato a lungo fonte di polemiche, e recentemente vi sono state richieste di scuse ufficiali. In effetti, già nel 1748 papa Benedetto XIV aveva tentato di bandire i castrati dalle chiese, ma la loro popolarità all’epoca era tale che un provvedimento simile avrebbe avuto come risultato un drastico calo nella frequentazione delle chiese. «Chant» è un nuovo album di Canti Gregoriani registrato dai Monaci dell’Abbazia Cistercense di Stift Heiligenkreuz a Vienna, ritenuti attualmente i più eccelsi interpreti di questo repertorio oltre che cantori prediletti dal papa emerito Benedetto XVI. Mentre loro scalano le hit parade inglesi con un album dal titolo «Music for Paradise», Fratello Metallo, alias Frate Cesare Bonizzi – classe 1946 – si esibisce sul palco del Gods of Metal, una delle più importanti manifestazioni a livello internazionale dedicata alla musica heavy metal, al fianco di gente del calibro dei Judas Priest o Yngwie Malmsteen. Fratello Metallo è un frate Cappuccino minore al convento di Musocco (Milano) dal 1983. Nel 1990, assistendo ad un concerto dei Metallica, decise che Dio e l’heavy metal non sono inconciliabili. Ed è così che nel 2008 ha presentato, live, i brani dal suo ultimo e sedicesimo album “Misteri”. Un trio di preti che fatto successo con la musica è quello composto dagli irlandesi Padre Eugene, Padre Martin O’Hagan (suo fratello) e Padre David Delargy. Il Guinness dei Primati ha classificato un loro brano come il pezzo classico che ha venduto più velocemente in tutta la storia musicale della Gran Bretagna. Nel novembre 2009 è uscito il secondo album dei The Priests dal titolo Harmony. Erano compagni di scuola e iniziarono cantando per la prima volta insieme all’età di dodici anni. La loro passione per il canto continuò durante gli studi sacerdotali a Roma. Divenuti preti, tutti e tre incominciarono a dedicarsi ai rispettivi impegni parrocchiali senza però tralasciare il canto, che rientrava sia nella preghiera sia nel tempo libero quando si esibivano in opere, musical e cori locali. Da quando hanno firmato il contratto con la Sony Music nel 2008, The Priests hanno uno strepitoso successo a livello mondiale.[1] Il canto di chiesa più diffuso ed eseguito al mondo è Amazing Grace («Meravigliosa grazia») dell’inglese John Henry Newton (1725-1807). La musica è un canto di disperazione degli schiavi trasportati dalle navi che Newton comandava prima della sua conversione. Il brano è stato interpretato da moltissimi musicisti, tra cui KC and the Sunshine Band (anche dal vivo), Rod Stewart (sull’album «Every Picture Tells a Story») e Joan Baez. La versione più accreditata per una voce femminile è quella della regina del Soul, Aretha Franklin, registrata live in un suo album gospel chiamato proprio Amazing Grace. Il Guardiano del Faro ne ha realizzata una versione strumentale, intitolandola «Il gabbiano infelice», mentre i «Ricchi e Poveri» l’hanno incisa con un testo in italiano e il titolo «Amici miei».

Niente musica per gli Amish, la setta fondamentalista cristiana. Gli strumenti musicali sono proibiti perché sono contrari allo spirito di umiltà (glassenheit) e accendono emozioni.

Secondo la regola della kol isha non è consentito agli uomini ebrei ortodossi ascoltare il canto singolo di una voce femminile, tranne che nelle voci miste degli inni ebraici (zemirot). Il motivo che quella voce (arev) è associata alla nudità (ervah) nel Cantico dei Cantici (2,14).[2] Il dibattito è in corso tra le autorità religiose ebraiche (poskim) sul consentire l’ascolto di voci femminili registrate in cui non si conosca la donna che canta e l’uomo veda la fotografia della cantante.

Per l’Islàm è haram (proibito) lavorare come commesso in un negozio che vende strumenti musicali. È consentito vendere uno strumento per le sue parti, tale da averlo fuso, ecc. È haram vendere qualsiasi strumento musicale, perché equivale ad aiutare qualcuno a commettere il peccato di suonarlo. Strano perché proprio dai Paesi Islamici giunsero in occidente la chitarra e la viola.[3] È haram essere un musicista. Al-Baghawi ha dichiarato in una fatwa che è haram vendere tutti i tipi di strumenti musicali come mandolini, flauti, ecc Poi disse: Se le immagini vengono cancellate e gli strumenti musicali sono alterati, allora è lecito vendere le loro parti, d’argento, ferro, legno o qualsiasi altra cosa. (Sharh al-Sunnah, 8/28) Shaykh Ibn Taymiyah disse: Il Profeta ha permesso alcuni tipi di strumenti musicali in occasione di matrimoni e simili, e ha consentito alle donne a suonare il daff (tamburello) a matrimoni e in altre occasioni gioiose. In generale, si tratta di un principio ben noto della religione Islamica che il Profeta non abbia prescritto che gli uomini giusti, fedeli devoti e asceti di questa Ummah (comunità) possano radunarsi per ascoltare versi di poesia cantata con l’accompagnamento di battimani, legnetti o daffs. Non è lecito a nessuno di andare oltre i limiti dell’Islàm e seguire qualcosa di diverso da quello che è stato narrato nel Corano e nella Sunnah (tradizione). Ma il Profeta con una concessione per alcuni tipi di intrattenimento in occasione di matrimoni e simili, e ha anche ottenuto la concessione alle donne permettendo loro di battere il daff ai matrimoni e altre occasioni gioiose. Ma per quanto riguarda gli uomini, a nessuno di loro è concesso battere i daff o battere le mani, anzi è stato dimostrato al-Sahih disse: “Battere le mani è per le donne, e il Tasbeeh (usare il rosario Islamico) è per gli uomini” e ha maledetto le donne che imitano gli uomini e gli uomini che imitano le donne. Perché cantare, battere il daff e battere le mani sono azioni da donne. La Salaf (i pii antenati) chiamava un uomo che ha fatto questo un mukhannath (effeminato), e chiamavano i cantanti maschi makhaaneeth (pl. di mukhannath).

