Rituali estremi. 1. Nudismo sacro e mortificazione pubblica del pene. V.M. 18

ATTENZIONE! La mortificazione pubblica del pene è una pratica religiosa indù pericolosa! NON provate questa pratica, riservata a sadhu indù allenati! OLTRE non si assume alcuna responsabilità per i lettori che volessero mortificare pubblicamente il loro pene!

Sadhu significa “sant’uomo”. Sono gli asceti induisti. I Naga Baba sono i guerrieri asceti. Girano nudi (“naga”), ma non c’è nulla di erotico in tutto questo. Anche perché sono coperti della cenere bianca dei luoghi di cremazione su tutto il corpo. La nudità rappresenta l’ideale del sadhu e trasformano in potere psichico ogni pulsione sessuale. I Naga Baba fanno degli esercizi per aumentare la loro forza interiore, mortificando in pubblico il loro pene. Ad esempio con un esercizio detto chabi. Consiste nel tenere forzatamente il proprio pene in posizione abbassata. Un altro è il lingasana. Il sant’uomo si appende almeno trenta chili al pene e solleva questo peso con la sola forza del suo super prepuzio dotato di poteri sovrumani. Si tratta di un’elaborazione dell’esercizio yogico chiamato kara-lingi. Il suo scopo è di eliminare la capacità erettile dell’organo genitale e incanalare le forze sessuali in forma ascetica, trascendendola. In una parola, di aumentare la kundalini.

Una volta erano usate grosse catene, oggi delle corde con enormi mattoni appesi al pene. Non provate questo esercizio a casa se non siete dei Naga Baba, se siete circoncisi o non siete dotati di un super prepuzio. È facile vedere i Naga Baba praticare questo esercizio in pubblico durante il più grande raduno religioso del mondo: il Khumb Mela. Oltre cento milioni di fedeli in tre mesi presso il fiume sacro Gange, ogni dodici anni. Altri Naga Baba hanno fatto voto di non abbassare mai il loro braccio sinistro per dodici anni oppure di non sedersi mai. Uno di loro dorme in piedi, sorretto da corde, da dieci anni.

Il Gianismo (religione dell’India) ha due sette principali. Gli Svetambara (“vestito bianco”) rappresentano l’ala più liberale. Loro vi accompagneranno vestendo almeno un indumento. Ma quando il dovere lo impone, quelli della setta più radicale dei Digambara (“vestito di cielo”) vanno in giro nudi integrali. Questo per seguire l’esempio dello storico fondatore del Giainismo: Mahavira. (599 a.C.). Seguire il loro esempio religioso nudista vuol dire essere un perfetto nirgrantha, cioè “il nudo”. I Digambara sono solo 155.000 su quattro milioni di giainisti in India.
Anche i monaci jinakalpin, della setta Svetambara, circolano completamente nudi e usano il palmo delle mani come scodella. Questo fa parte dei voti monastici (mahavratas) che prevedono anche la castità assoluta, la proibizione di nuocere a qualsiasi essere vivente (insetti e microbi compresi), rubare e mentire. Comportarsi diversamente provocherebbe una reincarnazione, allontanando la salvezza (mokṣa).

Giorgio Nadali


Le chiese cristiane dei serpenti e degli scorpioni

ATTENZIONE! Maneggiare serpenti e scorpioni è pericoloso! OLTRE non si assume alcuna responsabilità per la morte di lettori che decidano di maneggiare con fede serpenti e scorpioni! NON provate alcuna delle pratiche religiose con i serpenti mostrate nel video!

Gesù Cristo disse: «Prenderanno in mano i serpenti e, se berranno qualche veleno, non recherà loro danno, imporranno le mani ai malati e questi guariranno». (Marco 16,18) E ancora: «Ecco, io vi ho dato il potere di camminare sopra i serpenti e gli scorpioni e sopra ogni potenza del nemico, nulla vi potrà danneggiare» (Luca 10,19). Loro lo hanno preso alla lettera. Hanno incominciato a prendere in mano serpenti velenosi. A brindare con cocktail di micidiali veleni. Ordinano costose casse di scorpioni per camminarci sopra in casa. Quelli che poi sopravvivono tentano anche di imporre le mani ai terrorizzati malati che incontrano. Loro sono gli Snake Handlers. Gruppo del pentecostalismo fondamentalista cristiano. Vivono negli USA. La Church of God with Signs Following fu fondata a Cleveland, Tennessee (USA) da George Went Hensley, morto a settantacinque anni in Florida, nel 1955. Ovviamente ad ucciderlo fu il morso di un serpente. Tutto iniziò quando George stava predicando il passo di Vangelo di Marco 16.

