Le opere di misericordia spirituale. 7. Pregare Dio per i vivi e per i morti

“La preghiera non è un ozioso passatempo per vecchie signore. Propriamente compresa e applicata, è lo strumento d’azione più potente”. (Mahatma Gandhi)

“Pregate incessantemente” scriveva San Paolo (1 Tessalonicesi 5,17). La preghiera è la forza spirituale del cristiano. Perché io respiro? Perché altrimenti morrei. Così la preghiera, diceva Kierkegaard. Pregare non è tanto ricordare a Dio ciò di cui abbiamo bisogno, ma ricordare a noi stessi di avere bisogno di Dio. È quindi anche un atto di umiltà. La parola “preghiera” è presente 148 nella Bibbia e l’ultimo passo è quello in cui l’Apostolo Pietro chiede di essere “moderati e sobri, per dedicarvi alla preghiera” (1 Pietro 4,7). Moderati e sobri non vuol dire depressi e nella miseria. Abbiamo un Dio grande e dobbiamo pregare in grande. Cosa significa? La gente è molto timida con Dio. Qualcuno le ha insegnato a non infastidirlo troppo. A tenere un basso profilo. Si ha come il timore di una preghiera “spudorata”. Anni di educazione religiosa ci hanno abituato a domandare a Dio il minimo indispensabile. “Signore, aiutami a tirare avanti”. Non è un a preghiera sbagliata. È una preghiera che limita Dio.

Per le cose ordinarie non c’è bisogno di un intervento divino. Nessuno ci ha mai insegnato a pregare in grande. Ad un grande Dio si chiedono cose grandi. Non è spudoratezza. È fede. Cosa vuol dire cose grandi? Vuol dire credere sul serio che a Dio nulla è impossibile (Luca 1,37) e credere nel suo amore che vuole donarci molto di più di quanto noi stessi osiamo sperare. Prova a pensare ad un sogno che ritieni irrealizzabile per la tua vita. Ecco, Dio vuole donarci ancora più di quello. Lo crediamo? Molti non lo credono affatto perché sono stati educati ad una fede mediocre. Pensano che ciò che hanno è già il massimo che Dio ha voluto donare per loro. Pensano che Dio non possa volere il nostro successo. Anzi, il successo personale è quasi un peccato. Meglio essere mediocri per essere di bravi cristiani. Invece, è un peccato proprio credere questo. Perché l’uomo vivente è la gloria di Dio e ciò che Dio vuole donarci di grande e “impossibile” è un segno agli altri del suo amore e della sua potenza. Non si dà una grande testimonianza andando in giro a testa bassa facendo credere al mondo che la tua fede in Cristo è quella della rassegnazione e del tirare a campare.

Un peccato contro lo Spirito Santo. Un peccato anche di ignoranza. La Parola di Dio dice: «cerca la gioia del Signore, esaudirà i desideri del tuo cuore» (Salmo 36,4). I desideri del tuo cuore… Non barare. Tanto Dio li vede già, anche se non vuoi presentarglieli. Ora, qualcuno ti ha fatto credere che nessuno di questi desideri da presentare a Dio possa essere di natura materiale. Si confonde il benessere, anche economico con il materialismo (che è l’adorazione delle cose materiali). Invece Gesù ha incluso anche il pane quotidiano nelle richieste del Padre Nostro e il considerare la materia come impura è sconfinare in una filosofia che nulla ha a che fare col Cristianesimo. È gnosticismo. Eresia. Corpo, materia, esigenze terrene, benessere, successo, sesso, piacere e denaro non sono affatto cose “demoniache” in quanto tali, per il Cristianesimo. Sempre a patto di non confondere la fede con la bigotteria, ma Gesù aveva parecchio da ridire su quella dei “puri” Farisei del suo tempo. Probabilmente la maggioranza si ricorda il detto popolare «il denaro è lo sterco del diavolo» e le dichiarazioni di Gesù contro la ricchezza: «è più facile che un cammello passi per la cruna di un ago, che un ricco entri nel regno dei cieli» (Luca 18,25), «vendi tutto quello che hai, distribuiscilo ai poveri e avrai un tesoro nei cieli; poi vieni e seguimi» (Luca 18,22).

Si confonde il voto di povertà con il valore della povertà valido per ogni cristiano. Ci si è fatti l’idea che il Cristianesimo odi il benessere e il successo personali Si confonde il potere con l’arroganza e il successo con la prevaricazione. In realtà Gesù mette in guardia dalla ricchezza economica che – quando è abbondante – può facilmente può prendere il primo posto nel cuore della persona e sostituirsi a Dio. Per cui si confonde il valore della povertà evangelica con la miseria o la mediocrità e si crede che Dio voglia il minimo indispensabile per noi, non il massimo possibile.

La povertà è in realtà l’uso dei beni materiali con distacco in modo da non renderli un idolo. Il povero del Vangelo non è un pezzente. È la persona che sa godere dei suoi beni senza che questi prendano il posto di Dio nella sua vita. Anzi, con il suo benessere aiuta gli altri. Il mito del ricco uguale cattivo viene dall’invidia. Per cui non vi è nulla di male a chiedere a Dio una casa migliore, anzi, una casa decisamente molto bella o una professione di successo. Dio può aprire delle porte che agli uomini sono impossibili. Ma il limite di tutto ciò è proprio la fede di prega. Se chiedi a Dio di tirare a campare sino a fine mese, questo otterrai. Il fatto che Dio vuole e può molto di più per noi. Ma siccome non lo crediamo, non lo preghiamo neppure e di conseguenza non lo otterremo mai. E la frase d Gesù «Tutto è possibile per chi crede» (Marco 9,23) rimane una bella teoria spirituale che ben poco ha a che fare con la nostra vita concreta di ogni giorno. “La preghiera non può cambiare le cose rispetto a te, ma di sicuro cambia te rispetto alle cose” (Samuel M. Shoemaker). C’è una falsa vergona religiosa nei confronti di un Padre che – come ogni padre e molto di più – vuole il massimo per ogni singolo figlio e ha desideri e progetti di abbondanza per ognuno, non certo di mediocrità. Per cui dico la mi preghierina banale. Fammi tirare a campare come posso. Poi vado a giocare a Superenalotto e quant’altro. Se mi vergogno di chiedere a Dio il successo e il benessere, meglio chiederlo alla dea fortuna pagana, no?

Giorgio Nadali


Quando una sola moglie non basta

C’è chi è stufo anche dell’unica che ha, ma avere più mogli oggi è legale in quarantasette Paesi al mondo (su 197). Quello più vicino all’Italia è l’Algeria. Solo i membri della Chiesa Fondamentalista di Gesù Cristo e dei Santi degli Ultimi Giorni praticano ancora oggi la poligamia. La loro Chiesa ufficiale l’ha abbandonata nel 1890, tuttavia solo il ramo fondamentalista negli Stati Uniti d’America prosegue illegalmente nella poligamia voluta dal fondatore Joseph Smith. Il motivo è semplice. Basta aprire la Bibbia. Davide aveva un intero harem. Betsabea fu l’ultima conquista. (2 Samuele 11). Elkana «aveva due mogli, una chiamata Anna, l’altra Peninna». (1 Samuele 2). Roboamo aveva «diciotto mogli e sessanta concubine e generò ventotto figli e sessanta figlie». (2 Cronache 11,21). «Abia prese quattordici mogli» (2 Cronache 13,21) e Gedeone ebbe molte mogli che gli diedero ben settanta figli. (Giudici 8,30). Ma il record spetta al re Salomone con settecento mogli e trecento concubine.