Lo suizen è una pratica Zen per raggiungere la realizzazione personale attraverso il suonare un flauto dritto di bambù chiamato shakuhachi. I taoisti usano uno strumento musicale chiamato “Pesce di legno” (muyu) per scandire la recitazione delle scritture. È usato insieme alla campana invertita (qing) perché la parola cinese “campana” ha lo stesso suono di “sveglia” e il termine “pesce di legno” ha lo stesso suono di “illuminazione”. Ecco perché il testo sacro «I segreti essenziali dell’Altissimo» dice che «Il pesce di legno e la campana pura svegliano l’universo». Nell’Ebraismo le melodie di preghiera – note come nusah– differiscono da comunità a comunità. Gli  Askenazim (ebrei di discendenza europea orientale) utilizzano una musica di preghiera molto differente rispetto ai Sefarditi (ebrei di origine spagnola). E anche all’interno di tali categorie di ashkenaziti e sefarditi, si possono trovare numerose varianti geografiche di nusah. L’utilizzo corretto di nusah garantisce permette a un ebreo di dormire per vent’anni e identificare il servizio che l’ha svegliato solo da suoi motivi musicali.

Nel Buddhismo tibetano il dungchen è un lungo corno suonato in genere da una coppia di monaci. Produce un suono molto basso caratteristico. I monaci buddhisti tibetani riescono a emettere un suono polifonico di più voci proveniente da un solo individuo, mettendo in risonanza le loro corde vocali con una tecnica chiamata fonazione ventricolare o canto difonico. Il canto buddhista tibetano è un sotto genere del canto mediante la gola. Diverse cerimonie usano questo tipo di canto. I diversi tipi di canto difonico tibetano sono il gyuke, con tono molto basso, lo dzoke e il gyer. Una tipica orchestra rituale buddhista tibetana comprende gli strumenti gyaling (il corno corto) dungchen (il corno lungo), kangling, lo strumento a fiato derivato da un femore o da una tibia umane oppure di legno. È meglio però il femore di un criminale o di una persona deceduta di morte violenta. Il suo suono serve per allontanare i demoni in rituali tantrici e ha lo stesso valore della recitazione dei mantra. Il kangling è usato solo nei rituali chöd[4] (che devono essere celebrati all’aperto) insieme al tamburello damaru chöd e alla campanella. Nel chöd tantrico chi suona il kangling motivato dalla compassione, lo fa come gesto di coraggio, per chiamare gli spiriti affamati e I demoni affinché essi possano soddisfare la loro fame e quindi lenire le sofferenze. Viene anche suonato per tagliare il proprio ego. Sì, ho scritto tagliare. Esiste anche uno speciale oggetto rituale per “tagliare” ritualmente il proprio ego. Si tratta della mezzaluna kartìka. Altri strumenti comprendono il dungkar (conchiglia), drillbu (campanelle), silnyen (cimbali verticali), e soprattutto il canto. Insieme la musica crea uno stato mentale per invitare o chiamare le divinità.

[1] Cfr.  G. NADALI, I monaci sugli alberi. E centinaia di altre cose curiose su Dio, la Bibbia, il Vaticano, Edizioni San Paolo, Cinisello Balsamo, 2010

[2] O mia colomba, che stai nelle fenditure della roccia, nei nascondigli dei dirupi, mostrami il tuo viso, fammi sentire la tua voce.

[3] G. MANDEL KHAN, Islàm, Mondadori Electa, Milano, 2006, p. 264

[4] È’ una scuola di pensiero buddhista tibetana centrata sul «tagliare il prorio ego». Usa oggetti rituali come la tromba kangling di osso umano, un tamburo damaru più grande di quello induista, pugnali rituali phurba e la kartika, pugnale ricurbo a mezzaluna per tagliare l’egoismo. Va usato insieme alla ciotola derivata da un teschio umano piena del nettare della saggezza.

Giorgio Nadali


Esiste un Creatore? La lotta tra religione e scienza

C’è un eccezionale invisibile ordine che sembra governare l’universo. Diversi scienziati concordano sul fatto che esista un codice cosmico. Le costanti fondamentali dell’universo sono relazioni così sensibili che se cambiassero anche di poco renderebbero impossibile la sua stessa esistenza. Se la velocità di espansione dell’universo dopo il Big Bang fosse cambiata di una parte su un trilione (uno con diciotto zeri) l’universo si sarebbe allargato troppo o collassato su se stesso e nulla esisterebbe. In sostanza sarebbe bastato un solo granello di sabbia su tutti quelli contenuti in tutte le spiagge del mondo per fare la differenza. Se la materia si fosse sparsa uniformemente la vita non ci sarebbe. L’ipotesi più popolare per una precisione così grande è quella degli universi paralleli, ma la tesi di un multiverso richiede tanta fede quanto quella necessaria a credere all’esistenza di Dio. Recentemente la fisica, con la “teoria delle stringhe” fonde la meccanica quantistica con la relatività generale e ipotizza l’esistenza di altre dimensioni a noi invisibili… La “mente” di Dio? Tuttavia le dimensioni extra non possono spiegare la natura trascendente di un Creatore. Determinare se sia stato Dio o no a determinare le leggi della fisica è impossibile, a meno che il Creatore non abbia lasciato un messaggio leggibile nel codice cosmico. Tuttavia l’universo è matematica e studiandola si può dire di esplorare la “mente” di Dio. «Se non ammettiamo l’esistenza di Dio come cristiani, dobbiamo ammetterla come matematici», diceva il matematico Cauchy…

Stephen Hawking sostiene che Dio non esiste perché non esiste tempo prima del Big Bang e quindi nessuno può avere creato nulla prima del tempo. Tuttavia la tesi di Stephen Hawking non tiene conto che il tempo non è (solo) un concetto scientifico, ma soprattutto metafisico. Quando i teologi parlano di cosa esistesse prima dell’universo immaginano un vero vuoto. Se l’universo era davvero un nulla questo vuol dire che è stato creato da qualcosa al di là dell’universo, qualcosa di totalmente trascendente che lo ha fatto passare dal nulla all’esistente: Dio. La teoria chiamata No boundary proposal (di Hartle e Hawking) sostiene che tutto (tempo, spazio, leggi fisiche) è nato da un singolo punto. Ma usando le leggi fische per comprendere il Big Bang incontrano la cosiddetta “singolarità”, in cui quelle leggi cedono e appare necessario l’intervento di un Creatore che ha dato il via al tutto. Hawking risponde che l’universo non è nato da una singolarità, ma il tempo ha avuto origine come una delle dimensioni dello spazio. Tuttavia la teoria non afferma che l’universo si estende all’infinito all’indietro nel tempo, ma che il momento iniziale è in una sorta di condizione nebulosa il che significa che c’è comunque stato un’inizio. I teologi contrattaccano la teoria atea di Hawking con il teorema di tre fisici che affermano che qualsiasi universo in espansione deve avere avuto un inizio. Tutti gli universi in espansione devono avere un confine inziale di tempo. Questo fa tornare all’intervento divino. Francis Collins – genetista autore della sequenza del DNA umano –  direttore del National Institutes of Health, ha affermato che il Big Bang «domanda a gran voce una spiegazione divina e infatti si accorda perfettamente con l’idea di un Dio Creatore trascendente. Non riesco a capire come la natura avrebbe potuto crearsi da sé. Solo una forza al di fuori del tempo e dello spazio avrebbe potuto fare una cosa simile».