Si trovava nei pressi di Cleveland e un gruppo di uomini lo mise alla prova mettendogli di fronte una scatola piena di serpenti velenosi. Lui li prese in mano e continuò a predicare. La pratica si diffuse nella Church of God del Tennessee e nel 1945 ci scappò il primo morto. Nel 1948 Hensley fu arrestato. Ma i correligionari proseguirono. E crebbero. Nel 1971 i pastori Buford Peck e Jimmie Ray Williams morirono per aver assunto della stricnina durante un servizio religioso. Nel 1975 la Corte Suprema del Tennessee dovette emanare un divieto di assumere veleno e maneggiare serpenti durante le riunioni religiose. Ma i fedeli continuarono privatamente, convinti di manifestare un dono dello Spirito Santo. Queste pratiche sono infatti svolte durante un trance estatico chiamato In the Spirit. (Nello Spirito).

I casi di morsi di serpente velenoso sono effettivamente rari. Bisogna essere una vittima molto appetibile. Ma non provateci a casa. I serpenti sono abbastanza permalosi. Gli stati di Alabama, Kentucky e Tennessee hanno approvato leggi contro l’uso di serpenti velenosi e altri rettili in un luogo che mette in pericolo la vita delle persone. La legge del Kentucky cita espressamente le funzioni religiose. In Kentucky gestire un serpente è un reato punibile con una multa dai cinquanta ai duecentocinquanta dollari. La maggior parte delle pratiche di manipolazione dei serpenti, quindi, si svolgono nelle case dei fedeli, che così si risparmiano la procedura e di ottenere un permesso governativo per la chiesa. Le forze dell’ordine in genere ignorano queste pratiche religiose, a meno che non vengano chiamate a causa di una morte.

I serpenti usati nel culto devono essere trai più velenosi reperibili. L’ideale sarebbe l’ Oxyuranus microlepidotus, il serpente più velenoso del mondo, che in realtà si nutre solo di roditori. 7 volte più velenosi del serpente a sonagli del Mojave.

Nel luglio 2008, dieci persone sono state arrestate e centoventicinque serpenti velenosi sono stati sequestrati nell’ambito di un’operazione sotto copertura chiamata Twice Shy. Il pastore Gregory James Coots della Full Gospel Tabernacle è stato arrestato e settantaquattro serpenti sono stati sequestrati dalla sua casa.
Una donna del Tennessee morì nel 1995 a causa di un morso di serpente a sonagli ricevuta durante un servizio alla chiesa del Full Gospel Tabernacle. La pratica è legale nello Stato del West Virginia. La manipolazione religiosa dei serpenti è stato un reato punibile con la morte secondo la legge della Georgia del 1941, in seguito alla morte di una bambina di sette anni, a causa del morso di un serpente a sonagli. Tuttavia, la pena non fu comminata e la legge fu abrogata nel 1968. La pratica è legale tuttora nella Virginia Occidentale.
Nel 2001 vi erano circa quaranta piccole chiese dei serpenti, molte delle quali pentecostali o carismatiche. Nel 2004 vi erano quattro congregazioni dei serpenti nelle province di Alberta e British Columbia, Canada. La maggior parte, se non tutte, utilizzano la versione protestante di Re Giacomo della Bibbia (King James Version), e considerano le altre traduzioni come demoniache o false. Come i loro predecessori, credono in una interpretazione letterale della Bibbia. La maggior parte di queste Chiese sono non-confessionali, ritenendo che le denominazioni siano fatte dagli uomini e portino il marchio della Bestia dell’Apocalisse, cioè Satana. I fedeli frequentano la chiesa diverse volte alla settimana. Se lo Spirito Santo interviene, il culto può durare da novanta minuti a cinque ore, se i serpenti non si stancano prima.
Le Chiese cristiane che nel 2016 praticano settimanalmente il culto con i serpenti sono:

 Rock House Holiness Church, Sand Mountain, Georgia
 The Jesus Name Believers Holiness Church, Canton, Georgia
 Holiness Church of God in Jesus’ Name, Kingston, Tennessee
 Holiness Church Of Lord Jesus, Roopville, Indiana
 Hiway Holiness Church of God, Fort Wayne, Kentucky
 Crockett Church, Fields
 East London Holiness Church , London, Michigan
 Apostolic Church, Warren, Ohio
Full Gospel Jesus Church, Cleveland, Ohio
 Full Gospel Jesus Church, Columbus, South Carolina
 Holiness Church of God in Jesus Name, Greenville, Sud Carolina
 Holiness Church of God in Jesus Name, Greenville, Tennessee
 Holiness Church of God in Jesus Name, Carson Springs, Tennessee
 Sand Hill Church, Del Rio, Texas
 House of Prayer in Jesus Name, Morristown, West Virginia
 Church Of The Lord Jesus With Signs Following, Jolo, West Virginia
 Full Gospel Jesus Church, Micco, Florida
 Full Gospel Jesus Church, Kistler, West Virginia
Giorgio Nadali