Un ricambio al ritmo di tre donne al giorno per un anno intero. Non faceva altro: «Aveva settecento principesse per mogli e trecento concubine; le sue donne gli pervertirono il cuore» (1 Re11,3) che però resistette sino a ottant’anni. Per questo motivo i Mormoni pensarono bene di approvare la poligamia. Il fondatore Joseph Smith, nella rivelazione del luglio 1843 fece riferimento alle mogli e concubine di Mosè, Davide e Salomone. (Doctrines and Covenant 132:37-40) Tuttavia l’avere più mogli è una pratica che dalla fine del XIX secolo entrò in disuso tra i fedeli di Smith, perché in contrasto con le leggi civili degli Stati Uniti e fu sempre motivo di divisione interna per i Mormoni. San Paolo esalta la monogamia (Romani 7, 2-3).

Ma i membri della Fundamentalist Church of Jesus Christ of Latter-Day Saints (FLDS) vogliono ancora tante mogli. Loro e le loro numerose consorti vivono a Hildale (Utah), Colorado City (Arizona), Cedar City (Utah), Modena (Utah), Pringle (Sud Dakota), Eldorado (Texas), Lund (Nevada), Lowell (Wyoming), Pinesdale (Montana), Mancos (Colorado). Il fondatore della Fundamentalist Church of Jesus Christ of Latter-Day Saints è Warren Steed Jeffs. Dopo essere stato sulla lista dei dieci più ricercati dell’FBI, il 29 agosto 2006 è stato arrestato e il 9 agosto 2011 è stato condannato all’ergastolo per abusi sessuali e stupro di minori, due delle quali erano le sue mogli dodicenni. Durante il processo si difese leggendo il Libro di Mormon, il testo sacro mormone. Jeffs controlla tuttora la Fundamentalist Church of Jesus Christ of Latter-Day Saints da dietro le sbarre. Nello stato dello Utah oggi vivono quarantamila persone poligame. Cercano la licenza legale per il primo matrimonio e poi si sposano clandestinamente per le altre nozze. Le mogli si mostrano in pubblico come madri non sposate.

Se invece vuoi avere più mariti non ti resta che recarti in Tibet, in Nepal o Sri Lanka (per la legge Kandyan). La poliandria è presente anche nell’Induismo, citata nel poema Mahabharata. Nel Buddhismo tibetano è lecita la poliandria adelfica. Una donna è sposata anche con tutti i membri maschili della famiglia del marito. La molteplicità di mariti è presente anche tra i Maasai  e i Gyliak e gli Inuit eschimesi.

Giorgio Nadali


Cresce l’Italia che diserta le chiese: più facile perdere la fede a 55 anni

Tra piazze sulle unioni civili, appelli alla tradizione natalizia e fede islamica la religione è da tempo al centro del dibattito politico e sociale del Paese. Ma non è detto che questa sua esposizione mediatica si trasformi poi in un rinnovato interesse degli italiani. Anzi, guardando i freddi dati la tendenza sembra tutt’altra.

L’Istat ha di recente fotografato la nostra propensione alla pratica religiosa e il quadro che ne viene fuori è quello di un Paese che viaggia verso la secolarizzazione. Non spinta come in altri Paesi europei, è vero, ma tale da mostrare un’evidente disaffezione. Le chiese sono vuote, si dice sempre. È vero come per le moschee e le sinagoghe e ora lo certifica anche la statistica.

Nel 2006 una persona su tre (esattamente il 33,4%) dichiarava di frequentare luoghi di culto almeno una volta alla settimana. La percentuale, però, oggi è scesa al 29%. E il calo è stato costante negli anni. Al contrario le persone che dichiaravano di non frequentare mai luoghi di culto sono passate dal 17,2 al 21,4%. In pratica oltre una ogni cinque. 

Il dato, messo così, mostra una tendenza generale. Ma se guardassimo più nel dettaglio, noteremmo cose interessanti. Innanzitutto i numeri risultano un po’ “drogati”. Un po’ perché nelle statistiche si tende a dichiarare quel che si vorrebbe fare e non quello che si fa davvero. Un po’ per la presenza dei bambini tra i 6 e i 13 anni che con il loro 51,9% del 2015 spingono in alto una percentuale che altrimenti sarebbe più bassa.

Il crollo della frequentazione dei luoghi di culto ha colpito ogni fascia d’età. Quella in cui si “perde” la fede per eccellenza resta tra i 20 e i 24 anni. La curva, poi, tende a risalire lentamente fino a quella che potremmo definire l’area della “scommessa di Pascal”. Ma il confronto con il 2006 ci dice che la fascia d’età più disillusa è quella tra i 55 e i 59 anni che nell’ultimo decennio ha perso il 30% dei frequentatori di luoghi di culto. Fascia che potrebbe essere estesa ai 60-64enni, dove il calo è stato del 25%. Il sociologo Franco Garelli, uno dei massimi esperti dell’argomento, spiega: «Questo fenomeno può essere dettato da due dinamiche: da una parte in quella fascia d’età molti si costruiscono una seconda vita alternativa. I figli sono grandi, la carriera è agli sgoccioli, i nuovi impegni allontanano dalla pratica religiosa. Dall’altra può essere un portato della crisi: persone uscite dal ciclo produttivo impegnate a rientrarci».

Ma sono le nuove generazioni che offrono gli spunti più interessanti. È probabile che da adulti saranno meno vicini alla fede di quanto lo sono gli adulti di oggi. Se è vero che i bambini sono ancora i frequentatori più assidui dei luoghi di culto, le famiglie sembrano sempre meno inclini a far rispettare loro impegni religiosi assidui. Oggi un bambino su dieci non frequenta più come una volta e gli adolescenti tra i 14 e i 17 anni sono calati del 17,6%. Di converso quelli che non frequentano mai sono aumentati del 57% tra i bambini e del 33% tra gli adolescenti. «È molto interessante notare come i 18enni e 19enni, che restano lo zoccolo duro dell’associazionismo cattolico, tengano (siamo intorno al 15% di frequentatori abituali, ndr) ma la loro erosione è importante» dice ancora il professor Garelli.

Guardando alla geografia, l’Italia appare molto divisa tra Nord e Sud. Se la Sicilia risulta la regione più religiosa (oltre il 37% va almeno una volta a settimana in un luogo di culto), la Liguria è quella più agnostica e atea (oltre una persona su tre non frequenta mai e solo il 18,6% lo fa con assiduità). Siamo lontani dalle percentuali della Svezia (90% si dichiara religioso e 3% praticante), ma la tendenza è ad avere una religiosità sempre più ritagliata sul personale e che non segue i precetti che non ritiene necessari.

Sul fronte delle professioni quadri, impiegati, casalinghe e pensionati sono le più religiose. Dirigenti, imprenditori, liberi professionisti, operai e studenti quelle meno.

«Chi riceve stimoli o è impegnato in lavori concettuali o manuali più impegnativi si dedica meno al trascendente» spiega Garelli. 