L’astrofisico Allan Sandage ha osservato che «con le conseguenze riguardanti la possibilità che gli astronomi abbiano identificato l’evento della creazione mette veramente la cosmologia vicino al tipo di teologia naturale medioevale che ha cercato di trovare Dio identificando la causa prima». Secondo un insegnamento indù esistono infiniti universi ognuno con un dio diverso immerso in un differente sogno cosmico. Tuttavia questo implicherebbe l’esitenza di un super dio responsabile dell’esistenza degli altri déi e dei loro universi sognati e creati. Siamo noi a sognare l’intervento divino nella creazione o è questo a farcelo sognare? La questione però non è testabile e quindi non può far parte della scienza perché questa usa dati dell’universo e non può quindi confutare ciò che è al di là dell’universo stesso…

Giorgio Nadali

 

 


Fede & Scienza: Le forze della preghiera e della fede fanno bene al cervello

Le persone religiose trovano forza in Dio; questo lo sappiamo. Ma un nuovo studio condotto dal Prof. Malt Friese e da Michaela Wanke suggerisce che anche i non credenti possono entrare in azione. In un recente numero del Journal of Experimental Social Psychology, presentano prove che dimostrano come e perché la preghiera potrebbe aumentare la capacità di chiunque di resistere alla tentazione. Tuttavia possiamo essere tutti d’accordo che per questo occorra autocontrollo, gli autori propongono che la fonte di tale controllo potrebbe non essere soprannaturale. Invece, potrebbe venire da qualcosa di più terreno. Qualcosa di accessibile anche ai più atei: la connessione sociale.

Gli autori hanno elaborato il loro studio del potere di preghiera in ciò che hanno chiamato il “modello forza” dell’autocontrollo. Il modello di resistenza suggerisce che le nostre risorse cognitive, come le nostre risorse fisiche, siano limitate. Correre per un chilometro sarebbe incredibilmente difficile dopo averne corsi già 30, e resistere anche alla più piccola tentazione può essere incredibilmente difficile se hai appena passato un’ora a resistere quelle più grandi. Quindi, come possiamo ricostituire queste risorse cognitive, o anche aumentare la nostra “resistenza” cognitiva? I ricercatori hanno, in tutta serietà, scoperto che l’ingestione di glucosio può infatti aumentare l’autocontrollo, ma gli scienziati gli scienziati hanno supposto che la preghiera potrebbe essere un altro mezzo attraverso il quale gli individui si proteggono dal crollo della forza di volontà. In effetti, studi del passato avevano già suggerito un tale rapporto, mostrando che suggerendo ai partecipanti parole relative alla religione (ad es Dio, divino) li mettevano al riparo contro gli effetti dell’impoverimento cognitivo.

Gli autori hanno trovato che le persone interpretano la preghiera come l’interazione sociale con Dio, e le interazioni sociali sono ciò che ci danno le risorse cognitive necessarie per evitare la tentazione. Precedenti ricerche hanno trovato che anche brevi interazioni sociali possono promuovere le funzioni cognitive, e lo stesso sembra valere per le brevi interazioni sociali con le divinità.

Uno dei più importanti ricercatori nel campo della neurologia e della spiritualità è Andrew Newberg, direttore della ricerca presso il Jefferson Myrna Brind Center of Integrative Medicine a Thomas Jefferson University Hospital e , a Philadelphia . Ha fatto studi empirici sul funzionamento del cervello tra una varietà di praticanti spirituali che vanno da suore cattoliche impegnati in ” centrare preghiera” di pentecostali in preghiera in lingue .

I risultati del suo lavoro e altri hanno confermato che il cervello umano è “progettato per la fede . “Diverse volte le neuroscienze hanno dimostrato che la preghiera fa una differenza notevole nel funzionamento fisiologico del cervello.

Newberg afferma che mentre cresci spiritualmente, cambi le convinzioni, migliori il senso di compassione – per esempio – e questo incide sul cervello. Se si pratica la molto preghiera, per esempio, i dati mostrano che queste pratiche possono effettivamente cambiare il cervello nel corso del tempo .

Abbiamo fatto uno studio sulla pratica di meditazione e abbiamo trovato diverse cose tra le persone che non avevano mai meditato prima. Quando queste persone hanno aggiunto la meditazione per le loro pratiche, come ad esempio concentrandosi su un passo della Scrittura, abbiamo visto cambiamenti significativi nel funzionamento del cervello. In particolare, abbiamo visto una maggiore attività nei lobi frontali (una delle aree del cervello coinvolte nella compassione e nelle emozioni positive ) e non ci sono stati cambiamenti nel talamo, la parte del nostro cervello che ci aiuta all’interconnessione.

I cristiani spesso parlano di ” frutto dello Spirito ” delineati da San Paolo nella Lettera ai Galati- “amore, gioia, pace, pazienza, gentilezza, bontà, mitezza, dominio di sé “. Queste sono funzioni del cervello ?

Newberg risponde che in sostanza c’è un equilibrio da stabilire tra il lobo frontale e il sistema limbico. L’amigdala è la parte del cervello che reagisce alla paura, all’odio , alla rabbia e altre emozioni allarmanti, ma partecipa anche agli aspetti positivi. Il lobo frontale equilibra tutto. Per esempio, quando qualcuno ti taglia la strada nel traffico , la vostra amigdala reagisce con , “fagli  del male subito”, ma il vostro lobo frontale dice: “Aspetta un minuto! ” Questa è una visione neurologica della pazienza .

Sia che si chiami ” vita nello Spirito ” o diventare più compassionevole, meno reazionario, si parla del tentativo di sopprimere l’amigdala e cercare di migliorare il lobo frontale e le attività nelle aree sociali del cervello.

Newberg aggiunge che “le visioni positive su Dio sono buone per il cervello. Tuttavia , le visioni negative su Dio possono essere dannose, causano stress, ansia e possono causare depressione e emozioni negative”.

Abbiamo scoperto che la fede nel suo senso più ampio è la cosa migliore che si può avere per il cervello. Non solo la fede religiosa fa bene al cervello, ma anche l’ottimismo e il guardare il mondo in modo positivo che la gente associa spesso con la fede.  Avere ” fede” che la tua vita andrà per il verso giusto e che tu sia in grado di aiutare altre persone, questo è un altro beneficio.

In realtà, l’ottimismo – la speranza – è un ottimo indicatore della propria salute e della vita . Se questo ottimismo è avvolto in un contesto religioso, vi sono elementi che dimostrano che le persone che sono religiose hanno più bassi livelli di depressione e ansia .