Specchi sacri

Lo specchio, forse per le suggestioni esercitate dall’oggetto in sé, ha un ruolo di rilievo in molti sistemi filosofici e religiosi, dove funge ora da emblema di saggezza, ora da strumento dell’esperienza mistica, ora da tramite di teofanie. Gli sciamani siberani ad esempio hanno avuto l’abitudine di appendere agli abiti specchi metallici a simboleggiare, in analogia con alcuni aspetti della mitologia giapponese, il sole e la luna.

Rientra nel discorso il ruolo, ora metaforico e simbolico ora magico e religioso, che allo specchio è stato variamente attribuito in Cina da parte di quel complesso di speculazioni filosofiche, pratiche ascetiche e fideismi misticheggianti cui generalmente assegniamo il nome di Taoismo. La nitidezza di un miraglio su cui la polvere non facci apresa costituisce una metafora della purezza immacolata della speculazione filosofica e troviamo anche l’invito a considerare l’oggetto il modello ideale dell’attività psichica del saggio: l’uso della mente dell’uomo perfetto rassomiglia a uno specchio, privo di intenzioni e desideri, riflette e non trattiene padroneggiando quindi le cose senza riceverne danno. Nella letteratura mitologica giapponese troviamo il ruolo di chiaroveggenza e onniscenza legato allo specchio. Nel misticismo taoista allo specchio è associata la spada, magicamente efficace per scacciare spiriti malevoli e calamità, assieme ad altri amuleti.

Nello Shintoismo i fedeli per farsi ascoltare dai kami (le divinità) usano il kagami (che si pronuncia kagàmi, non kàgami…) il termine giapponese dello specchio sacro. Gli specchi kagami sono fatti di rame, argento, ferro o vetro e possono avere forme diverse, rotonde, quadrate, elittiche o con otto petali come il kagami hakkōkyō, con otto archi come il kagami hachiryō. Insieme alle spade e i gioielli, agli specchi è stato attribuito un significato religioso profondo e usato in rituali sin dall’antichità, in base alle sue misteriose capacità di riflettere ogni cosa. Lo specchio sacro di bronzo (yata no kagami) è tuttora presente anche nelle insegne imperiali del Giappone (sanshu no jingi).

kagami

Lo specchio sacro è da sempre usato negli antichi rituali mitamashiro. I kami (le divinità) abitano volentieri negli specchi e di conseguenza il kagami è riverito come oggetto di culto (shintai) all’interno dei santuari shintoisti. Con lo sviluppo nel tardo periodo Heian (Fujiwara) della religione che combina kami e buddha (shinbutsu shūgō) si sviluppò anche la pratica di disegnare kami o figure buddhiste a loro associate sugli specchi, conle immagini note come mishōtai. Queste immagini vengono collocate nei santuari shintoisti come oggetti di culto e dedicati ai santuari dai fedeli (sankeisha)

All’interno di rituali volti alla personale affiliazione (kechien) con le divinità. Gli specchi kagami vengono anche dedicati ai santuari come tesoro degli stessi, ma anche gettati nell’acqua come parte di rituali di divinazione dei kami dell’acqua (suijin), e come utensili nelle cerimonie di inaugurazione dei lavori per la costruzione degli edifici. Lo jôtôsai è infatti il rito per gli déi architetti. È un rituale effettuato dai carpentieri shintoisti (in Giappone) durante la costruzione di un edificio. I muratori adorano gli déi dell’architettura e pregano per il completamento del loro lavoro senza problemi. Il rituale ha inizio quando tecnicamente i pilastri di colmo del tetto vengono eretti e collocati.

Nello stato di New York – a Wappingers Falls – esiste la Cappella degli Specchi Sacri (Chapel of Sacred Mirrors) creata da Alex Grey.

Giorgio Nadali

 


Segreti taoisti a luci rosse per allungare la vita. V.M. 18

Lo Huang-Ching è l’esercizio sessuale taoista per prolungare la vita. Il suo nome significa “far tornare indietro il seme”. Il fedele fa circolare nel corpo l’essenza (ching) unita al respiro (ch’i) portandola dall’alto al basso cinabro (tan-t’ien) per rinforzare il cervello (pu-nao). Viene praticato evitando l’eiaculazione durante il rapporto sessuale. Nello Huang-Ching pu-nao l’uomo cinge, immediatamente prima dell’eiaculazione, la radice del pene con due dita, respira profondamente con la bocca e digrigna i denti. Grazie a ciò il seme può salire nel più alto campo di cinabro (tan-t’ien) del cervello.