Raphael Zanotti (La Stampa)


Le opere di misericordia spirituale. 6. Sopportare le persone moleste

Scrive San Paolo: “Quando siamo tribolati, è per la vostra consolazione e salvezza; quando siamo confortati, è per la vostra consolazione, la quale si dimostra nel sopportare con forza le medesime sofferenze che anche noi sopportiamo” (2 Corinzi 1,6). “Vi esorto dunque io, il prigioniero nel Signore, a comportarvi in maniera degna della vocazione che avete ricevuto, con ogni umiltà, mansuetudine e pazienza, sopportandovi a vicenda con amore” (Efesini 4,1-2). Sopportare non è un atto di debolezza, ma di forza. Dio stesso ci sopporta. Sopportare è imitare la pazienza divina. Noi abbiamo dato al verbo sopportare un significato negativo.

Sopportare qualcuno non è amarlo. Si riferisce a qualcuno che ci infastidisce con il suo atteggiamento o comportamento e di cui faremmo volentieri a meno. In realtà per sopportazione qui va proprio intesa la pazienza che la carità cristiana esprime. La parola “pazienza” è presente 40 volte in tutta la Bibbia, di cui 26 nel Nuovo Testamento. San Giacomo scrive: “Prendete, o fratelli, a modello di sopportazione e di pazienza i profeti che parlano nel nome del Signore. Ecco, noi chiamiamo beati quelli che hanno sopportato con pazienza” (Giacomo 5,10-11). Per quanto possibile bisogna evitare di reagire a tutte le piccole provocazioni che subiamo, riservando una reazione solo ai casi veramente importanti o penalmente rilevanti, contemplati dall’articolo 660 del Codice Penale che punisce le molestie in genere, lo stalking con l’articolo 612bis. Queste molestie generano grave ansia alla persona. Come cristiani abbiamo il diritto di difenderci, ma mai quello di vendicarci.

Il 28 per cento delle donne e il 10 per cento degli uomini hanno riferito in un’inchiesta del 2007 di aver subito molestie sessuali che vanno comunque sempre denunciate. In Italia il numero di vittime del mobbing – cioè le angherie sul posto di lavoro – è intorno a 1 milione e 200 mila. Sino a 5 milioni se si considerano anche le famiglie. Non esiste una legislazione italiana di difesa. Comunque diversi comportamenti che caratterizzano il mobbing rientrano già in vari articoli del codice penale italiano (abuso d’ufficio, percosse, lesione personale volontarie, ingiuria, diffamazione, minaccia, molestie). La persona equilibrata sa reagire con coraggio e pazienza alle “normali e inevitabili” piccole frustrazioni quotidiane che ci vengono dal nostro prossimo. Il cristiano ha anche una forza in più che gli proviene dalla preghiera. La mitezza è quindi la forza sotto controllo.
Le persone moleste (fuori dai casi giuridicamente penali) da sopportare sono quelle arroganti (ma qui può essere equilibrata con l’opera di misericordia di “ammonire i peccatori”), le persone che si lagnano sempre (oltre che sopportate andrebbero nei limiti del possibile allontanate, perché trascinano in basso anche noi), le persone maleducate (spesso vari problemi psicologici o non vivono i valori cristiani), le persone ipercritiche (altro problema psicologico). Sopportare è avere compassione dei difetti altrui, ricordando che è facile guardare la pagliuzza che è nell’occhio del fratello, e non accorgersi della trave nel proprio (Luca 6,41). È utile ricordare che qualsiasi cosa facciamo troveremo sempre qualcuno che avrà da ridire. Se dovessimo dare peso a tutti non vivremmo più e perderemmo di vista la missione particolare che Dio ha in serbo per ciascuno di noi. Il Mahatma Gandhi diceva che la «nonviolenza è la forza dell’anima o l’energia della divinità dentro di noi. Diventiamo simili a Dio nella misura in cui realizziamo la nonviolenza». La nonviolenza non va confusa con la debolezza, ma è la forza sotto il controllo della ragione e del cuore. L’uomo e la donna veramente forti sono miti. Sanno essere tolleranti con tutti e sopportare le piccole frustrazioni. Gesù dice: «Beati i miti, perché erediteranno la terra» (Matteo 5,5). La sopportazione è la forza stessa di Gesù che dice: «prendete il mio giogo sopra di voi e imparate da me, che sono mite e umile di cuore» (Matteo 11,29). Per sopportare occorre quindi essere umili, non deboli. Nell’Ebraismo la nonviolenza può essere espressa dal concetto di chesed. È l’amore-gentilezza come virtù fondamentale, simile alla mettā buddhista e alla “misericordia” nella vulgata della Bibbia. Ci sono alcuni che stanno, essi, nella pace e mantengono pace anche con gli altri. “Ci sono invece alcuni che non stanno in pace essi, né lasciano pace agli altri: pesanti con il prossimo, e ancor più con se stessi. Ci sono poi alcuni che stanno essi nella pace e si preoccupano di condurre alla pace gli altri. La verità è che la vera pace, in questa nostra misera vita, la dobbiamo far consistere nel saper sopportare con umiltà, piuttosto che nel non avere contrarietà. Colui che saprà meglio sopportare, conseguirà una pace più grande”. (Tommaso da Kempis).

Giorgio Nadali


I valori cristiani. 7. La preghiera

Diversamente da come si pensa, pregare non è ricordare a Dio qualcosa, ma ricordarci di Dio. Non a caso Gesù raccomanda di non sprecare molte parole come fanno i pagani: “Pregando poi, non sprecate parole come i pagani, i quali credono di venire ascoltati a forza di parole” (Matteo 6,7). Questi dovevano convincere gli déi ad ascoltarli e ancora oggi questo viene fatto con molta fede sincera in religioni come il Taoismo o lo Shintosimo. Bisogna convincere gli déi ad ascoltare e ad agire. Non è così per il Dio della Bibbia, che è Padre. La preghiera cristiana è un dialogo di amore. Dio sa già di cosa abbiamo bisogno (Matteo 6,32), ma non in generale, per l’umanità. Proprio personalmente per ciascuno di noi, per ogni periodo particolare e giorno della nostra esistenza terrena. Questa è la nostra fede. La preghiera non è quindi la recita di formule per tener buono un Dio che no ascolta o per fare intervenire un Dio distratto. Non è neppure la recita di mantra (formule di preghiera di tipo induista) ripetendole ossessivamente per entrare in uno stato di meditazione o per garantirci l’attenzione o la benevolenza divina o di Santi. Esistono in realtà rosari per la preghiera ripetitiva nel Cattolicesimo, nell’Ortodossia, nell’Islàm, nel Buddhismo, nell’Induismo.