Inoltre, quando hai fede, fornisci un quadro di riferimento per la vita e per la comprensione del mondo che allevia un sacco di ansia ontologica di cui molti soffrono, e ciò fornisce risposte in un contesto di vita. È un reticolo interconnesso per la vita. Se ottenete sostegno sociale dalla vostra chiesa, anche questo è incredibilmente utile per il cervello .

Giorgio Nadali


Fede & Scienza. Credere riduce l’ansia

Credere in Dio può aiutare a bloccare l’ansia e minimizzare lo stress, secondo una nuova ricerca dell’Università di Toronto che mostra differenze cerebrali distinte tra credenti e non credenti.

In due studi condotti da assistente professore di psicologia Michael Inzlicht, i partecipanti hanno eseguito un test di Stroop – una prova ben nota di controllo cognitivo – mentre erano collegati a elettrodi che misuravano la loro attività cerebrale.

Rispetto ai non credenti, i partecipanti religiosi hanno mostrato significativamente meno attività nella corteccia cingolata anteriore (ACC), una parte del cervello che aiuta a modificare il comportamento segnalando quando sono necessarie attenzione e controllo, di solito come conseguenza di qualche evento ansiogeno come il commettere un errore. Maggiore era il loro zelo religioso e più credevano in Dio, tanto meno la loro corteccia cingolata anteriore si accendeva in risposta ai loro propri errori, e meno errori commettevano.

“Si potrebbe pensare a questa parte del cervello come un campanello d’allarme corticale che suona quando un individuo ha appena commesso un errore o sperimenta incertezza”, dice l’autore Inzlicht, che insegna e svolge attività di ricerca presso l’Università di Toronto Scarborough. “Abbiamo scoperto che le persone religiose o anche persone che semplicemente credono nell’esistenza di Dio mostrano significativamente minore attività cerebrale in relazione ai propri errori. Sono molto meno ansiosi e si sentono meno stressati quando hanno commesso un errore.”

Queste correlazione è rimasta forte, anche dopo il controllo per la personalità e la capacità cognitiva, dice Inzlicht, che ha anche scoperto che i partecipanti religiosi commettevano meno errori nel test di Stroop, rispetto alle loro controparti non-credenti.

I loro risultati mostrano che la fede religiosa ha un effetto calmante sui suoi devoti, che li rende meno propensi all’ansia di fare errori e di fronte all’ignoto. Ma Inzlicht avverte che l’ansia è una “spada a doppio taglio”, a volte necessaria e utile.

“Ovviamente, l’ansia può essere negativa, perché disporne di troppa, paralizza dalla paura”, dice. “Tuttavia, serve anche una funzione molto utile in quanto ci avvisa quando stiamo per commettere errori. Se non si verifica ansia quando commetti un errore, quale slancio a cambiare o migliorare il tuo comportamento in modo da non ripetere più volte gli stessi errori? ”

Il documento, che appare online in Psychological Science, ha come autori il Dr. Ian McGregor della York University, e Jacob Hirsh e Kyle Nash, candidati al dottorato rispettivamente presso le Università di Toronto e York.

Redazione


2016. Quale futuro per le religioni mondiali?

Dai dati del 2012 , nel mondo 910 milioni di persone sono dichiaratamente atee. Le persone non religiose, ma non atee sono un miliardo e 610 milioni. Quelle religiose a vari livelli sono quattro miliardi e 130 milioni. Il Paese con più atei è la Cina (47%), seguita da Giappone e Repubblica Ceca. Il Paese col maggior numero di persone religiose è il Ghana (96%), seguito da Nigeria e Armenia.
Il Paese col più alto numero di atei in Europa è la Francia col 29%, quarto posto nel mondo. L’Italia è al diciottesimo posto per ateismo con l’8% e al venticinquesimo per religiosità con il 73%. Col più basso numero di atei in Europa (0 – 5%) Romania, Grecia, Malta, Irlanda e Polonia. Gli atei sono passati dal 4% al 7% in trentanove Paesi monitorati nel mondo dal 2005 al 2012. 13% in tutto il mondo.

Le ragioni dell’ateismo sono sostanzialmente quattro a mio avviso. Tutte rispettabili. Primo. Il dolore. Non si accetta il fatto che Dio permetta la sofferenza nel mondo. Secondo. Esempi negativi ricevuti dai credenti. Terzo. Ideologici politici. È probabile anche se non certo che l’adesione radicale alla visione marxista e comunista impedisca l’apertura a una fede religiosa. Quarto. Razionalismo. Non è la razionalità, che è l’uso della ragione, ma la convinzione che solo la ragione possa spiegare ogni cosa. Fatto per altro impossibile, dato che proprio l’amore e l’innamoramento che mandano avanti i rapporti umani sono fatti irrazionali, non spiegabili con la sola ragione. Ragione senza fede (razionalismo) e fede senza ragione (fideismo) sono due visioni estreme che rinunciano o alla spiritualità o alla razionalità umane. Il fideismo può portare a fenomeni anche gravi di fanatismo religioso, tanto quanto il razionalismo può portare all’intolleranza del laicismo. Il laicismo vorrebbe escludere la cultura religiosa dalla società in cui vive. Un fatto impossibile. Non esiste un Paese al mondo in cui una persona non possa essere coinvolta anche senza volerlo, credente o meno, dalla cultura religiosa. Non esistono Paesi atei, ma alcuni regimi atei. Ad esempio in Italia vi sono cinquantanove giorni di festa (domeniche comprese) per tutti (atei e credenti) legati al cattolicesimo, contro solo tre giorni festivi legati esclusivamente allo Stato laico. 721 comuni italiani (su ottomila) hanno un nome religioso legato al cattolicesimo, più mezzo milione di nomi di piazze, viali, vie, ecc. Tutte le autoambulanze hanno una croce “greca” e la croce “latina” è presente anche sul palazzo del Quirinale (Presidenza della Repubblica) sulla Torre dei Venti, oltre che nei tribunali, carceri e ospedali.

Previsioni errate… «Nel 1710 il libero pensatore inglese Thomas Woolston (1620-1731) si disse fiducioso che la religione sarebbe finita prima del 1900. Voltaire (1695-1778) ritenne questa previsione troppo pessimistica e predisse che la religione sarebbe scomparsa dal mondo occidentale nel giro di mezzo secolo – più o meno entro il 1810 […] L’illustre antropologo Anthony F. C. Wallace ha fatto sapere a migliaia di studenti nel 1966, il “futuro della religione è l’estinzione […] la credenza nei poteri soprannaturali è destinata a morire in tutto il mondo in seguito alla crescente diffusione della conoscenza scientifica […] è un processo irreversibile».