L’effetto di ringiovanimento di questo metodi si basa sulla fusione del seme (ching) con l’energia vitale (ch’i).
Questa fusione ha luogo, secondo la teoria, nella trachea, dove sale l’essenza, oppure dal basso campo di cinabro, dove scende il respiro. Così fusi, entrambe circolano nel corpo finché vengono di nuovo condotti dal basso all’alto campo di cinabro, più precisamente, nella parte del campo conosciuta come Ni-huan; attraverso ciò il cervello viene rinforzato. Il metodo funziona. L’ha provato l’’imperatore giallo Huang-ti che lo applicò quando ebbe rapporti sessuali con milleduecento concubine, una dopo l’altra, senza riportare danni alla salute. In sostanza nove giorni di rapporti sessuali ininterrotti, 24 ore su 24… Provate!

Il metodo dello Huang-chi pu-nao è conosciuto dal tempo della dinastia Han ed è molto diffuso anche oggi e può essere usato con facilità anche da chi ha meno di milleduecento concubine. La maggior parte delle opere taoiste sottolinea che, in questa tecnica, non si tratta del seme in sé, ma dell’essenza dello stesso, perché esiste già prima del seme materiale. Il processo dello Huang-chin pu-nao inizia al momento dell’erezione e del risveglio dell’energia sessuale. Infatti, secondo la concezione taoista, l’erezione non è necessariamente collegata all’attività sessuale; è soprattutto indizio del fatto che l’energia è presente nel corpo in maniera sufficiente, e può circolare liberamente. L’erezione può sopraggiungere anche quando colui che pratica la meditazione raggiunge una condizione libera da pensieri e desideri… Forse. Concepito in questo senso, il metodo di lasciar tornare indietro il seme per “rinforzare il cervello” può essere praticato anche da quei taoisti che non hanno molte concubine come l’Imperatore di Giada o che rifiutano le tecniche sessuali.

Un termnine taoista collettivo indica molto chiaramente quali sono queste tecniche sessuali. È Fang-chung shu, cioè le “arti della camera interna”. Queste tecniche sono importanti perché uniscono l’utile al dilettevole. Grazie al sesso fanno realizzare il Tao e raggiungere l’immortalità (Ch’ang-sheng pu-ssu). E non è poco. Le differenti tecniche sessuali taoiste mirano ad alimentare e a conservare il seme, l’essenza (ching), perciò il discepolo ha bisogno dell’energia dell’altro sesso, dal momento che solo sotto l’influsso dello Yin femminile, l’uomo può rinforzare il suo Yang e viceversa. I metodi più importanti per alimentare il ching consistono nell’evitare l’eiaculazione e nel “ritrarre il ching” per “rinforzare il cervello”.

Pratiche sessuali collettive sono attestate sin dalle antiche scuole taoiste. I seguaci del Taismo dei cinque stai di riso (Wu-tou-mi Tao) e della via della pace suprema (T’ai-pin’g Tao) praticavano la cosiddetta fusione del respiro (Ho-ch’i). Un elemento sostanziale nei metodi sessuali è lo scambio di energie. Per rafforza il suo Yang l’uomo può durante il coito bere molte energie Yin, che si riflettono fortemente sulla propria energia, sotto la lingua o dal seno della donna. Ma le essenze più potenti vengono sprigionate durante l’orgasmo. L’uomo le coglie con il suo pene nella vagina della donna e la donna con la vagina dal pene dell’uomo.

Questo scambio di Yin e Yang assicura la salute e allunga la vita. Spesso però le esigenze superano lo scambio e l’accumulo di energia passa in primo piano. Il discepolo taoista deve allora imparare, per evitare l’eiaculazione, a trattenere tutto il suo ching nel corpo. Contemporaneamente deve preoccuparsi di portare più volte all’orgasmo la sua partner per poter quindi prenderne l’energia Yin sprigionata. L’uomo può l’efficacia di questa tecinca avendo rapporti con molte diverse partner giovani e belle, uno dopo l’altro. Il leggendario imperatore giallo (Huang-ti) secondo la tradizione fece l’amore con milleduecento concubine senza riportare danni alla salute perché sapeva bene come evitare l’eiaculazione. Il livello successivo è costituito dalla ritrazione del seme per rinforzare il cervello. Questa tecnica è stata praticata anche come esercizio preliminare alle pratiche meditative di respirazione del Taoismo che si propongono lo sviluppo di un “embrione sacro” (Sheng-t’ai), l’anima immortale del fedele taoista.