Il pericolo è che l’orazione ripetitiva divenga meccanica, se non vi è uno spirito di preghiera. Questo significa una totale fiducia di avere già l’amore di Dio che vuole il nostro successo e la nostra felicità. Significa gratitudine, non mezzo per ottenere qualcosa o per mettersi in mostra come il fariseo della parabola evangelica: “O Dio, ti ringrazio che non sono come gli altri uomini, ladri, ingiusti, adùlteri, e neppure come questo pubblicano” (Luca 18,11). Vi sono innumerevoli modi di pregare, ma il peggiore è senz’altro quello senza cuore. Quello di una “religiosità ipomaniaca” che presenta il conto a Dio, e di una “religiosità da timore” che prega per garantirsi qualcosa. In questi casi manca la consapevolezza che siamo amati sempre, anche se non preghiamo affatto, anche se siamo ingrati. La preghiera ci aiuta ad essere grati e a rispondere a questo amore (Luca 15,11-32). Nella parabola del figliol prodigo il personaggio che rimane in collera è il fratello di colui che ha voltato le spalle al padre e se ne è andato. Nella parabola degli operai della vigna coloro che sono in collera sono gli operai che hanno lavorato tutto il giorno e ricevono la stessa paga di chi ha lavorato un’ora sola (Matteo20,12). La preghiera cristiana ha tre volti: lode, ringraziamento e domanda. Lodare Dio è essenziale perché l’amore implica il riconoscimento di quanto l’altro (e l’Altro) siano importanti per noi. Nasce dall’amore, non dalla paura. Solo chi si sente amato esattamente per come è già adesso può provare gratitudine e da questo scaturisce la preghiera di ringraziamento, di gratitudine (Luca 17,17).

Nella parabola Gesù guarisce dieci lebbrosi. Li ama tutti senza condizioni, ma solo uno torna indietro a ringraziare. L’amore è gratuito. Non implica la risposta dell’altro. Però riconoscerlo ed esserne grati dà molta più gioia. Una differenza sostanziale tra chi crede (ed è amato) e chi non crede (ed è amato allo stesso identico modo). Abbiamo già parlato di un aspetto particolare della preghiera. Forse è bene ricordarlo.

Non esiste “sfacciataggine” nella preghiera. A un Dio grande si chiedono cose grandi. Quelle piccole le possiamo fare anche da soli. Prega in grande. Chiedi cose grandi. Chiedete e vi sarà dato: “una buona misura, pigiata, scossa e traboccante vi sarà versata nel grembo” (Luca 6,38). Padre, grazie per questa meravigliosa giornata. Ricolmami della tua grazia e del tuo favore in questa giornata, al punto da farmi essere benedizione per gli altri. Che preghiera energizzante e piena di fede per iniziare così la giornata! Dio vuole il massimo per noi. Sì, anche in termini materiali. La povertà non è la miseria. Ne parleremo. Qualcuno ha insegnato a tenere un profilo basso e dimesso con Dio. Questo non è però compatibile con l’idea di rapporto Padre-figlio che ci ha trasmesso Gesù. Quale padre direbbe “non disturbarmi, riga dritto e accontentati”. Sì, forse alcuni “padri” terreni, ma certamente non Dio Padre. Difatti Gesù dice: “Quale padre tra voi, se il figlio gli chiede un pane, gli darà una pietra? O se gli chiede un pesce, gli darà al posto del pesce una serpe? O se gli chiede un uovo, gli darà uno scorpione? Se dunque voi, che siete cattivi, sapete dare cose buone ai vostri figli, quanto più il Padre vostro celeste darà lo Spirito Santo a coloro che glielo chiedono!” (Luca 11,13). Cosa significa? Prega in grande. Grande lode, grande gratitudine e grandi richieste. Niente timidezza nella preghiera. È il rapporto di amore con l’Abbà, cioè il vezzeggiativo tenero di “papà”, nella lingua aramaica, come lo chiama Gesù e ci ha insegnato a chiamarlo, ma anche soprattutto a crederlo veramente! E questo per alcuni è la cosa più difficile. Una preghiera: “Signore aumenta la nostra fede” (Luca 17,6). Interessante la risposta di Gesù: “Se aveste fede quanto un granellino di senapa, potreste dire a questo gelso: Sii sradicato e trapiantato nel mare, ed esso vi ascolterebbe”.

Giorgio Nadali


Fede & Scienza: Le forze della preghiera e della fede fanno bene al cervello

Le persone religiose trovano forza in Dio; questo lo sappiamo. Ma un nuovo studio condotto dal Prof. Malt Friese e da Michaela Wanke suggerisce che anche i non credenti possono entrare in azione. In un recente numero del Journal of Experimental Social Psychology, presentano prove che dimostrano come e perché la preghiera potrebbe aumentare la capacità di chiunque di resistere alla tentazione. Tuttavia possiamo essere tutti d’accordo che per questo occorra autocontrollo, gli autori propongono che la fonte di tale controllo potrebbe non essere soprannaturale. Invece, potrebbe venire da qualcosa di più terreno. Qualcosa di accessibile anche ai più atei: la connessione sociale.

Gli autori hanno elaborato il loro studio del potere di preghiera in ciò che hanno chiamato il “modello forza” dell’autocontrollo. Il modello di resistenza suggerisce che le nostre risorse cognitive, come le nostre risorse fisiche, siano limitate. Correre per un chilometro sarebbe incredibilmente difficile dopo averne corsi già 30, e resistere anche alla più piccola tentazione può essere incredibilmente difficile se hai appena passato un’ora a resistere quelle più grandi. Quindi, come possiamo ricostituire queste risorse cognitive, o anche aumentare la nostra “resistenza” cognitiva? I ricercatori hanno, in tutta serietà, scoperto che l’ingestione di glucosio può infatti aumentare l’autocontrollo, ma gli scienziati gli scienziati hanno supposto che la preghiera potrebbe essere un altro mezzo attraverso il quale gli individui si proteggono dal crollo della forza di volontà. In effetti, studi del passato avevano già suggerito un tale rapporto, mostrando che suggerendo ai partecipanti parole relative alla religione (ad es Dio, divino) li mettevano al riparo contro gli effetti dell’impoverimento cognitivo.

Gli autori hanno trovato che le persone interpretano la preghiera come l’interazione sociale con Dio, e le interazioni sociali sono ciò che ci danno le risorse cognitive necessarie per evitare la tentazione. Precedenti ricerche hanno trovato che anche brevi interazioni sociali possono promuovere le funzioni cognitive, e lo stesso sembra valere per le brevi interazioni sociali con le divinità.

Uno dei più importanti ricercatori nel campo della neurologia e della spiritualità è Andrew Newberg, direttore della ricerca presso il Jefferson Myrna Brind Center of Integrative Medicine a Thomas Jefferson University Hospital e , a Philadelphia . Ha fatto studi empirici sul funzionamento del cervello tra una varietà di praticanti spirituali che vanno da suore cattoliche impegnati in ” centrare preghiera” di pentecostali in preghiera in lingue .

I risultati del suo lavoro e altri hanno confermato che il cervello umano è “progettato per la fede . “Diverse volte le neuroscienze hanno dimostrato che la preghiera fa una differenza notevole nel funzionamento fisiologico del cervello.

Newberg afferma che mentre cresci spiritualmente, cambi le convinzioni, migliori il senso di compassione – per esempio – e questo incide sul cervello. Se si pratica la molto preghiera, per esempio, i dati mostrano che queste pratiche possono effettivamente cambiare il cervello nel corso del tempo .

Abbiamo fatto uno studio sulla pratica di meditazione e abbiamo trovato diverse cose tra le persone che non avevano mai meditato prima. Quando queste persone hanno aggiunto la meditazione per le loro pratiche, come ad esempio concentrandosi su un passo della Scrittura, abbiamo visto cambiamenti significativi nel funzionamento del cervello. In particolare, abbiamo visto una maggiore attività nei lobi frontali (una delle aree del cervello coinvolte nella compassione e nelle emozioni positive ) e non ci sono stati cambiamenti nel talamo, la parte del nostro cervello che ci aiuta all’interconnessione.