L’inchiesta più recente a livello mondiale del 2012 è della WIN-Gallup International . Ha rivelato che solo il 13% della popolazione mondiale dichiara di essere atea. I religiosi sono il 59% e i non religiosi il 23%. L’indice di religiosità e ateismo della WIN-Gallup International misura l’auto percezione a livello mondiale delle credenze religiose basandosi su di un campione di 51.927 intervistati, uomini e donne, in 57 Paesi nel mondo di tutti i continenti. La domanda posta era: “Indipendentemente dal fatto che Lei frequenti un luogo di culto oppure no, si ritiene una persona religiosa, non religiosa o atea?”. In Italia hanno risposto 987 persone. 73% religiose, 15% non religiose e 8% atee. Dati raccolti per WIA-Gallup International dalla Doxa, dal 21 novembre al 4 dicembre 2012.

Le nazioni con più persone religiose sono: 1) Ghana 96% 2) Nigeria 93% 3) Armenia 92% 4) Fiji 92% 5) Macedonia 90% 6) Romania 89% 7) Iraq 88% 8) Kenya 88% 9) Perù 86% 10) Brasile 85% 11) Georgia 84% 12) Pakistan 84% 13) Afghanistan 83% 14) Moldavia 83% 15) Colombia 83% 16) Camerun 82% 17) Malesia 81% 18) India 81% 19) Polonia 81% 20) Sudan (Sud) 79% 21) Uzbekistan 79% 22) Serbia 77% 23) Tunisia 75% 24) Arabia Saudita 75% 25) Italia 73%.
Le nazioni con più persone inclini a dichiararsi non religiose: 1) Irlanda 47% 2) Canada 46% 3) Azerbaijan 44% 4) Olanda 43% 5) Austria 42% 6) Hong Kong 38% 7) Francia 37% 8) Australia 37% 9) Vietnam 30% 10) Svezia 29%.

Le nazioni con più persone che si dichiarano atee: 1) Cina 47% 2) Giappone 31% 3) Repubblica Ceca 30% 4) Francia 29% 5) Corea del Sud 15% 6) Germania 15%.
Il presidente della WIN-Gallup International, Jean Marc Leger ha commentato l’inchiesta osservando che «nonostante l’immenso impatto della tecnologia e dell’enfasi sugli affari nel mondo, il ventunesimo secolo sorprendentemente si presenta con una fede religiosa, mentre l’ateismo è in minoranza. Sarebbe stato fantastico avere i dati dei secoli passati per confrontarli. Sfortunatamente non esistevano inchieste d’opinione globali a quel tempo».

Calo della religiosità dal 2005 al 2012

Paese 2005 2012 Variazione religiosità
Media mondiale 77% 68% -9%
Vietnam 53% 30% -23%
Svizzera 71% 50% -21%
Francia 58% 37% -21%
Sud Africa 83% 64% -19%
Islanda 74% 57% -17%
Ecuador 85% 70% -15%
Stati Uniti 73% 60% -13%
Canada 58% 46% -12%
Austria 52% 42% -10%
Germania 60% 51% -9%
Italia 72% 73% +1%

Pakistan (+6%), Serbia (+5%) e Macedonia (+5%) hanno avuto la crescita maggiore di religiosità. L’Italia ha aumentato del 2% il numero di atei (dal 6% all’8%) in 7 anni e ha aumentato dell’1% le persone religiose. La più alta crescita di atei l’ha avuta la Francia (+15%).

Giorgio Nadali


I valori cristiani. 2. La fede

L’autore della Lettera agli Ebrei del Nuovo Testamento descrive la fede come “fondamento delle cose che si sperano e prova di quelle che non si vedono” (Ebrei 11,1). La fede è credere oltre l’evidenza. Non è basata sull’assurdo, che è contrario la ragione. Uno più uno uguale tre è un assurdo e si può provare che lo sia. La fede è basata sul mistero, che è superiore alla ragione. Non si può dimostrare né che Dio esista né che Dio non esista, ma non è un assurdo. La fede è un modo di conoscere non basato sull’evidenza e sull’esperienza diretta. Non riguarda solo la religione. Molte delle cose che crediamo non sono basate sull’evidenza. La “fede”, in un certo senso c’è anche in matematica. Come?

La congettura di Goldbach, è un puro atto di “fede”, se per fede intendiamo la convinzione di una realtà possibile che non è mai stata dimostrata. È data per vera, ma nessuno è mai riuscito a dimostrare che ogni numero pari maggiore di due può essere scritto come somma di due numeri primi. Una cosa creduta e non dimostrata! Uno dei maggiori problemi irrisolti della teoria dei numeri. Teoria – detto per inciso – formulata da Pierre de Fermat, grande estimatore della consulenza dei matematici gesuiti. Gli stessi che hanno scoperto le funzioni iperboliche e le equazioni differenziali, l’iperbole rettangolare, le geometrie non euclidee, e così via. Tutti preti.

E che dire delle congetture matematiche di Beal, di Collatz, di Hodge, di Hardy-Littlewood, di Borsuk, dei numeri primi gemelli o dell’ipotesi di Riemann? Solo per citarne alcune, perché, come sa, sono almeno quarantacinque. Tutte credute, ma per ora non dimostrate. Senza dimostrazione, niente teorema. Infatti di congetture si tratta. Certo non è matematica da liceo e lo diciamo quindi solo per coloro che sono convinti che in matematica tutto sia dimostrabile e che il campo delle cose credute e non dimostrate riguardi solo la religione. La congettura matematica si basa solo sull’intuito, quindi non sulla razionalità.

Per fede crediamo che il soffitto di un luogo pubblico non crolli. Ci fidiamo del costruttore, senza aver fatto personalmente dei controlli. Non è quindi possibili vivere senza la fede e questo vale anche per quella minoranza del 13% mondiale di persone che si definiscono atee, cioè che non credono in Dio e che magari usano, per motivi sociali e culturali espressioni storicamente legati alla fede religiosa come “grazie”, “prego”, “addio”, “settimana” “procreazione”, ecc. La fede cristiana è basata su tre elementi. 1) Grazia: Dio chiama attraverso fatti, persone, la Chiesa, la Parola di Dio, il silenzio… 2) Intelligenza: la persona ragiona sulla credibilità del dato di fede. 3) Volontà. La persona decide di credere e vivere in conseguenza a questa fede. Continua la Lettera agli Ebrei (11,6): «Senza la fede però è impossibile essergli graditi; chi infatti s’accosta a Dio deve credere che egli esiste e che egli ricompensa coloro che lo cercano». La gente però è molto timida con Dio. Qualcuno le ha insegnato a non infastidirlo troppo. A tenere un basso profilo. Si ha come il timore di una preghiera “spudorata”. Anni di educazione religiosa ci hanno abituato a domandare a Dio il minimo indispensabile. “Signore, aiutami a tirare avanti”. Non è un a preghiera sbagliata. È una preghiera che limita Dio.