Queste tecniche sessuali sono state certamente praticate a danno delle partner femminili. Perciò un’altra tradizione insegna che entrambi i partner devono frenare l’orgasmo e aspirare a un più alto livello di unione. Un testo afferma che per vivere a lungo, senza invecchiare, un uomo deve prima giocare con la donna. Egli deve bere il liquido di giada, ossia deve bere la sua saliva; così in entrambi la passione cresce. Poi l’uomo deve premere con le dita della sua mano sinistra il punto P’ing-i.

(Il punto P’ing-i si trova circa 2,5 cm. sopra il capezzolo del seno destro ed è anche indicato come “Yin presente in Yang”). Nel suo (basso) campo di cinabro (Tan T’ien)… egli deve immaginarsi un’essenza chiara, rossa, dentro gialla e fuori rossa e bianca. Quindi si deve immaginare che questo liquido si divida in sole e luna, che si muovano nella sua pancia e che raggiungano nel suo cervello il punto Ni-huan, dove le due metà poi si ricongiungono.

Questa simbolica ritrazione del seme culmina dunque nell’unione del principio maschile e femminile, rappresentato dal sole e dalla luna. L’arte cinese presenta innumerevoli simboli sessuali. La pesca, con il suo intaglio interno, rappresenta la vulva femminile. Altri simboli per la parte femminile sono vasi, nuvole, fiori di peonia aperti, funghi, la tigre bianca, stelle reniformi ecc. Simboli per la parte maschile sono, tra gli altri, la giada, le pecore, formazioni rocciose che ricordano il fallo, il drago verde, il colore verde, la fenice.

Giorgio Nadali

Italiadagustare


I valori cristiani. 5. La Giustizia

Per un cristiano vi sono due pilastri riguardo la giustizia. Primo: «Se la vostra giustizia non supererà quella degli scribi e dei farisei, non entrerete nel regno dei cieli» (Matteo 5,20). Sono parole di Gesù Cristo. Per un cristiano la giustizia dev’essere come quella divina: amore. Secondo: «Il giusto vivrà mediante la fede» (Romani 1,17). La fede deve portare ad essere giusti come Dio. «Siete stati giustificati nel nome del Signore Gesù Cristo» (1 Corinzi 6, 11). «Cristo Gesù è diventato per noi sapienza, giustizia» (1 Corinzi 1, 30) «perché noi potessimo diventare giustizia di Dio» (2 Corinzi 5, 21). Se è fuori discussione il fatto che la giustizia sia Dio stesso (come del resto ogni altro suo attributo), è certo che la persona matura possegga un sano senso di giustizia. Il cristiano può essere giusto perché viene giustificato dal sacrificio redentore di Cristo. La giustizia è strettamente legata all’amore. La giustizia è posta a fondamento dell’amore. Esso non può sussistere senza giustizia.

Occorre riconoscere all’altro ciò che gli spetta di diritto, cioè ciò che gli garantisca la sua piena umanità e dignità. Nell’esperienza cristiana la persona riconosce tra questi diritti anche l’amore (che normalmente va oltre al concetto di giustizia appena accennato), per cui il cristiano non può essere giusto senza amare. Esso diviene un dovere, come risposta ad un amore totalmente gratuito, che è quello divino, in Cristo. La persona risponde all’amore gratuito di Dio con un amore gratuito al prossimo (e a Dio). La fede cristiana non trasforma l’amore in un obbligo, ma in un diritto. E ad ogni diritto corrisponde un dovere, perché esista vera giustizia. Nell’esperienza cristiana vi è da una parte il riconoscimento che solo Dio può giudicare il cuore della persona. Il giudizio viene limitato al discernimento tra bene e male, anche nei confronti dell’altro: Se il tuo fratello commette una colpa va e ammoniscilo… (Matteo 18, 12) evitando di pronunciare un giudizio assoluto sulla persona: «Non giudicare» (Matteo 7, 1).

Per l’uomo il giudizio sull’altro ha sempre una valenza emotiva così forte e condizionante da creare esclusivamente divisione e disarmonia, dato che l’uomo quando è tentato di giudicare in questo senso è sempre spinto da una situazione negativa. Ma per esercitare il senso di giustizia la persona deve soprattutto riconoscere il diritto altrui. E’ qui, forse, il contributo determinante dell’esperienza cristiana. Quali diritti io riconosco all’altro? E in forza di che cosa o di chi? Ora è precisamente l’amore quello che apre gli occhi per riconoscere la persona del prossimo. Senza la luce e l’ispirazione dell’amore non si arriva al rapporto personale della giustizia.