I cristiani spesso parlano di ” frutto dello Spirito ” delineati da San Paolo nella Lettera ai Galati- “amore, gioia, pace, pazienza, gentilezza, bontà, mitezza, dominio di sé “. Queste sono funzioni del cervello ?

Newberg risponde che in sostanza c’è un equilibrio da stabilire tra il lobo frontale e il sistema limbico. L’amigdala è la parte del cervello che reagisce alla paura, all’odio , alla rabbia e altre emozioni allarmanti, ma partecipa anche agli aspetti positivi. Il lobo frontale equilibra tutto. Per esempio, quando qualcuno ti taglia la strada nel traffico , la vostra amigdala reagisce con , “fagli  del male subito”, ma il vostro lobo frontale dice: “Aspetta un minuto! ” Questa è una visione neurologica della pazienza .

Sia che si chiami ” vita nello Spirito ” o diventare più compassionevole, meno reazionario, si parla del tentativo di sopprimere l’amigdala e cercare di migliorare il lobo frontale e le attività nelle aree sociali del cervello.

Newberg aggiunge che “le visioni positive su Dio sono buone per il cervello. Tuttavia , le visioni negative su Dio possono essere dannose, causano stress, ansia e possono causare depressione e emozioni negative”.

Abbiamo scoperto che la fede nel suo senso più ampio è la cosa migliore che si può avere per il cervello. Non solo la fede religiosa fa bene al cervello, ma anche l’ottimismo e il guardare il mondo in modo positivo che la gente associa spesso con la fede.  Avere ” fede” che la tua vita andrà per il verso giusto e che tu sia in grado di aiutare altre persone, questo è un altro beneficio.

In realtà, l’ottimismo – la speranza – è un ottimo indicatore della propria salute e della vita . Se questo ottimismo è avvolto in un contesto religioso, vi sono elementi che dimostrano che le persone che sono religiose hanno più bassi livelli di depressione e ansia .

Inoltre, quando hai fede, fornisci un quadro di riferimento per la vita e per la comprensione del mondo che allevia un sacco di ansia ontologica di cui molti soffrono, e ciò fornisce risposte in un contesto di vita. È un reticolo interconnesso per la vita. Se ottenete sostegno sociale dalla vostra chiesa, anche questo è incredibilmente utile per il cervello .

Giorgio Nadali


A spasso per l’Aldilà. 1

Inizia oggi la nostra serie di carrellate su aspetti particolari della credenza sulla vita ultraterrena nel mondo. Aspettiamo i vostri commenti! Buon viaggio!

ZOMBIE (Vodou)

I film dell’orrore li hanno resi celebri. Sono i morti viventi. Per il culto animista del Vodou di Haiti esistono veramente. Per capire in quale contesto si inserisce il vero zombi, dobbiamo ricordare che Vodou vuol dire “spirito”. Il Vodou anima la società di Haiti. Sebbene quando si pensa al Vodou ci viene istintivamente in mente qualcosa che ha a che fare con la magia nera e la stregoneria, il Vodou è qualcosa di più complesso e profondo. E’ la religione popolare di Haiti, che si è formata attraverso la commistione di antiche credenze di origine africana (Benin). Per Mons. Guy Poulard, vescovo di Haiti, una buona parte della popolazione partecipa ai riti Vodou di notte e a quelli cattolici di giorno. La forza del Vodou può essere usata per il male, ma anche per il bene. Ad Haiti vi è un rapporto molto particolare con i propri defunti. I bambini giocano sulle tombe di famiglia situate nel giardino di casa, buone anche per stendervi la biancheria lavata. La zombificazione di una persona è una forma di stregoneria del Voodoo di Haiti. Consiste in una morte apparente per togliere la libertà ad una persona, non più meritata a causa di qualche gesto grave compiuto, come l’omicidio o lo stupro. Chi ha subito un torto può rivolgersi ad uno stregone Voodoo, chiamato bokor. Lo zombie diverrà come uno schiavo. Potrà essere venduto e comprato. Se la persona che ha acquistato lo zombie muore, allora potrà riscattarsi (mediante una pozione antidoto), ma non potrà tornare al suo villaggio di origine, poiché è stato condannato. Come avviene la condanna per zombificazione? Tecnicamente attraverso una neurotossina che induce una forma catalettica che prelude ad un avvelenamento successivo più grave e talvolta alla morte. Mediante dei rospi di tipo amazzonico (Bufo alvarius, Bufo marinus) oppure il veleno del pesce palla, si estrae la bufotenina (5-MEO-DIMETILTRIPTAMMINA), o tetradotoxina (TTX), da cinquanta a cento volte più potente della digitale. Il condannato sembra clinicamente morto e viene seppellito ancora cosciente. Di notte il corpo dello zombie viene risvegliato dal bokor in un cimitero, con un’altra sostanza che cancellerà la personalità del condannato e lo renderà un automa, suo schiavo. Sarà senza memoria e volontà, con occhi vitrei e voce nasale. Potrà essere venduto. L’antidoto usato è la datura, una pianta che contiene nei semi e nei fiori degli alcaloidi come la scopolamina e l’atropina. Alcaloidi che producono effetti di controllo mentale. La parola zombie deriva da quella creola Nzambi, una divinità dell’Africa occidentale. La pratica di zombificazione non è molto frequente ed esiste ancora oggi, ma il governo haitiano non ha alcun controllo su queste pratiche clandestine e illegali. La zombificazione spaventa molto la gente di Haiti, anche perché ricorda l’antica schiavitù. Il cinema si è ispirato a questa pratica reale per i film sugli zombie.

CIMITERI (Cristianesimo)

I luoghi di sepoltura si chiamavano anticamente “Necropoli”, cioè “Città dei morti”. Con la nascita del Cristianesimo il termine è mutato in “cimiteri”. Questa parola proviene dal greco koimetérion, “luogo di riposo”: il verbo κοιμᾶν (“koimân”) significa “fare addormentare”. Questo è dovuto alla fede cristiana nella risurrezione di coloro che vi sono sepolti, che si risveglieranno per la risurrezione, secondo la promessa di Gesù nel Vangelo di Giovanni 6,40.

INDULGENZE (Cristianesimo cattolico)

La dottrina dell’indulgenza è nata in ambito cattolico si riferisce alla credenza nella possibilità di cancellare una parte ben precisa delle conseguenze di un peccato (detta pena temporale), dal peccatore che abbia confessato sinceramente il suo errore e sia stato perdonato tramite il sacramento della confessione. A seguito della riforma protestante, che contestò questa dottrina sostenendo che essa non abbia un fondamento nella Bibbia, rimase un uso prettamente cattolico. La vendita delle indulgenze spaccò la Chiesa con la Riforma protestante di Martin Lutero, nel 1517, il quale rifiutava il valore delle indulgenze e soprattutto il fatto di offrirle a seguito di un’offerta di denaro. Con la vendita delle indulgenze è stata edificata la Basilica di San Pietro in Vaticano. Ancora oggi si dice “lucrare un’indulgenza”, da “lucro”, cioè denaro. Ovviamente le condizioni non riguardano più il denaro per acquistare la bolla di indulgenza. Lucra validamente un’indulgenza chi riceve il Sacramento della Riconciliazione (Confessione), l’Eucaristia, recita il Credo, prega secondo le intenzioni del Papa. Chi muore martire o dovesse morire subito dopo aver lucrato validamente un’indulgenza plenaria va direttamente in Paradiso senza passare dal Purgatorio. Quest’ultimo è presente solo nella dottrina cattolica. Il martire “lava” la sua anima dalle pene del Purgatorio col proprio sangue versato a causa diretta ed evidente della sua fede in Cristo. L’ultima martire canonizzata in Italia (nel 1950 da Papa Pio XII) è stata la dodicenne Maria Goretti.