Per le cose ordinarie non c’è bisogno di un intervento divino. Nessuno ci ha mai insegnato a pregare in grande. Ad un grande Dio si chiedono cose grandi. Non è spudoratezza. È fede. Cosa vuol dire cose grandi? Vuol dire credere sul serio che a Dio nulla è impossibile (Luca 1,37) e credere nel suo amore che vuole donarci molto di più di quanto noi stessi osiamo sperare. Prova a pensare ad un sogno che ritieni irrealizzabile per la tua vita. Ecco, Dio vuole donarci ancora più di quello. Lo crediamo? Molti non lo credono affatto perché sono stati educati ad una fede mediocre. Pensano che ciò che hanno è già il massimo che Dio ha voluto donare per loro. Pensano che Dio non possa volere il nostro successo. Anzi, il successo personale è quasi un peccato. Meglio essere mediocri per essere di bravi cristiani. Invece, è un peccato proprio credere questo. Perché l’uomo vivente è la gloria di Dio e ciò che Dio vuole donarci di grande e “impossibile” è un segno agli altri del suo amore e della sua potenza. Non si dà una grande testimonianza andando in giro a testa bassa facendo credere al mondo che la tua fede in Cristo è quella della rassegnazione e del tirare a campare. Un peccato contro lo Spirito Santo. Un peccato anche di ignoranza. La Parola di Dio dice: «cerca la gioia del Signore, esaudirà i desideri del tuo cuore» (Salmo 36,4). I desideri del tuo cuore… Non barare. Tanto Dio li vede già, anche se non vuoi presentarglieli. Ora, qualcuno ti ha fatto credere che nessuno di questi desideri da presentare a Dio possa essere di natura materiale. Si confonde il benessere, anche economico con il materialismo (che è l’adorazione delle cose materiali).

Invece Gesù ha incluso anche il pane quotidiano nelle richieste del Padre Nostro e il considerare la materia come impura è sconfinare in una filosofia che nulla ha a che fare col Cristianesimo. È gnosticismo. Eresia. Corpo, materia, esigenze terrene, benessere, successo, sesso, piacere e denaro non sono affatto cose “demoniache” in quanto tali, per il Cristianesimo. Sempre a patto di non confondere la fede con la bigotteria, ma Gesù aveva parecchio da ridire su quella dei “puri” Farisei del suo tempo. Per cui non vi è nulla di male a chiedere a Dio una casa migliore, anzi, una casa decisamente molto bella o una professione di successo. Dio può aprire delle porte che agli uomini sono impossibili. Ma il limite di tutto ciò è proprio la fede di prega. Se chiedi a Dio di tirare a campare sino a fine mese, questo otterrai. Il fatto che Dio vuole e può molto di più per noi. Ma siccome non lo crediamo, non lo preghiamo neppure e di conseguenza non lo otterremo mai. E la frase d Gesù «Tutto è possibile per chi crede» (Marco 9,23) rimane una bella teoria spirituale che ben poco ha a che fare con la nostra vita concreta di ogni giorno. C’è una falsa vergona religiosa nei confronti di un Padre che – come ogni padre e molto di più – vuole il massimo per ogni singolo figlio e ha desideri e progetti di abbondanza per ognuno, non certo di mediocrità. Per cui dico la mi preghierina banale. Fammi tirare a campare come posso. Poi vado a giocare a Superenalotto e quant’altro. Mi vergogno di chiedere a Dio il successo e il benessere. Per alcuni – “credenti” compresi è meglio chiederlo alla dea fortuna pagana.

Giorgio Nadali


Fede & salute

Le credenze religiose possono essere molto potenti e possono avere effetti fisici. Uno studio guidato da Katja Wiech dell’Università di Oxford ha coinvolto ventiquattro individui divisi in due gruppi. Dodici erano studenti cattolici praticanti. Gli altri dodici erano studenti atei. Sono state mostrate loro alcune immagini. Una era un’immagine della Vergine Maria del pittore Giovanni Battista Salvi detto «Il Sassoferrato» (XVII secolo). L’altra era «La dama con l’ermellino», di Leonardo da Vinci. Immagini molto simili. Dopo aver guardato le foto per trenta secondi, i volontari sono stati sottoposti a piccole scosse elettriche per dodici secondi. Ogni volta, è stato chiesto di classificare come il livello di dolore su una scala da zero a cento. I soggetti sono stati poi sottoposti a risonanza magnetica cerebrale.
Quando la squadra della Wiech controllò le scansioni cerebrali dei due gruppi, ha trovato marcate differenze tra di loro. Dopo aver visto il quadro della Vergine Maria, una zona del cervello chiamata corteccia prefrontale risultava illuminata solo nei volontari religiosi. I membri del gruppo religioso riferivano di provare meno dolore quando guardano l’immagine della Vergine Maria, di quando guardavano il quadro di Leonardo.

Per i cattolici dodici per cento in meno di dolore. Sul gruppo di non religiosi le immagini non hanno avuto alcun effetto.
Katja Weich ha concluso che: «I cattolici erano coinvolti in un meccanismo cerebrale che è ben noto dalla ricerca come effetto placebo, analgesia e disimpegno emotivo che aiuta le persone a reinterpretare il dolore e renderlo meno minaccioso. Queste persone si sentivano sicure guardando la Vergine Maria, si sentivano protetti, quindi l’intero contesto del test è cambiato per loro. È altamente probabile che anche le persone non religiose potrebbero raggiungere una simile capacità di controllare il dolore, forse attraverso la meditazione o altre strategie mentali».