I diritti fondamentali, cioè i diritti universali dell’uomo, sono fondati nella dignità della persona umana; di conseguenza diventa possibile rispettarli solo sulla base di una comprensione piena di amore del prossimo nella sua qualità di persona. Pertanto una giustizia solo o prevalentemente impersonale rimane sempre imperfetta e degenera facilmente in ingiustizia… Solo la giustizia guidata e ispirata dall’amore, che ha il primato in tutto, è una giustizia viva. Per questo l’ordine sociale è da fondarsi sulla verità, realizzarsi nella giustizia, deve essere vitalizzato dall’amore. Chi segue fedelmente Cristo, cerca anzitutto il Regno di Dio, e assume così più valido e puro amore per aiutare i suoi fratelli e per realizzare le opere della giustizia. La psicologia riconosce tra i bisogni fondamentali dell’individuo quello di dare e ricevere amore.

Nel Cristianesimo vi è una visione universale dei diritti umani. L’altro va rispettato in quanto persona, non in quanto credente e tanto meno in quanto credente nella propria stessa fede religiosa. Questa universalità è presente anche nel Buddhismo, anche se la persona umana è considerata in modo diverso. La vita umana è solo apparenza.

L’esperienza cristiana ne fa un diritto, e quindi un dovere. Il giudizio sarà quindi orientato da questo fine superiore. Giudicare può significare due cose diverse: in primo luogo, esercitare la funzione mentale dell’asserzione oppure assegnare certi predicati. In secondo luogo, però, ‘giudicare’ significa pure esercitare la funzione di ‘giudice’ in riferimento all’azione di assolvere e condannare. Quest’ultimo tipo di giudizio morale si fonda sull’idea di un’autorità che trascende l’uomo e che formula giudizi su di lui. Tale autorità è privilegiata per assolvere, condannare o punire. I suoi dettami sono assoluti, perché si trova al di sopra dell’uomo, ed è dotata di una saggezza e di una forza per l’uomo inattingibili… Ma molte persone che non esercitano l’ufficio di giudice ne assumono il ruolo, pronti a condannare o ad assolvere, quando formulano giudizi morali. Il loro atteggiamento spesso contiene una buona dose di sadismo e di distruttività. Non vi è forse fenomeno che contenga tanto senso distruttivo quanto l”indignazione morale’ che consente all’invidia di estrinsecarsi sotto la maschera della virtù… Il compito principale dell’uomo nella vita è far nascere se stesso, divenire ciò che potenzialmente è. Comprendere una persona non significa condonare; significa che non la si accusa come se si fosse un Dio o un giudice posti al di sopra di lei.

Giorgio Nadali


Pangboche. Il monastero dello Yeti

Il nome Yeti è l’insieme di due sillabe tibetane: ye-ti, “quella cosa”. Il nome Yeti è l’insieme di due sillabe tibetane: ye-ti, “quella cosa”. Uno scalpo ritenuto appartenente all’abominevole uomo delle nevi è custodito sotto una teca di vetro presso il monastero buddhista di Pangboche (Nepal) a 3.985 metri di altitudine. Il 19 marzo 1954, il quotidiano «Daily Mail» pubblicò un articolo che descriveva una spedizione intenta a ottenere campioni di peli di uno scalpo trovato nel monastero di Pangboche. I peli furono analizzati da un esperto in antropologia e Anatomia Comparata, il professor Frederic Wood Jones.

Una mano dello Yeti è stata rubata dal monastero. Secondo i tibetani esistono due specie di yeti: la prima chiamata Dzu-Teh (che letteralmente significa grande cosa), sarebbe composta da individui enormi che possono superare i due metri e mezzo; la seconda, invece, si riferisce a esemplari più piccoli, che non superano i centocinquanta centimetri e sono chiamati Meh-teh. Alcuni ricercatori pensano che possa trattarsi di uomini che vivono in isolamento; questa teoria però non giustifica le grandi orme trovate in diverse occasioni. C’è un altro cuoio capelluto yeti in mostra a nel monastero del villaggio di Khumjung.

Pangboche è uno dei più antichi monasteri nepalesi della regione del Khumbu. Si pensa che Il Buddhismo sia stato introdotto nella regione del Khumbu verso la fine del XVII secolo dal Lama Sange Dorjee. Secondo la leggenda, il Lama ha sorvolato l’Himalaya e atterrò su una roccia a Pangboche e Thyangboche, lasciando le sue impronte incorporate sulla pietra. La mano e la cima del cranio sono state rubate negli anni Novanta dal monastero nepalese. La storia è ancora più avventurosa e risale agli anni Cinquanta, quando Peter Byrne, che guidava una spedizione alla ricerca della leggendaria creatura, arrivò al monastero di Pangboche. Secondo Byrne il cranio dello yeti era un falso, fatto con pelle di capra o antilope. Tuttavia la mano alimentava una speranza: nessuno scienziato era riuscito a spiegarne l’origine.