CREMAZIONE (Induismo)

Il funerale può incominciare anche da vivi, col rito dello adya-shrada. Chi non ha figli che possano occuparsi del rito funerario al momento della propria morte o chi ritiene che il proprio funerale non verrà fatto per qualche ragione, può chiedere il rito funerario anticipato (…senza cremazione, ovviamente), chiamato appunto adya-shrada. Normalmente però il rito funerario avviene da morti. E’ il sedicesimo sacramento dell’Induismo, chiamato antyeshti, cioè “cremazione”. Le norme per il rito sono contenute nel testo Aswalayana Grhya Sutra. Gli uomini sono avvolti in un sudario bianco o color zafferano e le donne in uno rosso. Il volto è cosparso da polvere rossa (sindur) simbolo del sacro. Se il defunto è un uomo, il rito verrà officiato da uomini (parenti e amici), se è il defunto è donna, verrà officiato da donne. Per la cremazione vengono utilizzati alcuni ingredienti: muschio, zafferano, legno di sandalo, canfora, legna da ardere, burro chiarificato (detto ghi). La cremazione avviene sempre sulla riva di un fiume. Al termine del processo di combustione, che può durare dalle due alle tre ore e mezza, le ceneri saranno affidate alle acque fluviali. Il corpo è deposto su una kunda (una struttura rettangolare di pietra con un buco nel centro) sulla quale vengono deposte tre cataste di legna e della paglia. Il volto del defunto deve sempre essere rivolto a Nord. Se è uomo, dev’essere prima sbarbato. Il fuoco viene appiccato sempre a partire da Nord. Dev’essere accesa una lampada alimentata dal burro ghi e da questa fiamma va accesa della canfora, la quale a sua volta accenderà la pira. Alla salma vengono rivolte le parole: “Caro defunto!
Dopo la morte, possa il potere della tua vista essere assorbito nel sole, la tua anima nell’atmosfera, possa tu andare nella regione luminosa della terra, secondo i tuoi meriti spirituali, o và alle acque, se quello è il tuo luogo, o alle piante, assumendo corpi diversi”. Nel 1829 venne abolita la pratica della “sati”. Una vedova si immolava da viva sulla pira funeraria del marito a simbolo del suo essere priva del suo valore in sé, senza il marito. Questa pratica è ancora in uso in forma clandestina nell’India rurale. E’ segno di amore immortale e purifica la coppia dai peccati accumulati.

PURGATORIO (Cristianesimo cattolico)

La fede nell’esistenza del Purgatorio è esclusiva del cattolicesimo. A Lione (Francia) il 7 maggio 1274 si apre il 14° Concilio ecumenico. Viene fissato il dogma del Purgatorio, che sarà confermato dai Concili di Basilea, Firenze, Ferrara e Roma (1431-1449) e dal Concilio di Trento (1545-1563) come “luogo e condizione in cui le anime dei morti, giustificati, ma ancora in condizione di peccato, si trovano per completare la purificazione prima di ascendere in paradiso.”

TOMBE EBRAICHE (Ebraismo)

Gli ebrei non mettono fiori sulle tombe, ma sassolini perché ricordano le sepolture affrettate nel deserto al tempo dell’Esodo dall’Egitto (1200 a.C.). Inoltre nella simbologia ebraica, la roccia simboleggia Dio. Il popolo di Israele nell’antichità trascorreva molto tempo nelle zone aride del deserto. Abramo, Isacco, Giacobbe e Lot erano pastori nomadi. Per ritrovare i luoghi dove erano sepolti i loro defunti erigevano delle piccole montagnole di pietre.

ISLAM E DEFUNTI DONNA (Islam)

Muhammad (Maometto) disse: “Mi è stato mostrato il fuoco dell’Inferno e che la maggioranza dei suoi abitanti sono donne”.

TOMBA E CULLA (Cristianesimo)

San Girolamo disse: “La tomba vuota è la culla del Cristianesimo” intendendo con questo che il Cristianesimo nasce con la tomba vuota per la risurrezione di Cristo. Ma disse anche che una donna cessa di essere tale e può essere chiamata uomo quando vuol servire più Cristo che il mondo (Comm. ad Ephesios III,5).

MING BI (Taoismo)

I jīnzhǐ (o míng bì, “denaro dell’ombra”) sono oggetti di carta di bambù o carta di riso, noti anche come “carta degli spiriti”. Modellini di auto, case, ma soprattutto soldi finti con la scritta in cinese e in inglese “Hell banknotes”, cioè “Banconote dell’Inferno”, lo “Hell Passport”, il “Passaporto per l’Inferno” e addirittura un biglietto aereo finto con la scritta “Hell Airlines”, Linee Aeree dell’Inferno. I fedeli li comprano nel “negozio di carta per il mondo degli spiriti”, che si trova spesso vicino ad un tempio taoista e li bruciano – dopo averle ben piegate – in un apposito piccolo forno dentro il tempio. In questo modo i propri defunti avranno molte cose nell’aldilà e saranno liberi dall’inferno. L’immagine sulle banconote è dell’imperatore di giada, Yù Huáng, guardiano dell’aldilà. L’esatta parola cinese sulle banconote è diyu, che significa “prigione ultaterrena”. I jīnzhǐ vengono in genere bruciati insieme ai yunbao, piccoli lingotti d’oro finti. Attenzione. E’ molto offensivo darne una a una persona vivente. Esistono anche le Paradise Banknotes, banconote (finte) per il paradiso, bruciate in onore degli déi taoisti. Dal 2006 in Cina è però proibito dal ministero per gli affari civili bruciare i modellini di carta di auto e case perché è ritenuta una pratica feudale.

CHIESA E INFERNO (Cristianesimo cattolico)

La Chiesa non cita alcun nome di persona che sia con certezza all’Inferno. Non si può sapere se un pentimento possa essere giunto anche negli ultimi istanti di vita come è narrato nel Vangelo per uno dei condannati alla crocifissione accanto a Gesù. Solo Dante Alighieri nella Divina Commedia fa dei nomi di persone che lui riteneva fossero dannate. La Chiesa fa nomi certi di persone solo per il Paradiso. Questo vale per tutte le Chiese cristiane – ortodossi, cattolici, anglicani, protestanti.
Papi all’Inferno
Secondo Dante Alighieri vi sono 6 papi all’Inferno. Nella “La Divina Commedia” sono: Niccolò III (Giovanni Gaetano Orsini, 1277-1280) nella terza bolgia dell’ottavo girone dell’Inferno, per i simoniaci (venditori di cose spirituali) insieme a Bonifacio VIII (Benedetto Caetani, 1294-1303) e papa Clemente V (Betrand de Gouth, 1305-1314). Bonifacio VIII è citato anche nella bolgia VIII per i consiglieri fraudolenti insieme a papa Silvestro I (314-335). Nel sesto cerchio vi è papa Anastasio II (496-498) con gli eretici. Infine papa Celestino V (Pietro Angeleri, 1294) nell’antinferno con gli ignavi. Di questi papi Celestino V è santo.