Gli individui che praticano la religione e la spiritualità godono di una migliore salute fisica e mentale rispetto a quelli che non lo fanno. Per comprendere meglio questo rapporto e come la spiritualità e la religione possano essere utilizzate per far fronte a problemi di salute significativi, i ricercatori dell’Università del Missouri hanno esaminato quali aspetti della religione sono più vantaggiosi e per quali popolazioni.
«I nostri risultati rafforzano l’idea che la religione e la spiritualità possano aiutare a tamponare le conseguenze negative di condizioni di salute difficili», ha riferito Stephanie Reid-Arndt, professoressa associata di psicologia della salute nella scuola di professioni sanitarie. «Sappiamo che ci sono molti modi di far fronte a situazioni di vita stressanti, come una malattia cronica e il coinvolgimento in attività spirituali e religiose può essere una strategia efficace per far fronte a queste situazioni». La recente pubblicazione del Centro di Ricerca per la Religione e le Professioni dell’Università del Missouri, creato dalla Reid-Arndt, ha scoperto che il sostegno religioso è associato con i migliori risultati di salute mentale per le donne e con una migliore salute fisica e mentale per gli uomini.
L’assistenza religiosa e spirituale comprende la cura da parte di congregazioni, interventi spirituali, come la direzione spirituale, la confessione e l’assistenza di pastori e cappellani ospedalieri. Brick Johnstone, docente di psicologia della salute sostiene che “entrambe i sessi beneficiano del sostegno sociale – la capacità di cercare aiuto e di contare sugli altri – fornita dagli altri fedeli e dal coinvolgimento in organizzazioni religiose. L’incoraggiamento a cercare sostegno religioso spirituale può aiutare gli individui a far fronte allo stress e ai sintomi fisici legati alla malattia. Il personale medico deve incoraggiare i pazienti a trarre beneficio da queste risorse [religiose] che forniscono sostegno emotivo e finanziario, nonché occasioni di migliorare la socializzazione”.
Lo studio ha esaminato il ruolo dei sessi nell’avvalersi del sostegno spirituale e religioso in condizioni di malattia cronica e di disabilità, comprese le lesioni alla spina dorsale, danni cerebrali e cancro. Utilizzando scale di misura di religiosità e spiritualità, di salute mentale e di salute generale, i ricercatori non hanno scoperto differenze tra uomini e donne in termini di livelli di esperienze spirituali e pratiche religiose.
Queste rilevazioni contrastano con altri studi che hanno ipotizzato una maggiore spiritualità delle donne e di un coinvolgimento femminile più accentuato nelle pratiche religiose rispetto agli uomini. Johnstone ha osservato che “mentre le donne generalmente sono più religiose o spirituali degli uomini, abbiamo scoperto che entrambe i sessi possono aumentare il loro affidamento alla religione, quando devono affrontare la malattia o la disabilità”. La ricerca ha evidenziato che per le donne, la salute mentale è associata con esperienze spirituali quotidiane, con l’esperienza del perdono e con questioni religiose e spirituali.
Questo significa che il credere in un potere superiore legato al perdono al sostegno e all’amore è connesso con una situazione mentale positiva nell’affrontare una malattia cronica, da parte delle donne. Per gli uomini, il sostegno religioso – la percezione di un aiuto e di un supporto da parte di congregazioni religiose è associato con una migliore salute». Johnstone è il direttore del programma di ricerca di spiritualità e salute dell’Università del Missouri. Ha condotto diversi studi con l’intento di esaminare la relazione che esiste tra la religione, la spiritualità e la salute, in particolare per gli individui con condizioni croniche disabilitanti, appartenenti a diverse tradizioni religiose.

Chiediamo cosa ne pensa la psicanalista Giovanna Capolongo, che esercita la professione a Milano.

Dottoressa, cosa ne pensa delle affermazioni della ricercatrice Stephanie Reid-Arndt?
Le affermazioni della ricercatrice Stephanie Reid-Arndt trovano conferma nella mia esperienza clinica in qualità di psiconcologa.
La religiosità vissuta e praticata non solo offre conforto e sostegno nei momenti difficili, ma diventa un’alleata del paziente insieme al piano terapeutico la cui efficacia dipende dalla compliance, insieme all’aiuto offerto dai psiconcologi.
Non solo la religiosità vissuta e praticata, ma anche la religiosità che inizia semplicemente come curiosità o come domanda da parte di quelle persone che sono “alla ricerca” di una risposta alle proprie domande cosiddette “esistenziali”, ma che non sono pervenuti ancora ad una risposta, non sono ancora approdati ad una fede e ad una fede certa in Qualcuno: la domanda e l’attesa di queste persone di poter trovare un senso all’esistenza, che vuol dire poi trovare il senso della propria malattia, li rende attivi, partecipativi di tutta la propria vicenda umana e collaborativi nel lavoro della cura del proprio male.

Nella sua professione ha riscontrato una differenza tra coloro che credono e coloro che non credono?

Si.

I non credenti nel momento della malattia mettono in campo risorse esclusivamente frutto della propria storia personale. E queste il più delle volte sono limitate. Alcuni presentano una grande capacità organizzativa, della gestione della propria malattia, ma c’è spesso l’altra faccia della medaglia che si presenta come solitudine, mancanza di rapporti significativi capaci di prendersi cura.
I “credenti” mettono in campo risorse non solo personali ma risorse che sono il frutto di una condivisione comunitaria: l’ascolto, la fiducia, l‘abbandono, la speranza, la domanda di aiuto e tutto ciò li rende più attrezzati a compiere quella battaglia contro il proprio male.

Secondo Lei come e perché la fede religiosa influisce sui processi psichici?

Influisce perché l’apertura della psiche al Mistero come ciò la cui conoscenza è inesauribile, dilata le possibilità della psiche di trovare soluzioni e risposte.

Esiste un rapporto tra spiritualità e armonia interiore secondo Lei?

Lo spirito come componente del soggetto, se adeguatamente vissuto, cioè se allo spirito viene data la possibilità di avere una “vita”, esso genera armonia, cioè benessere ed equilibrio.

 

Giorgio Nadali


Religiosi, ma poveri? Esiste un rapporto tra ricchezza o povertà personale e la fede religiosa?

di Giorgio Nadali

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abDi certo Adriano Celentano non sarebbe d’accordo e anche noi siamo un po’ perplessi, ma secondo un nuovo studio di un istituto di ricerca sociale americano – Pew Research Center – c’è un rapporto tra benessere economico personale e fede religiosa. Ricchezza e religione sarebbero inversamente proporzionali: i paesi più religiosi quelli con un più alto tasso di povertà e viceversa, mentre quelli più ricchi i più tendenti all’ateismo. Unica eccezione gli Stati Uniti d’America, dove nonostante la ricchezza elevata in termini di PIL, il 54% della popolazione afferma la grande importanza della religione nella propria vita. Nel testo sociologico “Sacro e popolare. Religione e politica nel mondo globalizzato”, gli autori Pippa Norris e Ronald Inglehart sottolineano come la partecipazione alle pratiche religiose registri tassi più alti tra persone più incerte a livello economico e che si trovano ad affrontare più problemi di salute e povertà. Nell’ipotesi generale, il declino del valore della religione, della fede e delle attività religiose dipende dal mutamento di lungo periodo della sicurezza esistenziale: con il processo e il progresso dello sviluppo umano, l’importanza della religione nella vita degli individui diminuisce gradualmente.
Abbiamo sentito il parere di tre importanti sociologi italiani.