Un pilota neozelandese – Mike Allsop – ha portato il 30 aprile 2011 la replica di un teschio e di una mano di yeti, reperti rubati negli anni Novanta. Allsop ha dichiarato: «Voglio aiutare il monastero e far sì che torni ad avere una fonte di introito». In Siberia sta nascendo un istituto dell’Università statale di Kemerovo specializzato nello studio dello yeti. Il progetto è guidato dal dottor Igor Burtsev. Nella zona del monte Shoria sembra che ne vivano addirittura una trentina. Secondo Burtsev, gli yeti sono uomini di Neanderthal sopravvissuti all’estinzione.

Giorgio Nadali


Conferenza. 3. Prof. Giorgio Nadali. I segreti del soprannaturale e la legge di attrazione. 09/03/2016

I segreti del soprannaturale e la legge di attrazione

Prof. Giorgio Nadali

Giorgio Nadali

Mercoledì 9 Marzo 2016 

Ore 16.00 – 18.00

Associazione culturale Afrodite

Corso di Porta Nuova, 38

Milano

Quota: € 20,00

Posti disponibili: 25

Per iscrizioni: posta@oltre.online

 

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Levitazione & Bilocazione. Sono possibili?

Maharishi Mahesh Yogi ha fondato nel 1975 una scuola di meditazione di volo yogico, come estensione della Meditazione Trascendentale, il quarto stadio di coscienza. Si chiama tecnica TM-Sidhi. Il volo yogico ha tre livelli. Lo stadio iniziale è saltellare su e giù seduti nella posizione del loto, il secondo stadio è lievitare, il terzo stadio è volare. Secondo Maharishi, il volo yogico è un fenomeno creato da uno specifico pensiero proveniente dal più semplice stato di coscienza, chiamato Coscienza Trascendentale. Bevam Morris, presidente della Maharishi University of Management, di Fairfield (Iowa, USA) ha organizzato il primo concorso nord americano di volo yogico nel 1986, presso il Civic Center di Washington. Ventidue praticanti della tecnica TM-Sidhi hanno partecipato in competizioni come i 25 metri a ostacoli, salto in lungo e corsa di 50 metri di volo yogico. Il concorso si è svolto ogni anno sino al 1989. Vicotria Dawson del «Wasgington Post» ha riferito che i partecipanti saltavano rimanendo seduti . Tuttavia nessuno di loro ha volato.

Nell’Induismo i poteri di levitazione del corpo sono chiamati “potere della rana” (dardura-siddhi) e sono attribuiti limitatamente ad alcuni maestri (guru) dotati di poteri spirituali: i siddha, coloro che hanno il potere (siddhi) della leggerezza (laghiman). Il maestro yoga Subbayah Pullavar nel 1936 ha levitato orizzontalmente davanti a 150 persone sospeso su di un bastone coperto da un panno. Shirdi Sai Baba era maestro della levitazione nel sonno. Nel Buddhismo questi poteri sono attribuiti storicamente allo yogi Milarepa.

Secondo il CICAP «a tutt’oggi non è mai stata dimostrata al di là di ogni dubbio l’autentica levitazione anche di un solo spillo. Nessun tavolo, medium o mediatore trascendentale si è mai sollevato di un millimetro (senza saltellare) in piena luce, sotto controllo davanti a una telecamera o, comunque, davanti a un prestigiatore competente. Gli illusionisti, naturalmente, riescono a creare l’illusione della levitazione con abili trucchi (il più spettacolare dei quali, in questo campo è quello presentato dall’americano David Copperfield)».
La bilocazione – la capacità di essere presenti contemporaneamente in due luoghi diversi – è attribuita nel Cristianesimo a Sant’Antonio, Santa Maria di Gesù da Agreda e San Padre Pio da Pietrelcina. Nessuno ha mai dimostrato di poter mostrare il doppio di se stesso nella stessa stanza dove si trovava.

Nel Cristianesimo il santo Giuseppe da Copertino (1603-1663) levitava a causa delle continue estasi mistiche e per questo era continuamente trasferito da un convento all’altro. Il potere di levitazione viene attribuito anche a San Francesco d’Assisi, Sant’Alfonso Maria de’ Liguori che predicava a Foggia sospeso nell’aria, Santa Teresa d’Avila, San Martino de Porres, ritenuto capace di teletrasporto (attraverso porte chiuse) e levitazione, Serafino di Sarov (un santo della Chiesa russo ortodossa) levitò davanti all’imperatore Alessandro I, e San Padre Pio da Pietrelcina, ritenuto capace di bilocazione e lievitazione.