MARTIRI (Cristianesimo, Islam)

E’ una delle massime aspirazioni per ogni uomo musulmano. Non solo fondamentalista. Si chiama talab alsahada, l’aspirazione a diventare un sahada (un martire). E questo, a differenza del martirio cristiano (che significa perdere la propria vita a causa della fedeltà a Cristo), vuol dire quasi sempre far morire anche altre persone in nome dell’Islam. Il conflitto israelo-palestinese ne ha conosciuti molti negli ultimi anni. Campi specializzati addestrano giovani celibi, pronti a morire in mezzo ai discendenti di Davide, imbottiti di esplosivo, per la causa dell’Islam. Un martire è già puro. Morendo per l’Islam uccidendo altre persone, ha il Paradiso garantito. E non un Paradiso qualsiasi. Uno molto sensuale: “Invece i timorati di Dio staranno in luogo sicuro – fra giardini e fontane – rivestiti di seta e di broccato, faccia a faccia. Così sarà. E daremo loro in ispose fanciulle dai grandi occhi neri, – e là chiederanno ogni sorta di frutti e ne godranno sicuri”. (Sura del fumo “ad-Dukhan” XLIV,51-54)

Nel Cristianesimo invece il martire è un testimone (dal greco martyrion) della fede, a costo della propria vita. Il detto “vita, morte e miracoli” deriva proprio dal processo per dichiarare santo (canonizzare) un fedele. Vengono infatti esaminate la vita, il momento della morte e almeno un miracolo avvenuto per sua intercessione sua. Solo per i martiri il miracolo non viene più richiesto, per volontà di papa Paolo VI. L’ultima martire canonizzata in Italia (nel 1950 da Papa Pio XII) è stata la dodicenne Maria Goretti.

DEFUNTI DA BERE (Religione tribale Yanomami)

Gli indigeni Yanomami del Sud America non seppelliscono i defunti. Li cremano e mescolano le ceneri con una bevanda alla banana. Il parente più prossimo poi beve la miscela. In questo modo lo spirito del defunto è soddisfatto e non torna a tormentarli.

PARADISO ISLAMICO (Islam)

Le Huri, ḥūr o ḥūrīyah secondo la tradizione islamica sono delle fanciulle che attendono nel paradiso coloro che nel giorno del giudizio arriveranno lì. Secondo la tradizione le Huri sarebbero giovani ragazze perennemente vergini il cui compito sarebbe quello di ricompensare l’uomo arrivato nel paradiso. Sempre secondo la tradizione, le giovani avrebbero la capacità di concepire e generare. Per il sesso femminile esistono ugualmente gli ghulām. Nel Corano la parola hûr indica le giovani fanciulle vergine promesse ai credenti. La radice di questa parola è collegata all’idea di “bianchezza” in particolare ai grandi occhi della gazzella e al contrasto tra il bianco dell’occhio e il nero della pupilla, hawrâ’ è una donna dai grandi occhi neri e dalla pelle molto chiara. Quasi tutti i versetti che parlano di hûrî sono del periodo meccano, quando è particolarmente sentito da Muhammad il tema del Giudizio Universale. I versetti coranici ci dicono che non sono mai state toccate né dagli uomini né dai jinn, la sostanza da cui sono state create per alcuni è lo zafferano, per altri sono di zafferano, muschio, canfora e ambra. I loro muscoli sono delicati e i loro tendini paiono fatti di fili di seta. Sui loro seni sono iscritti due nomi: da una parte quello Dio, sull’altro quello del proprio marito. Vivono in castelli con 70 letti, hanno 33 anni come i loro mariti, la loro verginità viene rinnovata eternamente, il loro corpo è sempre puro, non hanno mestruazioni, bisogni umani. Le donne che in vita sono state virtuose in Paradiso si ricongiungeranno al proprio marito e lì continueranno la loro vita insieme. Se una donna in vita ha avuto più mariti ne sceglierà uno, mentre gli uomini poligami avranno diritto a tutte le mogli legittime. I commentatori però non dicono nulla sulla sorte di quelle donne che andranno in Paradiso, ma che in vita non sono state sposate. Su questa base coranica la tradizione ha aggiunto dettagli dando alle hûrî un carattere molto sensuale. Non tutti gli esegeti hanno accettato questa idea prettamente materialista, al-Baydâwî dice che non si possono fare raffronti tra il godimento del cibo, delle hûrî, la condizione umana terrena è altra rispet-to a quella del Paradiso, certo è che la mentalità popolare musulmana è permeata da questi concetti. E’ solo in un hadîth che si parla delle 70 vergini che attendono tutti gli eletti, non solo i martiri.

DONNA E REINCARNAZIONE (Buddhismo)

Secondo il canone Pali delle scritture sacre buddhiste, un essere si reincarna donna se ha fatto qualcosa di grave nella vita precedente. Esiste il detto: “Ho ottenuto un corpo di donna perché ho commesso il male in una passata esistenza”

RISURREZIONE DEI CORPI UMANI (Cristianesimo)

Risurrezione del nostro corpo. Come sarà? La dottrina della risurrezione è presente anche nell’Ebraismo e nell’Islam.
Il Signore Gesù Cristo ce lo ha promesso: «Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue ha la vita eterna e io lo risusciterò nell’ultimo giorno». (Gv 6,54). Appartiene al dogma della risurrezione che essa avvenga coi corpi che abbiamo ora (“cum suis propiis resurgent corporibus quae nunc gestant” – IV Concilio del Laterano – e “in hac carne, qua nunc vivimus” – Fidei Damasi). Il corpo sarà non solo specificamente lo stesso (il corpo che ho ora). Con questa affermazione, si evita ogni modo di pensare che suggerisca una metempsicosi o una tramigrazione delle anime da un corpo all’altro… Vi sono tre ipotesi teologiche sul come riavremo il nostro corpo il giorno della risurrezione. Gesù Cristo promette che questo avverrà alla fine dei tempi. In Giovanni 6:54 dice: “Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue ha la vita eterna e io lo risusciterò nell’ultimo giorno”. Le ipotesi sulla nostra risurrezione sono:
Identità materiale – perché il corpo sia numericamente lo stesso, si richiederebbe che fosse composto nella stessa materia. Intesa in tutto il suo di rigore, la teoria difficilmente accettabile. D’altra parte, il principio secondo il quale un’identità materiale necessaria perché il corpo possa essere considerato lo stesso, è scientificamente assai discutibile. Dato il metabolismo costante del corpo umano, il mio corpo attuale ha rinnovato totalmente la sua materia da com’era sette anni or sono; e tuttavia, penso con ragione che sia rimasto realmente lo stesso corpo.
Identità formale – una teoria che si colloca all’estremo opposto sarebbe quella proposta, già nel Medio Evo da Durando di San Porciano (+ 1334). Durando suppone che, quale sia la materia di cui è composto un corpo, è il mio corpo per il fatto medesimo che esso s’unisce la mia anima… Bisogna riconoscere che, esposta in questo modo e senza altri particolari, questa teoria lascia l’impressione di una certa somiglianza con la teoria della trasmigrazione delle anime… Joseph Ratzinger [attuale papa Benedetto XVI, n.d.A.] pensa che non sia necessaria la stessa materia perché il corpo possa essere considerato lo stesso, e ha fatto notare che tutta la tradizione ecclesiastica (dottrinale e liturgica) impone come limite che il corpo risuscitato deve includere le reliquie dell’antico corpo terreno, se si esistono ancora come tali quando avviene la risurrezione. Tali “reliquie” saranno nuovamente animate dall’anima santa al corpo della quale appartennero. D’altra parte, insistendo sul fatto che la nostra risurrezione gloriosa non può essere spiegata senza un parallelismo con la risurrezione di Gesù, pare necessario affermare, come secondo limite, una certa continuità di somiglianza morfologica col corpo mortale.
Identità sostanziale – Alois Winklhofer ha proposto, recentemente una nuova ipotesi… di fronte a un cadavere che comincia a corrompersi, Dio sottrae e conserva separatamente questa sostanza non fenomenologica del corpo. Il cadavere, a dispetto della sua continuità fenomenologica col mio corpo, non sarebbe più, in questo caso, il mio corpo. Al contrario, partendo dalla sostanza non fenomenologica del mio corpo, Dio ricostruirebbe il mio corpo risuscitato; e appunto la permanenza di questa sostanza (l’identità sostanziale) farebbe sì che sia il mio corpo e non un altro.