Roberto Cipriani. Professore ordinario di Sociologia nell’Università Roma Tre.
Silvio Scanagatta. Docente di Sociologia del mutamento culturale all’Università di Padova
Paola Di Nicola. Presidente della Associazione Italiana di Sociologia. Docente di Sociologia dei processi culturali e comunicativi all’Università di Verona.

Siete d’accordo con la ricerca?
Cipriani:
Non è facile essere d’accordo con la ricerca perché le informazioni sulla metodologia sono insufficienti a valutare l’affidabilità. A livello comparativo fra nazioni ci sono moti problemi di omogeneità fra i dati raccolti.
Scanagatta:
Non mi stupisce affatto. Gli Stati Uniti hanno una cultura decisamente diversa dall’Europa. Gli Stati Uniti sono gli unici che differiscono in questa variabile che va dal massimo di senso religioso rapportato con la povertà sino al minimo di senso religioso rapportato con la ricchezza. Gli Stati Uniti essendo più ricchi dell’Europa dimostrano che uno stato più coeso il senso religioso va perfettamente d’accordo con la ricchezza conseguita.
Di Nicola:
Indubbiamente al di là di tutte le questioni teologiche la religione ha avuto sempre una funzione consolatoria nei confronti dei soggetti e spesso questa funzione consolatoria ha trovato maggiore accoglimento tra le persone che sperimentano condizioni di vita altamente problematiche. Rimane il fatto che a livello personale le religioni sono fonte di conforto. È un dato di conforto. Soprattutto le religioni rivelate (Ebraismo, Cristianesimo e Islam).

Esiste a vostro parere un rapporto con la condizione economica personale e la propria fede religiosa?
Scanagatta:
Certamente c’è un rapporto. Il problema è che il tentativo di alcuni di dire che più si è ricchi e meno si è religiosi è contrastante no solo con un’infinità di realtà individuali, ma anche con realtà collettive dove società unite come quella americana dimostrano che si può far convivere benissimo il senso religioso con una grande ricchezza.
Cipriani:
Non necessariamente. Ci sono persone ricche poco religiose e poveri assai religiosi ma anche il contrario. Non si può generalizzare.
Di Nicola:
Bisogna distinguere tra la fede e la religiosità, che spesso si caratterizza anche con aspetti di tipo magico e di superstizione. Se per fede si intende un credere a livello personale nell’esistenza di un’Entità di tipo trascendente io credo che questo sentimento che possa essere presente a tutti gli uomini in tutte le classi sociali. Se invece pensiamo alla religiosità, che comprende anche tutti gli aspetti del rito, indubbiamente nelle aree del Paese in cui esiste ancora uno sviluppo non ancora pienamente maturo, spesso questi atteggiamenti continuano a persistere.

Secondo voi la ricchezza economica allontana dalla fede religiosa (cristiana)?
Cipriani: Molto dipende dalla socializzazione e dall’educazione ricevute, che possono impedire di pensare che la ricchezza allontani dalla fede.
Scanagatta: No, no. L’aumento economico non allontana affatto dal senso religioso. Anzi, lo fa crescere perché spesso il livello culturale rende più sensibili e attenti al senso religioso, non necessariamente più distanti.
Di Nicola: Non è facile da dire. Con l’Europa del Settecento la religione ha perso un po’ la funzione di essere la guida per la vita e la risposta a tutti i problemi. Soprattutto con l’industrializzazione e l’aumento della ricchezza disponibile sia a livello individuale sia a livello collettivo ci si rende conto che si può avere una situazione di sicurezza autonomamente, per meriti personali, senza dover necessariamente ringraziare Qualcuno…
Cosa pensate della teologia della prosperità, di origine protestante, cioè che Dio desidera il nostro benessere economico personale e agisce anche per farcelo avere?
Cipriani:
La teologia della prosperità è un espediente per recuperare adesioni rispetto alla teologia della liberazione, promettendo esiti economici positivi in caso di adesione ad una certa linea teologica e cultuale.
Scanagatta:
Secondo un’idea protestante una persona deve la sua ricchezza non solo alla grazia che Dio gli dà ma anche al senso di comunità con cui esplica questa grazia ed è quello che può spiegare una convivenza tra ricchezza e senso religioso. In Europa invece prevale l’idea per essere ricchi bisogna distruggere il sistema di valori religiosi, in America succede esattamente il contrario. Non solo. Il cattolicesimo dice che la ricchezza è una colpa, ma anche il Paesi del Nord Europa dicono che la separazione tra senso religioso e ricchezza va operata a livelli massimi, tanto è vero che sono i Paesi del Nord che non hanno voluto riconoscere le radici giudaico cristiane della società europea.
Di Nicola:
Con il protestantesimo l’uomo è diventato la misura di tutte le cose, anche la misura della sua etica, della sua moralità e della sua religiosità. Nelle prime forme del Calvinismo per un uomo l’aver successo nella vita era un segno di essere un eletto e quindi nella grazia di Dio. Poi con il Novecento questa dimensione si è molto affievolita e l’obiettivo non stato più stato di arricchirsi per avere una misura del proprio stato di grazia, ma l’obiettivo era semplicemente quello di raggiungere livelli più alti di ricchezza indipendentemente dal fatto che questo fosse un indicatore di essere nelle grazie di Dio.

Secondo voi c’è un rapporto tra la condizione economico sociale e la fede religiosa in Italia?
Cipriani:
La condizione economica non è una variabile indipendente che presieda in Italia all’orientamento religioso.
Scanagatta:
Certamente c’è un rapporto. Il problema è che il tentativo di alcuni di dire che più si è ricchi e meno si è religiosi è contrastante no solo con un’infinità di realtà individuali, ma anche con realtà collettive dove società unite come quella americana dimostrano che si può far convivere benissimo il senso religioso con una grande ricchezza.

Di Nicola:
Bisogna distinguere tra la fede e la religiosità, che spesso si caratterizza anche con aspetti di tipo magico e di superstizione. Se per fede si intende un credere a livello personale nell’esistenza di un’Entità di tipo trascendente io credo che questo sentimento che possa essere presente a tutti gli uomini in tutte le classi sociali. Se invece pensiamo alla religiosità, che comprende anche tutti gli aspetti del rito, indubbiamente nelle aree del Paese in cui esiste ancora uno sviluppo non ancora pienamente maturo, spesso questi atteggiamenti continuano a persistere. La tradizione dà delle sicurezze e chi sperimenta maggiore insicurezza quotidiana spesso trova nella tradizione religiosa dei punti di riferimento.

di Giorgio Nadali

www.giorgionadali.it

Pubblicato su “STOP”, Anno VI, N. 20, 22 Maggio 2015 , “Essere ricchi non vuol dire voltare le spalle a Dio e alla Religione”