Giorgio Nadali


Le opere di misericordia spirituale. 3. Ammonire i peccatori

“Se un tuo fratello pecca, rimproveralo; ma se si pente, perdonagli”. (Luca 17,3). L’ammonimento non è facile. Si rischia di sembrare presuntuosi e saccenti, superiori agli altri. In realtà è un atto di carità. Gesù stesso lo chiede: “Se il tuo fratello commette una colpa, va’ e ammoniscilo fra te e lui solo; se ti ascolterà, avrai guadagnato il tuo fratello; se non ti ascolterà, prendi con te una o due persone, perché ogni cosa sia risolta sulla parola di due o tre testimoni. Se poi non ascolterà neppure costoro, dillo all’assemblea; e se non ascolterà neanche l’assemblea, sia per te come un pagano e un pubblicano” (Matteo 18,15-17). Il papa emerito Benedetto XVI scrisse nella quaresima 2012 che «prestare attenzione» al fratello comprende altresì la premura per il suo bene spirituale… la correzione fraterna in vista della salvezza eterna.

Oggi, in generale, si è assai sensibili al discorso della cura e della carità per il bene fisico e materiale degli altri, ma si tace quasi del tutto sulla responsabilità spirituale verso i fratelli. Non così nella Chiesa dei primi tempi e nelle comunità veramente mature nella fede, in cui ci si prende a cuore non solo la salute corporale del fratello, ma anche quella della sua anima per il suo destino ultimo. Nella Sacra Scrittura leggiamo: «Rimprovera il saggio ed egli ti sarà grato. Dà consigli al saggio e diventerà ancora più saggio; istruisci il giusto ed egli aumenterà il sapere» (Pr 9,8s). Cristo stesso comanda di riprendere il fratello che sta commettendo un peccato (cfr Mt 18,15). Il verbo usato per definire la correzione fraterna – elenchein – è il medesimo che indica la missione profetica di denuncia propria dei cristiani verso una generazione che indulge al male (cfr Ef 5,11). La tradizione della Chiesa ha annoverato tra le opere di misericordia spirituale quella di «ammonire i peccatori».

E’ importante recuperare questa dimensione della carità cristiana. Non bisogna tacere di fronte al male. Penso qui all’atteggiamento di quei cristiani che, per rispetto umano o per semplice comodità, si adeguano alla mentalità comune, piuttosto che mettere in guardia i propri fratelli dai modi di pensare e di agire che contraddicono la verità e non seguono la via del bene. Il rimprovero cristiano, però, non è mai animato da spirito di condanna o recrimina-zione; è mosso sempre dall’amore e dalla misericordia e sgorga da vera sollecitudine per il bene del fratello. L’apostolo Paolo afferma: «Se uno viene sorpreso in qualche colpa, voi che avete lo Spirito correggetelo con spirito di dolcezza. E tu vigila su te stesso, per non essere tentato anche tu» (Gal 6,1). Nel nostro mondo impregnato di individualismo, è necessario riscoprire l’importanza della correzione fraterna, per camminare insieme verso la santità. Persino «il giusto cade sette volte» (Pr 24,16), dice la Scrittura, e noi tutti siamo deboli e manchevoli (cfr 1 Gv 1,8). E’ un grande servizio quindi aiutare e lasciarsi aiutare a leggere con verità se stessi, per migliorare la propria vita e camminare più rettamente nella via del Signore. C’è sempre bisogno di uno sguardo che ama e corregge, che conosce e riconosce, che discerne e perdona (cfr Lc 22,61), come ha fatto e fa Dio con ciascuno di noi.

Oggi la cultura relativista rende molto difficile l’opera di correzione del prossimo. Anche tra i cristiani si è insinuata l’idea di una morale personalizzata, per cui ognuno agisce secondo la sua coscienza e non ci si può permettere di intromettersi nelle scelte altrui. Vi è la convinzione diabolica del “fai ciò che vuoi”, se ti fa stare bene, allora fallo. Per cui ci vuole una grande attenzione alla Parola di Dio, preghiera, umiltà per correggere soprattutto con l’esempio, ma anche ammonire coraggiosamente e amorevolmente con le parole, senza umiliare o ferire. Sì, siamo i guardiani dei nostri fratelli. L’opposto della frase irresponsabile ed egoista di Caino: «Sono forse il guardiano di mio fratello?» (Genesi4,9). Per cui, “ammaestratevi e ammonitevi con ogni sapienza”, come scrive San Paolo (Colossesi 3,16). Chi prega e chiederà consiglio allo Spirito Santo saprà farlo nella maniera corretta, senza voltarsi vigliaccamente dall’altra parte davanti al peccato altrui, ma anche senza ergersi a giudice arrogante e indisponente.

Giorgio Nadali