Giorgio Nadali

 


Fede & Scienza. Credere riduce l’ansia

Credere in Dio può aiutare a bloccare l’ansia e minimizzare lo stress, secondo una nuova ricerca dell’Università di Toronto che mostra differenze cerebrali distinte tra credenti e non credenti.

In due studi condotti da assistente professore di psicologia Michael Inzlicht, i partecipanti hanno eseguito un test di Stroop – una prova ben nota di controllo cognitivo – mentre erano collegati a elettrodi che misuravano la loro attività cerebrale.

Rispetto ai non credenti, i partecipanti religiosi hanno mostrato significativamente meno attività nella corteccia cingolata anteriore (ACC), una parte del cervello che aiuta a modificare il comportamento segnalando quando sono necessarie attenzione e controllo, di solito come conseguenza di qualche evento ansiogeno come il commettere un errore. Maggiore era il loro zelo religioso e più credevano in Dio, tanto meno la loro corteccia cingolata anteriore si accendeva in risposta ai loro propri errori, e meno errori commettevano.

“Si potrebbe pensare a questa parte del cervello come un campanello d’allarme corticale che suona quando un individuo ha appena commesso un errore o sperimenta incertezza”, dice l’autore Inzlicht, che insegna e svolge attività di ricerca presso l’Università di Toronto Scarborough. “Abbiamo scoperto che le persone religiose o anche persone che semplicemente credono nell’esistenza di Dio mostrano significativamente minore attività cerebrale in relazione ai propri errori. Sono molto meno ansiosi e si sentono meno stressati quando hanno commesso un errore.”

Queste correlazione è rimasta forte, anche dopo il controllo per la personalità e la capacità cognitiva, dice Inzlicht, che ha anche scoperto che i partecipanti religiosi commettevano meno errori nel test di Stroop, rispetto alle loro controparti non-credenti.

I loro risultati mostrano che la fede religiosa ha un effetto calmante sui suoi devoti, che li rende meno propensi all’ansia di fare errori e di fronte all’ignoto. Ma Inzlicht avverte che l’ansia è una “spada a doppio taglio”, a volte necessaria e utile.

“Ovviamente, l’ansia può essere negativa, perché disporne di troppa, paralizza dalla paura”, dice. “Tuttavia, serve anche una funzione molto utile in quanto ci avvisa quando stiamo per commettere errori. Se non si verifica ansia quando commetti un errore, quale slancio a cambiare o migliorare il tuo comportamento in modo da non ripetere più volte gli stessi errori? ”

Il documento, che appare online in Psychological Science, ha come autori il Dr. Ian McGregor della York University, e Jacob Hirsh e Kyle Nash, candidati al dottorato rispettivamente presso le Università di Toronto e York.

Redazione


Festival dell’Oriente

Immergersi nelle culture e nelle tradizioni di un Continente sconfinato. L’11, 12, 13 Marzo ed il 18, 19, 20 Marzo, il Festival dell’Oriente torna a Torino, presso il complesso fieristico Lingotto Fiere e il 26, 27, 28 Febbraio e 4, 5, 6 Marzo, a Bologna, presso il complesso fieristico di Bologna Fiere.

Mostre fotografiche, bazar, stand commerciali, gastronomia tipica, cerimonie tradizionali, spettacoli folklorisitici, medicine naturali, concerti, danze e arti marziali si alterneranno nelle numerose aree tematiche dedicate ai vari paesi in un continuo ed avvincente susseguirsi di show, incontri, seminari ed esibizioni.

Interagisci e sperimenta gratuitamente decine di terapie tradizionali, visita il settore dedicato alla salute e al benessere con i suoi padiglioni dedicati alle terapie olistiche le discipline bionaturali, lo yoga, ayurvedica, fiori di bach, theta healing, meditazione, spazio vegano, reiki, massaggi, ci kung, tai chi chuan, shiatsu, tuina, bio musica, rebirthing, integrazione posturale, e molte altre ancora.

Lasciati trasportare nella magia dell’oriente: India, Cina, Giappone, Thailandia, Corea del Sud, Indonesia, Malesia ,Vietnam, Bangladesh, Mongolia, Nepal, Rajasthan, Sri Lanka, Birmania, Tibet ect…

Un settore dedicato all‘incontro ed al confronto tra indusimo, buddismo, confucianesimo, zen, cristianesimo, taoismo, scintoismo, sciamanesimo ed altre religioni e filosofie con seminari, workshops e conferenze tematiche per sperimentare la possibilità di un approcio diretto ad esperienze e modelli di vita alternativi.
Le religioni e le filosofie orientali ed occidentali si confrontano al Festival dell’Oriente, alla ricerca di un modello di sviluppo dell’uomo e la sua dimensione nell’universo!!!
Saranno di scena al Festival alcuni fra i massimi esponenti delle filosofie e religioni orientali ed occidentali italiani ed internazionali come Angela Volpini, i Monaci Tibetani, i Monaci Shaolin, il Maestro Ramacandra Das, Brahmana Vaisnava, gli Hare Krishna, i rappresentati di Osho, Zen, la capanna dei tamburi, lo sciamano italiano e molti altri.

Sarà possibile sperimentare nuove discipline ed entrare in contatto con numerosi Maestri ed esperti provenienti da tutto il mondo e con numerosi rappresentanti di tutte le tradizioni per dare la possibilita a chi ne fosse interessato di intraprendere un cammino di consapevolezza e crescita interiore, o anche solamente per interfacciarsi con altre realtà possibili insite nell esssere umano indelebilmente alla ricerca della pienezza del proprio essere e del completamento della propria realtà interiore.

Redazione